Aniello Milo - Poesie e Racconti

“Squilli di tromba”

 

  Rasatevi

   i crani

  Tatuate

   i petti e le braccia

   Forgiatevi

   di borchie e catene

  Vestite

   casacche verdoliva

   Calzate

   scarponi neri e pesanti.

 

  Vi stanno preparando

   al bagno di sangue

  Vi stanno allenando

   a guardarvi in cagnesco

  Vi stanno ordinando

   non parlate, urlate!

   Vi stanno indicando

    l’oscuro sentiero

    dove i figli non riconosceranno i padri

    e le madri rinnegheranno

    d’esserlo mai state.

 

    Squilli di tromba

    v’adunano


 

 “Anima”

 

Ho fame

di versi

antichi,

di sacralizzare

certezze,

di velare

nudità.

 

Ho sete

di valori

autentici.


“Passione”

 

Come fiumara calabra

irrompi

ed impetuosa passi,

lasciando un asciutto 

letto acciottolato


“Morgana”

 

   E siamo qui,

ciascuno rinchiuso

nel guscio del proprio egoismo,

ammaliati dall’ineluttabilità,

inebriati di miraggi,

     trascinati

sugli scogli della vita,

naufraghi di Fata Morgana.


“Il Tempo della vita”

 

Amava la canzone

del tempo dell’attesa 

e della semina.

 

Del Tempo negato e segreto

che fugge muto 

cullando lo scorrere della vita.

 

Diceva che c’era un tempo sognato 

e un tempo da aspettare

finché s’avverasse il sogno d’una vita intera.

 

Poi incontrò il Tempo dell’Inganno

quello del politico

e quello dell’amico.

L’inganno del Presente

e quello del padre sempre assente.

 

Nessuno, ripetè a se stesso,

è mai sfuggito all’inganno

almeno una volta nella vita.

 

E nelle sembianze della donna amata

si palesò l’inganno di sempre:

del Serpente che si traveste,

del Paradiso che promette,

dell’Eldorado in terra,

della Resurrezione in cielo.

 

Meditò la Vendetta

ma non ebbe Tempo,

la grande Livellatrice

arrivò prima.


“Habemus Papam”

 

L’hai unita

Santo Padre

l’Europa

sotto il segno della Croce.

 

La caduta del muro

la rivolta rumena

la guerra slava

e milioni d’uomini

che guardano come lupi

alla Bengodi

che tu hai promesso

che essi non hanno. 

 

 Ora soli,

 affamati e senza ideali

 s’azzannano come bestie

 innalzando turpi steccati

 d’etnie e credi,

 infangandosi nel passato

 perché senza futuro.

 

 E’ tranquilla

 la tua coscienza

 Santo Padre?

 

                                                feb.’94


SOLVE COAGULA: dar senso allo scrivere

 

Quest’opera, frutto di squarci folgoranti di un lavorìo carsico che silenzioso scorreva come magma contenuto, per il coagularsi alchemico delle circostanze della vita e delle sue forze interiori è emersa assumendo le forme liberanti di un libro.

Un libro in cui si rivela, a sé e agli altri, una parte del proprio itinerario intellettuale ed esperienziale.

Se quanto sopra assume un senso, non v’è alcun dubbio che in modo limpido e suggestivo si è palesato un dio o un demone che ha risvegliato nella realtà labirintica della psiche, una libido-amor proprio alla perenne ricerca di se stessa.

Amiamo ciò che in quel momento ci manca e ci necessita e nell’epoca della necrosi tecnologica che con i suoi incantamenti massmediatici addormenta/uccide la realtà dell’anima, un’arte artigiana, tipica dell’uomo poietico consapevole della propria ricchezza interiore, è restituita alla pienezza di una energia psichica ritornata a essere soggetto autocosciente. 

Tale soggetto, la libido, intesa da Jung come energia psichica in perenne relazione dinamica con un oggetto coincidente con la sua attività creatrice, è al servizio di chiunque sia disposto a viaggiare con coraggio nel mare del proprio inconscio. 

Data questa condizione il viaggio trasforma, come un vero e proprio rito di iniziazione, colui che accompagna la propria coscienza sul luogo dell’evento tragico dove il dolore può liberare dall’oscura sofferenza della tristezza del vivere e la cognizione  farsi conoscenza.

