Anna Fiore - Poesie e Racconti

Luigi “ O pezzaro “

Ad Artina viveva un signore il cui mestiere oggi é esercitato dagli extracomunitari o come li chiamiamo noi ‘ I Marocchini ‘,cioè la vendita porta a porta. Quarant’anni fa non c’era tanto turismo come oggi e la macchine che giravano erano pochissime e ad Artina si poteva vivere tranquillamente, perlomeno dieci mesi all’anno senza essere invasi da macchine e autobus carichi di stranieri come oggi avviene per quasi tutto l’anno. Le novità che arricchivano le casse e i cassettoni per le future spose di Artina erano colmate da questo signore Luigi che portava le “dernier cri” dalla città e, girando per la Costiera, allietava i sogni delle giovanette che erano fidanzate , mostrando lenzuola ricamate, tovaglie damascate, copriletto morbidissimi e camicie da notte ammiccanti di trasparenze e ricche di pizzi o merletti fatti a mano, mentre le mamme si interessavano maggiormente agli scampoli di stoffa per confezionare abiti. Non solo, ma aveva anche mutande, calzini, canottiere, per vecchi e giovani, nonché articoli che venivano commissionati. Mia madre cuciva e ci confezionava abitini e calzoni , cappotti e giacche ed il tutto era fatto con articoli comprati da questo signore un po’ corpulento, dalla parlantina rapida e convincente, con il suo fardello sulle spalle racchiuso in un fazzolettone che, quando veniva sciolto, mostrava tutte le sue ricchezze. Ma a volte, che delusione per noi! O per la poca scelta, o perché l’articolo commissionato non l’aveva portato o non ci piaceva la fantasia o la taglia non era giusta. Allora iniziava una vera battaglia verbale, se così si può dire, perché cercava in ogni modo di rifilartelo e, stimolando con parole astute, risvegliava l’interesse di noi acquirenti, ci faceva a volte comprare anche cose che poi o non servivano o dovevamo metterle pur se troppo larghe o troppo strette…Veniva anche se non gli era stato commissionato niente: era il negozio che veniva da te, piuttosto che andare tu in bottega. Il signor Luigi era una persona allegra e gioviale, il vero commerciante che sapeva convincere le poche acquirenti i cui denari erano rari e già destinati ad altre spese più necessarie per la casa. Eppure quante volte ho visto la mia mamma cedere alle parole persuasive e a volte con un cenno di rimprovero “Avete due ragazze da sposare un giorno e dovete incominciare adesso a preparare il loro corredo. Mica vorrete affrontare tutta la spesa in una volta? Prendete adesso questo e, e se non potete pagare subito, mi date un po’
alla volta e anche qualche numero per il lotto così, se vinco, non me li dovete più dare!“ Già, « O Pezzaro » amava giocare al lotto: una vera malattia la sua. Mia madre fu contagiata anche lei da questo signore che chiedeva e distribuiva numeri della cabala come noccioline e con grande competenza e gioia se poi si riusciva a fare un ambo o un terno al lotto, con lunghe e dibattute disquisizioni sulle persone che avevano vinto oppure non , perché non avevano stupidamente giocato i numeri da lui consigliati . Spesso erano dei numeri che da molto tempo non erano stati estratti su certe ruote come Napoli oppure Cagliari o Firenze. Così mia madre mi mandava sullo stradone del paese dove c’era una piccolissima ricevitoria ed una signora molto competente in cabalistica, perché non c’era nessun avvenimento che non avesse il suo corrispondente preciso numero che lei sparava subito, senza consultare libri o altro, il numero corrispondente, la qual cosa mi affascinava. Quando ero in coda ascoltavo i primi tempi divertita, poi, sempre più curiosa di saperne di più, alle volte facevo giocare tutti prima di me e così imparavo che la paura fa 90, il morto che parla 48, il morto ucciso 62, il morto che minaccia 55, la mosca 79, lo scemo 27, le cosce delle donne 77, Natale 25, l’ubriaco 14, l’ubriaco che canta 25, la prudenza 37, il sangue…, la messa…, il pesce grosso…, la notte ed il giorno ed ancora altri : occhi neri 43, celesti 41, rossi 14, grossi 36, piccoli 35, guerci 87, lacrimanti 85 , ed ancora mangiare salame 3, frutta 5, pesce 7, pizza dolce 11, pizza rustica 8, pane 69, minestra 6, cioccolata 19, carne cotta 15 e così mi sembrava che quella donna continuasse il colloquio iniziato con Luigi . Arrivato il mio turno, mi presentavo con il mio bigliettino con i numeri scritti da mia madre o dallo stesso Luigi e li giocavo su tutte le ruote, così le probabilità di vincita erano superiori, anche se le cifre vinte non sarebbero state elevate. Ci fu un periodo in cui davo due numeri che avevo in testa da giocare a mia madre e lei mi inviava a giocarli e, puntualmente, per diverse settimane, vincemmo delle piccole somme : mi ricordo che per duecento lire su tutte le ruote si vincevano 5000 lire. Alla fine mi meritai come premio un bel vestitino giallo canarino morbido come una piuma, confezionato dalla mia mamma con tanta cura ed amore, ma con un particolare curioso: la stoffa non la commissionò a Luigi e fu comprata in un negozio elegante del paese vicino! Nonostante i sali e scendi di migliaia di scale e i lunghi percorsi fatti a piedi col sole o con la pioggia, la sua corpulenza mostrava un debole per la buona tavola ed un buon bicchiere di vino. Noi bambini lo vedevamo molto alto, grosso o piuttosto panciuto, mal vestito e, sotto la falda dell’eterno cappello che si sollevava o si toccava come gesto di saluto alle signore quando arrivava , aveva una faccia bonaria e sorridente. Il baffetto alla Hitler a volte ci mostrava il balenio, per un attimo, dei brillanti piccoli denti un po’ sporgenti come di coniglio e gli occhi furbi ed attenti sotto i sopraccigli, con qualche ciocca di riccioli ribelli che fuoriuscivano dal cappello a coprire la fronte. Padre di una famigliola di cinque bocche da sfamare era proprio necessario vendere e, se alla fine della giornata ancora non aveva guadagnato abbastanza, doveva girare un po’ di più per guadagnare ancora qualcosa.

