Alessio Cecchini - Poesie e Racconti

Una riflessione

 

Divenire:

una fuga mistica dalla morte.

Andare,

lentamente e troppo poco lontano.

Svanire.

Nel nulla.

 

Omaggio a Ludovico Einaudi


 

Uno sguardo, al di la’…

Il vento mugghia,

aggredendo le foglie degli alberi ed i prati circostanti,

ma la sua furia ci risparmia

ed incornicia la nostra contemplazione.

Una musica celestiale copre gli inutili suoni del mondo.

La vista spazia e coglie solo gli aspetti nascosti,

coperti da una patina di normalità.

Solo con te posso condividere il canto degli angeli.

Solo con te il mio cuore gioisce al richiamo della vita

e va al di là delle vuote apparenze.

Guidami sulle acque del mito,

alle luci dell’aurora.

Ed io vivrò per sempre.

Con il tuo ricordo.

E la tua forza.


 

Vuoto

 

Ebbro.

Folle.

Melanconico.

Pensieri atroci

si conficcano come chiodi nella mente.

Strali di rimorso vanno a bersaglio,

dritti al cuore.

Lame affilate di pentimento

straziano le carni dell’anima.

Il membro non ha erezione,

non posso amare.

E sono vuoto.

Vuoto.


 

Rechi una bellezza

Rechi una bellezza faticosa da sostenere.

Una fragranza di fiori

sposa la melodia delle tue parole.

Ed il mio amore per te

varca i portali dell’eternità.


 

Haiku

Il sole sorge da un rosso orizzonte

e con abbagliante splendore illumina il mondo.

Così i tuoi occhi.


Per sempre

(testo per una canzone)

Nelle giornate calde,

incandescente calore,

dopo un temporale.

salgono su dalle strade

nuvole di vapore

e tutto si fa irreale.

io

perdo l’orientamento

mi affido al vento

vado indietro nel tempo

ma il ricordo si è spento.

Nelle giornate gelide,

quando il freddo ti blocca,

vai cercando il calore.

Parole sagge o stupide

escono dalla bocca

in sbuffi di vapore.

io

perdo l’orientamento

mi affido al vento

vado avanti nel tempo

e il ricordo si è spento.

Per sempre.


Preghiera

Prendimi per mano nel periglio.

Sii il lume che rischiara il corridoio oscuro.

Conforta le mie pene nel dolore.

Adorna con fiori colorati il verone della mente.

Accogli la mia anima raminga.

Condividi con me l’esultanza di gioia.

Dona pace al mio cuore impetuoso.


Guerra

Bastoni e pietre,

grugniti gutturali e strappi nelle pelli di animale a protezione dei corpi:

corpi sudati,

tagli profondi,
cipigli fieri.

La terra è bagnata dal sangue.

Spade che cozzano e frecce sibilanti,

scintille e lampi di luce nello schianto delle armature:

corpi sudati,

tagli profondi,

cipigli fieri.

La terra è bagnata dal sangue.

Esplosioni assordanti e proiettili,

divise militari e protezioni in kevlar:

corpi sudati,

tagli profondi,

cipigli fieri.

La terra è bagnata dal sangue.


GROT

I

-“Grot!….. Grot!……… Grooooot!”

-”Dannazione Sean! Fallo smettere!” disse con insofferenza la donna.

-”Ha fame, Ann…Accidenti, è più preciso di un orologio! Come ritardiamo di 10 minuti inizia

questa maledetta lagna…”.

Ann, appoggiata al tavolo della moderna cucina, guardò il suo uomo e, nonostante fossero sposati

da più di cinque anni (più quattro di fidanzamento), non poté non apprezzarne per l’ennesima volta

la bellezza radiosa: Sean era alto (sfiorava il metro e novanta), aveva un fisico armonioso, asciutto e

ben bilanciato che manteneva tale grazie ad un esercizio fisico costante, due occhi azzurri come il

cielo sormontavano un naso delicato, degno del miglior profilo greco, i lineamenti del volto erano

regolari e simmetrici e un filo di barba ben curata ne incorniciava le mascelle; quando sorrideva

metteva in mostra due file di denti bianchissimi e i suoi capelli biondi e lucenti completavano

l’opera.