Nell’epoca della necrosi tecnologica e degli incantamenti massmediatici che addormentano se non uccidono la realtà dell’anima, dunque, si avverte la necessità di ripristinare, alla luce di antichi modelli religiosi e sapienziali, una visione olistica che abbia come fine l’unitarietà dell’uomo.

Ho fame 

   di versi

   antichi,

   di sacralizzare

   certezze,

   …

   Ho sete

   di valori 

   autentici.

 

Simboli anticipatori e dinamici della propria vicenda trasformante, questi potrebbero essere i versi della poesia che alberga in ciascuno di noi.

Nell’analizzare quel caleidoscopio che è la psiche umana, Jung scoprì, in un antico testo ermetico il Rosarium Philosoforum, che l’alchimia, lungi dal costituire un’anticipazione della moderna chimica, è stata in tradizioni religiose diverse, dalla Cina all’India, dal mondo ellenistico all’Islam medievale fino al Rinascimento, una tecnica per perseguire fini di trasformazione spirituale, una tecnica protetta dal segreto esoterico.

Lo scopo alchemico della trasmutazione, ossia della trasformazione dei metalli dal piombo in oro, rappresenta in realtà un viaggio introspettivo, simbolo della possibilità di trasformare il metallo vile della propria esperienza quotidiana nell’oro della riscoperta della propria identità più profonda.

La Libertà esige la presenza dei contrari, la coincidentia oppositorum come in Natura, perché solo in questo modo il viaggio della nostra esistenza un giorno porrà termine alle “avventure della differenza”.

Il viaggio alla ricerca di sé offre all’uomo confuso dai troppi vuoti segnali provenienti dalla società dei simulacri una occasione non comune per compiere l’unico viaggio che veramente conta: la discesa negli inferi della propria psiche.

In ciò è racchiuso il senso e la necessità dello scrivere come una delle possibili espressioni metaforiche del viaggio della propria esistenza trasmutante.

 

Aniello  Milo


Un giorno come tanti

 

Anche stamattina si sciopera e niente scuola

Abbiamo scritto i tazebao e con la colla li abbiamo affissi all’ingresso dell’istituto.

Sono dieci giorni che non si fa scuola e siamo sempre meno alla manifestazione di stamattina.

Alle 9,30 il concentramento di studenti e operai in piazza Primavera tarda a formarsi.

Non possiamo avviarci in corteo, gridando i soliti slogan:

“Operai, studenti uniti nella lotta”

“Scuola, casa, fabbrica e quartiere, la nostra lotta è per il potere”

E, a rincorrersi, a chi la spara più grossa, come quelli delle frange più estremiste che invocano la dittatura del proletariato e intonano “Contessa”.

Non fa freddo, è umida questa giornata d’autunno.

Alla fine si decide che il corteo non parte, siamo in pochi, e di entrare in classe non se ne parla proprio.

Un’altra giornata uguale, inutile come tante altre.

Un gruppo si organizza per una partita a pallone, dandosi appuntamento al campetto.

Qualcuno grida che ci sarà un direttivo stasera, nella sede del Collettivo, per pianificare il volantinaggio l’indomani.

Frettolosamente si annuisce e poi di corsa a giocare a pallone.

E’ una fissa, questa della partita di calcio.

Pare che così ci si dimentica in fretta del compito storico che ci attende: fare la rivoluzione!

Non so quanti sono quelli che ci credono davvero ma periodicamente il gruppo si riunisce per studiare i testi sacri di Marx e Lenin: Il Manifesto, Il Capitale e Che fare? 

Si legge, si discute per ore a forza di “cioè” e “secondo me”

Si ascolta, ammirati, il compagno universitario che li interpreta alla stregua di testi sacri.

“Lottare, studiare per il socialismo” è il motto del gruppo che frequento, il CIPC.

L’acronimo pare imitare il cinguettio degli uccelli ma in effetti, per esteso, suona altisonante ed impegnato: Centro Iniziative Politiche Culturali. 

C’è un po’ di tutto: qualche operaio deluso dal PCI, molti studenti del tecnico, parecchie ragazze figlie di gente venuta dal Nord a lavorare all’Alfa Sud, alcuni di Lotta Continua, lo spiantato con la chitarra, in cerca di erba e occasioni con qualche “compagna”, diversi universitari che portano l’esperienza di lotta da Napoli, Roma e Milano.