 


 

Frihji racconto 2020

Jhjuu era appena arrivato. Sporse un tentacolo, aprì il suo piccolo mezzo volante e scivolò
fuori. Era strano e poco ospitale quel pianeta chiamato nella sua cultura Frihjii.
Avvertiva umido e sentori che non conosceva. Osservò oggetti astrusi e chiarori in lontananza. Rotolò un po’ verso qualcosa che lo aveva colpito: era peloso, ma solo in cima, aveva un rivestimento pallido e quattro tentacoli che si diramavano, ma non uguali. Sotto i peli neri e mossi c’era dalla parte opposta un ovale pallido anch’esso con una piccola protuberanza nel mezzo e due buchi con un globo che a volte si muoveva o spariva. Un terzo foro, più grande, se si dilatava, faceva intravvedere piccoli oggetti bianchi allineati.
Lo osservò muoversi, emanare dei suoni, infilarsi in cose che lo stavano coprendo. Non poté fare nulla per nascondersi. Fu preso e gettato con forza in qualcosa, senza poter fare niente per evitarlo. Jhjuu non sapeva di essere stato preso dall’essere più pericoloso che viveva su quel pianeta…
La sua curiosità lo spinse a rimanere e attendere il seguito. Si sentì sollevare, un piccolo colpo contro qualcosa ed intraprese un viaggio con quella strana creatura.
Non conosceva la paura, né avvertiva pericolo, solo una sensazione di precarietà e non capiva . Dopo un certo tempo che non sapeva quantificare, fu deposto, ma non accadde niente. Ora voleva uscire e mostrarsi per vedere con chi aveva percorso un cammino al buio. Si mosse lentamente mentre avvertiva suoni che non sapeva fossero i passi e un clic che fece trapelare un filo di luce attraverso lo spesso materiale nel quale si trovava prigioniero. avvertì anche un caldo innaturale e piacevole che lo intorpidì e le palpebre scesero a dargli un sonno ristoratore. Aveva viaggiato dal suo pianeta per mega streaps ed ora voleva riposare per ritrovare le forze affievolite, un cropp avrebbe risolto tutto, ma non sapeva come procurarselo, tutto era rimasto nel suo Arical, mezzo di spostamento abitudinario e veloce, solido, molto usato nella sua comunità. Quando riuscì a muoversi, non sentiva più un solo rumore, c’era assieme e alternato con quello dell’essere che lo aveva preso alla sprovvista, il suono piacevole modulato, armonioso, senza però niente di uguale all’altro. Jhjuu non sapeva, non poteva conoscere il suono di un piano che, con un brano di Lucio Dalla, stava allietando la mente dell’essere che l’aveva imprigionato. Così i suoi tentacoli cominciarono a dondolare, seguendo quel suono che lo estasiava e lo spingeva a muoversi senza preoccuparsi delle reazioni che poteva avere quell’essere che ancora non aveva visto nella sua pienezza, ma che non gli procurava nessuna reazione particolare. Sapeva che poteva rendersi invisibile se lo desiderava in una trasposizione che immediatamente lo avrebbe trasferito altrove, lontano, nel caso avvertisse la necessità. Il tonfo che ne conseguì fece sparire quei rumori e Jhjuu rimase immobile, sottosopra. L’oggetto che lo conteneva era rovinosamente caduto, capovolgendosi coi suoi movimenti. Un altro tonfo interruppe il suono che lo aveva rapito. si sentì sollevare e scuotere, la qual cosa gli fece anche piacere e così poté rimettersi dritto, teso a carpire i movimenti dell’altro che non aveva intenzione di liberarlo. Dopo un po’ di tempo, non successe più niente e allora decise di uscire, questa volta spinto dalla voglia di scoprire da dove proveniva quel suono che lo aveva estasiato.
Sapeva che l’essere non poteva vederlo e incominciò ad esplorare l’ambiente dove oramai non c’era più luce. Azionò le sue antenne e si accorse che l’ambiente straripava di oggetti a lui sconosciuti e di cui non conosceva l’uso. Fu attratto da una cosa ingombrante e nera, occupava molto spazio ed era regolare nella forma. Trovò che poi c’era all’interno una lunga fila di rettangoli neri e bianchi e con un tentacolo ne sfiorò uno. Jhjuu sorrise al suono che aveva prodotto e capì che, messi insieme più di quei suoni, avrebbe ottenuto ciò che lo aveva estasiato prima. Con una parte dei suoi tentacoli premeva su quei tasti mentre con gli altri si dimenava quando, all’improvviso, comparve quella strana figura , una grande luce e si voltò a fissarlo meglio. Che essere spregevole! Che espressione stupida e goffa aveva!
Il fatto che fossero tasti che suonavano come impazziti e senza nessuno che li pigiasse aveva lasciato allibito il povero essere che fissava il suo pianoforte suonare come non era mai stato capace di fare! Un brano a quattro mani ma senza le mani…Corse verso la sua borsa e si accorse che era vuota. Con un balzo e con gesti incontrollati cercava di afferrare quel che non vedeva. Jhjuu si lasciava attraversare divertito da strani tentacoli e, senza emettere suoni, ma strimpellando su quei tasti, fece un baccano che spaventò a tal punto l’altro che alla fine, stanco e attonito, si lasciò scivolare su qualcosa nella quale sprofondò a metà. Considerando che non correva alcun rischio, si rese visibile. Allora l’essere assunse ancora di più un’espressione ebete mentre lui si accingeva a sollevare il pianoforte per condurlo sul suo pianeta. Aveva veramente trovato qualcosa di diverso, di speciale, di divertente e piacevole. I suoi Angeers sarebbero stati fieri di lui. Frihjii ancora una volta mostrava di avere qualcosa di speciale che loro non avevano nonostante fossero più evoluti di tutti quegli strani abitanti che si agitavano continuamente. Sentiva però che doveva ringraziare quell’essere per avergli permesso quella scoperta e, con rapidità incredibile, gli fu addosso e lo avvolse nei suoi tentacoli delicatamente mentre l’altro, terrorizzato urlava a squarciagola sicuramente per Jhjuu dei ringraziamenti, pensava fossero manifestazioni di consenso e gioia , così lo lasciò solo dopo un po’ di tempo, dirigendosi con il pianoforte al suo Arical per ritornarsene stavolta veramente contento.
Così la luce del giorno ritrovò il giovane pianista ormai silenzioso ed attonito, non sapendo come spiegarsi quella presenza che da piccola ed informe, si era trasformata in un immenso oggetto metallico che emanava lampi di luce colorati, sibili e scintille, fornito di tentacoli snodati e possenti che erano stati capaci di un abbraccio tenero, forse di ringraziamento, certamente non del tutto gradito. La sera si ritrovò a scrutare un cielo stellato da cui provenivano suoni simili a una suonata a quattro mani…scomposta, ma pur sempre armoniosa nell’incomparabile immensità dell’universo.

