Andrea Tabellini - Poesie

Qui.. penombra…
dentro… cosa?… cellule…
Calore tenero….
Indescrivibile dolce torpore

Sogno senza ricordo -dissoluzione-
Racchiuso e celato da un cristallo prezioso e splendente-
gioiello di energia finemente intarsiato

non ci sono occhi, ne naso, ne orecchie –

solo sottile un respiro all’unisono-
Non ci sono mani, ne piedi, ne vestiti, ne ingiustizie

non ancora, non qui.
Pareti di carne e sangue, connessioni di ossigeno e alimenti legati con la vita ad un’
infinita cura…
qui, una penombra sacra rischiarata in ultimo da
una voglia irresistibile
un richiamo come una eco e

-senza dargli troppo peso-
non sarà più dolce torpore

a qualcos’ altro incontro
ogni pensiero infinito e ogni sogno senza gravità.
galleggiando
nel liquido amniotico.
GALLEGGIANDO NEL LIQUIDO AMNIOTICO


 

IL POETA È UN OPERAIO

Se non ci fossero parole ed ovunque regnasse solo silenzio,
boccheggiando in una balbuzie sorda come pesci,
come un paesaggio deturpato dai tralicci elettrici di un autunno infinito.
Incapace la lingua di creare suono alcuno,
solo gli occhi,
potrebbero allora esprimere le mille sfaccettature dell’anima.
E quali occhi avrebbe allora un poeta?
Quale spettro di colori avrebbero le sue iridi ed i riflessi dei mondi visti in sogno?
Quali emozioni riuscirebbe a mettere in scena sulle assi consumate di questo
piccolo, prezioso teatro della crudeltà?
Majakovsky si spara nella sua stanza di Mosca.
Cantandomi “il poeta è un operaio” i suoi occhi erano bagnati di lacrime.
Di tutte le lacrime e dei lamenti

-Lontani mormorii-
di migliaia di persone alla catena, sfiancate, sfibrate e sfatte.

Un mostro con tre teste sta immobile a fissare il vuoto.
Se il poeta fosse allora muto,
se gli avessero messo la mordacchia

-straccio derelitto, consumato, torturato e pronto per il sacrificio-
solo i suoi occhi

colmi di dedizione, sudore e crudo sangue
potrebbero allora dedicare versi alla più bella delle creazioni di questa folle realtà.
Dal buio una mano si tende,
le braccia lunghe 200 km
ed il cuore di 300 kg diventa dimora e rifugio,
grande ed ultimo ritmo di un grido
mio intimo fratello

-amore-
un sussurro tra le potenze della parola.


La cancrena di un sogno

 

crepitio crescente

lampi fiammeggianti

funerale perverso

stasi – osmosi

senso di vuoto del pavimento che crolla, aria pesante,

ira di dio.

Tutto sembra denso, materico

tutto e forma

posso toccare il muro con la punta delle dita

dove il sangue si raggela.

Posso sentirne l’odore ferroso, posso leccare la sua superfice grezza e dolciastra.

Mattoni grigi e ordinati, uno  schema fisso e immobile che mi travolge.

Quel reticolo, Quella regolarità fredda e spietata.

L’ uragano delle emozioni, il crescendo dell’energia aniaeno a questi luoghi di nebbie industriali.

Tutto è reale, tutto appare molliccio,

tutto qui tutto è marcio.

Ovunque profumo di fognatura- mentre scendo queste  scale

per anni luce interminabili. Salgo gradino dopo gradino  e allo stesso tempo scendo.

Sono ovunque. Bevo Bordeaux del 1899 dal cranio di M.C. Escher,

dal cranio vuoto di Cagliostro e Napoleone, di Nerone.

I satelliti delle compagnie di telecomunicazioni si scontrano con le comete e i detriti spaziali impazziti schizzano ovunque. Uno schianto senza gravità

brillano- nella volta oscura del soffitto.

Ho ripreso i sensi quaggiù nella mia cantina, buia e profonda.

Non la mia cantina,  ma il pavimento e l’ odore di chiuso che riempie  narici e  polmoni sono gli stessi. Molecole di muffa danzano iridescenti nell’aria in vortici aggraziati

Incantevole decadenza dell’anima.

(Le Emozioni che aggrediscono questa costruzione degli anni 70, cemento armato e amianto, sono sgomento una Struttura ossea  scura e decrepita.)

Ci sono presenze, come ologrammi. Risuonano frasi di circostanza, ipocrisia, un sorriso che nasconde artigli d’arpia.

(La tv a tutto volume dell’appartamento al primo piano coccola la  demenza senile dell’anziano che la guarda ipnotizzato senza neanche rendersene conto.

