Anna Carla Cocco - Racconti

SOGNO DI UN POMERIGGIO DI META’ GENNAIO

L’ombra del sole nello spazio di questo attimo.
Un attimo che sembra interminabile, così vuoto di senso ma così pieno di emozioni fin quasi a scoppiare.
I ragazzi ballano nella piazza gremita. Urla di tamburi nel cielo profondo, un cielo finalmente limpido e terso dopo tanta pioggia, dopo settimane di pesante grigiore. Mi colpisce in particolare una ragazza, un sorriso giovane, nemmeno vent’anni. Il suo corpo si muove al centro del cerchio. E’ magia, è forza, è fremente volontà. I capelli ballano assieme ai seni compressi in una stretta maglia di cotone. Le gambe in movimento raccontano l’inizio di un cammino, di una giovane vita in tumulto.
Balla, è bella.
Gli altri suonano tamburi. Ritmo incalzante, forsennato. C’è energia, elettricità colorata, sintonia di note, armonia di respiri e pulsazioni.
Mi soffermo a parlare con Gino. E’ tanto che non lo vedevo. Ha una luce particolare negli occhi. Piccole rughe che ne intensificano lo sguardo, rendendolo singolare. Lo sguardo di un giovane vecchio; di una vita che ha scovato, cercato, conosciuto altre vite, altre nuove ed insondabili esistenze.
Parla lentamente, guardandomi. Parla convinto. La sua calma infonde un forte senso di accudimento.
Mi sembra di trovarmi lì da un tempo dilatato, lunghissimo. Mi piace questo frastuono, il battito dei tamburi, i grossi seni della ragazza che balla, rigogliosa come una venere di Botticelli. Mi piacciono le ombre che il sole sta tracciando su queste vecchie pietre. Mi piace l’azzurro che dall’alto ci avvolge, ci accarezza sovrastandoci.
Mi piacciono gli occhi di Gino, il suo parlare lento. C’è una piccola ferita rossa sul suo labbro inferiore. Il tocco di una spina. Un’ombra di rosa. Il segno di un bacio troppo lungo, troppo intenso. Fisso quel puntino rosso come ipnotizzata. Mi chiedo che effetto farebbe passarci sopra i polpastrelli, delicatamente, molto delicatamente……accarezzare quella piccola, misteriosa stimmate.
Mi sento come se stessi uscendo dalle sue labbra carnose, fiotto misterioso e vitale, cullata dalle morbide vibrazioni della sua voce.
Mi sento tra le pietre, nelle mani, dentro al cielo, in fondo agli occhi e nel cuore di tutti. Mi sento in superficie, mi accorgo di stare scendendo sempre più in profondità.
Vedo sensazioni.
Sento colori.
Tocco voci.
Ballo. Ascolto. Mi muovo.
Questa magica piazza in festa mi sta portando lontano, verso qualcosa che sto cercando da tempo e che solo ora sento essere davvero qui, presente, in tutta la sua piena concretezza.


EXILE

Sono Jamal e vengo dalla Siria. Da un barcone sovraffollato. A mani vuote, a piedi nudi.
La guerra mi ha portato via tutto: padre, madre, fratelli, casa, la mia lingua, la mia patria, la mia dignità.
Sono Jamal e ho percorso chilometri e chilometri sentendomi miracolato nel riuscire a vedere nonostante tutto, a respirare ancora per un istante e per un altro e un altro ancora a dispetto dell’inferno che ho vissuto e del quale nessun uomo dovrebbe essere testimone.
Mai.
Ho lo stomaco vuoto da giorni, la gola secca, gli occhi senza più lacrime. Eppure, il mio cuore batte imperterrito un inesorabile e testardo ritmo di vita.
Tum. Tu-tum. Tu-tum. Tu-tum.
Sono ferito, sanguino.
Ma le vere ferite, quelle, non le può vedere nessuno. Le conosco solamente io.
Sono Jamal, sospinto e strattonato in un vagone straripante di esseri stanchi, sgualciti. Esseri ai quali è stato negato, chissà per quale motivo, il diritto di essere umani e di avere una condizione umana.
Mi chiamo Jamal e oggi sono arrivato nella vostra terra. Non ho niente da dare, da dire, da offrire, da scambiare. Cerco solo un po’ di pace. Cerco solo di ritrovare una piccolissima, infinitesima parte di quello che ero prima di questa assurda guerra e di questo terrificante esodo.
Non mi chiedi niente. Mi dici solo “Jamal”.
I tuoi occhi non sono cattivi. Le tue mani stringono le mie senza farmi male. Non conosci la mia lingua ma nelle poche sillabe del mio nome che scandisci con voce calma ho ritrovato un pizzico di compassione, un frammento di umanità che pensavo finita per sempre.
Grazie amico.


ZERO DIOTTRIE

Sono una persona in ombra.
Ma cerco la luce, amo la luce e sento la luce anche in modo estremo e violento, fuori e dentro di me. La luce ha miliardi di sfaccettature, di sfumature, di ghirigori che si diffondono in una miriade di direzioni diverse, esplodendo e abbracciando ogni cosa che trovano.
La luce entra anche se non la vuoi.
La luce ti spinge verso la vita. Ogni giorno si accende quella luce pulita e benedetta che fa sentire vivo e che ti ricorda che c’è sempre una speranza.
Sono una persona in ombra. Vorrei che tutti sentissero e amassero la luce così come la amo io. La luce ti investe come l’abbraccio di un amante. Ti riempie, ti conquista, ti possiede, esplodendoti dentro e tu non puoi fare altro che abbandonarti stupito e stordito al suo impeto magico, come in un amplesso favoloso.
Sono una persona in ombra.
Tutti i giorni mi trovo a fare l’amore con la luce.