Angela Albano - Poesie e Racconti

BOOMERANG


Tutto sembra coperto

da un velo;

solo i ricordi sono 

devoti,

non sciupati dal tempo.

La tua figura, per me,

ha lo stesso dipinto;

rinchiusa in un telo di cuore

per rendere omaggio all’amore,

ché non ama questi anni

d’argento.

Disdegno

per questa vita che torna

indietro,

che trasforma il passato

in tanti pezzi di vetro,

ché ferma l’attimo

trasformandolo in pianto,

chiudendo il futuro

in un debole scrigno.

Così,

tutto spetta ai tuoi occhi:

contro il tempo che passa

mi chiedo se vedono

la stessa bellezza;

se quel fiore profuma,

o ha un odore appassito,

schiavo della giovinezza.

 

Cosa chiedere al mondo?

Forse un ultimo affanno,

per godere ancora

di ciò che è dovuto;

chiedendo alla vita

di non essere avara,

e che possa saziare quei giorni

di colpa,

con la tua presenza.


COSÌ

 

 

Come il respiro

che riscalda il freddo 

di una stanza.

Qualcuno che bussa ad una porta

mai aperta.

Il silenzio che suona

una musica mai composta.

La lontananza

che tocchi con mano,

fino a baciarla.




DAI TUOI OCCHI

 

 

 

Dai tuoi occhi leggo poesie,

ed ogni volta m’invento,

mi nutro, mi vanto.

Ed essi sono stelle insanguinate,

il mio compiacimento,

l’idillio che m’accoglie nel tuo tempo.

Indugiano nel loro scintillio,

ed ogni volta che incrociano il mio sguardo,

l’anima s’accorda e…

da solista, 

decanta le parole del morire,

dell’amare,

spronandomi a credere,

ad avere sempre voglia 

di ricominciare.




IGNOTO MAESTRO




Il vuoto, vestito d’ombra,

ha coperto i miei occhi.

Nell’oscurità, la paura

ha mendicato l’amore…

ed ho amato l’assurdo.

Rinchiusa nell’oblio,

le parole del silenzio

hanno scolpito l’attimo…

ed ho amato il tempo.


DI SBIECO


Tutto è passato:

l’aria, il tempo, lo spazio.

Il sole si è fatto velluto;

riflette sorrisi sul luogo

dove tutto è avvenuto.

Ed io sono cresciuta

con gli occhi d’avorio,

con il mio ritratto appeso

in un punto cieco,

come fosse un’assenza

vista di sbieco.

 

Tutto è passato

dall’altra parte del mondo,

con il bagaglio di me all’interno;

nessuno se n’è accorto,

nemmeno il custode

dell’eterno.

E la colpa è del non sentire,

o dei conflitti del tanto sapere;

ma in quel luogo dove tutto è avvenuto,

un’ombra m’aspetta;

lei non conosce distanza,

e m’accarezza la mente ogni giorno,

lasciandomi sempre una ferita aperta.


IL TOCCO DI MAGGIO

Rose mortali

lasciate a spicchi 

di luce,

a nutrire le Muse

dell’aria,

obliando le spine.

Tenaci, quei petali

a terra,

su, per le croci d’estinti,

agli incensi emanati

alla vita,

in memoria di campi

silenti,

e piccole foglie

appoggiate su steli

di petto,

a cullare l’eterno.


MALVAGIO CONFORTO

Quanto male t’ho fatto,

prendendo solo il bene

dal petto.

Le labbra hanno riso

del pianto,

prima di perdere la cosa

più bella del mondo.

 

Dimmi, amore,

se sono il mostro

delle fiabe;

se alloggio ancora nelle

tue paure…

se questa pena è la giustizia

di qualche ragione.

 

Se fosse tempo di torture,

saresti schiavo del mio

cuore,

di questo tedio che opprime

l’interiore,

ché non si spegne 

se non brucia nel dolore.


QUALCUNO, QUALCOSA

 

Ricordo una figura

mancante,

che si dissolve alla vista

con un bacio sulla fronte.