Quella sera sono lì, come tante altre volte, e mi annoio da morire.

Sempre la stessa solfa: parole gridate, critiche allo sciovinista di turno e a tutti quelli che non la pensano allo stesso modo di chi sta parlando, in una stanza dove campeggia una nuvola di fumo permanente.

Parole, parole e ancora parole: strategie abbozzate, grandi iniziative abortite, nuove proposte bocciate.

Chiacchiere tante e tutte in libertà; poi la solita colletta per organizzare un pullman per partecipare all’ennesima manifestazione dei metalmeccanici a Roma.

Questa noia esistenziale che si imputa, solo e soltanto, alla società borghese e al sistema, nascondeva anche il non detto, il pensato, il desiderabile. 

In verità, oltre al pallone, quella che si cerca e, per molti non si trova, è la fica.

Anna la dà a Maurizio e la francesina a Manfellotto; le due sorelle friulane a Nino e Sergio. 

E tutti gli altri e le altre stanno lì a far finta di sorridere e a menare il can per l’aia.

Qualche volta si discute di amore libero e amore liberato ma poi… bisogna rientrare compagni!

«Bisogna essere seri!» Urla il leader del gruppo che intanto la donna ce l’ha e se la fotte alla grande.

«Siamo qui per fare la rivoluzione, non per parlare da frustrati piccolo borghesi.

  Accontentatevi di una sega e puntate all’obiettivo: prepararsi per la rivoluzione!»

Intanto anche oggi si è fatto tardi e molti sbuffano perché devono rientrare a casa.

Meno male che ci sono gli Inti Illimani a farci compagnia, stanotte.


copertina romanzo 2

 

 

 

 


 

Recensioni

 

Aniello Milo è al suo secondo romanzo: un gioiellino di meno di 100 pagine che si fa notare per la scrittura tanto veloce quanto ricercata e per la profonda conoscenza dell’anima oltre che della Storia di Napoli. 

La narrazione trae spunto da una vicenda vera e si snoda dagli anni venti del ‘900 fino ad oggi per farsi storia universale tra intrighi, misteri, passioni e delitti. Con un protagonista d’eccezione: Gabriele D’Annunzio a Napoli. (Bruno d’Addezio- Bocar video- Youtube) 

 

“Ho trovato il mistero, la paura, la poesia, l’amore, l’invidia, la verità e il suo peso. La commozione. Tutto in un libro soltanto, che ho amato in una maniera indicibile. Grazie per questo viaggio!” 

(Serena Santorelli –giornalista e scrittrice)

 

“La confessione di Tommaso: Ovvero il Caino napoletano.

La Napoli dei misteri e degli intrighi è lo scenario nel quale Aniello Milo colloca la tenebrosa storia di Francesco e Tommaso, due fratelli. Le fasi della vicenda sono ricostruite dall’autore con il taglio dell’inchiesta giornalistica che si dipana tra descrizioni di sedute massoniche e ricostruzioni di episodi della vita quotidiana che si svolgono nei vari ambienti della città, la zona borghese e quella popolare che Milo ci fa conoscere con dovizia di dettagli e particolari. Il Romanzo si legge con un piacere ed un interesse che suscitano il desiderio di approfondire la conoscenza di ambienti e vicende di cui il Narratore si mostra particolarmente esperto.” (Raffaele Picardi -Fondazione Pinocchio- Collodi)

 