Sì, mio marito è proprio come il vino: migliora col tempo…E lo amo come il primo giorno…Sono

stata davvero fortunata!…Comunque, a dirla tutta, anche io non sono affatto male!…Sono stata

Miss Liceo e Miss Università e gli uomini si girano spesso a guardarmi…Siamo davvero una bella

coppia…Abbiamo due lavori di prestigio e la nostra casa è splendida…Non ci manca

quasi nulla…Se non fosse per quella disgrazia capitataci otto anni fa…Quando quel

maledetto, schifoso mos…” il flusso dei pensieri di Ann venne interrotto.

-“Groooooooooooot!” quel suono alieno echeggiò di nuovo.

-”Arrivo, arrivo! Un attimo, porca troia…” disse Sean con stizza, mentre apriva freneticamente una

scatoletta di cibo per cani.

Versò il contenuto in una ciotola di metallo e ne prese un’altra che aveva, in precedenza, riempito

d’acqua poi rivolse un sorriso di circostanza alla moglie.

-”E’ davvero insopportabile, Sean!”

-”Tesoro, non preoccuparti…Adesso scendo a portargli da mangiare…” e le mandò un bacio,

avviandosi con passo sicuro verso la porta che conduceva alla cantina sottostante.

II

-“ Grot fame, ‘apà!” gorgoglìo “qualcosa” mentre Sean depositava a terra le due scodelle.

L’uomo accese la piccola lampadina pendente dal basso soffitto che, dato il voltaggio ridotto,

illuminò debolmente la cantina.

Quel “qualcosa” che aveva gorgogliato e che, evidentemente, non amava troppo la luce si rintanò

nell’ombra, in un angolo della stanza.

Ci fu uno sferragliare di catena.

Quante volte ti ho detto di non urlare, eh? Mi sembra che sia io che tua madre non ti abbiamo mai

fatto mancare il cibo..” disse Sean in tono di rimprovero.

-”Scu’a ‘apà! Grot no vole’a esere cativo…” rispose quel “qualcosa” dall’angolo buio.

-”Lo dici tutte le volte! Ora mangia, maledizione!”

Una piccola mano, deforme e rattrappita, uscì dal cono d’ombra e trascinò all’interno di esso prima

una ciotola e poi l’altra.

Sean si voltò, spense la luce e cominciò a risalire le scale mentre un rumore grottesco di risucchio e

di masticazione lo accompagnò fino alla porta.

Una volta chiusa l’entrata alle sue spalle e dati quattro pesanti giri di chiave vi si appoggiò contro e si coprì il volto con le mani.

III

-“Nonostante siano passati dieci anni non riesco ancora ad accettare quello che mi è accaduto…”

esclamò Ann.

-”Cara, lo sai benissimo…Ne abbiamo parlato milioni di volte! Quella sostanza inquinante nella

falda acquifera del quartiere in cui sei cresciuta ha alterato geneticamente il tuo corpo e quello degli

altri abitanti…Avreste potuto essere tutti morti!” replicò Sean, con tono stanco.

-”Ma certo che lo so! Faccio solo per sfogare la frustrazione…Quella maledetta azienda chimica!

Con l’ingerenza della malavita locale smaltiva le sostanze senza spendere nulla…E ci hanno

avvelenati tutti…Bastardi!”. Gli occhi della donna divennero lucidi.

-”Già…Ma l’hanno pagata cara! Tutto il benessere che abbiamo è dato dai soldi che l’azienda ha

dovuto sborsare dopo aver perso la causa di risarcimento che avete intentato voi del quartiere…Erin Brockovich docet!” disse Sean, nel tentativo di migliorare l’umore della moglie.

-“Non me ne frega un cazzo dei soldi, Sean! Per colpa di quegli stronzi ho partorito quella…

Quella…Quella “cosa” là sotto! Non potremo mai avere figli normali…E se ne fossimo venuti a

conoscenza prima avrei potuto abortire…”.

-”Hai ragione…Il non voler sapere il sesso in anticipo è stata una sciocchezza…Ma chi avrebbe

potuto immaginare una cosa simile?…E per fortuna che il primario della clinica è un mio amico

fraterno…Così siamo riusciti a tenere nascosta tutta la vicenda…”.

-”Comunque non possiamo continuare così…Sento che non potrò resistere ancora per molto…A

costo di commettere qualcosa di spiacevole…” la donna strinse i pugni, fino a sbiancare le nocche.

-”Non dire cose del genere! Dopotutto è sempre nostro…” Sean ebbe un’esitazione.

