Andrea Rossi - Poesie

                                                            I

 

                                                  INTERIORITA’ ( a Martina )

 

Dalle pareti del corpo

cerchiamo di

spiegar noi stessi

 

Gemendo soli

vomitiamo l’anima nel mondo

 

Senza sapere  e senza piangere

 

Rimane un vuoto che non si rappresenta

 

fermo nel buio

il vuoto rimane

fedele a se stesso

 

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                                                                          II

 

Novelle etade

defluiscono

 

si scoprono le membra

si avvicina la morte

con la morte accanto viviamo…

 

nel vago sentire di una prova

di un continuo tentare

 

gemente la vita è

una sensazione che non parla

che non si spiega

rimane nel suo sentire

é, in questa apparenza.

 

Se poesia è arte lo

è nell’immediatezza

come in un sinuoso dipingere

 

noi…di storia siam saturi

noi siamo nell’eterno fluire creativo

e crediamo che sia il presente e il passato

e che la morte sia il futuro

e questa è la nostra gioia

tremenda e unica così

da giovani millenari

quali altro non siamo

quali altro non potremo essere

 

e i sorrisi morti con noi

fremon di vita

di erotiche sembianze

di mostruose beltà

 

Noi non vogliamo

eccoci noi di oggi…

questa tendenza

 

questa fine così nata fisica è

il nostro essere ricongiunti

al corpo fremente

alle viscere eterne di

cui tutto è espressione

 

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                                                             III

 

Novelle etade

quel che accade

accade…

 

ci proviamo ad esprimere

la sensazione di vivere

noi…ci proviamo

 

tutto questo noi proviamo

 

proviamo ad esprimere questo disagio

il disagio di esistere così

di momento in momento

senza possibilità di scegliere

 

noi…proviamo ad

essere migliori di quello

che siamo con l’illusione

che questo significa

noi..proviamo ad essere e

sappiamo dell’illusione

 

eppure proviamo e di

questa continua prova viviamo

nell’incertezza del dopo

nell’illusione di quello che

possiamo esprimere

 

ecco così..

coinvolti noi siamo

costretti all’immediato futuro

costretti a dire e dirsi di

quello che non possiamo dire

 

questo noi siamo

 

novelle etade

del linguaggio morto

illuso disatteso

non voluto

novelle etade

di questi silenzi

stanchi e morti di

vita scialba che

l’uomo si sceglie

 

noi portiamo con noi

questa morte dell’uomo

perchè non possiamo

essere senza

 

in questa morte

noi vediamo le luci di

un’umana generazione futura

 

come se la distruzione

fosse il segno di

una ricostruzione possibile

 

come se il canto avesse

i germi confusi della notte

 

perchè il giorno riconosce

colui che tradisce

perche la notte lascia

più spazio a colui che

libero pensa alla leggiadra

morte di quello che

la vita ha amato

 

ecco noi..alla sonora etade

ci lasciamo andare

a questa gioia sonora

inconsci aneliamo

vicini e liberi dalla

morte come atto

libero della vita.

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                                                       IV

 

Alle braccia

accolte dal mare

tutto s’inebria

di ebbrezza di rugiada

 

di un’acqua languida

che sussegue alla guerra

 

di un ozio che sogna

dopo il sangue

della lotta nella terra

 

le giovani madri

mostrano i giorni

agli sguardi della luna

 

i giorni e le notti

figurano il passo

di un tempo riflesso

 

gemente non sa di sé

il corpo che non vuole

che non si figura

il linguaggio che lo parla

 

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                                                V

 

Sogni

di reami svelati

 

l’espressione sdegna

di sé attaccata alle

ultime viscere d’esistenza

ancora smania

alla superfice delle cose

 

oltre la parola

c’è il silenzio disilluso

una smorfia altera

regale millenaria

 

dopo il tempo

c’è il corpo

macerato nell’eterno

 

c’è la fine del linguaggio

del comunicare illuso

 

restano le quiete

notti svagate nei

lumi della luna

 

tutto questo lo strano segreto della vita

 

trascorrere quieto il

divenire trasformato

della guerra contro

il sé trasfigurato.

