Andrea Mereu - Poesie e Racconti

“Fresca energia”

 

Fresca energia 
furtiva come il calar del sole
nel frangente di un attimo al tramonto.
Specchi di passione sui cerei campi
a fine Aprile.

Ti amo.

Resta con me affinché questa 
meraviglia non prenda il nome
dell’ inverno.


“Noi”

 

Esplosione viva di serenità.
Felicità intrinseca di un essere speciale.
Circondi di luce ciò che è reale
e rapisci il mio sguardo sospeso a metà.

Fresca e limpida come il mare che ci ha fatto incontrare.
Sai di noi come i baci che ci fanno ancora sognare. 
Metti un freno a ogni brutto pensiero
Ci rincontreremo per stare insieme davvero.


“Vorrei baciarti”

 

Vorrei baciarti,
fissare il tuo sguardo in un sogno
vorrei baciarti,
ammirare il tuo sorriso ogni giorno
vorrei baciarti,
sorprenderti mentre hai bisogno.

Vorrei baciarti,
dare spazio a ogni tuo respiro
vorrei baciarti,
capire che può rendermi solo piu vivo.

Vorrei baciarti,
ignorarti quando ti struggi
vorrei baciarti,
e riconquistarti quando mi sfuggi.

Vorrei baciarti,
amarti una volta sola
vorrei baciarti,
ma che mi tolga del tutto la parola.

Vorrei baciarti,
senza di te ormai non  so più fare
vorrei baciarti,
quindi resta e fatti amare.


“Non sei”

 

Capisci che non sei quando non vivi,
ti svegli e rimpiangi mentre sorridi.

Assapori occasioni soltanto pensando
e riscopri verità solamente ballando.

Ti imponi d’esser felice puramente per gioco,
ma non fai nulla per renderti un fuoco.

Lasci entrare chi sa solo parlare
ed escludi sbagliando chi ama cantare.


“Occhi negl’occhi”        

 

Occhi negl’ occhi.
Uno sguardo che destabilizza l’ovvio.
Un posto nascosto dove celebriamo le nostre passioni.

Mi guardi. Si sciolgono le certezze.
Sospiro.

Il tuo corpo nudo sulla mia pelle,

tremante dal desiderio e quella luce che lo rende… irripetibile.

Sei tu. Ancora una volta. Fiera testarda e profonda.
Sospiro.

Le tue labbra sulle mie. Calde. Perfette e rivelatrici.

Urlano verità mentre tu ti trattieni.

Non sanno mentire ma esplodono di passione. Ti bacio.
Sospiri.

Corpi aggrovigliati, odori mischiati,

frenesia e dolcezza scorrono assieme dentro di te.

Incastri perfetti e gemiti di vita. Frazioni di secondo di unicità.

Io sono in te e il tempo si ferma.
Sorridi.

Mani che si trovano senza essersi mai cercate. Scorrono la tua schiena. 

Ti vedo. Sei il più bel fiore che esista. Mi baci.
Sorrido.


“Da quaggiù”     

    

Non è dal cielo che si vedono le stelle.
Sogni sperati una vita, adottati da bagliori scostanti.
Pensieri premuti, compressi in preghiere devote

col naso all’insù.

Non è dal cielo che si contano i sospiri invernali.
È con la tua mano stretta nella mia che si compiono miracoli.
È da quaggiù, vicino al sasso

tra il fiume e il dolore che si creano speranze.

Che diventano canzoni.

Che si esauriscono in comete.


“7e30”

 

Il treno delle 7e30 era sempre stato un po’ in ritardo, sia a causa delle coincidenze notturne, sia perché tutto di notte si rallenta, tende a calmarsi e a placare la sua solita frenesia.

Mya, ormai abituata alla fastidiosa routine, non era per niente intimorita da questo inconveniente, quindi, ancora intorpidita dal precoce risveglio, si accingeva, svogliata, a prepararsi per un’altra infinita giornata in reparto.

Il capolinea della sua tratta, era l’inizio della sua ultima settimana da specializzanda in chirurgia.

Mentre si passava la spazzola tra i capelli, non immaginava nemmeno lontanamente quanto sarebbe cambiata la sua vita da li a poche ore.