-”Cosa, Sean?…Nostro cosa?…Sarò cinica…Crudele, se vuoi…Ma io non riesco a considerarlo un

figlio…E neanche tu! Nemmeno riesci a pronunciare quella parola!” replicò freddamente Ann.

-”Sì…Ma… ” esitò di nuovo.

-”Ma?” lo pungolò la moglie.

-”Non lo so…Comunque ti prometto che troveremo una soluzione…”.

-”Lo spero…Lo spero davvero! Andiamo a letto, adesso…Dobbiamo alzarci presto e starà dormendo

anche “lui”, ormai…”.

Sean abbassò lo sguardo poi cinse con una mano i fianchi di Ann e si avviarono verso la camera da

letto.

IV

-”Grooooooooot!”

Per fortuna che Ann non è ancora rientrata dal lavoro altrimenti avrebbe rischiato una crisi di

nervi…In questo periodo è estremamente suscettibile…” pensò Sean.

Scese le scale della cantina, accese la flebile luce e depositò le solite scodelle a terra.

La mano di Grot le carpì e nel tirarle verso di sé, nell’oscuro angolo di sempre, rovesciò un po’

d’acqua.

-”Fai attenzione, mostro!” disse l’uomo, con disgusto.

-”Grot no mottro, ‘apà!”.

Sean fu colto da un improvviso moto di rabbia. Una rabbia troppo a lungo repressa.

Avvampò in volto e, dopo aver preso un vecchio specchio da una mensola, agguantò Grot per un

piede (se così si poteva chiamare!) trascinandolo sotto la luce della lampadina, fino al limite

consentito dalla catena che cingeva l’altro piede.

-”NON SEI UN MOSTRO, EH? ALLORA GUARDATI… GUARDATIIIII!” esplose, ponendo lo

specchio di fronte al figlio.

Grot si vide. Per la prima volta nella sua esistenza guardò il proprio miserevole aspetto.

E non gli piacque affatto.

Il bambino aveva una pelle pallidissima, frutto della vita passata nella semi-oscurità.

Due occhi sbilenchi, uno spalancato e l’altro quasi chiuso, lo fissavano di rimando dallo specchio,

posti ad altezze diverse su una testa enorme, di forma vagamente triangolare.

Il naso era formato da due buchi sulla faccia e piccoli denti aguzzi sbucavano da una minuscola

bocca posta poco sotto di esso.

Le braccia erano molto sottili e culminavano con mani adunche, composte ciascuna da quattro dita.

Le gambe erano corte, tozze e i piedi ricordavano quelli delle contadine cinesi del secolo scorso:

deformi dal fatto di dover sempre indossare delle calzature strettissime che ne modificavano la

struttura fino a farli assomigliare agli zoccoli dei cavalli.

Grot dopo pochi secondi distolse lo sguardo e iniziò a mugolare disperato.

Sean, con una nera soddisfazione, lo schernì crudelmente:

-”Adesso sai come sei fatto! Credo che il termine “mostro” sia addirittura poco per te…”.

Poi se ne tornò di sopra lasciando Grot a singhiozzare tristemente nel suo angolo.

V

Ann rincasò poco tempo dopo che Sean era risalito e lo trovò intento a preparare la cena.

-”Salve, caro! Che profumino!” disse la donna, odorando l’aria.

-”Ciao tesoro! perché non vai a metterti comoda?” rispose il marito, con dolcezza.

Da sempre cucinare lo rilassava e la rabbia di prima era già sparita.

-”Vado subito! Hai portato il cibo a…?” e con un dito indicò in basso.

-”Già fatto! Adesso, come vedi, lo sto preparando a… ” e additò la moglie, facendole l’occhiolino.

Ann rise di cuore e andò a mettersi in libertà.

Cenarono con una serenità che mancava da tempo e non pensarono a Grot neanche un secondo.

Finito il pasto andarono nell’ampio salotto e si misero sul divano a guardare un film alla tv.

Sean buttò un occhio alla bella moglie, distratta dalla visione, che aveva indossato la sua vestaglia

preferita.

Ann metteva sempre quel capo quando era di buon umore e a lui piaceva molto perché era attillato e

ne evidenziava le forme sensuali.

Fu preso da un desiderio molto forte di fare l’amore e lo comunicò alla moglie cominciando a

massaggiarla nelle zone erogene.