 


 

Costiera Amalfitana

Estate
I pomodori stesi al sole ad essiccare colorano i muri delle terrazze di un rosso vivo, alternandosi al verde dei fichi che mostrano il loro miele come tante bocche aperte di ranocchi .
Il profumo delle piante è inebriante : gli oleandri fioriti di un rosa a volte pallido, a volte intenso o bianco decorano le strade e, la sera, il loro profumo si diffonde, mescolandosi agli odori della cucina mediterranea dei ristorantini e delle case dove le massaie cantano spesso a squarciagola e stonate come campane, mentre la radio diffonde le note di qualche vecchia canzone napoletana.
A volte, camminando sotto il sole cocente, le narici sono solleticate da odori selvatici di piante spontanee : le ginestre in fiore tutto l’anno, le piante di fico,
i capperi coi fiori dai delicati colori, il finocchietto, o ancora l’origano o il basilico o la mentuccia.
I suoi vicoli stretti, alti, intrecciati, con scalinate che si inerpicano su, fino a case arroccate ed isolate, aggrappate disperatamente a questa roccia che vuole rimanere selvaggia e che l’uomo addomestica con le sue strane costruzioni a volte tenute insieme quasi per magia. Le cicale friniscono con un continuo brusio di fondo, mentre passerotti e merli implumi cinguettano aspettando il cibo ed i grilli, nascosti nell’erba, rimandano note spensierate. Qualche gatto randagio gode la sua libertà steso al sole su un muro protetto da una barriera di fichi d’india o giocherella con una lucertola malcapitata tra le sue zampette nervose.
E la brezza del pomeriggio agita come bandiere i diversi bucati sciorinati al sole ad asciugare. D’estate i teli neri nei limoneti, stesi come lenzuola funebri d’inverno, vengono arrotolati per lasciare maturare i limoni, al sole cocente che li rende gialli come l’oro e fanno capolino tra le foglie di un verde smagliante.
La bandiera della costiera dovrebbe essere gialla come i limoni, verde come i terrazzi coltivati ad agrumi e azzurra come il cielo ed il mare in cui si riflette.
Gli oliveti, i limoneti e gli aranceti fanno la ricchezza di questo paradiso. Le graziose spiaggette, a volte accessibili solo ai pochi coraggiosi che osano affrontare la discesa di centinaia di scalini, hanno dinanzi uno specchio d’acqua color smeraldo
e dietro una spiaggia immacolata e vergine di sassolini colorati o di rena grigia e fina.
La brezza increspa la superficie del mare e tante piccole onde decorano con gli orli di spuma bianca la sua lastra turchese, come un immenso gioiello incastonato tra queste montagne aspre e scoscese…

