BOOMERANG
Tutto sembra coperto
da un velo;
solo i ricordi sono
devoti,
non sciupati dal tempo.
La tua figura, per me,
ha lo stesso dipinto;
rinchiusa in un telo di cuore
per rendere omaggio all’amore,
ché non ama questi anni
d’argento.
Disdegno
per questa vita che torna
indietro,
che trasforma il passato
in tanti pezzi di vetro,
ché ferma l’attimo
trasformandolo in pianto,
chiudendo il futuro
in un debole scrigno.
Così,
tutto spetta ai tuoi occhi:
contro il tempo che passa
mi chiedo se vedono
la stessa bellezza;
se quel fiore profuma,
o ha un odore appassito,
schiavo della giovinezza.
Cosa chiedere al mondo?
Forse un ultimo affanno,
per godere ancora
di ciò che è dovuto;
chiedendo alla vita
di non essere avara,
e che possa saziare quei giorni
di colpa,
con la tua presenza.
COSÌ
Come il respiro
che riscalda il freddo
di una stanza.
Qualcuno che bussa ad una porta
mai aperta.
Il silenzio che suona
una musica mai composta.
La lontananza
che tocchi con mano,
fino a baciarla.
DAI TUOI OCCHI
Dai tuoi occhi leggo poesie,
ed ogni volta m’invento,
mi nutro, mi vanto.
Ed essi sono stelle insanguinate,
il mio compiacimento,
l’idillio che m’accoglie nel tuo tempo.
Indugiano nel loro scintillio,
ed ogni volta che incrociano il mio sguardo,
l’anima s’accorda e…
da solista,
decanta le parole del morire,
dell’amare,
spronandomi a credere,
ad avere sempre voglia
di ricominciare.
IGNOTO MAESTRO
Il vuoto, vestito d’ombra,
ha coperto i miei occhi.
Nell’oscurità, la paura
ha mendicato l’amore…
ed ho amato l’assurdo.
Rinchiusa nell’oblio,
le parole del silenzio
hanno scolpito l’attimo…
ed ho amato il tempo.
DI SBIECO
Tutto è passato:
l’aria, il tempo, lo spazio.
Il sole si è fatto velluto;
riflette sorrisi sul luogo
dove tutto è avvenuto.
Ed io sono cresciuta
con gli occhi d’avorio,
con il mio ritratto appeso
in un punto cieco,
come fosse un’assenza
vista di sbieco.
Tutto è passato
dall’altra parte del mondo,
con il bagaglio di me all’interno;
nessuno se n’è accorto,
nemmeno il custode
dell’eterno.
E la colpa è del non sentire,
o dei conflitti del tanto sapere;
ma in quel luogo dove tutto è avvenuto,
un’ombra m’aspetta;
lei non conosce distanza,
e m’accarezza la mente ogni giorno,
lasciandomi sempre una ferita aperta.
IL TOCCO DI MAGGIO
Rose mortali
lasciate a spicchi
di luce,
a nutrire le Muse
dell’aria,
obliando le spine.
Tenaci, quei petali
a terra,
su, per le croci d’estinti,
agli incensi emanati
alla vita,
in memoria di campi
silenti,
e piccole foglie
appoggiate su steli
di petto,
a cullare l’eterno.
MALVAGIO CONFORTO
Quanto male t’ho fatto,
prendendo solo il bene
dal petto.
Le labbra hanno riso
del pianto,
prima di perdere la cosa
più bella del mondo.
Dimmi, amore,
se sono il mostro
delle fiabe;
se alloggio ancora nelle
tue paure…
se questa pena è la giustizia
di qualche ragione.
Se fosse tempo di torture,
saresti schiavo del mio
cuore,
di questo tedio che opprime
l’interiore,
ché non si spegne
se non brucia nel dolore.
QUALCUNO, QUALCOSA
Ricordo una figura
mancante,
che si dissolve alla vista
con un bacio sulla fronte.
A volte resta col suo nome
di figlia,
come un ritratto imperfetto
che mastica ombre.