Ann non resistette più di tanto e, senza dire una parola, si alzò e s’avviò verso la camera da letto

seguita dopo pochi secondi da un soddisfatto Sean.

VI

Intanto, in cantina, Grot aveva smesso di piangere.

Il bambino, oltre alle enormi difficoltà di linguaggio, presentava anche una sorta di ritardo mentale

che, però, non gli impediva di rendersi conto della sua condizione di deformità, specialmente se

rapportava il suo aspetto a quello dei genitori, così diversi da lui.

Nonostante lo trattassero con cattiveria e disgusto Grot voleva bene ad Ann e Sean e adesso, dopo

aver capito quanto fosse mostruoso, comprendeva quel comportamento nei suoi confronti.

-” ‘apà ha ra’ione…Grot mottro…Ge’itori, ‘nvece, beli…No me’itano fi’lio bruto ‘ome Grot…Grot

‘ndare ‘ia…”.

Il bambino aveva deciso di andarsene. Per il suo bene e di quello dei genitori.

Con l’aiuto di un pezzetto di metallo arrugginito che raccolse da terra riuscì, dopo molti tentativi, a

rompere il lucchetto della catena che lo imprigionava, se la mise in mano per non strascicarla a

terra e, caracollante, si avviò su per le scale.

Sean, in preda alla rabbia, aveva dimenticato di chiudere la porta a chiave quindi Grot la aprì senza

problemi e si ritrovò in un mondo a lui sconosciuto.

Con stupore si guardò intorno, affascinato da cose che non aveva mai visto.

-”Belo qui! No potto per Grot…O’a Grot usci’e fuori…”.

Il bambino non conosceva la casa e, nel tentativo di trovare l’uscita, aprì per sbaglio la porta della

camera da letto dei genitori che, ignari, stavano facendo l’amore.

Ann si accorse dell’entrata di Grot nella stanza e cacciò un urlo isterico.

Sean si girò, stupito dal grido della moglie, e vedendo il figlio fu colto da una collera feroce e

irrefrenabile.

-”MOSTRO! COME SEI USCITO? CHE COSA CI FAI QUA DENTRO?”.

Aprì il cassetto del comò e ne trasse una pistola, acquistata qualche anno prima per difesa personale.

-”No ‘apà! Scuscia…No ‘olevo…Io va ‘ia!” rispose impaurito il piccolo, che poi si girò per scappare.

Sean, offuscato dalla rabbia, esplose un colpo con l’arma da fuoco e il proiettile raggiunse ad un

fianco Grot che emise un lamento di dolore.

Ma il bambino non si fermò e, mostrando una vitalità sorprendente, riuscì a trovare la porta

principale e a scappare fuori, lasciando una scia di sangue dietro di sè.

Sean abbracciò la moglie, provando a calmarla e cercando a sua volta conforto dal contatto con lei.

-”Coraggio, tesoro! E’ finita! L’ho colpito con la pistola e non sopravviverà a lungo…Ma devo

andare a cercarlo…Cerca di calmarti!” disse l’uomo, scendendo dal letto e vestendosi in tutta fretta.

VII

La casa era ai margini della cittadina in cui risiedevano e Grot, nonostante avesse difficoltà di

deambulazione e senza contare che doveva trascinarsi dietro la catena, riusciva a muoversi

rapidamente.

Ma stava perdendo molto sangue.

Malgrado tutto però il mondo esterno, a lui ignoto, lo sorprendeva così tanto da fargli dimenticare

persino il dolore della ferita.

Sì fermò sotto un lampione, appoggiandosi ad esso per riprendere un po’ di fiato.

Sentì toccarsi sulla spalla e si voltò di colpo, terrorizzato.

-”Amico, sei fantastico! Sei stupendo! Non è vero, Martin?”.

Chi aveva parlato era uno zombie putrescente, che lo stava guardando con un sorriso marcio.

-”Assolutamente! E dire che pensavamo di essere belli noi, Tom!”.

Chi aveva risposto, invece, era un licantropo, dagli occhi rossi e dalle zanne affilate.

Grot era allibito. Si trattava di due mostri, proprio come lui. Anzi, anche peggio!

-”Avanti! Vieni con noi! Ti portiamo ad una festa qui vicino!” disse Martin, il licantropo.

-”Già! Sarai l’attrazione della serata!……Fantastico davvero! Sta pure perdendo sangue!”.

Tom, lo zombie, era estasiato.