L’odore di spezie arriva fin qui dall’ ottavo piano, dove sono in 7 in appartamento.)

E qui cammino perduto tra volti deformati da ghigni sinistri, ombre dentro i blocchi di cemento.

Cammino e cammino per ore.

Cammino perdendo ogni senso, cammino e sono stanco

gambe pesanti

fitte ai polpacci

in un labirinto,

sotto.

Stordito, confuso deserto e freddo

l’alito si condesa, l’anima che fugge via

solo lieve il rumore del vento fuori, fuori da qui… da una lontana finestra.

Percepisco nello stordimento del buio e della solotude prolungata un ansimare improvviso, qualcosa dietro le mie spalle molto vicino.

Mi prende il panico, comincio a correre a perdifiato più veloce che posso ma non trovo l’uscita…non riesco a trovarla…

non ci riesco… sto affogando nell’ansia (per quanto cerchi per quanto ad ogni svolta io desideri trovarmela davanti tutto è) nell’ oscurità e nel freddo (e ( solitudine? )

uno tsunami emozionale mi travolge improvviso e violento

Sono completamente solo, sono un bambino spaventato con una belva alle calcagna.

Cerco di correre più veloce, qualcosa ha cercato di afferrarmi, di correre più veloce e invece mi muovo lentissimo e con uno sforzo sovraumano per muovere un solo tendine, l’ansia cresce e stà per prendere il controllo.

(per un attimo comprendo di essere in un sogno )

immagino con tutte le mie forze una luce

(riesco a muovere le gambe, prima una poi l’altra

sono in un sogno lucido sono libero)

Quasi posso scorgerla, fioca e in lontananza, l’uscita?

Mi sembra provenga di la, cerco di avvicinarmi  ma non la trovo, la luce si allontana, non riesco a raggiungerla, non ci riesco… e affogo di ansia per quanto cerchi di avvicinarmi tutto è oscurità, freddo e ( solitudine? )

mi volto- ho sentito qualcosa…sentito qualcosa… sentito… qualcosa…

…con tutte le mie forze

(eccola! Un tuffo al cuore. Apro la porta e dietro…

nulla… non c’e’ modo) NON POSSO USCIRE!

Sono in un labirinto, sono in trappola

(cerco di svegliarmi non ci riesco.)

Sono passati 25 anni

losanghe bianche -nere

tende rosse, tappezzera scarlatta

Caos, carneficina convulsioni e spasmi.

 

la cancrena di un sogno mi divora, corrompe le dita dei piedi sale per le gambe distrugge le ginocchia e le coscie devasta il sesso ed il bacino, le ossa, le viscere e la gabbia toracia.Intacca il cuore e i polmoni. La  pelle diventa nera la gola si chiude, gli occhi diventano neri le orecchie si tappano, i capelli cadono.

Paura, terrore, panico.

La cantina stessa è la prigione del cuore

il terrore di bambino.

tutto è perduto ormai

tutto  è nulla

un sogno in cancrena.

 

Qui, ora la paura del buio

non esiste.


 

La crisalide
lo spazio
il tempo
Non ti dico quando
non ti chiedo nulla.
Ma percorri il sentiero con l’ arcobaleno nell’inguine
confusa e luminosa
I nostri sguardi profondi
I nostri sguardi adoranti
I nostri sguardi…
rivolti alle stelle che nascono e muoiono,
con rinnovato senso di mistero si sciolsero di
un eterno sgretolarsi e ricongiungersi
senza pause,
senza compromessi.


LA MORTE COME UN PASSERO

La Morte sta alla mia sinistra e saltella come un uccello…
La morte bastarda, il buio più nero, la morte che opprime, la morte…la fine
la morte infingarda che produce mine.
La morte in bolivia tagliate le mani
la morte liscivia, tormento, tsunami.
La morte ovunque
cesce, ringhia, sbava e bestemmia comunque.
count down invisibile –
sincopato scorrere irreversibile
dalla terra sale urlando al cielo infuocato
un immenso miracolo appena accennato.
Fiume impetuso di acque cristalline e cangianti
tutto intorno sentimenti mangiati e poi digeriti
disegnando le tue scarne bellissime mani
in un freddo recidere il filo con argentee forbici
il freddo si fa caldo
e gli occhi appena si chiudono
incontrollabili spasmodici conati
mentre ricordiamo le nostre notti, canzoni ed amanti
potrei forse fermarmi nei tuoi occhi
fissarti e scorgere tutto ciò che immenso c’è di bello?


LA NOTTE D’AMIANTO

La nebbia sorride sottile e ingenua-
l’erba verde ha un fremito.

