Andrea Bruschi - Poesie

IL DESTINO DI TRIMALCIONE

Esposto impavido possente
al pulpito mi stano a starmene
comodamente, finchè il finchè non
giunge.
Ginocchi e nocche stridono
sull’asfalto secco
come gomme strizzate
sull’orlo.
E ascolto il battere frenetico
frenarsi, addormentarsi lento
al suo consueto palpito.
E mi si inonda il pensare delle
ridicole pomposità.
Salvo sopra al precipizio.
Certo d’incertezza.


 

ASPIRO AL TUO SENTIRMI

Dedalo infinito di precarietà.
Per quanto ottenebrato
dall’avida coscienza
non posso rinunciarti
mio vellutato sale.
Quale uomo non si serve del mantello
per onta del vento che giunga
e se lo porti.
Solo nell’udire la tempesta
lo stringerei a me
perchè possa gonfiarsi
col mio torace.


 

GRAPPOLO

Sto appeso ancora ad
un colore scorto, e
me lo gusto liscio.
Attingo all’unico
che sazia
solo a mangiarne
altro.
Benchè banchetti
abbocco come al
bicchiere Bacco a questa
bocca.


 

STREBEN

Degusto ogni sillaba
dei tuoi occhi
spremuti sul mio corpo come doccia
fumante, che mi scastrano d’ogni
immondizia.
Strecciano ogni muscolo,
sgravano di ogni affanno,
liberano da ogni male
e sono pronto a combattere.


 

SOUND

Derubano i vate le mie ipocrisie
già tali nella più aulica forma.
Non occorre ideare la mia estasi
…esisti.


 

LA FINESTRA SULL’ILLUSIONE

Succhio lo sguardo di Maya
godendo del gioco di ombre.
Sazio d’assenza
gremita di sapidi fronzoli.
Di fumo profumano stanchi baleni
morti di fronte allo specchio in cui arranco.
Prendi i miei remi dea degli inganni,
accompagna il febbrile mio atto.
Stelo
in balia di branchi di termiti
nella speranza di udire il mio nome.


 

PANACEA

Asciuga il sospiro inerme
varco di densi rivoli.
Assaggiandoti,
manto di sapidità,
deglutisce assorto il sospinto poppare:
estrarre dal vivido nettare,
il succo animale di un sogno,
fa che assorba il restante
l’oblio.


 

PREGHIERA D’INVERNO

Soccorrermi col freddo
puro dall emie tensioni
mi arresta la pretesa di un Io
Credulo Adamo.
Spogliato del fuoco
Lo invoco.
Oh Tu vieni a salvarmi!
Vieni presto in mio aiuto.


LA MAESTRA

Passeggiando in trallallero
comprendo.
Mai di certo caprioleggiando
nei mari nodosi di un freddo Pitagora
pozzanghere infime ai figli del Sound
tutti schizzati del loro innocuo.
Puniscili,
schiava del rigido chiasso,
fino a correggerne
il grande potere.


A MIA MADRE

Al termine di una tisana attendo il cadenzato interrompere del prossimo compagno. E quello surclassato dalla smania protagonistica di un altro che l’ha più grossa da raccontare. E’ ancora sulla sua triste storia; mi concilia il sonno insieme all’abbraccio comodo del suo divano e al pensiero beato della mia, di storia. E quando rintocca il mio momento non ho neppure la bramosia d’una più corposa; la mia, per quanto sana, ha il tratto di un bestseller. E tutto inorgoglito propongo un metodo, col mio racconto, che non gareggia con i tristi “Emilio”, ormai comparati da “tutti” a chimerici standard. Non mi soffermo sul risultato, non eccedo in superbia se non per gioco.
Ma se lo guardassi, per quanto ammirabile, non potrei che riconoscerlo in voi se non che come il primo vestito di una sarta formidabile, la prima statua di un Michelangelo destinato al David.
E’ a te e a mio padre che riconosco il merito di una storia così fulgida. E’ voi che onoro più di ogni altro nel mio presentarvi e nel mio presentarmi. Grazie mamma, questo è il mio bacio più forte, ha attorcigliato le mie budella.