Grot sorrise: -”Io Grot! Io ‘enire con ‘oi!”.

-”Anche la parlata gorgogliante! Amico, sei una forza!”.

Tom e Martin presero Grot sottobraccio e si avviarono lungo la strada.

Dopo pochi minuti arrivarono di fronte alla cancellata di una grande villa, dal cui interno

giungevano i rumori più disparati: risate, chiacchiericcio e musica.

Tom e Martin si rivolsero all’orribile fantasma-custode: “Lui è con noi!”.

-”Andate pure!”.

Passarono sotto l’entrata principale della villa, sulla quale campeggiava un’insegna.

Grot la vide ma, non sapendo né leggere né scrivere, non capì cosa diceva e non ci fece troppo caso,

così entrò assieme ai suoi due nuovi amici.

Quello che vide lo lasciò di stucco: sembrava un girone dantesco!

Demoni, vampiri, mummie, mostri di ogni genere e forma erano assiepati all’interno.

Un gruppo di zombie stava suonando su un palco nel centro dell’ampio salone, mentre il resto delle

creature si divertiva da matti: chi ballava, chi consumava un drink ascoltando la musica,

chi parlava, chi rideva sonoramente. Una festa in piena regola!

-”Ma ‘ono tuti mottri!” gridò Grot, in preda ad un’eccitazione che continuava a fargli ignorare la

sua grave condizione.

-”L’hai detto, amico! L’hai detto!” rispose Martin, accompagnando il bambino all’interno.

VIII

Sean correva a perdifiato, seguendo la piccola scia di sangue del figlio.

Ma dov’è andato? Come fa ad avere tutta quella vitalità?” pensò l’uomo.

Raggiunse il lampione dove Grot aveva incontrato Martin e Tom e continuò a seguire la scia rossa.

Arrivò al cancello della villa in preda all’affanno e notò che la traccia di sangue proseguiva

all’interno.

Ebbe un sobbalzo quando il fantasma-custode gli si rivolse gentilmente:

-”Posso aiutarla, signore?”.

Sean prima guardò la terrificante apparizione e poi si rilassò leggendo l’insegna sopra l’entrata della

villa poco lontana: ”HORROR FEST – X° Veglione in maschera”.

-”Sto cercando un…ehm…bambino con una catena…È entrato alla festa…Sono un…ehm…

parente…”.

-”Certo signore! È entrato poco fa…Straordinario! Un costume bellissimo!” replicò il fantasma.

Sean rimase in silenzio.

-”Deve entrare per parlargli? Vada pure! Non ci sono problemi!” disse il custode.

-”Posso? Grazie mille!” l’uomo era grato al custode per averlo tolto dall’imbarazzo.

Si incamminò ma, dopo aver avuto un’intuizione improvvisa, tornò dal fantasma.

-”Senta…Non avrebbe qualcosa in tema da farmi indossare? Anche una semplice maschera

andrebbe bene…Altrimenti mi sentirei come un pesce fuor d’acqua! E poi non vorrei essere

riconosciuto…”.

-”Certo! Ne ho qualcuna in macchina…Attenda un attimo!”.

Poco dopo tornò con una maschera da Michael Myers, il serial killer della serie cinematografica

horror “Halloween”, e la porse a Sean, il quale la indossò, ringraziando il fantasma gentile, ed entrò

alla festa.

IX

Vide Grot quasi subito, in compagnia di uno zombie e di un uomo-lupo, e s’avvicinò cercando di

tenersi il più defilato possibile, mentre pensava a cosa fare e come.

Grot aveva perso ormai troppo sangue e si sentiva debole; percepiva che la sua vita stava volgendo

al termine ma era felice perché aveva capito che lui non era un mostro, bensì una persona normale.

E la festa ne era la testimonianza.

Mosse ancora due passi lenti e incerti. Poi cadde a terra, morente.

Tom e Martin se ne accorsero subito e gridarono: -”AIUTO! QUESTO RAGAZZO STA MALE!

C’E’ UN MEDICO? PRESTO! PRESTO!”.

La musica cessò di colpo e la gente attorno a Grot e ai suoi compagni si aprì per facilitare gli

eventuali soccorsi e per non togliere aria al bambino.

Sean era lì, vicinissimo. Avrebbe voluto intervenire, fare qualcosa ma era come impietrito.

-”Sono un medico!” disse una mummia, inginocchiandosi sul piccolo e togliendosi il costume per

essere più libero nei movimenti.

