Si dice di te Roma
Si dice di te Roma,
delle tue cime in mezzo al Tevere,
di quando sei nata
nei tuoi villaggi cinti dai tronchi.
Osservo le tue acque baciarsi
vicino alla barca antica, l’isola Tiberina.
Mi affaccio sulla terrazza del Vittoriano,
che meraviglia sei Roma!
Quanto son tua,
non potevo che voler nascere qui da te.
Qu dove sui marmi passeggiavano i sacerdoti
per Giove, Giunone e Minerva
fra fiaccole, bracieri e doni dei reggenti.
Si dice di te Roma,
dei tuoi scambi su cui costruisti il tuo Impero.
Questa mattina presto,
nel primo giorno di maggio,
mi trovavo tra battiti di mani,
tra un milione e mezzo di persone,
tutti a sollevar lo sguardo allo schermo
nella città del Vaticano, città della tua città.
Emozioni in gocce di lacrime
tra un velo che solleva un volto tanto amato,
Giovanni Paolo II Beato si proclama.
Anche il Colosseo lo ha aspettato,
tra i suoi archi stanchi, dal tempo sbriciolati,
tra i suoi spettatori passati,
tra i suoi uomini disposti alla morte,
tra le sue belve affamate,
tra quella speranza di libertà.
Ora si avvolge in preghiera
ed eleva al cielo anche la sua.
Si dice di te Roma,
di te, Roma città eterna.
Primo giorno d’inverno
Con sicurezza ti annunci.
Ti accolgo arrendendomi.
Tra vento, pioggia e foglie secche
cammino con stivali ai piedi
ed ombrello stretto tra i guanti.
Lascio il mio sguardo
a quelle cime spolverizzate di bianco.
Ti dimentico però,
primo giorno d’inverno,
varcando la soglia di casa mia.
In una soffice e cremosa
cioccolata calda mi avvolgo.
Ti festeggio così
primo giorno d’inverno.
Stupendo arcobaleno
Il duemiladiciotto è al suo quarto giorno.
All’infrangersi dei raggi del sole delle nove del mattino,
sulle gocce lasciate dalla timida pioggia notturna
la meraviglia di sette magici archi all’improvviso appare.
In essi battiti di cuori, succhi d’aranci,
petali di girasoli, fili d’erba,
onde di mare, spazi infiniti e profumi di viole
s’innalzano tra cielo e terra.
Stupendo arcobaleno.
unisco la mia emozione prima che il tuo splendore,
in questa mattinata invernale che tenta di aprirsi al sole,
si dissolvi in un attimo.
Voglio tenerti con me.
Riaprirti poi tra mie nuove gocce di lacrime
per innalzarti ancora dal mio cuore
tra cielo e terra così come sei.
Stupendo arcobaleno.
Lucciole di maggio
Magico maggio,
legata a te sono nel mio primo respiro.
Sono arrivate, mi dicono.
Aspetto il sole scendere all’orizzonte.
Caldi sono i suoi colori.
Voglio perdermi
in scintille vagabonde.
Porto i miei passi tra il cielo senza la luna,
nel profumo dei campi di granoturco.
Poggiatevi su di me.
Non temete, dolcemente vi soffio poi via.
Lacrime di stelle altro non siete.
Nell’emozione di baciare la terra brillate.
Ora lasciatemi innalzare
i miei respiri insieme ai vostri
lucciole di maggio.
Splendida farfalla
Leggerezza in attimi senza fine.
Cusode di metamorfosi di vita.
Ali velate in scaglie di colori,
tinte uniche, unico il tuo amore.
Come un mio dito, immergi la tua zampina
per scegliere il nettare di cui nutrirti.
Poggi il tuo riposo sui petali del fiore
spruzzandoti addosso il suo profumo.
Nella minuscola pozzanghera
di rugiada ti disseti.
Solo baci del sole vuoi,
troppo delicata
per lasciarti bagnare dalla pioggia,
troppo leggera
per lasciarti irrigidire dal freddo.
Di protezione hai bisogno,
eccoti nascosta tra i tronchi accatastati,
tra i mattoni un pò bucati.
In un soffio di vento di felicità
ti accolgo quando ti vedo,
splendida farfalla.
Mare
Mare, acqua salata tra le mani,
sabbia vellutata, sabbia bagnata,
gabbiani sopra di te, sopra di me.
Brezza tra i capelli,
calore che mi accarezza,
onde schiumate ai piedi.
Mare, in te ci si immerge,
su di te si galleggia.
Cielo di altre stelle,
le tue, quelle marine.
Luci di coralli
tra passanti dalle pinne colorate.
Poi ancora musica,
cantata dai tuoi delfini, dalle tue balene.
Mare, vita per questa terra,
lasciapassare di speranza,
morte per chi non ce la fa.
Mare, blu di giorno quando il sole ti bacia,
nero, di notte quando la luna non c’è,
grigio, quando di tempesta vesti le tue onde.
Mare, non so perchè t’amo così tanto.
Mare, so solo che t’amo e basta.
Amici speciali
Amici speciali,
quelli che cerchi, che adotti,
a cui apri la porta per non farli più uscire.
Cindy giocosa yorkshire,
con la spalla il pallone spostavi,
lo rincorrevi su spazi di libertà
nella tua infinita felicità.
Sissy tua figlia,
di simpatia riempiva le giornate,
con i suoi legnetti lanciati
quanti sorrisi strappava a chi l’osservava.
Minou nero micetto di pura dolcezza,
come un bimbo eri costretto a gattonare
su quelle zampine posteriori bloccate.
Accostavi il tuo musetto sui miei piedi
per lasciarti sollevare.