Non so, la ragione
vacilla.
Quando si ferma,
quella sagoma riscalda
la stanza.
Ha qualcosa di me,
perché quando mi osserva,
il dolore s’arrende.
Sono stanca di tutto:
di me, dei farmaci,
di queste attese vaganti…
se c’è una vita che per me
è una nuvola, non dirò
niente, e aspetterò la mia ora
tra le braccia del nulla.
SULLE COLLINE DI DICEMBRE
Ho seppellito lo spirito
sulle colline di Dicembre,
quando mi risvegliava
la neve
con il petto adagiato
su ciò che un tempo
fu verde.
Ho distinto l’inverno
dai monti,
e sulle orme dei luoghi,
ripreso il silenzio
di ciò che ho perduto.
Ed ho visto il tempo
attingere alla mia porta,
e con i suoi pensieri
di nebbia ha consumato
l’ossigeno dalla soglia…
in un vortice senza riposo,
spingendomi fuori
ad occhio nudo.
Doppelgänger
Era dinanzi a me. Il viso pallido e scavato. Con mani scheletriche si toccava i capelli che al centro e ai lati della testa erano sfibrati e radi. Le clavicole sporgenti facevano ombra al collo sottile, quasi rugoso.
Mi guardò con paura, dolore, e soprattutto pietà.
Quando urlai corse verso di me, urtandomi la spalla, e poco dopo scomparve nel buio della stanza adiacente. Il suo tatto mi confermò che non si trattava di un’allucinazione; era reale.
Riconobbi me stessa in quella cosa, anche se dimostrava venti chili in meno ed era chiaramente in punto di morte… il mio presagio di morte.
Tremavo come una foglia. Non riuscivo a pensare né a credere a ciò che avevo visto.
Avevo letto di questo strano fenomeno, quindi sapevo con certezza a cosa andavo incontro: stavo per morire, anche se non avevo la più pallida idea di come e quando la mia ora sarebbe giunta.
Corsi a casa di mia sorella Valentina, la quale abita a pochi isolati da me. Appena la vidi l’abbracciai scoppiando in un pianto convulso.
Dopo essermi calmata, le raccontai l’accaduto nei minimi dettagli, liberandomi parzialmente l’anima. Sapevo che credeva a queste cose, ma stranamente, mentre parlavo, cominciò a guardarmi con scetticismo. Dopodiché mi disse che forse la stanchezza mi aveva annebbiato la vista, ché magari, essendo io un’appassionata del paranormale, mi ero fatta suggestionare da qualche storia letta di recente. La cosa non mi piacque, e mi travolse un senso di solitudine.
Valentina continuò a parlare a lungo, ma ormai vagavo altrove con la mente, quindi avevo smesso di ascoltarla. La priorità era quella di capire cosa dovevo fare per salvarmi la vita.
Bevemmo una tazza di cioccolata e feci il possibile per farle credere che mi ero calmata, ché forse aveva ragione lei. La salutai tranquillizzandola sul fatto che non avrei più pensato a quella brutta storia, e che appena ritornata a casa mi sarei rilassata facendo un bagno caldo.
Stavo scendendo le scale quasi di corsa, quando d’improvviso mi bloccai con un terribile presentimento: se fosse questa la mia fine? Un capitombolo giù per le scale, spiaccicata al suolo in una pozza di sangue? No… meglio scendere lentamente, calpestando un gradino alla volta, come un bambino.
Feci ritorno a casa e, colma di ansia, rientrai nella stanza dove avevo visto quella cosa… non c’era nessuno, neanche una traccia. Dopo il bagno rilassante mi sdraiai sul divano cercando di dormire; l’indomani mi aspettava una lunghissima giornata.
Nulla da fare. La notte la passai completamente in bianco, pensando sempre a ciò che avevo vissuto e a come dovevo affrontarlo. Decisi quindi di sottopormi ad un completo checkup; dovevo assicurarmi del mio stato di salute.