Ormai si era fatta ora di scappare; scarpe comode ai piedi, un leggero filo di trucco giusto per risultare presentabile e via di corsa giù dalla rampa delle scale del suo mini in centro storico.

Un rapido caffè al bar all’angolo, un rito che si portava avanti fino dalle scuole superiori, sguardo veloce all’orologio sullo schermo del telefono: era ora di andare.

Oggi se l’era presa un po’ troppo comoda. Le 7e30 precise. Doveva sbrigarsi.

La stazione non era che a poche centinaia di metri da casa sua. Passo svelto e sguardo basso. Mani in tasca per il freddo. Troppo quell’anno per un Novembre appena iniziato.

Con l’abbonamento alla tratta guadagnava giusto un paio di minuti…quelli utili per non ritrovarsi chiusa in mezzo alle porte automatiche.

La voce del capo stazione stava annunciando il treno in partenza mentre Mya scendeva a due a due i gradini verso il vagone.

Ultimo tratto di corsa. Era dentro.

Un poco affannata prende posto vicino al finestrino. Il solito è insostituibile, classico dei sognatori un po’ riservati come lei.

Mya era una ragazza dolce, sguardo profondo e ipnotico. Una pelle liscia e pulita contornata da capelli lunghi e molto scuri che portava sempre sciolti. Aveva un sorriso splendido, che raramente metteva in mostra a causa appunto della sua timidezza. Era una ragazza da scoprire. In tanti avevano tentato nell’impresa di conquistarla, ma per lei, in quel momento, esisteva solo il lavoro.

Certo, le ore d’aria al di fuori del reparto non erano molte, questo comprometteva un po’ la sua vita sociale, ma non era spaventata. Si può decisamente affermare che fosse una donna decisa e focalizzata sugli obiettivi.

Il suo essere così attenta, sfuggente e quasi antipatica nei confronti del prossimo era dovuto ad un infanzia non troppo semplice. Rimasta orfana di madre in tenera età, si era ritrovata a dover accudire il padre, caduto in depressione dopo la scomparsa della consorte. Mya si era dovuta prender carico della casa e della salute precaria del genitore che non aveva lasciato spazio alle gioie comuni di un’adolescente.

Diffidava degli estranei, non si fidava degli uomini, non l’aveva mai fatto. Soprattutto dopo che, in passato, approfittandosene della sua situazione di ragazza sola, alcune persone l’avevano avvicinata con fare non del tutto consono alla galanteria. Si era dovuta trasferire per questo e ricominciare una vita altrove, lontano dalla sua infanzia e dai pochi ricordi felici che aveva del suo posto Natale. Il padre era venuto a mancare qualche anno dopo, ormai consumato dalla depressione, lasciando nel suo cuore una terribile ferita che faticava a rimarginarsi.

Tutto questo le saltava alla testa ogni volta che saliva su quel treno; guardando fuori dal solito finestrino immaginava una vita diversa, più semplice…normale. Come dovrebbe essere per una ragazza di appena trent’anni.

Era solita portarsi un libro in borsa, per sdrammatizzare il suo viaggio mattutino fino all’ospedale.

Generalmente prediligeva brevi romanzi romantici, che la facessero immedesimare in una vita dove c’era anche spazio per l’amore e la felicità incondizionata verso un’altra persona. Questa a lei sconosciuta.

Aveva avuto in passato una breve relazione con un ragazzo, all’età di circa vent’anni; ma considerando la sua situazione famigliare aveva ritenuto non opportuno continuare a frequentarlo. Non lo riteneva abbastanza maturo per affrontare la miriade di problemi che la riguardavano e che ogni giorno la assillavano.

Da quel momento in poi aveva deciso di rimanere sola ed andare avanti per la sua strada concentrandosi solo sul padre e sugli studi.

 

Riaprì il libro a pagina 56 dove l’aveva abbandonato il giorno precedente. Giusto il tempo di riprendere il pensiero dell’autore che il treno effettuò la sua seconda fermata. Crocchi di persone invasero i posti accanto e intorno. Quella era la fermata più caotica perché vicina a un centro abitato molto vasto. Le facce erano sempre più o meno le stesse. Mya le riconosceva tutte; la signora sulla sessantina con il suo cagnolino sempre in braccio che andavaa fare le pulizie nella zona alta della città, una giovane coppia appena sposata sempre sorridente ed evidentemente molto innamorata, una giovane mamma col suo bambino di appena sei anni in viaggio verso il primo anno di scuola e un uomo sulla quarantina, alto, distinto, serio e impenetrabile.

