Anna Pompea Caputo - Poesie

Si dice di te Roma 

                 

Si dice di te Roma,

delle tue cime in mezzo al Tevere,

di quando sei nata

nei tuoi villaggi cinti dai tronchi.

Osservo le tue acque baciarsi

vicino alla barca antica, l’isola Tiberina.

Mi affaccio sulla terrazza del Vittoriano,

che meraviglia sei Roma!

Quanto son tua,

non potevo che voler nascere qui da te.

Qu dove sui marmi passeggiavano i sacerdoti

per Giove, Giunone e Minerva

fra fiaccole, bracieri e doni dei reggenti.

Si dice di te Roma,

dei tuoi scambi su cui costruisti il tuo Impero.

Questa mattina presto,

nel primo giorno di maggio,

mi trovavo tra battiti di mani,

tra un milione e mezzo di persone,

tutti a sollevar lo sguardo allo schermo

nella città del Vaticano, città della tua città.

Emozioni in gocce di lacrime

tra un velo che solleva un volto tanto amato,

Giovanni Paolo II Beato si proclama.

Anche il Colosseo lo ha aspettato,

tra i suoi archi stanchi, dal tempo sbriciolati,

tra i suoi spettatori passati,

tra i suoi uomini disposti alla morte,

tra le sue belve affamate,

tra quella speranza di libertà.

Ora si avvolge in preghiera

ed eleva al cielo anche la sua.

Si dice di te Roma,

di te, Roma città eterna.


Primo giorno d’inverno 

 

Con sicurezza ti annunci.

Ti accolgo arrendendomi.

Tra vento, pioggia e foglie secche

cammino con stivali ai piedi

ed ombrello stretto tra i guanti.

Lascio il mio sguardo

a quelle cime spolverizzate di bianco.

Ti dimentico però,

primo giorno d’inverno,

varcando la soglia di casa mia.

In una soffice e cremosa

cioccolata calda mi avvolgo.

Ti festeggio così

primo giorno d’inverno.


Stupendo arcobaleno 

 

Il duemiladiciotto è al suo quarto giorno.

All’infrangersi dei raggi del sole delle nove del mattino,

sulle gocce lasciate dalla timida pioggia notturna

la meraviglia di sette magici archi all’improvviso appare.

In essi battiti di cuori, succhi d’aranci,

petali di girasoli, fili d’erba,

onde di mare, spazi infiniti e profumi di viole

s’innalzano tra cielo e terra.

Stupendo arcobaleno.

unisco la mia emozione prima che il tuo splendore,

in questa mattinata invernale che tenta di aprirsi al sole,

si dissolvi in un attimo.

Voglio tenerti con me.

Riaprirti poi tra mie nuove gocce di lacrime

per innalzarti ancora dal mio cuore

tra cielo e terra così come sei.

Stupendo arcobaleno.


Lucciole di maggio                      

Magico maggio,

legata a te sono nel mio primo respiro.

Sono arrivate, mi dicono.

Aspetto il sole scendere all’orizzonte.

Caldi sono i suoi colori.

Voglio perdermi

in scintille vagabonde.

Porto i miei passi tra il cielo senza la luna,

nel profumo dei campi di granoturco.

Poggiatevi su di me.

Non temete, dolcemente vi soffio poi via.

Lacrime di stelle altro non siete.

Nell’emozione di baciare la terra brillate.

Ora lasciatemi innalzare

i miei respiri insieme ai vostri

lucciole di maggio.


Splendida farfalla     

             

Leggerezza in attimi senza fine.

Cusode di metamorfosi di vita.

Ali velate in scaglie di colori,

tinte uniche, unico il tuo amore.

Come un mio dito, immergi la tua zampina

per scegliere il nettare di cui nutrirti.

Poggi il tuo riposo sui petali del fiore

spruzzandoti addosso il suo profumo.

Nella minuscola pozzanghera

di rugiada ti disseti.

Solo baci del sole vuoi,

troppo delicata

per lasciarti bagnare dalla pioggia,

troppo leggera

per lasciarti irrigidire dal freddo.

Di protezione hai bisogno,

eccoti nascosta tra i tronchi accatastati,

tra i mattoni un pò bucati.

In un soffio di vento di felicità

ti accolgo quando ti vedo,

splendida farfalla.


Mare    

         

Mare, acqua salata tra le mani,

sabbia vellutata, sabbia bagnata,

gabbiani sopra di te, sopra di me.

Brezza tra i capelli,

calore che mi accarezza,

onde schiumate ai piedi.

Mare, in te ci si immerge,

su di te si galleggia.

Cielo di altre stelle,

le tue, quelle marine.

Luci di coralli

tra passanti dalle pinne colorate.

Poi ancora musica,

cantata dai tuoi delfini, dalle tue balene.

Mare, vita per questa terra,

lasciapassare di speranza,

morte per chi non ce la fa.

