Andrea Sesoldi - Poesie

Degenza (10 marzo 2015)

 

Mentre lento scorre il sesto giorno

della mia degenza in questo ospedale,

un’inattesa visita ha rotto il corso

delle ore e dei giorni sempre uguale.

Molte e strane cose vengono alla mente,

quando non molto bene ci si sente:

ancor più perché poco hai da fare,

mentre vai tutto il reparto a girare.

E girando i corridoi dopo il pasto,

m’avvedo che dalla mia finestra,

in fondo –è vero- c’è la miglior vista:

la cupola e, a destra, il campanile;

sotto il cielo terso brune colline,

fino a nordovest alle bianche vette…


 Cara de ángel (18 maggio 2015)

 

(“Faccia d’angelo”)

È triste vedere un angelo piangere,

lacrime rigare gli occhi socchiusi:

come potresti tu non farti tangere?

E non pensar «Che fai? Non ti scusi?»

 

Anche se certo alcuna colpa non hai,

e forse non ce l’ha nessuno, in fondo,

tu ti farai da parte e penserai:

«che crudele, che triste è questo mondo!»

 

Poco importa chi abbia torto o ragione,

perché all’angelo vogliam molto bene…

Ha avuto forse un passato crudele…

O –come nella storia spesso avviene,

come con Napoleone e la stele-

s’intrecciarono cose cattive e buone.


 Tuono (14 giugno 2015)

 

Un furioso tuono incombe da ponente

Vento improvviso sbatte le finestre

La pioggia scroscia ancora irregolare

Poi ancora un lampo illumina alla base

E poi tuona sempre più prorompente

La cupa massa violacea uniforme

Che scivola sotto le nubi informi

Che si rincorrono in toni di grigio

Ma la cupa massa di colore indistinto

Ora s’avvicina e par già inghiottito il mondo

Mentre un vento ora caldo or freddo spira

E pare impressionistico dipinto

Del mio cuore


Silenzio (29/30 ottobre 2015)

 

Il cielo limpido con qualche

Cirro all’orizzonte arrossato;

e l’aria serena e salubre,

dopo la procella notturna.

 

Quei rami più alti nel parco

Quasi per il vento già spogli;

e quelli più bassi variando

specie per specie il lor colore:

da un verde a un rossastro passando

per mille diversi marroni.

 

Poi che dal basso salgon le ombre,

l’albero al ciel passa il colore:

il fiume e il cielo un solo bianco,

le sagome nere ed immobili.

Rapido svanisce il tramonto:

al fin nel cuor pace e silenzio.


 Risorgimento (21 giugno 2015)

 

Credetti solo un attimo

Al chiaro della luna

Ch’anch’io avrei fortuna

Di lì a pochi dì

Ma già pensavo subito

Che fosse tutto vano

E solo piano piano

Tornavo via da lì

 

Non crediate che sia facile

Tra veglia e inquieti sogni

Creder ch’io abbisogni

Sol di dimenticar

È facile promettersi

Amici come prima

Si sa che ci si stima

È una banalità

 

Passai una notte orribile

Quel giorno che mi scrisse

Prima che si dormisse

Che mi dovea parlar

Vedrai sol questo è logico

Non ci vuol grande ingegno

Per capir questo segno

Con uno si vedrà

 

Sapeo non sono stupido

Che mi dovea dir questo

Ma non che meno mesto

M’avrebbe reso il cuor

Ma alla fine credetemi

Davvero mi commosse

E un poco mi riscosse

Per come mi parlò

 

«O infimo pusillanime

Ti prego non lo fare

Non l’osar criticare

Perché vuoi bene a me»

Al fiume rivolgendomi

Le increspatur guardando

Nel riflesso cercando

Solo gli occhi di Te


 Giudizio di Paride (23 novembre 2015)

 

Se mai di Paride vi fu un giudizio,

io di certo la mela l’avrò data,

senza alcun dubbio, alla dea sbagliata,

senza di Vener soddisfare il vizio.

 

Non la detti a lei -questo si capisce-:

ché da molto tempo con me è adirata;

ma anche Giunone pare disdegnata:

ricchezze e gloria con me non spartisce.

 

“Rimane Minerva”, dirai o lettore,

infatti da ciò questo s’arguirebbe;

ma fo alla lotta meno che all’amore:

dunque soltanto plausibil parrebe

che la mela d’oro i’ l’abbia mangiata

e parimenti ognuna disdegnata.


 Ricordi (10 aprile 2016)

 

Mentre ripasso sullo stesso ponte

Che tante volte attraversai con lei

E mi sovviene particolarmente

Una volta a luglio con un’amica:

con lei e l’amica, di cui ovviamente

neppure ricordo il viso od il nome;

parlavamo insignificantemente

di stranissimi pesci che guizzavano

in pigra e morente corrente estiva.

Ora la primavera ch’è gioiosa

È ben più arida e morta d’allora,

per me; ed io che son sano ed in forze

mi sento peggio che nei dì d’attesa

del patibolo: condannato a morte.

Non dà alcuna gioia la primavera;

e non le posso rimproverar niente,

ma solo dirle mille e tante grazie

perché davvero molto più m’ha dato

di quanto io potei, aimè, dare a lei.

Non più desiderando carnalmente,

ancora di ciò io vengo accusato,

neanche potendo dunque esternare

la mia nostalgia al mondo nolente.


 L’albero della conoscenza (1 maggio 2016)

 

«Dell’arbor –disse Dio- non mangerai

di conoscenza del bene e del male,

perché nel dì in cui tu lo farai,

già sarai morto di morte infernale.»

Forse neppure verrebbe notato,

fra cotanta crescita floreale,

quel misero alberello un po’ stentato

che cresce al centro del mio paradiso:

«Perché lo disse? Non l’avrei guardato!»

 

Ma già era venuto il curioso inviso;

e che dell’altro sarebbe migliore

m’aveva detto alitandomi in viso:

Dico di quello di grande splendore

che non darebbe certo eterna vita,

ma che senza dubbio nel nostro cuore

incoscienza e felicità infinita.


 Il Ventaglio Renano (17 ottobre 2016)

 

Aura s’insinua in questi miei pensieri,

pensieri che si dissipano e poi…

si ricompattano senza una logica;

sbrilluccichio di lungi riluce

e sfolgorante da lungi mi chiama,

del mondo dall’ipocrisia sconvolto:

la vista d’una stella s’offre opaca.

 

Da solo, io gioisco del riflesso

E quasi immagino le labbra rosse

Che, chissà, forse son proprio di fronte,

a qualche centinaio di chilometri,

ma sanno bene che si riuniranno.

 

E mentre l’ultima mia sigaretta

Dava il suo rosso al buio della notte,

«Attendi ancora –le dissi- un secondo!»

Ed il Ventaglio Renano dipanasi

Dalle tue reni, matassa di linee,

e, non so dove, a me si ricongiunge.

 

Ed è cavallo  che sonerà pardo,

ch’attraverserà il guado dei Franchi!

Già ti raggiunse, e a lui tu dicesti:

«Gioisci ancora, sarem presto insieme.»

E fulvo come lo strano leopardo,

m’appar l’oro sfocato dei capelli.


 Gelosia (19 luglio 2017)

 

Stillicidio di lente e amare gocciole,

che con cupo ed atro ritmo dai noccioli

scendon della più ima gelosia.

Gelosia: ti fu pur forse amica…

Gelosia: ti dette anche la vita…

Senza batter ciglio la ripigliò.