 “Vorrei… vederti…chiamarti…parlarti…accarezzarti…guardardi…baciarti…e ancora… ammirarti… palparti… odorarti…assaporarti…succhiarti…prenderti, in una parola sola: amarti.” Una dichiarazione d’amore, tra le più belle che possano essere state scritte per una donna, quella che Francesco Gaetani, amico di Gabriele D’Annunzio scrive alla sua amata, la contessa Maria d’Algran. E’ una chicca tra le tante del romanzo “La confessione di Tommaso” di Aniello Milo. Maria e Francesco si incontrano e si amano nei luoghi suggestivi della costiera amalfitana, descritti con dovizia di particolari e con maestria quasi da pittore, da parte dello scrittore. Ma, a fare da cornice nera a questo amore, è il ventennio fascista che già manifesta il suo volto più feroce: le leggi razziali, la violenza squadrista, il controllo della polizia segreta con le delazioni, i ricatti, la soppressione degli oppositori politici; il tutto sullo sfondo di una Napoli, che vede l’alternarsi di vicoli bui e squallidi a lussuosi palazzi stile liberty, tra case di appuntamento di alto borgo e postriboli, in cui si consumano piaceri e miseria umana. L’amore è spazzato via dall’orrore di quegli anni. Maria è ebrea e il suo carnefice, Cicciobello, verace camorrista dei quartieri spagnoli, rivale di Francesco, la renderà schiava nel corpo, togliendole dignità, confinandola in una sorta di esilio coercitivo in una casa di prostituzione, che si rivelerà però la sua salvezza, negli anni dei rastrellamenti nazisti e della milizia fascista. A Francesco toccherà altra sorte, preannunciata dalla statuetta di un pastore recapitatagli a casa; una vecchia che recide un filo di lana, la Moira Atropo, che segna la fine della vita. Il romanzo procede veloce ed agile nella scrittura fino al ritrovamento del cadavere di Francesco, ed assume un tono quasi poliziesco, quando mette in moto l’indagine che un giornalista, 50 anni dopo, avvia su quello che fu definito un suicidio. Il giallo che ne viene fuori, però, sbiadisce il suo colore, lasciando intravedere un ben più colorato intreccio, in cui tanti sono i personaggi che si alternano, ognuno dei quali costituisce il tassello di un puzzle, che l’autore brillantemente ha assemblato. Tra i tanti, di certo, spicca la formidabile figura di Gabriele D’Annunzio, uomo di società, con uno stile di vita del tutto eccezionale libero da costrizioni e vincoli, fastoso, raffinato, sensuale, ricco di tensioni erotiche, forte di ideali eroici. Il finale a sorpresa, che chiarisce il titolo, volutamente ambiguo all’origine, segna la conclusione di un romanzo breve ma intenso, pervaso di sentimenti ed emozioni, impreziosito dalla descrizione verista ma anche barocca della nostra splendida Napoli e della costiera amalfitana.” (Giovanna Ferraioli- docente)

“Consiglio di leggere il libro di Aniello Milo: un giallo con sfumature letterarie e ricco di aneddoti. Ambientato durante il periodo fascista con riferimento al soggiorno del grande Gabriele D’Annunzio. 

I dialoghi surreali, che traggono le fondamenta dal periodo storico, fanno del racconto una piacevole e distensiva lettura” ( Eduardo Piccirilli- Presidente IUM-Academy School)

 

“ Carissimo, nel mio primo giorno di ferie ho letto il tuo romanzo tutto d’un fiato. L’ho trovato lineare, fluido, interessante. Complimenti!” (Franco P.- Dirigente d’azienda)

 

“Al pari dei pittori fiamminghi è la descrizione degli arredi e degli ambienti.” (Pasquale Milo-artista)

 

“ Una cosa mi ha colpito tra le altre: la tua minuziosa e certosina descrizione dei dettali del mobilio e degli ambienti delle case. Da vero intenditore!” (Ing. Pietro Fico- Dirigente Ufficio Tecnico- Amalfi)

 

“Caro Aniello, è stato un vero piacere diffondere tra i giovani il tuo bellissimo romanzo. Complimenti!” (Dott. Lucio D’Urso-Segretario Rotary Club Costiera Amalfitana)

 

“Un giallo con tante scene di bellezza sia fisica che interiore. Si descrive una Napoli corrotta in mano a criminali e fascisti infami… L’autore mostra la sua bravura nel descrivere con pagine impareggiabili: la teoria del collo femminile da baciare che è di una eleganza unica. Ma Milo è anche “un narratore del dettaglio”. Gli ornamenti, le suppellettili, sono descritti in modo quasi maniacale, sintomo di una grande conoscenza del settore. Da sottolineare una considerazione non da poco dell’autore, quando scrive che forse noi moderni non stiamo vivendo appieno, perché solo chi ha visto gli orrori della guerra ha sviluppato gli anticorpi per cogliere l’essenza del vissuto”. (Giuseppe Robustelli- scrittore e docente)