Abbondonato in delicate carezze,
dai tuoi occhi verde smeraldo,
lasciavi svelare tutta la tua intesa d’amore
per spostarla dalla tua anima
direttamente alla mia.
Ora non li ho più ma ci sei tu Sissy.
Incrocio di breton,
incrocio di passate emozioni.
Ti ho aperto la porta per non farti più uscire
amica mia, amica come loro,
amici speciali.
In una scia Lucente
Ogni destino occupa il suo spazio,
proprio come una stella.
Al mio sole ed al tuo la distanza non piaceva.
Miliardi di kilometri eran troppi.
Per questo ci spostammo,
in una scia Lucente
come lo è il tuo cognome,
nei mie quindicianni, nei tuoi diciannove,
nel tredicesimo giorno di luglio,
nel mille novecento settanta sette.
In una scia Lucente
come lo è il tuo cognome
restiamo uniti ancora adesso,
chissà domani, chissà per sempre.
Ogni destino occupa il suo spazio,
proprio come una stella.
Il mio per ora è accanto al tuo.
Devi stare solo ferma
Devi stare solo ferma.
Mi butta a terra, mi rialzo ma mi riprende.
Mi ributta giu’ continuando a dirmi…
Devi stare solo ferma.
Una mano dietro la schiena e l’altra davanti bloccata.
Sta succedendo proprio a me.
Non ce la faccio a togliermelo di dosso,
il suo peso mi schiaccia.
Non dimentico nemmeno i miei attacchi di panico,
nell’angoscia di silenzi
scanditi da battiti di ciglia bagnati.
Devi stare solo ferma.
Mi sono liberata dalle sue catene
nel mio coraggio di giustizia verso me stessa.
Ricomincio, si ricomincio.
Voglio che l’essenza d’amore della mia anima
vibri tra le ali di una splendida creatura.
Non più dolorosi silenzi ma
dolci carezze e parole sussurrate.
Questa volta mi dicono…
Voglio stare ancora con te.
Il lamione sotto la chiazzodda
Ti trovavi lì, sulla Terra Grassa,
la terra che s’innalza ancora
tra i verdi campi del Bradano e del Basento.
Di anni settanta si spennellavano le case
ma tu lamione sotto la chiazzodda,
sotto quella piazza antica,
scendevi giù,
ti scorgevi in quella soglia.
Due metri e mezzo per uno e venti.
Dai vetri in alto poggiavi
il tuo consenso ai raggi del sole.
Importante ti sentivi
per quel cuore ed una capanna,
per quell’unica stanza,
per i miei nonni paterni,
per Vito e Giovanna.
Di lamia il loro cielo,
di mattoncini rossi le loro stelle.
Semplice sfiorarlo,
qualche gradino in legno
un’altra stanza soppalcata
un cielo di passione,
un’altra giornata appena iniziata.
Il venerdi salutava
il passato lunedì dell’Angelo.
Quasi dieci anni,
quasi primavera,
piccola donna che avanzava.
Già nell’indomani,
nel saluto di mio padre per Torino,
nella sua partenza,
nella sua linea di pezzi per auto,
nel suo futuro migliore,
nella sua speranza,
per lui, per la sua famiglia.
Nel bar della via Meridionale
sempre lì a Grassano,
stesso viaggio per vita e lavoro.
Occhi cerulei di mio padre Mimì,
occhi verde nocciola di mia madre Teresa,
complice accordo.
Impossibile stare distanti,
cedere lo si doveva.
Antonio i tavoli riordinava.
Occhi azzurri come il mare,
occhi dolci per una nipote,
lutto chiuso in un Amore eterno,
l’ultimo viaggio di mia nonna Caterina,
un nuovoAmore per lui, per noi.
Dita sinistre sul tasto del flipper,
dita più piccine delle mie.
Vito lasciava fiondare una pallina,
mio fratello in un nuovo record,
in una sfida a coppia
s’intrecciava.
Il lamione mi chiamava,
quattro del pomeriggio
si erano fatti già.
Nonna sono io, spingendo l’uscio.
Alchimia!
Panni ritirati al profumo di marsiglia,
mele cotte al vino e cannella,
finocchietti sbollentati,
sospiri dai sensi all’anima.
Hei Pompea, mia nonna
asciugandosi le mani sul grambiule,
Tutto in quel nome.
Quattro fratelli spenti venendo al mondo,
quel significato di quinto figlio,
il viaggio di mia madre verso Roma.
La promessa alla Madonna di Pompei
nel suo settimo mese di gravidanza,
la gioia di una figlia tra le braccia.
A destra dell’entrata il camino,
da poco fiocchettante,
mi donava il suo benvenuto.
M’invitava ad osservarlo
dal letto a due di fronte a lui.
Già rideva del mio solleticarmi
su quel materasso,
complice così com’era
delle stesse foglie di mais che l’imbottivano.
Seduto, con la schiena ormai china,
nonno Vito al centro del lamione
la grata del pozzo sollevava,
nel suo rito ansiosa aspettavo.
Dalla cordicella l’anfora saliva,
poi nel bicchiere in terracotta
la sua fresca acqua mi versava,
ignaro che solo nel suo affetto mi dissetavo.
I passi di mio padre erano giunti
a riprendermi per la cena,
a riavvolgersi nel saluto
di un genitore ai suoi genitori.
Spazio a lui ora toccava.
Così a cercare l’anziana tartaruga,
sotto le ceneri spente del camino,
iniziavo il mio gioco a nascondino
in quell’unica stanza,
in quel cuore ed una capanna,
lì, nella terra che s’innalza ancora
tra i verdi campi del Bradano e del Basento
lì, nel lamione sotto la chiazzodda.