Alle sette in punto uscii di casa più tranquilla: la luce del giorno era rincuorante. Mentre andavo al laboratorio, però, uno strano senso di oppressione pervase il mio cuore; mi accingevo ad attraversare un vicolo che rappresentava la strada più corta. Era un luogo sinistro, poco rassicurante… e proprio non me la sentii di imboccarlo. E se un malintenzionato mi stesse aspettando dietro l’angolo? Se mi avesse sparato o fatto di peggio? No… meglio prendere il percorso lungo ma più sicuro e affollato.
Arrivai ad un punto in cui ero costretta ad attraversare la strada… e mi travolse un’angoscia profonda. Se tutta la mia vita avesse aspettato proprio quel momento per terminare? Un pirata della strada, magari? A quell’ora, di solito non c’è traffico, quindi i guidatori possono sentirsi liberi di spingere un po’ di più sull’acceleratore. Lecito pensare al peggio.
Iniziai ad affannare in preda al panico; dovevo assolutamente tornare indietro, correre a casa; l’unico posto sicuro, nella mia mente.
Mi riversai di botto sul letto, cadendo in un sonno profondo.
Il giorno successivo mi risvegliai affamata, così preparai un’abbondante colazione a base di latte, fette biscottate e marmellata. Tuttavia, mentre gustavo i biscotti, il cuore iniziò a palpitare velocemente, facendomi sudare. Avvertivo qualcosa nell’aria… avevo paura. Sputai il boccone, e mi limitai a bere il latte. L’istinto mi disse che non dovevo mangiare solidi, ché avrei potuto strozzarmi. Fortunatamente lo avevo capito in tempo. Comunque, il problema non era solo il cibo.
Mi guardai bene intorno, analizzando tutta la casa. Alcuni oggetti non potevo assolutamente utilizzarli: asciugacapelli, forno, cucina, vasca da bagno, doccia. Inoltre, presi la decisione di non uscire per un certo periodo di tempo… almeno fino a quando il problema non si fosse risolto.
Telefonai a mia sorella per dirle che sarei partita per una lunga vacanza con delle amiche di scuola. Fatto questo, ordinai la spesa dal salumiere… roba solo a base di sostanze liquide.
Trascorsi così un mese, in completa solitudine. Il fenomeno non si era più presentato, ed io ero molto più tranquilla… quando per poco non mi strozzavo con un succo di frutta. Non riuscivo a respirare, mi era andato di traverso, ed era successo nell’attimo in cui avevo pensato che andasse tutto bene. Era chiaro che quella cosa ascoltava i miei pensieri… voleva che facessi a meno anche dei cibi liquidi. Non potevo permetterlo, non doveva vincere lei. Ero esausta, mi tremavano le gambe dalla debolezza, ma dovevo resistere.
Mi sedetti sul divano, servendomi di una cannuccia per finire il succo di frutta, a piccoli sorsi. D’improvviso qualcuno bussò alla porta. Dall’occhio magico vidi che era il portiere. Aveva uno sguardo minaccioso, con un sorrisetto ironico stampato in faccia. Tra le mani aveva delle buste… furbo! Sicuramente aveva cattive intenzioni. Non aprii. lui insistette per un po’, ma alla fine andò via. L’avevo scampata ancora.
Ormai è passato molto tempo… non so quanto, di preciso. Non ho le idee chiare.
Oggi mi sento più stanca che mai; a stento sono riuscita ad alzarmi dal letto. Non sento più neanche la fame, e puzzo: non mi faccio un bagno o una doccia da settimane, per paura di scivolare e rompermi l’osso del collo. Vado avanti nutrendomi di cibi liquidi e freddi, perché temo di avvicinarmi alla cucina per riscaldarli.
Ora mi guardo allo specchio nuda… e non mi riconosco. Vedo una persona completamente diversa, con il viso pallido e scavato, corpo scheletrico (riesco a contarmi le costole, e a vedere attraverso di esse), i capelli ormai sfibrati e radi.
Mi guardo con paura, dolore, e soprattutto pietà.