 

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                                                      VI

 

Novelle etade

piovono i giorni

scarsi e scarni

di un’umanità vuota

 

nel silenzio le

membra giacciono

inespresse

 

piogge sepolte

nascondono i fasti

delle civiltà antiche

al termine del giorno

sguardi oscuri avvolgono

le timide sensazioni delle membra

 

gli attimi sventrati

coinvolgono armonici

nel nulla della conoscenza

 

giocosi sguardi

alludono alle rocce

millenarie della

dimensione inorganica

 

stanche le notti

attirano il corpo

nel non senso della natura

 

noi siamo stati generati

 

come parti di un

tutto enorme spazio

di un mondo

universo non concepito

 

la vita immemore

riconosce gli occhi

languidi e stanchi

 

qui

tutto il corpo

giace nel silenzio

nella nullità della parola

qui

l’uomo comprende

di che felicità muore

 

nel silenzio festoso

la notte volge languida

alla fine del vento

ai riflessi del giorno

 

non più in là

possiamo andare

il gioco del conoscere

esiste solo fino

al prossimo attimo.

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                                                        VII

Dei mondi

l’andare in

continuo ricambio

delle figure

di grumi di

materia

 

non ci si

riconosce

perché

non è

più il conoscere

 

si va

perdendo del sé

quello stesso

che si trattiene

nell’immagine

che si forma

nei ricordi

 

per il sapere

annullato

nell’immane

 

come la lingua

finisce i mondi

dell’esprimere

 

più in là

l’ignoto aspetta e

i varchi giacciono

incauti

 

più in là si

bruciano le ali

dei sogni

 

della conoscenza

nel nome

della coscienza

 

più in là si

giace alle forze

dell’affetto

 

fra i passi

svelti dei

giochi di luce

 

feconda la

vita fugge

inespressa.

 

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                                                        VIII

 

La crisi del concetto di tempo ha segnato ormai i limiti del conoscere. Tutti i segni della metafisica vivono della loro dimensione illusa. Siamo consci dell’illusione del volere, siamo consci del corpo che siamo. Attraverso il gemito della comunicazione le cose si formano sul varco illuso dell’essere. Sembra che noi non siamo infatti senza l’ontologia. Soltanto un essere è il varco del nostro vivere. La nominazione si è presa tutto il piacere della nostra esistenza. Una vita corporea definisce i contorni dell’esistere, ma solo attraverso l’equivoco della comprensione, solo attraverso la rimozione dell’affezione. Questo il mondo del bene e del male e i contorni della loro nullità. Non c’è giusto né sbagliato, la dimensione del corpo non si vive nel giudicare ma semmai nell’essere giudicato. Ogni corpo cerca di vivere la sua vita, accettata la nominazione cerca di vivere la sensazione. Senza bisogno di ruoli del mondo; sovrastato dalla materia il conoscere si annulla nella consueta inconsistenza del tempo. Categorie arbitrarie sono le rappresentazioni del mondo. Si scrive come forma casuale dell’esprimere, si parla allo stesso modo come casualità del vivere. Non esiste un tempo definito, non esiste un mondo reale. Comunicare è rappresentare, alludere è la radice del genio. L’universo non è nostro, ma noi siamo in qualche modo suoi. Comprendere la sua eternità ci definisce uomini. Tutti i corpi sono eterni, solo l’illusione delle anime se ne va nell’inconsistenza della morte, ultimo varco agli spasmi della conoscenza.

 

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                                                               IX

 

Scenari sconnessi di

un linguaggio astratto si

susseguono nella visione

 

moltiplicazione di stati

interiori connessi al corpo

 

la dis-espressione è

la dinamica più corporea

 

fedele alla materia e

alla nominazione mancata

 

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                                                                    X

La vita non ha senso né significato

Le strade le direzioni gli incontri

Si riconoscono nell’accumulo di energia

 

Tutto sta nel quanto si ama

Il sangue che ci scorre nelle vene

 

Di questo siamo innamorati:

del nostro sangue

 

le persone che ci piacciono

sono quelle che lo sanno riscaldare

 

I lavori dal n. I al VII sono tratti dalla raccolta Novelle etade. Liriche del tempo che muore edita da Vittoria Iguazu Editora, Livorno, 2016. Il n. IX è tratto da Metamorfosi e circolo, edito sempre da Vittoria Iguazu, Livorno, 2014. I n. VIII e X sono inediti.