 


 

In treno: Losanna – Milano

Il treno sferragliava tra le valli alpine ed i passeggeri, sonnolenti, un po’ storditi, giacevano sui sedili dell’ intercity che unisce la Svizzera alla capitale lombarda.
Il signor Filippo era attraversato da mille ricordi e tante sensazioni che si affollavano, lasciando sfuggire un breve sospiro per i giorni persi e per i giorni a venire colmi di incertezze e di vaghi rammarichi del passato. L’incertezza si supera vivendo pienamente il presente, senza dimenticare il proprio vissuto. La vallata scorreva velocemente ed era di un verde smagliante dopo le piogge dei giorni passati. Il sole illuminava la zona e le cime svettanti delle Alpi senza più un filo di neve, nel mese di giugno che non voleva annunciare l’estate, alternando giornate fredde ed umide ad altre uggiose e piovose per poi diventare torride e invitanti alle lunghe passeggiate. Quel panorama invogliava ad allungarsi su un prato e a farsi baciare dal sole cocente. Le creste irregolari, la vallata ben coltivata con alberi da frutta, dopo le vigne del Lavaux, dolci filari degradanti verso il lago, rapidamente sfilavano e i pensieri volavano al di là delle cime, delle gallerie e dei fiumi .
Sion era bella e già all’orizzonte, mentre verdi frangivento separavano brevi sentieri che annunciavano terre coltivate, terre abitate, terre da pascolo. Quando il treno si fermava in una località, la posizione di tutti i passeggeri variava, si adattava e qualcuno si stizziva o sorrideva, le gambe allungate si ritiravano e l’annuncio dell’arrivo in stazione, faceva svegliare qualcuno che si era appisolato, mentre un altro beveva e la passeggera incinta che cercava un bagno per poter alleggerirsi prima del nuovo percorso che l’avrebbe portata a destinazione, forse al lavoro o a casa. La vita è un continuo salire e scendere dal treno: a volte di corsa, a volte con tristezza, altre con gioia, o pieno di aspettative, a volte con speranza, altre con disperazione e dolore, a volte da soli, altre con amici, altre con la famiglia, altre con colleghi e altre solo in compagnia dei pensieri. Un tempo i treni erano colmi di gente chiassosa, avvolti in nuvole di fumo, o di odori di pietanze regionali che accompagnavano da casa gli emigranti, pronti, con la loro generosità, a far assaggiare le prelibatezze al compagno di viaggio occasionale, alla ragazza ingenua, a chi, forse straniero, ed in viaggio di piacere. Le mani callose, gentili, offrivano con grande piacere quel che la famiglia aveva preparato per far loro compagnia ancora perlomeno durante il percorso sul treno che li avrebbe portati lontano per un po’ di mesi, forse anni.
Oggi ognuno sta al computer, al cellulare, si lavora o si guarda un film, si gioca, si chatta, ma se poi qualcuno vuole un’informazione o vuole parlare un po’, viene guardato con fastidio e si risponde a malapena, senza neanche guardare in faccia l’interlocutore.
Il ritmare della corsa del treno venne interrotto da squilli, musiche o da suoni secchi, martellanti, che annunciavano connessioni con gente lontana che si conosce, che sta a casa o al supermercato, o in macchina. L’urgenza del comunicare sembrava prevalere su tutto, nulla interrompeva il flusso di notizie da ascoltare o raccontare.
Come mai si sarà sopravvissuti prima senza tutta questa tecnologia? Oggi i passeggeri sembrano avere l’arma anti solitudine, quella che ti occupa, che ti fa sentire meno solo, quella che ti incoraggia, che ti spiega, che ti informa e, se proprio non c’è nessuno da contattare, si inizia con i videogiochi. Qualcuno non toglie l’audio per la gioia degli altri passeggeri che devono sopportare le musiche a tutto volume o i rumori ritmati del gioco, o gridolini di gioia se si vince…L’essere umano viaggia, si sposta e vive in più posti le sue diverse realtà, i diversi ruoli e lascia spazio alla scarsa predisposizione a confidarsi con gli altri.
Il paesaggio fuori dai finestrini scorreva come un nastro di un film muto e distese coltivate, allevamenti di animali che pascolavano tranquilli, gruppi di casette o industrie fumanti, casolari isolati e tralicci della luce, qualche chalet arroccato sulle montagne ed il fischio del treno che annunciava il suo passaggio, sotto la pioggia sferzante o sotto un sole splendente, a volte immersi nella nebbia o sommersi dal candore della neve e il suo silente manto elegante che illuminava e abbagliava, rendendo i passeggeri per un attimo ciechi…

