Guardava dal metrò fuggirle il tempo
Guardava dal metrò fuggirle il tempo
migliore: quello dei mattini
di attesa.
Tra mucchi di carcasse ed orti abbandonati,
ad ogni scheggia di vetro,
ad ogni tronco marcito,
ad ogni lamiera arrugginita,
ad ogni muro crepato, deturpato,
cercava il dunque
il perché
dell’angoscia.
Pensava alle fermate prima di casa,
alle scale deserte,
al breve tempo di quei silenzi,
all’anima che, via via, si imbruttiva…
Ripiega il dolcevita…
Ripiega il dolcevita, lo ripone
sullo scaffale, e fuori piove un dolce
domani nelle gocce di una luce
che rimbalza sull’asfalto.
Si ferma. Pensa. A cosa pensi, piccola?
Già pensi al ritorno,
a quanto sia difficile trovare,
di fronte ad uno specchio, la risposta.
Vedi le foglie a terra, vedi i passanti.
Vedi le strade lucide, i semafori.
Ti accorgi che, alla fine del lavoro,
sei stata brava. Ma, quando spegni tutti
i faretti; quando, finalmente, chiudi tutto;
quando cammini in strada e torni a casa,
sul treno che rispunta dalle tenebre,
e vedi i palazzoni, le luci nelle camere,
ti chini su te stessa, e le domande,
come di fronte al mare, ti accarezzano
le labbra. Sei tu. Sei tu. Accomodati.
Sdraiati qui. Lo senti l’aroma della lavanda?
Te lo ricordi? Ce l’hai messa tu.
Matt Johnson arrivò alla spiaggia
Matt Johnson, la mattina, arrivò alla spiaggia, nel ’74.
Il grande giorno arriva per tutti, prima o poi.
Nessuno notò l’ombra che passava sulla sabbia.
Nessuno, tranne quelli che ci restavano da sempre.
Prese l’onda gigantesca, vide gli amici là sotto
ad aspettarlo e l’onda durò secoli, e un istante,
e l’onda era anche la figlia lasciata a casa a dormire.
Prese l’onda e pensò se proprio devo morire,
che sia adesso; sulle scale ho visto gli amici,
sotto i piedi ho i coralli, o gli squali;
precipito sull’acqua, accarezzo le labbra dell’onda.
Dicono che dalla schiuma sia nata la vita,
come una donna alla luce della luna
pensa all’amore, e si sdraia.
Ci pensi? Le onde si muovono,
ma l’acqua rimane dov’è.
Le pieghe di un fazzoletto
volteggiano nel pozzo di Alice.
Ci pensi? la sera di burrasca Bear diceva:
saremo soli; invece…
Rimanemmo noi, a festa finita
Rimanemmo noi, a festa finita,
a sbaraccare tutto, con l’odore
di polvere sulle mani; la sera
chinò lo sguardo attorno a quel calore
di saluti. Ci lasciammo alle spalle
un mare piatto e silenzioso, e camere
deserte; c’era ancora un po’ di sabbia
sul campo da basket; ci penserà
un qualche amico, ammesso che lo voglia.
Rimanemmo noi, ad estate finita,
a chiudere i battenti del teatro
mare: un volo di effimere riporta
il tempo indietro, e ci confonde l’anima.
Rimanemmo noi, per riaprire il sipario,
da un’altra parte, lontano da dove
gli artigli dell’invidia non arrivano.
È bello, a dirla tutta, naufragare,
osservare dai cavalli selvaggi
quelli rimasti a riva, pieni d’ulcera,
sul loro bravo ponte di comando.
Del resto, non è che ci dispiacesse
d’essere considerati gli orologi
rotti (due volte al giorno segnan l’ora
giusta): ma c’è un problema complicato:
già: quanto dura, invero, l’ora esatta?
O forse quell’istante è ancor più piccolo?
o forse il loro cuore a una lenticchia
sta come il nostro cuore all’universo?
All’improvviso, le fiaccole si spensero
All’improvviso, le fiaccole si spensero.
C’era ancora molto da fare: sfiorare le foglie
in controluce, ascoltare il torrente e i suoi diamanti,
aspettare le farfalle, che passassero
nell’ora nascosta tra l’aria dei comignoli.
Immaginate quel paese, i portici, le taverne,
i camini, le giostre,
ma anche l’acqua dell’abbeveratoio,
le schegge dei portoni, e i rintocchi
dell’altalena…
Ma io ci vorrei andare, a conti fatti:
risplendere d’attesa, respirare quel senso
di una giornata alla fine, al caldo amico del tuo nome,
mio cuore che torna, come sempre.
Vorrei fermarmi, vorrei trovarti
a finire l’opera d’altri, non importa,
tutto quel ben di Dio, tra i boschi, sulle scalette vecchie…
L’affresco prima del restauro
L’affresco prima del restauro.
L’ansa prima del passaggio del treno.
L’erta prima della processione.
Il cancello chiuso prima che i fiori
lo abbraccino dal giardino che rivive
per gli sposi novelli. La fontana
di muschio è l’angelo
che ha le dita spezzate.
Il sentiero franato a fondovalle.
La roggia seccata nell’ocra.
La lapide annerita da epitaffi
che nessuno ricorda di cantare.
Tutti questo mi racconta
il transito delle nuvole sul tuo volto.
Tutto, ed altro che non dico, che non so dire
per via delle voci distanti.
Insegnami a stare al mondo
Insegnami a stare al mondo.
Insegnami ad andarmene dal mondo,
in punta di piedi.
Insegnami l’arte dello smarrimento.
Insegnami ad andare ai margini della città.
Insegnami a parlare, a tacere. E tu insegnami
la bellezza che salvi il mondo dal frastuono
delle falsità, che colori le case al giungere della sera.
Fai tu questa cosa qui, di svelarmi l’arcano.