-”Ha bisogno di respirare meglio…Devo toglierli la maschera…” e rimase basìto, toccando il viso di

Grot, nel realizzare che si trattava del suo volto.

-”Mio Dio!…Mio Dio!…Ma questo non è un trucco! E’ la sua vera faccia!” disse poi il medico.

Grot respirava affannosamente e la vista s’ era offuscata. Un velo nero stava calando sulla sua

esistenza. Ma sorrideva. Di gioia. Non sentiva più dolore. Con l’ultimo barlume di forze parlò.

E disse: “Io more….Ma more felisce pecchè Grot no è mottro…Grot nommale…Pecato per ‘apà e

mama…Loro mottri…Ma loro no sanno che esere mottri…A Grot dispiasce tanto!…Io ‘uole bene a

loro…Vi ‘rego!…No dite che loro è mottri…. No dite…” poi spirò.

Il medico fece i controlli di routine e constatò, laconicamente, che il bambino era morto.

La pietà aveva preso il sopravvento sul disgusto.

-”Qualcuno lo conosceva?”chiese.

Sean si strappò la maschera di dosso.

Aveva sentito tutto e le lacrime sgorgavano copiose dai suoi magnifici occhi azzurri.

Come possiamo essere stati così ciechi?…Nonostante la nostra cattiveria lui ci amava

incondizionatamente…E’ la pura verità: siamo io ed Ann i mostri…E della peggior specie!”

Avvicinatosi al corpo senza vita del bambino, si mise in ginocchio, lo raccolse e lo sollevò,

stringendolo forte tra le braccia.

Poi, con la voce rotta dal pianto, si rivolse al medico e alla folla: -”Era mio figlio……..Mio figlio…”.

E con Grot in grembo, volse le spalle a tutti, e si avviò verso l’uscita.

FINE


2.P.

P. stava camminando nervosamente nella sala d’attesa.

Su e giù. Su e giù.

Avanti e indietro. Avanti e indietro. Avanti e indietro.

Si fermò un istante, giusto il tempo per accendere una sigaretta.

E poi riprese la marcia.

Su e giù. Tiro di sigaretta.

Avanti e indietro. Tiro di sigaretta.

Su e giù. Tiro di sigaretta.

Ripeteva la sequenza con meccanica precisione. Quasi fosse un automa, programmato per fare solo quello.

Volute di fumo si sprigionavano, anch’esse a ritmo alternato, dalle narici e dalla bocca.

Finì il tabacco e P. si fermò, per spegnere la cicca nel portacenere che stava vicino a delle riviste semiaperte, sul piccolo tavolino situato nella parte centrale della sala, perpendicolare ad una fila di sedie destinate a “quelli che attendono”.

Realizzò soltanto in quel momento che era solo.

E se ne stupì.

Fino ad un minuto fa c’erano altri “attendisti”.

O almeno così credeva di ricordare.

Poi si concentrò sulla sala. E non riconobbe nemmeno un particolare di quello che stava guardando.

Eppure si trovava lì da un bel po’ di tempo, ne era sicuro.

Forse.

La grande stanza era assolutamente disadorna infatti, a parte il tavolino e la fila di sedie, non c’era nessun elemento di arredamento.

Le pareti erano di un bianco luminoso, come se fossero state appena tinte.

Alzò lo sguardo, per riabbassarlo un paio di secondi dopo: i grandi neon posti sul soffitto, un soffitto che pareva lontanissimo, erano troppo luminosi per poterli guardare a lungo.

Si trovava, casualmente, nel centro della sala.

Davanti a lui, alla fine della stanza (o all’inizio), vedeva una porta con un grande maniglione anti-panico e un cartello rosso posto poco sopra di esso e situato al centro.

Non riusciva a leggere la scritta.

Si voltò e, dalla parte opposta, vide il medesimo scenario: porta, maniglione e cartello. Anche in questo caso, data la distanza analoga, non riuscì a leggere.

Si girò a destra, dalla parte opposta al tavolino, dove nel muro si apriva una finestra di medie dimensioni, l’unica della sala.

Non riusciva a vedere su cosa si aprisse e decise di avvicinarsi per buttare uno sguardo.

Non si distingueva nulla. C’era un nebbione densissimo.

Tutto sembrava un gigantesco foglio da disegno.