A volte resta col suo nome

di figlia,

come un ritratto imperfetto

che mastica ombre.

Non so, la ragione

vacilla.

Quando si ferma,

quella sagoma riscalda

la stanza.

Ha qualcosa di me,

perché quando mi osserva,

il dolore s’arrende.

Sono stanca di tutto:

di me, dei farmaci,

di queste attese vaganti…

se c’è una vita che per me

è una nuvola, non dirò

niente, e aspetterò la mia ora

tra le braccia del nulla.


SULLE COLLINE DI DICEMBRE

Ho seppellito lo spirito

sulle colline di Dicembre,

quando mi risvegliava

la neve

con il petto adagiato

su ciò che un tempo

fu verde.

Ho distinto l’inverno

dai monti,

e sulle orme dei luoghi,

ripreso il silenzio

di ciò che ho perduto.

Ed ho visto il tempo

attingere alla mia porta,

e con i suoi pensieri

di nebbia ha consumato

l’ossigeno dalla soglia…

in un vortice senza riposo,

spingendomi fuori

ad occhio nudo.


Doppelgänger

 

Era dinanzi a me. Il viso pallido e scavato. Con mani scheletriche si toccava i capelli che al centro e ai lati della testa erano sfibrati e radi. Le clavicole sporgenti facevano ombra al collo sottile, quasi rugoso.

   Mi guardò con paura, dolore, e soprattutto pietà.

   Quando urlai corse verso di me, urtandomi la spalla, e poco dopo scomparve nel buio della stanza adiacente. Il suo tatto mi confermò che non si trattava di un’allucinazione; era reale.

   Riconobbi me stessa in quella cosa, anche se dimostrava venti chili in meno ed era chiaramente in punto di morte… il mio presagio di morte.

 

 

Tremavo come una foglia. Non riuscivo a pensare né a credere a ciò che avevo visto.

   Avevo letto di questo strano fenomeno, quindi sapevo con certezza a cosa andavo incontro: stavo per morire, anche se non avevo la più pallida idea di come e quando la mia ora sarebbe giunta.

Corsi a casa di mia sorella Valentina, la quale abita a pochi isolati da me. Appena la vidi l’abbracciai scoppiando in un pianto convulso.

   Dopo essermi calmata, le raccontai l’accaduto nei minimi dettagli, liberandomi parzialmente l’anima. Sapevo che credeva a queste cose, ma stranamente, mentre parlavo, cominciò a guardarmi con scetticismo. Dopodiché mi disse che forse la stanchezza mi aveva annebbiato la vista, ché magari, essendo io un’appassionata del paranormale, mi ero fatta suggestionare da qualche storia letta di recente. La cosa non mi piacque, e mi travolse un senso di solitudine.

   Valentina continuò a parlare a lungo, ma ormai vagavo altrove con la mente, quindi avevo smesso di ascoltarla. La priorità era quella di capire cosa dovevo fare per salvarmi la vita.

   Bevemmo una tazza di cioccolata e feci il possibile per farle credere che mi ero calmata, ché forse aveva ragione lei. La salutai tranquillizzandola sul fatto che non avrei più pensato a quella brutta storia, e che appena ritornata a casa mi sarei rilassata facendo un bagno caldo.

 

 

Stavo scendendo le scale quasi di corsa, quando d’improvviso mi bloccai con un terribile presentimento: se fosse questa la mia fine? Un capitombolo giù per le scale, spiaccicata al suolo in una pozza di sangue? No… meglio scendere lentamente, calpestando un gradino alla volta, come un bambino.

   Feci ritorno a casa e, colma di ansia, rientrai nella stanza dove avevo visto quella cosa… non c’era nessuno, neanche una traccia. Dopo il bagno rilassante mi sdraiai sul divano cercando di dormire; l’indomani mi aspettava una lunghissima giornata.

   Nulla da fare. La notte la passai completamente in bianco, pensando sempre a ciò che avevo vissuto e a come dovevo affrontarlo. Decisi quindi di sottopormi ad un completo checkup; dovevo assicurarmi del mio stato di salute.