 


 

Il vagabondo

Scarpe vecchie,
curvato sotto un abito liso,
avanza il passato con passi lenti,
grevi di fatica
e il suo viaggio continua.
A volte si ferma,
particolari momenti ricompaiono
e un guizzo improvviso
di vitalità riaffiora.
Riprende più spedito,
un sorriso rinasce
mentre si avvia
verso l’incognito del vivere
immediato, ma sempre più curvo e
più stanco.
Un prato fiorito e alberi secolari che
sussurrano storie ormai ben radicate,
e una pausa nel presente, quasi fosse
reale.
La sosta necessaria.
La fatica dell’avanzare
si affievolisce
ma il ricordo del mare si fa spazio,
opprime e, rumorosamente,
in tempesta, appare.
Il cuore smette di battere,
poi il ritmo vitale riprende,
piano piano, mentre gli occhi
si affossano, offuscati da lapilli fatti
di lacrime che scacciano tutto quello
che ormai è lontano

 


 

 

Confinamento covid 2020

Desiderare un abbraccio,
una stretta sincera di mano,
un bacio filiale,
un sorriso rassicurante,
un volto amato,
un passo affiancato,
una luce birichina
negli occhi di un bambino,
una persona confidente,
magia di un amore continuo…
oramai tanti ricordi pieni
di sensazioni passate e perse
che riaffiorano
negli attimi insostenibili
di uno slancio tarpato,
recluso in fretta,
respinto con forza e dolore,
ed agisci nel modo
mai desiderato,
mai immaginato.
La paura soffoca
i gesti spontanei
che diventano minacce,
che si raffreddano
al pensiero di essere
un pericolo, un ostacolo
proprio per chi si ama,
si apprezza.
Un sorriso triste ed amaro,
disperato compare negli occhi
e sostituisce il gesto sincero,
bloccato dall’impotenza,
in contraddizione con l’amore stesso
che lo aveva suscitato,
con la gioia repressa
e forzatamente respinta.
Un contatto immaginato,
una gioiosa stretta di mano,
uno sfiorare di labbra affettuose,
una lieve carezza
diventa una stilettata improvvisa nel cuore
che ti piega e ti opprime.
Il perché non lo sai,
non lo capisci,
non lo vuoi capire,
ma ti pieghi,
sottostando alla legge
della sopravvivenza,
con la vana speranza
che tutto un giorno diventi
un orribile ricordo,
lontano e irripetibile.
Intanto, se ami, oggi soffri.
Mancano anche le parole,
quelle giuste,
quelle sincere,
quelle che arrivano dentro,
quelle che creano disordine,
quelle che colmano i vuoti,
quelle che irradiano calore
quelle che aiutano e accompagnano
i nostri cari nello sconforto,
nella paura e solitudine
dell’angosciosa conoscenza
dell’essere condannato
alla reclusione del tuo spirito,
non solo del tuo corpo.

 


 

Scrivere

A momenti parole pesanti
come lapilli lanciati
sul foglio immacolato
e prendono significato.
A volte sono leggere,
svolazzano folli
e lasciano scie colorate,
raramente si allineano regolari,
obbedienti alla mano
che imbratta quel bianco.
Poi ci sono quelle calde,
sentite e poco chiare
che si sfaldano e si ricompongono
con grande fatica.
Intanto le parole ci provano,
tentano invano
di essere fuorvianti,
ma non resistono e cadono,
sporcando di nero
le pagine bianche
che prendono il volo
al minimo soffio
di un’aria primaverile.
Lasciano bordi, giardini fantastici
e viali, fontane, il tutto coperto
di un’ombra che lieve lo avvolge
lo anima, lo irradia
con una tinta umana
di una natura all’alba,
con umidi sentori di selvatico
e con la nascita di procaci germogli
di vitalità invernale ancora sopita.

 


 

Amore finito, infinito

Vivere una vita mutilata,
una metà che non ha mai cercato l’altra metà,
sapendo di averla abbandonata e con coscienza di farlo.
Peccato, uomo,
peccato che tu non abbia mai
veramente creduto in noi,
noi come due esseri ma uniti,
né allora, né ora.
Eppure sarebbe bastato poco.
Siamo due metà, incomplete, separate,
ora insieme, ma senza speranza.
Il tempo non unisce,
ma separa sempre di più,
il silenzio anche.
Le cose importanti scandiscono note
che non riescono a diventare musica.
La melodia non penetra nel cuore attonito
e forse spaventato.
E si vorrebbe scrivere una lettera ad un amore mai finito
e che forse finirà solo con la morte.
Al momento la morte c’è, ma nel cuore.