Gocce di rugiada rigano il suo volto come spaccature della carne.
Osservi immobile e in silenzio il panorama devastato dai fulmini,
rombi e tuoni potenti come poesia decadente.

-trance distante di rossa Alba fatiscente-
crolla piano e si modifica

nell’ inquieta trepidazione
( come la voce di Dio? ),
nessuna nuvola
nessuna preghiera
non si ode il frinire delle cicale?
E dov’è l’est?
Chi attende oltre queste gabbie che chiamiamo porte?
Tutto rassomiglia ad un Diaframma difettoso
un buco nero sanguinolento e grumoso.
Un cancro alieno che ha denti scheggiati, rotti, perduti
sparsi sul pavimento dopo una rissa.

-insiste il sassofono-
spande la dolce ambrosia della notte d’ amianto

-bagliori improvvisi in lontanza si fanno più vicini-
tutto è fremito e frastuono.

tutto festeggia lo sfregio del cielo blu cobalto.

Sudore misto ad alcool, vertigo, violenta vita, esplosione e dopo -di nuovo-
sacra, rassicurante pubblicità.


 

Maledetti occhi

Maledetti occhi
specchi rotti di cieli capovolti,
acido e tremori.
Nella pancia ci sono i mostri.


 

Miracolo cosmico

tutto si fa oscuro di
un sacro e profondo terrore,
di stasi
di tutte le creature i silenzi
e uomini coi loro monoliti cadono nel
cielo vuoto
tutti…
inconsapevoli
elevati dal nero
improvviso grido degl’ angeli
verso le altitudini
si schiude terribile
… un miracolo cosmico.


 

NOTTE

Notte… improvvisa catarsi d’occhi.


 

Ribellione nelle strade-
sogno romantico-
immobile luce in technicolr.

un attimo e le sicurezze
si perdono per sempre in un viaggio di nuovi significati.
O forse…
solo la rovina di un momento magico illuminato di grazia.

PETROLIO DIVINIZZATO
( Una vecchia gomma d’ automoblie incastonata nella sabbia di una spiaggia al
tramonto )


 

RISOLTO A METÀ

silenzio, calma innaturale e rock and roll
qualche stella si accende e brucia
(improvvisamente) a bucare il nero velluto torrido della notte
con un grido afono -una scossa elettrica- uno schiocco.
guardo i tuoi occhi
occhi grandi e neri
come ombre che sospirano alle fronde dei salci

-sistema solare di Meraviglia innata-
acqua fresca e benedetta che nutre quest’ attimo…

….un cubo di rubrick su un tavolo….
poi il niente.
un altoparlante va in loop.
Canzoni, filastrocche e
spire di crotali.
Risolto a metà.


SUL FONDO DELLA BOTTIGLIA
(DEFINITIVE VERSION)

-sei concime, radici, foglie, frutti
sei api-sei un diamante dai mille volti
mille emozioni iconoclaste
pianto straziante
riso amaro
urla che sgretolano queste pareti e denti che si icrinano.
Cuore che esplode e
gioia elettrica, complice e senza fine.
romantiche navi pirata galleggiano sul fondo della bottiglia
lacrime, saliva, bile e adrenalina
mentre affoghi senza sapere perchè e bevi te stesso
dove non esiste il rimpianto e tutto sembra infinito
e metafisico.
dove se fai attenzione puoi sentire il suono del mondo
qui sei sul fondo
brillanti riflessi rossi vermiglio
opalina e petrolio
qui dove i ricordi si impreziosisco e si perdono
stravolti da un baccanale, dalla tragedia, dal senso.
Si spande densa la morfina dell’anima
il nettare e il veleno
i rimasugli di una sbronza.
(la certezza accesa di essere e di non essere)
annata del 1984
lentamente apro il vino,
rosso sorriso.


TRAMONTO
(DEFINITIVE VERSION)

catarsi d’oro

-tutto avvampa di rosso acceso-
sfavilla profondo, prolungato, puro e primigenio

un sospiro

e dopo… dopo come se non ci fosse altro-
come dovessi sgretolarti in cristalli luminosi.

-resta cosi-
abbandonati a quest’ istante –

ora… puoi vedere chiaramente la scalinata che ascende,
l’ illusione pastello e le sfumature sublimi impadronirsi dei cieli.
Tenue, infinito desiderio crepuscolare,
emozione ovunque
-quasi violenta, quasi eterna- mentre la luce si ritira, svanisce e ci lascia impotenti
e fragili a sussurraci frasi d’amore…
l’ aria d’ improvviso si fa fredda,
non un rumore, nemmeno un battito
per consegnarci all” infinito
a tutti i colori e uno solo, ai sogni e a noi stessi.
Mentre tutto è in attesa di fronte all’incertezza della notte.