 

 

Alle sette in punto uscii di casa più tranquilla: la luce del giorno era rincuorante. Mentre andavo al laboratorio, però, uno strano senso di oppressione pervase il mio cuore; mi accingevo ad attraversare un vicolo che rappresentava la strada più corta. Era un luogo sinistro, poco rassicurante… e proprio non me la sentii di imboccarlo. E se un malintenzionato mi stesse aspettando dietro l’angolo? Se mi avesse sparato o fatto di peggio? No… meglio prendere il percorso lungo ma più sicuro e affollato.

   Arrivai ad un punto in cui ero costretta ad attraversare la strada… e mi travolse un’angoscia profonda. Se tutta la mia vita avesse aspettato proprio quel momento per terminare? Un pirata della strada, magari? A quell’ora, di solito non c’è traffico, quindi i guidatori possono sentirsi liberi di spingere un po’ di più sull’acceleratore. Lecito pensare al peggio.

   Iniziai ad affannare in preda al panico; dovevo assolutamente tornare indietro, correre a casa; l’unico posto sicuro, nella mia mente.

 

 

Mi riversai di botto sul letto, cadendo in un sonno profondo.

 

 

Il giorno successivo mi risvegliai affamata, così preparai un’abbondante colazione a base di latte, fette biscottate e marmellata. Tuttavia, mentre gustavo i biscotti, il cuore iniziò a palpitare velocemente, facendomi sudare. Avvertivo qualcosa nell’aria… avevo paura. Sputai il boccone, e mi limitai a bere il latte. L’istinto mi disse che non dovevo mangiare solidi, ché avrei potuto strozzarmi. Fortunatamente lo avevo capito in tempo. Comunque, il problema non era solo il cibo.

   Mi guardai bene intorno, analizzando tutta la casa. Alcuni oggetti non potevo assolutamente utilizzarli: asciugacapelli, forno, cucina, vasca da bagno, doccia. Inoltre, presi la decisione di non uscire per un certo periodo di tempo… almeno fino a quando il problema non si fosse risolto.

Telefonai a mia sorella per dirle che sarei partita per una lunga vacanza con delle amiche di scuola. Fatto questo, ordinai la spesa dal salumiere… roba solo a base di sostanze liquide.

 

 

Trascorsi così un mese, in completa solitudine. Il fenomeno non si era più presentato, ed io ero molto più tranquilla… quando per poco non mi strozzavo con un succo di frutta. Non riuscivo a respirare, mi era andato di traverso, ed era successo nell’attimo in cui avevo pensato che andasse tutto bene. Era chiaro che quella cosa ascoltava i miei pensieri… voleva che facessi a meno anche dei cibi liquidi. Non potevo permetterlo, non doveva vincere lei. Ero esausta, mi tremavano le gambe dalla debolezza, ma dovevo resistere.

   Mi sedetti sul divano, servendomi di una cannuccia per finire il succo di frutta, a piccoli sorsi. D’improvviso qualcuno bussò alla porta. Dall’occhio magico vidi che era il portiere. Aveva uno sguardo minaccioso, con un sorrisetto ironico stampato in faccia. Tra le mani aveva delle buste… furbo! Sicuramente aveva cattive intenzioni. Non aprii. lui insistette per un po’, ma alla fine andò via. L’avevo scampata ancora.

 

Ormai è passato molto tempo… non so quanto, di preciso. Non ho le idee chiare.

Oggi mi sento più stanca che mai; a stento sono riuscita ad alzarmi dal letto. Non sento più neanche la fame, e puzzo: non mi faccio un bagno o una doccia da settimane, per paura di scivolare e rompermi l’osso del collo. Vado avanti nutrendomi di cibi liquidi e freddi, perché temo di avvicinarmi alla cucina per riscaldarli.

   Ora mi guardo allo specchio nuda… e non mi riconosco. Vedo una persona completamente diversa, con il viso pallido e scavato, corpo scheletrico (riesco a contarmi le costole, e a vedere attraverso di esse), i capelli ormai sfibrati e radi.

   Mi guardo con paura, dolore, e soprattutto pietà.