Quest’ultimo aveva sempre destato un particolare interesse nella testa di Mya.

Era apparso su quel treno pochi mesi addietro. Si vede trasferito da qualche altra parte del paese, probabilmente per lavoro. Il suo sguardo un po’misterioso e quel ciuffo non del tutto brizzolato pendente a metà dell’occhio, distorceva l’attenzione di Mya dalle sue letture e la obbligava a guardalo appena entrato nel vagone.

Quasi di riflesso, come se lui sapesse dell’attenzione rifilatasi dalla ragazza, ricambiava, ogni mattina, con un sorriso leggermente abbozzato, distaccato, ma puntuale.

 

Quella mattina la stessa scena era andata in onda sul solito vagone; rapido scambio di sguardi e curiosità aumentata. Non c’era malizia in tutto questo ma un sottile e lieve interesse.

La cosa quel giorno però, dentro di Mya cominciò a destabilizzarla. Ritornò alle sue pagine senza eccedere oltre. Chinò il capo e riprese a scorrere le righe.

 

“Salve! È libero questo posto ?”

Una voce calda e profonda distolse nuovamente l’attenzione di Mya. Alzò lo sguardo ed era proprio lui. James.

Un leggero brivido lungo la schiena bloccò per qualche secondo la parola di Mya, che distratta rispose:

“Si si…certamente”

Non si era mai seduto in quei posti. Mya era abituata a viaggiare da sola e isolata. Quella mattina andò in modo diverso. Si sentiva un po’violata della sua privacy ma anche stranamente in imbarazzo vicino a quell’uomo a lei ignoto ma che la incuriosiva parecchio.

Aveva un profumo forte James, caldo e intenso.

Involontariamente Mya si girò ripetutamente verso di lui per coglierne la fragranza anche solo per un attimo, così che lui, accorgendosi del fatto incalzò:

“L’ho letto anch’io. E devo dire che é innegabilmente irreale come storia d’amore. Dico io. Come può un uomo innamorarsi perdutamente di una donna che non da certezze?!”

 

Incredula Mya rispose:

“Come scusi?!”

“Parlo del libro. Penso che in una relazione ci sia bisogno di complicità assoluta per essere felici. E be, lei lo sta palesemente usando”: replicó James.

Mya, incredula della facilità con cui lo sconosciuto si intromise nel suo spazio, e ovviamente restia per natura a dare confidenza si limitò a rispondere:

“È solo una storia infatti. La vita reale è un’altra cosa”. È rigirò la testa guardando il paesaggio scorrere veloce.

 

“Piacere James, la persona più reale è vera che tu abbia mai incontrato”. Allungò la mano per stringere la sua mostrando un sorriso splendente.

Si, si era lanciato. Nella sua mente, il giovane imprenditore fino a quel momento distinto e impassibile nel suo cappotto, aveva deciso di dare un senso a tutti quei mezzi sorrisi smorzati che da mesi gli riecheggiavano in testa.

 

Mya, rigirandosi, quasi obbligata dopo quella presentazione sfrontata ma originale, tese la mano imbarazzata:

“Piacere, Mya”.

Quel suo modo elegante e pacato di rivolgerle parola per la prima volta, le fece scattare qualcosa che non le era mai capitato.

Inaspettatamente anche per lei, continuò chiedendo:

“Allora James sei di queste parti? Non è molto tempo che ti vedo su questo treno. Di dove sei?”

 

“Si in effetti mi sono trasferito da poco in città. Mio figlio ha cominciato l’università poco distante da qui, e dato che siamo sempre stati io e lui, e il mio lavoro mi permette di spostarmi ovunque voglia, Ho deciso di fare un cambiamento deciso. Ricominciare da capo si può dire.”

 

“Quindi deduco che tu sia sposato…!” riprese Mya con fare un po’ tra lo stranamente deluso e il curioso.

