Degenza (10 marzo 2015)
Mentre lento scorre il sesto giorno
della mia degenza in questo ospedale,
un’inattesa visita ha rotto il corso
delle ore e dei giorni sempre uguale.
Molte e strane cose vengono alla mente,
quando non molto bene ci si sente:
ancor più perché poco hai da fare,
mentre vai tutto il reparto a girare.
E girando i corridoi dopo il pasto,
m’avvedo che dalla mia finestra,
in fondo –è vero- c’è la miglior vista:
la cupola e, a destra, il campanile;
sotto il cielo terso brune colline,
fino a nordovest alle bianche vette…
Cara de ángel (18 maggio 2015)
(“Faccia d’angelo”)
È triste vedere un angelo piangere,
lacrime rigare gli occhi socchiusi:
come potresti tu non farti tangere?
E non pensar «Che fai? Non ti scusi?»
Anche se certo alcuna colpa non hai,
e forse non ce l’ha nessuno, in fondo,
tu ti farai da parte e penserai:
«che crudele, che triste è questo mondo!»
Poco importa chi abbia torto o ragione,
perché all’angelo vogliam molto bene…
Ha avuto forse un passato crudele…
O –come nella storia spesso avviene,
come con Napoleone e la stele-
s’intrecciarono cose cattive e buone.
Tuono (14 giugno 2015)
Un furioso tuono incombe da ponente
Vento improvviso sbatte le finestre
La pioggia scroscia ancora irregolare
Poi ancora un lampo illumina alla base
E poi tuona sempre più prorompente
La cupa massa violacea uniforme
Che scivola sotto le nubi informi
Che si rincorrono in toni di grigio
Ma la cupa massa di colore indistinto
Ora s’avvicina e par già inghiottito il mondo
Mentre un vento ora caldo or freddo spira
E pare impressionistico dipinto
Del mio cuore
Silenzio (29/30 ottobre 2015)
Il cielo limpido con qualche
Cirro all’orizzonte arrossato;
e l’aria serena e salubre,
dopo la procella notturna.
Quei rami più alti nel parco
Quasi per il vento già spogli;
e quelli più bassi variando
specie per specie il lor colore:
da un verde a un rossastro passando
per mille diversi marroni.
Poi che dal basso salgon le ombre,
l’albero al ciel passa il colore:
il fiume e il cielo un solo bianco,
le sagome nere ed immobili.
Rapido svanisce il tramonto:
al fin nel cuor pace e silenzio.
Risorgimento (21 giugno 2015)
Credetti solo un attimo
Al chiaro della luna
Ch’anch’io avrei fortuna
Di lì a pochi dì
Ma già pensavo subito
Che fosse tutto vano
E solo piano piano
Tornavo via da lì
Non crediate che sia facile
Tra veglia e inquieti sogni
Creder ch’io abbisogni
Sol di dimenticar
È facile promettersi
Amici come prima
Si sa che ci si stima
È una banalità
Passai una notte orribile
Quel giorno che mi scrisse
Prima che si dormisse
Che mi dovea parlar
Vedrai sol questo è logico
Non ci vuol grande ingegno
Per capir questo segno
Con uno si vedrà
Sapeo non sono stupido
Che mi dovea dir questo
Ma non che meno mesto
M’avrebbe reso il cuor
Ma alla fine credetemi
Davvero mi commosse
E un poco mi riscosse
Per come mi parlò
«O infimo pusillanime
Ti prego non lo fare
Non l’osar criticare
Perché vuoi bene a me»
Al fiume rivolgendomi
Le increspatur guardando
Nel riflesso cercando
Solo gli occhi di Te
Giudizio di Paride (23 novembre 2015)
Se mai di Paride vi fu un giudizio,
io di certo la mela l’avrò data,
senza alcun dubbio, alla dea sbagliata,
senza di Vener soddisfare il vizio.
Non la detti a lei -questo si capisce-:
ché da molto tempo con me è adirata;
ma anche Giunone pare disdegnata:
ricchezze e gloria con me non spartisce.
“Rimane Minerva”, dirai o lettore,
infatti da ciò questo s’arguirebbe;
ma fo alla lotta meno che all’amore:
dunque soltanto plausibil parrebe
che la mela d’oro i’ l’abbia mangiata
e parimenti ognuna disdegnata.
Ricordi (10 aprile 2016)
Mentre ripasso sullo stesso ponte
Che tante volte attraversai con lei
E mi sovviene particolarmente
Una volta a luglio con un’amica:
con lei e l’amica, di cui ovviamente
neppure ricordo il viso od il nome;
parlavamo insignificantemente
di stranissimi pesci che guizzavano
in pigra e morente corrente estiva.
Ora la primavera ch’è gioiosa
È ben più arida e morta d’allora,
per me; ed io che son sano ed in forze
mi sento peggio che nei dì d’attesa
del patibolo: condannato a morte.
Non dà alcuna gioia la primavera;
e non le posso rimproverar niente,
ma solo dirle mille e tante grazie
perché davvero molto più m’ha dato
di quanto io potei, aimè, dare a lei.
Non più desiderando carnalmente,
ancora di ciò io vengo accusato,
neanche potendo dunque esternare
la mia nostalgia al mondo nolente.
L’albero della conoscenza (1 maggio 2016)
«Dell’arbor –disse Dio- non mangerai
di conoscenza del bene e del male,
perché nel dì in cui tu lo farai,
già sarai morto di morte infernale.»
Forse neppure verrebbe notato,
fra cotanta crescita floreale,
quel misero alberello un po’ stentato
che cresce al centro del mio paradiso:
«Perché lo disse? Non l’avrei guardato!»
Ma già era venuto il curioso inviso;
e che dell’altro sarebbe migliore
m’aveva detto alitandomi in viso:
Dico di quello di grande splendore
che non darebbe certo eterna vita,
ma che senza dubbio nel nostro cuore
incoscienza e felicità infinita.
Il Ventaglio Renano (17 ottobre 2016)
Aura s’insinua in questi miei pensieri,
pensieri che si dissipano e poi…
si ricompattano senza una logica;
sbrilluccichio di lungi riluce
e sfolgorante da lungi mi chiama,
del mondo dall’ipocrisia sconvolto:
la vista d’una stella s’offre opaca.
Da solo, io gioisco del riflesso
E quasi immagino le labbra rosse
Che, chissà, forse son proprio di fronte,
a qualche centinaio di chilometri,
ma sanno bene che si riuniranno.
E mentre l’ultima mia sigaretta
Dava il suo rosso al buio della notte,
«Attendi ancora –le dissi- un secondo!»
Ed il Ventaglio Renano dipanasi
Dalle tue reni, matassa di linee,
e, non so dove, a me si ricongiunge.
Ed è cavallo che sonerà pardo,
ch’attraverserà il guado dei Franchi!
Già ti raggiunse, e a lui tu dicesti:
«Gioisci ancora, sarem presto insieme.»
E fulvo come lo strano leopardo,
m’appar l’oro sfocato dei capelli.
Gelosia (19 luglio 2017)
Stillicidio di lente e amare gocciole,
che con cupo ed atro ritmo dai noccioli
scendon della più ima gelosia.
Gelosia: ti fu pur forse amica…
Gelosia: ti dette anche la vita…
Senza batter ciglio la ripigliò.