Tornò al centro e s’incamminò verso la porta che aveva di fronte. Avvicinatosi al cartello rosso lo lesse, preso da una curiosità ossessiva, e subito dopo rimase piuttosto deluso: c’era soltanto scritto “SPINGERE”.

E lui spinse.

Ed entrò.

Si ritrovò in una stanza tale e quale alla precedente, identica, senza nemmeno una virgola cambiata.

O meglio, un cambiamento c’era, perché nel centro della stanza si trovava un uomo, avvolto da capo a piedi da una bianca, candida tunica.

L’uomo aveva un’età indefinibile. Lo stava guardando fissamente, sorridendo.

E parlò: ”Bentrovato P.! Ti stavo aspettando…..devo dire che sei anche un po’ in ritardo!”.

P. replicò: “Salve!… Davvero mi stavate aspettando? È molto strano perché non riesco nemmeno a ricordare che diamine ci sto facendo in questo posto!”.

Certo P., certo! Seguimi, prego!” e, senza nemmeno vedere se lo facesse o meno, si voltò e s’avviò verso una porta che si trovava nel lato sinistro della stanza.

P. andò dietro allo strano personaggio e, varcata la soglia, si ritrovò in un elegante studio.

L’intonacato” si sedette su una poltrona situata dietro una scrivania e invitò P., con un gesto cordiale, a sedersi su un’altra, proprio di fronte a lui.

Dopo un breve istante parlò: – “Posso offrirti qualcosa?”.

Ad un cenno di diniego di P. continuò:

Ovviamente so perché sei qui… e so che vorresti saperlo anche tu… se vorrai passarmi il bisticcio di parole!”.

Ad un cenno di assenso di P., dopo essersi concesso una breve e simpatica risata, proseguì:

Chi sei P.? Sapresti dirmelo?”.

P., prima di rispondere, rifletté a lungo.

No. In effetti non lo so! Eppure, fino a poco fa…….Forse sto impazzendo!”.

L’uomo rispose: “Tranquillo! E’ tutto normale.. Adesso ti spiegherò ogni cosa..”. Si schiarì un attimo la voce. “Vedi P., noi ci troviamo dentro il cervello di un uomo.. Per essere più precisi ed esatti, ci troviamo dentro la mente di un uomo.. Non ti dirò di chi perché non è affatto importante!”.

Si fermò per un attimo, notando lo stupore crescente sul volto di P.

Poi riprese il discorso, con un tono ancora più calmo, per cercare di distendere la tensione: “Tu, mio caro P., sei un pensiero che ha sviluppato una sua autonomia. A volte capita! Anzi, molto più spesso di quanto si creda!…Vedi, quando un pensiero è particolarmente forte: figlio magari di un ragionamento importante, o di un’emozione intensa o, ancora, di una sensazione marcata, esso può prendere “vita” e perdersi nella mente. Se dovesse ritrovarsi nella parte inconscia verrebbe rimosso ed eliminato per sempre.. “Morirebbe”, se mi passi la macabra similitudine.”.

Si fermò di nuovo per prendere da un bicchiere un sorso di una bevanda indefinibile.

Pensiero (ora conosceva il proprio “nome”) attese che il suo interlocutore riprendesse.

Ci voleva proprio! Dov’ero rimasto? …Ah sì!…Stavo dicendo che se invece il pensiero..Tu, in questo specifico caso… si ritrova nella parte conscia intervengo io! … Ed è giusto che adesso mi presenti: caro amico, io sono Determinismo Psichico ed il mio compito, come forse avrai capito, è quello di reindirizzare nella giusta via e trasformare i pensieri e le altre attività mentali in forma di significati

consci camuffati alla coscienza come, ad esempio, lapsus, errori, dimenticanze, incidenti banali eccetera eccetera… Come una sorta di “corto circuito accidentale”…Mi capisci?”.

Pensiero scosse la testa, sbarrando gli occhi.

D.P. rise di gusto e aggiunse: “Non importa, mio caro! Non importa… Adesso è giunto il momento che tu vada… Addio!”.

Si alzò e si portò alle spalle del suo ospite.

Posò la mano sinistra, avvolta da una bianca luce, sul capo di P. che scomparve in un accecante barbaglio.

Nello stesso istante, lo scrittore, che stava cercando con concentrazione la fine migliore per la sua ultima storia, urtò la bottiglia di plastica che aveva vicino al computer.

FINE