 

“Ehm….non esattamente. Forse non dovrei sbottonarmi così, ma la madre di Rick, mio figlio, è morta dandolo alla luce vent’anni fa. È stata come puoi capire una tragedia, ma con grande forza sono riuscito, siamo riusciti, ad andare avanti. Lui è tutto per me.”

 

Attimo di silenzio e sconcerto da parte di Mya che solamente in quelle poche parole rivide passare davanti agli occhi il dolore e la fatica degli anni passati ad accudire il padre, da sola.

Aveva imparato a gestire l’argomento e a saperne parlare senza rimpianti.

Guardò fisso negli occhi quell’uomo e riconobbe in lui quella nota di tristezza repressa, che tanto non voleva dare a vedere agli sconosciuti, ma che lo logorava da troppo tempo. Lo capiva. Aveva intuito la sua voglia di sfogarsi insieme ad un animo gentile ed una forza rara e concreta.

 

“Non ci crederai ma ti capisco, so cosa si prova a ritrovarsi da soli al mondo, e ad avere sulle spalle la responsabilità di un’altra vita”. Dichiarò Mya a bassa voce con sguardo comprensivo.

 

Un lieve sorriso spuntò sulle labbra di james, che si accorse di avere di fronte una persona che poteva capirlo. Oltre ad essere molto bella e attraente ai suoi occhi, si era rivelata anche dolce e interessante. Quel tipo di persona che stava cercando da quasi tutta una vita.

Aveva amato follemente la madre di suo figlio, erano giovani, felici e pieni di progetti, ma la vita gli aveva teso la trappola più infame che ci potesse essere. Gli aveva letteralmente strappato il suo amore e aveva ridotto le sue speranze ad un pugno di cenere.

Fino a quel momento, su quel treno, in quel posto, la sua esistenza era stata dedita solamente alla crescita del suo ormai non più bambino, e al lavoro. In quell’esatto istante, fissando le rosse labbra di Mya e quegli zigomi appena pronunciati, decise che era arrivata la sua occasione di ricominciare e recuperare il tempo perduto.

Qualcosa gli diceva che aveva di fronte un’altra occasione, e che non doveva sprecarla.

I due si aprirono l’uno con la altra, con una naturalezza spaventosa, mentre il treno percorreva la sua solita tratta. C’era feeling, pensieri puliti, estrema sincerità e voglia di raccontarsi. Passarono da un discorso all’ altro, si conobbero molto in fretta ed ancor prima si piacquero tremendamente.

Per Mya fu sconcertante cosa le stesse provocando quell’uomo. Come riuscisse ad azzerare l’ansia, la timidezza, ad annientare le sue paure e a tirarle fuori dalla bocca i suoi segreti più nascosti con estrema facilità. Ad ogni parola seguiva un brivido e un nodo allo stomaco che si stringeva sempre di più. Ad ogni sguardo il suo senso di felicità aumentava. Si sentiva bene. Era se stessa come non lo era da troppo tempo.

 

La terza fermata fu rivelatrice. Era l’ultima per Mya. Non si sarebbe mai voluta alzare da quel posto, non avrebbe mai voluto finir di parlare con James. Voleva stare lì, passare la giornata con lui, continuare a sentirsi bene. Sapeva che lo avrebbe incontrato il giorno dopo sempre lì, ne era certa, quindi; rassegnatasi al suo imminente destino si alzò in piedi, raccolse la sua borsa da terra e si accinse verso la porta scorrevole.

 

“Spero di rincontrarti James”.

 

“Sarò qua domani alla stessa ora. Tienimi il posto vicino che ho ancora molte cose da raccontarti!”. Rispose James con il suo solito magnetico sorriso stampato sulle labbra.

I loro sguardi non smisero di rincorrersi fino a che Mya non scese l’ultimo gradino del vagone e sparì dietro l’angolo della fermata perfettamente in linea con l’ingresso dell’ospedale.

James rimase lì seduto, immobile, sguardo perso a ripercorrere quell’incontro così folgorante.

Aveva il petto squarciato da una felicità nuova, quasi imbarazzante. Era come se tutto attorno a lui fosse ricoperto di una luce abbagliante. Percepiva una positività stupefacente che non gli era consona da tanto tempo. Era felice o forse si era semplicemente innamorato di nuovo.