 


 

Estate

L’odore dell’asfalto cocente,
il caldo impalpabile che ti avvolge
e lo avverti dai piedi alla testa…
Sole che batte su un corpo
perduto che, passo dopo passo,
avanza titubante nel vuoto.
Il calore avvolge le cose,
creando una foschia di luce
e di ombre corte.
Un orologio lontano batte dei colpi,
ed il suo tempo scandito
regola i tuoi passi
verso una meta lontana,
immaginata, ma come imminente.
Lo sguardo scruta l’orizzonte
che non si avvicina
mentre tu ti allontani
spedita e decisa
alla ricerca del sogno
abbandonato alle spalle,
credendo ed immaginando
che sia proiettato in avanti.
E passo dopo passo
l’incertezza ti prende,
l’inquietudine ti assale
e ti volgi a guardare
la tua ombra deforme, corta,
poco chiara: un ammasso grigio
che, posato sull’asfalto brillante,
si spegne con la tua voglia
di avanzare, di continuare
a sognare.
Giornata perduta,
calda, soleggiata
mentre tu brancoli nel buio
di pensieri che ora non sanno più
riconoscerti, non vedono più
un orizzonte vicino,
solo il vuoto dei dintorni spogli.
glabri e indefiniti fuori e dentro.
Come il gelo bollente
di una stilettata nel petto,
nel lento fuoriuscire
di un caldo flusso
di sangue inarrestabile
che va via insieme alla tua vita,
così ti spegni, lentamente,
in un’agonia prolungata,
mentre tutto si confonde
e gli occhi non guardano,
né vedono il nulla
che incombe già e ti prende.

 


 

Il mare ed io

Le labbra bianche
di un’onda sbarazzina
ti baciano
mentre t’immergi
con tutto il tuo essere
nell’inconsistenza
vaporosa e leggera
di quel momento
fuggevole di un tuffo
nella vitalità
del moto continuo
e frastornante,
sotto un sole luminoso
e bollente, contrastante
con la fresca sensazione
avvolgente di quella bocca
bianca spumeggiante
inebriante di vitalità
che ti avvolge e sopprime
ogni tuo dubbio e incertezze
e ti annulli nell’assaporare
quel momento.

 


 

Raccolta  Pensieri autunnali

 

Pioggia

 

Scrigno di perle rovesciato,

gocciole di vita rotolanti

E tu cerchi, invano cerchi

di afferrarle.

Sono belle, lisce, opache

e corri, corri

giù per il sentiero

già designato, già scavato

da corse di altri.

Ma corri forte, più forte

Sempre più giù.

E dinanzi a te le perle

si confondono con le lacrime.

Ma corricorri


 

Invecchiare

 

Attraversare in silenzio la vita,

in punta di piedi,

senza lasciare orme

nel terreno incolto del futuro.

Il pensiero dellanima

si mimetizza e si adegua

al terreno che trova,

al sentiero appena accennato

di unidea, di un sentimento,

di un amore.

E sempre in punta di piedi

le cose si definiscono

ed attraversano i corpi

dellessere umano.

A volte senza lasciare segni, 

a volte senza intaccare il cuore,

a volte ferendo profondamente,

a volte lasciando un sorriso,

a volte suscitando un ghigno,

o semplicemente un torrente di lacrime.

Solchi indelebili si disegnano

sulle giovani pelli,

sui giovani volti.

Gli occhio scrutano

nel cielo,

una profondità infinita

che forse non c’è,

un perché che non ha risposta,

che non colora il futuro

ma lo scinde,

mentre mille scintille

illuminano per un secondo

e poi sfumano, allontanandosi.               


 

Quando stancamente

 

quando stancamente, allentando la folle corsa,

ti accorgi che tutto è invecchiato,

che tutto è ferraglia,

che poco ricordi,

che ami te stessa,

che fuggi lontano

allora smetti di correre.

Ti fermi di colpo e sorridi beffarda,

sperando che resti e diventi serena

ma un ghigno improvviso di maschera tesa,

sul volto sbracato di colpo ti pesa.

Lo specchio rimanda unimmagine folle, 

di donna svanita, di corpi danzanti,

di cose passate, di foglie appassite,

di passi autunnali, di allegre risate che risuonano

e poi vanno in pace.

Passano tante cose,

passano danzando i volti,

amando e sognando,

soffrono e vivono lieti.

Amaro il momento improvviso

che ti strappa dal cuore un brandello

e ti accorgi che era importante,

e ti accorgi che cerchi solo un sorriso.

Un pensiero ti basta

ed è la gioia dei tuoi figli.

Poi tintriga uno sguardo furtivo

Una risata soffocata, un cipiglio ironico

Nella carezza della dolce sera,

ti rassicura il sonno della notte

che prima o poi arriverà con passo fermo

e, senza fronzoli, lentamente ti guiderà.


 

Vi lascio un ricordo

 

A tutti quegli abbracci non dati,

ad una mano tesa non afferrata,

ai baci non assaporati,

ai tristi ricordi abbandonati o rifiutati,

ai segni che hanno lasciato le persone,

agli attimi di gioia,

al candido ti voglio,

ad uno sguardo tenero,

ad unocchiata passionale,

ad un corpo ondeggiante ed ammiccante,

ecco,vi lascio un ricordo.

Trovategli un posto ascoso

e fatelo riposare.

Riaffiorerà solo se ne avvertirete il bisogno.


 

Imparerai

 

Imparerai che tutto dipende da te,

capirai che quello che vuoi non c’è,

così impariamo sempre.

Quel che provi è relativo,

è dipendente non da come sei,

ma da come sono gli altri

che lasciano il loro segno

indelebile,

forse dimenticato,

ma fisso lì, nellanima.

