Andrea Giuliani - Poesie

Ruzzeca’

Crescere non è solo diventare grandi
o si finisce ad essere ingombranti.
Cresce liberandosi la vita dalla pietra,
la scultura crea la leggerezza

E lascio disegnarmi dalla solitudine,
come un dito che disegna sopra al vetro,
capendo finalmente che per fare un passo avanti,
mi serviva rotolare e rotolarne 9 indietro.

 


 

 

PRIMA NOTTE – La vergogna

La notte è un’amica fragile minacciata dalle angosce,
dall’insonnia e dalle brutte poesie.

Sopratutto se continuo a scriverle.

 


 

 

Ai figli dei figli

Ciao Nonna,
qui va tutto bene.
Sono scarso con i dolci, Però il sugo mi viene.

E a volte ho l’impressione,
che non serva la coerenza,
e che tutto si risolva sempre con la pazienza.

Profuma da morire,
questa vita imperfetta,
però lasciami un foglietto anche con la tua ricetta.

Ciao Nonno,
noi siamo padri e figli,
e mi chiedo troppo spesso quanto un po’ ti somigli.

Non serve che lo sappia,
mi sta bene immaginare,
e tengo un fundador così se vuoi potrai brindare.

Qualcosa mi fa andare,
il rumore del vento,
poi cadono le ghiande ed io un po’ mi spavento.

Grazie di tutto.

 


 

 

Settembre

Settembre è un signore distratto,
fa’ discorsi da sognatore,
quelli bravi lo chiamano matto,
per i più semplici è un lavoratore.

Sulle spalle gli calza una giacca,
nel taschino progetti all’occhiello,
piedi scalzi dentro la risacca,
nelle mani valigia e secchiello.

Settembre è una barba non fatta, una lacrima asciutta, è una malattia.
Settembre che prende la mano a chi è troppo bambino e non vuole andar via.
Settembre del mare è lo scoglio, è l’infrangersi delle stagioni,
Trapezista del procrastinare, giocoliere delle emozioni.

Una fiamma ribolle la cera,
perché i pensieri non vadano persi,
una penna che sgocciola china,
maldestramente sugli ultimi versi.

Riposta la voglia di cambiare il mondo,
assieme ai ricordi nella libreria,
mentre l’odore della cucina,
perdona l’amore e la malinconia

Settembre la birra sgasata la beve alla goccia e vaneggia un’idea,
l’immagine d’un Poseidone che che scambia l’amore con una marea,
le labbra le chiude e respira sebbene la bocca vorrebbe baciare,
l’immagine di quella musa che il vento gli porta e gli sta per levare.

Il tremore è una danza sottile,
promemoria di fragilità,
a ricordare che il vento è la vita
e la vita ha sventato l’immobilità.

E il vento è lo stesso,
e trascina l’odore,
d’un uomo che nasce, e d’un altro che muore.

 


 

 

SECONDA NOTTE – La solitudine

E mentre il pensiero di lei rimaneva intatto,
intatto ma fuori.
Dalle chat filtravano spifferi.

Le mie carni marinate nel vino,
le spartivano fato e vergogna,
la restante parte, per così dire,
sacrificata alla rutilante notte.

Mi sorpresi ad arricciarmi i capelli col dito,
mi baciai.

 


 

 

L’impero delle luci

La notte era passata,
meravigliosa e densa,
lasciandomi ramingo tra peroni e stelle.

E dividevo vetro, plastica e sogni,
come giocattoli nella cesta: il soldatino e l’elefante.
Che ogni volta ritornano, che ogni volta è uguale,
irriconoscibile, come l’ultima di tante.

Abituata al buio, persino la levatrice temette la luce.
Febbricitava all’ombra di tremanti cosce,
una podalica alba.

Ancora 5 minuti…

 


 

 

Dio è n’amico

Oh alla fine,
pensavo peggio dai
la prima notte piangono tutti,
ho pianto pur’io.

Qualcuno m’ha abbracciato… meno male.
E pure da diverso, te diró… me sentivo più normale.

Poi Luci spente,
e la mattina dopo è fredda,
e resto solo, co le parole da raccoglie al volo.
..E allora scrivo.

MA quando scrivo
a chi le scrivo tutte ste cazzo de parole?
A chi non le capisce, a chi ce prova,
a me stesso e a chi le vole.

E vabbè,
le lascio là,
chi le vole se le prende. Onesto!
“Libero arbitrio” come ha detto Cristo.

Anzi sai che faccio, tre parole me le frego,
e me le schiaffo sotto pelle,
“Dio è n’amico” che me guarda dal futuro,
come io guardo le stelle.

 


 

 

Al cielo è celata la guerra

Prima che Priamo scordasse il suo nome,
sotto un cielo di frecce incendiate,
la condusse oltre baratro delle persone,
la condusse nel giardino delle colpe mondate.

All’ombra del salice che bagna la pelle,
illibata dai raggi della passione più umana,
dove ella ascese, dai fiori alle stelle,
e come le stelle divenne lontana.

Poi Ares biondeggia il suo folle calore,
e le fiamme in più fiamme tramutano l’uomo,
il sovrano non piange il dolore o il timore,
ma il saggio torpor d’un amar senza suono.

E non sfioran le labbra e non lasciano il cuore,
le parole che assurgono al sangue ed al tempo,
le parole più belle che parlan d’amore.
Ilio muore e poi nasce sotto al suo firmamento.

 


 

 

TERZA NOTTE – Il Sorriso

Al realismo scostante dei sogni sbagliati,
vomitati in coriandoli su un venerdì sera,
preferisco i ricordi annebbiati,
la luce ovattata e una non buona cera.

Ai ricordi dissolti nel fumo e dal fumo,
imprecisi spartiti d’un cantiere deriso,
preferisco riviverli tutti o nessuno,
preferisco rimanga soltanto un sorriso.

E il sorriso è una freccia con pessima mira,
una vela gonfiata di speme e memoria,
gonfiata da un vento che forse non tira,
e la barca deraglia inventando una storia.

Poi lieto è il finale che ignora la fine,
bagnato di sale e di nostalgia,
da sotto le stelle, dove piovono rime,
vomitare poesia tra piscio e magia.

 


 

 

PAROLE DI RISULTA – Ch’era meglio lasciare ai muti

Vanessa, bella voce, Dio m’è testimone,
non sapeva parlare.

“Fermatela” strillai tacendo al comizio dei miei pensieri,
“è pazza”, mi vede attraente,
eppure è donna,
eppure non è santa.

Ne parlavo a me stesso, e all’uomo grasso ma forte,
oste d’altri tempi,
meraviglioso e meravigliato.

Mi serve del vino, o forse no, dunque m’occorre.

Oltre il batacchio in ottone, i sorrisi piangevano al freddo,
sconosciuti amici, volti scoperti scopriron d’essersi ignoti,
mentre le anime, in segreto,
continuavano a far l’amore, a eoni distanti,
a risa e poi a pianti.

Era un atto d’amore,
un bicchiere di troppo,
un servizio reso a me stesso,
all’anima del mondo.

Prosit.