 

Quando scesa dal treno l’aria si era scaldata appena. Il suo ufficio non distava molto dalla stazione. Si trovava all’ultimo piano di un grosso edificio circondato da alberi, una delle zone più ricche della città. Spalancò frizzante la porta d’ingresso, un saluto veloce alla sua nuova segretaria poi dritto verso l’ascensore.

Si sedette alla scrivania, ordinata e pulita come solo lui sapeva mantenerla e si fissò sulla foto di Rick di fianco al PC. Non vedeva l’ora di tornare a casa per raccontargli cosa gli era capitato quella mattina. Era il suo confidente, il suo migliore amico oltre che suo figlio. Si erano abituati l’un con l’altro a essere sinceri e onesti su ogni argomento. Avevano un rapporto straordinario.

 

Tutto a un tratto squillò il telefono, segno che la mattinata stava per partire, frenetica e piena come sempre. La voce all’altro capo della cornetta però, quella di Karol, la segretaria, era spaventata e nervosa. Balbettava mentre cercava di spiegare a James che l’avevano chiamata dall’ospedale.

Rick era stato appena investito e lo stavano portando d’urgenza al pronto soccorso.

James rimase per un attimo in silenzio, incredulo della notizia. Il sangue gli si gelo istantaneamente. Lasciò cadere la cornetta sul tavolo, si infilò il lungo cappotto al volo e si precipitò giù dalle scale. Per sua fortuna la zona era trafficata spesso da taxi. Si tuffò nel primo avvistato e si diresse avvolto da preoccupazione e immensa paura verso l’ospedale.

 

Rick era parecchio malconcio; la faccia completamente insanguinata, i vestiti stracciati e uno squarcio profondo lungo il fianco imbrattavano la barella che correva lungo la sala operatoria.

Aveva perso conoscenza fin dal primo momento dopo l’impatto, e la mascherina dell’ossigeno teneva vivo il battito un po’ rallentato.

I chirurghi si stavano già preparando in sala operatoria, per Mya era l’ultimo intervento da specializzanda della sua vita, ma non poteva sapere chi avesse sotto i ferri quella mattina.

 

“Maschio, adulto, circa vent’anni. Riporta un grave trauma addominale. Sta perdendo molto sangue.” La voce dell’infermiera che leggeva il referto del pronto soccorso si incastonò nella testa di Mya, mentre si sterilizzava freneticamente le mani prima di indossare i guanti.

Occhi concentrati sul paziente appena entrato in sala operatoria, bardato di garze e lenzuoli verdi chiaro. Camice stretto intorno alla vita e mascherina ben salda tra bocca e naso, era pronta per affrontare quella nuova sfida. Davanti un giovane corpo con tutta la vita davanti, non poteva sbagliare. Ad accompagnarla nell’operazione c’era il superiore del suo reparto. Si sentiva più sicura con lui accanto ma sapeva di essere un bravo medico. Le porte della sala si chiusero ermeticamente alle sue spalle, la corsa contro il tempo era iniziata.

 

Quando James entrò affannato in ospedale, il primo istinto fu quello di precipitarsi a ridosso dell’ infermiera davanti alla cattedra delle informazioni e chiedere notizie del suo ragazzo. Identificandolo con nome, cognome e una descrizione fisica approssimativa, riuscì a percepire nella flebile risposta dell’addetta, che la situazione era più grave del previsto, e che il sangue del suo sangue stava combattendo in quel preciso istante per non lasciarlo da solo una seconda volta in quella vita troppo ingiusta.

Si sedette affranto, agitato, impaurito su una di quelle sedie scomode a ridosso del muro che costeggiavano le sale operatorie. L’attendere qualcosa: un verdetto, una notizia, una verità, non era mai stato il suo punto forte. Da persona concreta e decisa qual era, pretendeva spiegazioni per quella situazione così incontrollabile dalla sua mente. Quella volta però non poteva fare altro che aspettare e rimettersi completamente nelle mani, sconosciute, di chi stava cercando di accompagnare la vita di suo figlio verso la salvezza.

Ad un tratto la porta della sala operatoria si spalancò. Uscì correndo una giovane donna con la mascherina appoggiata sul mento. Si diresse verso la fine del corridoio sparendo dietro una porta col divieto di accesso. James si alzò di scatto cercando di carpirne al volo la minima informazione, ma fu tutto inutile. Il passo deciso, di quella che riconobbe in seguito in un’infermiera, non si bloccò davanti al viso arreso e lacrimante dell’uomo.