E ognuno ha il suo bagaglio

che forma le sfumature

incomprensibili della personalità,

delle azioni che fanno le  persone

che ti circondano

e che lasciano segni importanti,

 a volte piaghe

che riappaiono

nella memoria

e bruciano come se presenti.

Imparerai che il dolore

forma, incide e segna

quello che ora sei,

quello che forse non sarai mai.

Imparerai che la felicità

è fatta di attimi,

di pezzi dellanima

che si libera e

si libra nellessere che sei,

che sarai.

E non c’è delusione,

non c’è dedizione,

non c’è sentimento, non c’è cuore.

Resta solo quello che sei

nel presente,

in continua mutazione,

sempre più piegato

dal peso della tua vita

e sarai unico, immutabile,

inattaccabile,

dopo la metamorfosi

che il tempo ha deciso.

Quando le rughe ed i segni

mostreranno che il tempo è passato,

arriverà la pace piano piano 

e si fermerà con discrezione,

come un soffio leggero ,

invisibile, intangibile e fugace.


 

Nuda

 

Tutta agghindata,

la giovinezza avanza

vestita di luce e di speranza,

con eleganza ed a volte 

arroganza.

La timidezza sparisce 

e la maschera appare.

Con gli anni, il costume di scena

pezzo dopo pezzo si scompone,

e sparisce.

Quasi fosse metallo, inesorabilmente

lascia ferite sul corpo e nellanima

che si denudano, esponendo

il dolore, a volte curandolo,

 a volte rimarginandolo, 

spesso mostrandolo,

cimelio di battaglie perse.

Ogni tanto qualche accessorio

ci risparmia

e i bei momenti restano dentro,

protetti.

Poi lequilibrio arriva,

con la maturità,

ed anche leleganza

è una conferma

di pace con se stessi,

accettando tutto il passato.

Lintimo affiora,

si lascia cullare,

finché non sparisce quasi

e resta poco a coprire un nudo

difficile, rugoso, sbiadito,

in un corpo disfatto, ferito, informe

che offende un riflesso fugace.

Allora gli occhi, stanchi,

desiderano solo chiudersi

e immaginare più che vedere.

Finalmente nuda, provata e 

stanca, lanima cede e cerca la pace.

Una tremula luce illumina

quel che resta e accompagna 

nellultimo cammino

il nudo dellanima che avanza

sola e decisa verso un mondo

che ora ha voglia di attraversare.


 

Attesa

 

La rugiada del mattino,                           

la forza della natura,

il soffio di vento,

la tempesta notturna,

il ruggito del mare, 

un cielo sereno,

una nuvola solitaria,

il volo di una rondine,

e tu.

Tu che lasci una mano,

tu che saluti un amico,

tu che sorridi dolcemente,

tu che abbassi gli occhi, 

tu che piangi nel cuore,

tu che speri ancora,

tu che ricordi lamore,

tu che mi sorridi e mi guardi,

tu che non parli

ed io che non voglio ascoltare.


 

Alba

 

Ecco appare un nuovo giorno,

e ieri è già un ricordo.

Trini dellimmaginario si stendono

su terrazzi arroccati e soleggiati,

mentre lussureggianti foreste

sussurrano al lento risveglio

mattutino il loro saluto.

Nella luce infuocata di unalba,

ferma nella sua bellezza 

avvolgente e solitaria,

il futuro arriva e il tempo scorre,

scandito dai battiti sicuri

e regolari del nostro vivere.


 

da :  IL PAESE CHE NON SORRIDEVA PIÙ                                 

 

Artina era un piccolo paese situato sul mare. Grazioso come pochi, baciato dal sole, amato dai suoi abitanti e vezzeggiato dalle onde spumose che accarezzavano la piccola spiaggia di sassolini brillanti come pietre preziose colorate. Sì, in verità era proprio un gioiellino su quella costiera un poselvaggia e solitaria, dove il colore predominante era il verde lussureggiante dei limoneti e degli aranceti disposti a terrazzi a picco sul mare smeraldo.

 La gente vi viveva felice del poco a disposizione e, come una grande famiglia, si sapeva tutto di tutti. Come  in molte grandi famiglie spesso si litigava, si gridava, si odiava ma, alla fine, con la pace, si rideva di se stessi e si scherzava allegramente tutti insieme.

I bambini si conoscevano tutti e, distribuiti in bande, per strada e sulla spiaggia, giocavano  fino al calar del sole, quando le mamme venivano a cercarli e approfittavano anche loro un poper chiacchierare  e poi andare a preparare la cena ai mariti che rientravano dal lavoro. Cera gioia nel cicalio continuo : il fruscio del ruscello, il canto degli uccelli,  una  radio in sordina, il ronfare del mare, labbaiare di un cane, il miagolio insistente di randagi, le risate di bambini, il calpestio degli zoccoli ritmato dal passo allegro di giovani canterini e il tutto sottolineato dai diversi odori nelle diverse stagioni.

