Andrea Pessina - Poesie

Guardava dal metrò fuggirle il tempo

 

Guardava dal metrò fuggirle il tempo

migliore: quello dei mattini

di attesa.

Tra mucchi di carcasse ed orti abbandonati,

ad ogni scheggia di vetro,

ad ogni tronco marcito,

ad ogni lamiera arrugginita,

ad ogni muro crepato, deturpato, 

cercava il dunque

il perché

dell’angoscia.

Pensava alle fermate prima di casa, 

alle scale deserte,

al breve tempo di quei silenzi,

all’anima che, via via, si imbruttiva…


 

 

Ripiega il dolcevita…

 

Ripiega il dolcevita, lo ripone

sullo scaffale, e fuori piove un dolce

domani nelle gocce di una luce

che rimbalza sull’asfalto.

Si ferma. Pensa. A cosa pensi, piccola?

Già pensi al ritorno,

a quanto sia difficile trovare,

di fronte ad uno specchio, la risposta.

Vedi le foglie a terra, vedi i passanti.

Vedi le strade lucide, i semafori.

Ti accorgi che, alla fine del lavoro,

sei stata brava. Ma, quando spegni tutti 

i faretti; quando, finalmente, chiudi tutto;

quando cammini in strada e torni a casa,

sul treno che rispunta dalle tenebre,

e vedi i palazzoni, le luci nelle camere,

ti chini su te stessa, e le domande,

come di fronte al mare, ti accarezzano

le labbra. Sei tu. Sei tu. Accomodati.

Sdraiati qui. Lo senti l’aroma della lavanda?

Te lo ricordi? Ce l’hai messa tu.


 

Matt Johnson arrivò alla spiaggia

 

Matt Johnson, la mattina, arrivò alla spiaggia, nel ’74.

Il grande giorno arriva per tutti, prima o poi.

Nessuno notò l’ombra che passava sulla sabbia.

Nessuno, tranne quelli che ci restavano da sempre.

Prese l’onda gigantesca, vide gli amici là sotto

ad aspettarlo e l’onda durò secoli, e un istante,

e l’onda era anche la figlia lasciata a casa a dormire.

Prese l’onda e pensò se proprio devo morire,

che sia adesso; sulle scale ho visto gli amici,

sotto i piedi ho i coralli, o gli squali;

precipito sull’acqua, accarezzo le labbra dell’onda.

Dicono che dalla schiuma sia nata la vita,

come una donna alla luce della luna

pensa all’amore, e si sdraia.

Ci pensi? Le onde si muovono,

ma l’acqua rimane dov’è.

Le pieghe di un fazzoletto

volteggiano nel pozzo di Alice.

Ci pensi? la sera di burrasca Bear diceva:

saremo soli; invece…   


 

Rimanemmo noi, a festa finita

 

Rimanemmo noi, a festa finita,

a sbaraccare tutto, con l’odore

di polvere sulle mani; la sera

chinò lo sguardo attorno a quel calore

di saluti. Ci lasciammo alle spalle

un mare piatto e silenzioso, e camere

deserte; c’era ancora un po’ di sabbia

sul campo da basket; ci penserà

un qualche amico, ammesso che lo voglia.

Rimanemmo noi, ad estate finita,

a chiudere i battenti del teatro

mare: un volo di effimere riporta

il tempo indietro, e ci confonde l’anima.

Rimanemmo noi, per riaprire il sipario,

da un’altra parte, lontano da dove

gli artigli dell’invidia non arrivano.

È bello, a dirla tutta, naufragare,

osservare dai cavalli selvaggi

quelli rimasti a riva, pieni d’ulcera,

sul loro bravo ponte di comando.

Del resto, non è che ci dispiacesse

d’essere considerati gli orologi

rotti (due volte al giorno segnan l’ora

giusta): ma c’è un problema complicato:

già: quanto dura, invero, l’ora esatta?

O forse quell’istante è ancor più piccolo?

o forse il loro cuore a una lenticchia

sta come il nostro cuore all’universo?  


 

 

All’improvviso, le fiaccole si spensero

 

All’improvviso, le fiaccole si spensero.

C’era ancora molto da fare: sfiorare le foglie

in controluce, ascoltare il torrente e i suoi diamanti,

aspettare le farfalle, che passassero

nell’ora nascosta tra l’aria dei comignoli.

Immaginate quel paese, i portici, le taverne,

i camini, le giostre,

ma anche l’acqua dell’abbeveratoio,

le schegge dei portoni, e i rintocchi

dell’altalena…

Ma io ci vorrei andare, a conti fatti:

risplendere d’attesa, respirare quel senso

di una giornata alla fine, al caldo amico del tuo nome,

mio cuore che torna, come sempre.

Vorrei fermarmi, vorrei trovarti

a finire l’opera d’altri, non importa,

tutto quel ben di Dio, tra i boschi, sulle scalette vecchie…


 

L’affresco prima del restauro

 

L’affresco prima del restauro.

L’ansa prima del passaggio del treno.

L’erta prima della processione.

Il cancello chiuso prima che i fiori

lo abbraccino dal giardino che rivive

per gli sposi novelli. La fontana

di muschio è l’angelo

che ha le dita spezzate.

Il sentiero franato a fondovalle.

La roggia seccata nell’ocra.

La lapide annerita da epitaffi

che nessuno ricorda di cantare.

Tutti questo mi racconta

il transito delle nuvole sul tuo volto.

Tutto, ed altro che non dico, che non so dire

per via delle voci distanti.


 

Insegnami a stare al mondo

 

Insegnami a stare al mondo.

Insegnami ad andarmene dal mondo,

in punta di piedi.

Insegnami l’arte dello smarrimento.

Insegnami ad andare ai margini della città.

Insegnami a parlare, a tacere. E tu insegnami

la bellezza che salvi il mondo dal frastuono

delle falsità, che colori le case al giungere della sera.

Fai tu questa cosa qui, di svelarmi l’arcano.      


 

 

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