Tornò al suo posto tirando fuori dalla tasca il telefono, come se fosse spontaneo contattare qualcuno per renderlo partecipe dell’accaduto, o semplicemente del dolore che lo affliggeva in quell’istante. Ma era solo, erano sempre stati soli, lui e Rick. Non aveva nessun altro al mondo.

Un lampo, il tempo reale di un batter d’occhio gli ricordò casualmente il viso di Mya. Non conosceva il motivo di questo suo pensiero in quel momento così disperato. Forse perché ricordava dentro di se la dolcezza e la comprensione di quella ragazza appena conosciuta, o forse perché sapeva inconsciamente che in quel frangente, lei, pur estranea che fosse, avrebbe potuto capirlo e in qualche modo rassicurarlo.

Passarono ore, la palpebra cadente, lo stress accumulato e la rassegnazione presero il sopravvento, cosicché James si lasciò cadere in un sonno tormentato con la testa riversa sul lato del cappotto.

 

Erano appena passate le 7 di sera quando la porta della sala operatoria sibilò aprendosi. Mya evidentemente provata dalle numerose ore di operazione, mettendo a fatica un piede davanti all’altro, uscì smascherandosi. Si strofinò gli occhi e si sciolse i muscoli della schiena ancora rattrappiti.

Si diresse verso il distributore dell’acqua per reidratarsi quando a un certo punto, alzando lo sguardo, lo vide li. Seduto. Immobile. Gli occhi pieni di lacrime. Il viso dolce solare di James che aveva ancora in testa da quella mattina era sparito. Davanti a lei c’era un’altra versione di quella splendida anima. La più sincera, la più toccante e sicuramente la più spaventata. Si bloccò.

I due sguardi si incrociarono.

L’incredulità di James nel vederla uscire da quella stanza fu folgorante. Mai e poi mai si sarebbe immaginato che proprio lei, quella donna entrata per caso nella sua vita solo poche ore prima, si sarebbe rivelata l anello di congiunzione tra la vita e la morte del suo unico figlio.

Lo sguardo pieno di dolore e speranza di quell’uomo ormai segnato parecchio dalla vita, rimaneva fisso su di lei quasi a interrogarla ripetutamente sull’esito dell’operazione. Non uscivano parole dalla sua bocca, non riuscivano. Le labbra tremanti e le mani tra i capelli sputavano copiosamente ansia e paura. Restarono lì, in quello che sembrò un tempo infinito finché un dolce sorriso, trasparì flebilmente dalla più bella bocca che James avesse mai visto.

 

“È tutto ok!”

 

Quelle semplici tre parole, messe in quell’ordine, a quell’ora, in quel posto, ridiedero vita ad un uomo che ormai con le speranze ci aveva giocato fin troppo.

Si alzò di scatto, sovrastando tutto lo sconforto e il dolore provato fino a quel momento, abbandonando ogni pensiero negativo, gettando via ogni ansia e paura accumulate in quelle ore tremende, e si diresse verso di lei. La abbracciò forte, la strinse a se come se fosse l’ultima cosa che potesse fare.

Dapprima Mya rimase immobile, ancora non si capacitava della situazione assurda, ma dolcemente, come solo lei era in grado di fare, scorse le mani lungo i fianchi dell’uomo, su fino a stringergli le spalle. Scese un lacrima dalla sua guancia, posandosi sulla spalla di James; aveva salvato la vita di suo figlio. Aveva strappato da quell’orribile destino la parte migliore di lui, senza saperlo era diventata il fulcro fondamentale della loro esistenza.

Quello che successe l’esatto attimo dopo essersi staccati l’uno dall’altra rimase per sempre l’inizio della più bella storia d’amore mai vissuta. Si guardarono di nuovo, occhi negl’occhi, lacrimanti di gioia mai espressa, ricolmi di felicità bloccate e frenetici di vita da condividere. Fu un bacio intenso, profondo, sincero, vivo. Uno di quei baci che si danno una volta sola nella vita. Uno di quei baci di cui ti ricordi anche l’ora. Il loro arrivò precisamente alle 7e30.