Nelle strade strette e anguste, con scalini da salire e poi scendere, cera poco da ingrassare  e la gioventù si preoccupava   solo della propria amorosa che, obbligata ad uscire in compagnia delle amiche, spesso rimaneva segregata in casa quando pioveva o faceva freddo. Come dicevo prima, Artina era un paese dove  il più delle volte si rideva e, se proprio non si poteva o non si doveva, allora si sorrideva.

Merito del sole? Merito della lucentezza del mare? Merito dei colori della natura ? Oppure merito  dei ritmi della vita più lenti ? Questo proprio non so dirlo. Oggi  so solo che  non é più così


 

Michele

 

30 marzo 2015                               Anna Fiore

 

Capitolo 1

Quel giorno capì che tutto sarebbe cambiato e la cosa non lo sorprese, anzi gli procurò una fitta di piacere che lo fece sorridere. Era così raro che provasse dei sentimenti!

A labbra strette provò a dirsi che la sua vita stava per iniziare proprio in quel preciso istante.

Respirò profondamente e avanzò  nella folla con passi agili e dinamici. Tutti sembravano scostarsi, fargli spazio, per consentirgli di avanzare ancora più speditamente.

Era alto, un pocurvo nelle spalle, un inizio di calvizie evidenziava il colore dei suoi capelli biondo chiaro.

Gli occhi grandi ed espressivi sbirciavano ogni tanto quella valigetta un poparticolare, di legno dulivo che sembrava contenere un segreto piacere e che portava, facendo molta attenzione, proprio quel giorno.

 Lespressione ferma, un sorriso accennato e guance ben rasate, Michele emanava onde di positività, dovute probabilmente allesperienza degli anni. Piano piano si stava rendendo conto che solo ora incominciava a vivere veramente.

Assaporava nei minimi dettagli tutto quello che era capace di dire o fare e si sentiva fiero, ma anche, a volte, critico nei confronti degli altri che gli sembravano dei pivelli ignoranti, incapaci e superficiali.

Lui, Michele, era lunico essere vivente che da anziano stava diventando giovane e la sua esperienza acquisita ora gli dava modo di esprimere appieno la sua personalità.

La vigoria del suo corpo non più raggrinzito, martoriato da dolori, debole, sempre stanco, la bruttezza dei lineamenti sciupati e appesantiti da rughe amare  e insostenibili. Pensava che sarebbe veramente stato un giorno memorabile e quel giorno era appena iniziato. A settantanni era ringiovanito di cinquanta e una nuova energia fluiva nel suo corpo, dandogli vitalità e piacere nel muoversi, nel fare quel che prima non riusciva per i dolori che non gli davano neanche piacere a svegliarsi a ogni nuovo giorno.

Lentamente i suoi capelli da canuti si erano colorati e le sue rughe si erano stirate al punto che ora la sua pelle liscia gli procurava un piacevole sguardo allo specchio.

Sì, pensava, non male come esperienza, tutti dovranno farla. La vita è particolarmente strana: quando si è invecchiati si diventa fragili, curiosamente simili ai neonati, vulnerabili e bisognosi di assistenza.

 

Capitolo 2

Con il tempo nella società del 2070 era nata la necessità di trovare un mezzo per evitare ai giovani la perdita di tempo trascorso ad assistere le persone invecchiate e bisognose, senza tenere conto del costo a carico dei cittadini attivi: spese sanitarie, assistenziali, pensioni, medicinali.

Qualcuno aveva fatto studi e ricerche e i risultati si vedevano con lui, Michele, giovane settantenne prestatosi allesperimento. E che piacevole esperimento!

Pensava mentre si affrettava a raggiungere la clinica dove lo aspettavano impazienti ed emozionati coloro che avevano riposto le speranze in lui.

Leterna giovinezza, limmortalità, laitanza fisica del giovane e la maturità ed esperienza dellanziano, insieme, per una società molto più evoluta e di successo. La morte? Non più uno spauracchio, ma un sereno riposo dopo una vita di attività frenetiche e soddisfacenti. Il sogno dellumanità si stava avverando, un nuovo orizzonte si spalancava limpido e senza nuvole

riflettere nemmeno un secondo. A che cosa poteva servire la sua strana valigetta che volevano a tutti i costi i suoi ricercatori?

Una volta Michele aveva provato ad aprirla, ma non aveva trovato nulla che potesse  assomigliare  ad una chiusura di valigia, pareti lisce, senza toppa per una chiave, sembrava un blocco rettangolare senza aperture, né aveva qualcosa che desse lidea di una cerniera.

Dopo non ci aveva più pensato e laveva lasciata sopra lo scaffale nella sua camera da letto.

Il sole splendeva alto nel cielo e il lungo viale alberato mostrava orgoglioso i giovani teneri germogli di foglioline di un verde smagliante.

Era quasi arrivato. I vari palazzi, grigi, variegati, costruiti da pochi anni, erano quasi anomali, niente lasciava trapelare che fossero abitati.

Eccolo, cera quasi. Lo strano tetto luccicante sotto i raggi del sole con quella argentea brillante cupola apribile che lasciava fuoriuscire solo le cime di strabilianti alberi, di foglie lussureggianti dalla grandezza abnorme che erano situati allinterno.