Mare, blu di giorno quando il sole ti bacia,

nero, di notte quando la luna non c’è,

grigio, quando di tempesta vesti le tue onde.

Mare, non so perchè t’amo così tanto.

Mare, so solo che t’amo e basta.


Amici speciali        

                           

Amici speciali,

quelli che cerchi, che adotti,

a cui apri la porta per non farli più uscire.

Cindy giocosa yorkshire,

con la spalla il pallone spostavi,

lo rincorrevi su spazi di libertà

nella tua infinita felicità.

Sissy tua figlia,

di simpatia riempiva le giornate,

con i suoi legnetti lanciati

quanti sorrisi strappava a chi l’osservava.

Minou nero micetto di pura dolcezza,

come un bimbo eri costretto a gattonare

su quelle zampine posteriori bloccate.

Accostavi il tuo musetto sui miei piedi

per lasciarti sollevare.

Abbondonato in delicate carezze,

dai tuoi occhi verde smeraldo,

lasciavi svelare tutta la tua intesa d’amore

per spostarla dalla tua anima

direttamente alla mia.

Ora non li ho più ma ci sei tu Sissy.

Incrocio di breton,

incrocio di passate emozioni.

Ti ho aperto la porta per non farti più  uscire

amica mia, amica come loro,

amici speciali.


 

In una scia Lucente

 

Ogni destino occupa il suo spazio,

proprio come una stella.

Al mio sole ed al tuo la distanza non piaceva.

Miliardi di kilometri eran troppi.

Per questo ci spostammo,

in una scia Lucente

come lo è il tuo cognome,

nei mie quindicianni, nei tuoi diciannove,

nel tredicesimo giorno di luglio,

nel mille novecento settanta sette.

In una scia Lucente

come lo è il tuo cognome

restiamo uniti ancora adesso,

chissà domani, chissà per sempre.

Ogni destino occupa il suo spazio,

proprio come una stella.

Il mio per ora è accanto al tuo.


Devi stare solo ferma 

 

Devi stare solo ferma.

Mi butta a terra, mi rialzo ma mi riprende.

Mi ributta giu’ continuando a dirmi…

Devi stare solo ferma.

Una mano dietro la schiena e l’altra davanti bloccata.

Sta succedendo proprio a me.

Non ce la faccio a togliermelo di dosso,

il suo peso mi schiaccia.

Non dimentico nemmeno i miei attacchi di panico,

nell’angoscia di silenzi

scanditi da battiti di ciglia bagnati.

Devi stare solo ferma.

Mi sono liberata dalle sue catene

nel mio coraggio di giustizia verso me stessa.

Ricomincio, si ricomincio.

Voglio che l’essenza d’amore della mia anima

vibri tra le ali di una splendida creatura.

Non più dolorosi silenzi ma

dolci carezze e parole sussurrate.

Questa volta mi dicono…

Voglio stare ancora con te.


Il lamione sotto la chiazzodda

 

Ti trovavi lì, sulla Terra Grassa,

la terra che s’innalza ancora

tra i verdi campi del Bradano e del Basento.

Di anni settanta si spennellavano le case

ma tu lamione sotto la chiazzodda,

sotto quella piazza antica,

scendevi giù,

ti scorgevi in quella soglia.

Due metri e mezzo per uno e venti.

Dai vetri in alto poggiavi

il tuo consenso ai raggi del sole.

Importante ti sentivi

per quel cuore ed una capanna,                                                                                                                              

per quell’unica stanza,

per i miei nonni paterni,

per Vito e Giovanna.

Di lamia  il loro cielo,

di mattoncini rossi le loro stelle.

Semplice sfiorarlo,

qualche gradino in legno

un’altra stanza soppalcata

un cielo di passione,

un’altra giornata appena iniziata.

Il venerdi salutava

il passato lunedì dell’Angelo.

Quasi dieci anni,

quasi primavera,

piccola donna che avanzava.

Già nell’indomani,

nel saluto di mio padre per Torino,

nella sua partenza,

nella sua linea di pezzi per auto,

nel suo futuro migliore,

nella sua speranza,

per lui, per la sua famiglia.

Nel bar della via Meridionale

sempre lì a Grassano,

stesso viaggio per vita e lavoro.

Occhi cerulei di mio padre Mimì,

occhi verde nocciola di mia madre Teresa,

complice accordo.

Impossibile stare distanti,

cedere lo si doveva.

Antonio i tavoli riordinava.

Occhi azzurri come il mare,

occhi dolci per una nipote,

lutto chiuso in un Amore eterno,

l’ultimo viaggio di mia nonna Caterina,

un nuovoAmore per lui, per noi.

Dita sinistre sul tasto del flipper,

dita più piccine delle mie.

Vito lasciava fiondare una pallina,

mio fratello in un nuovo record,

in una sfida a coppia

s’intrecciava.

Il lamione mi chiamava,

quattro del pomeriggio

si erano fatti già.

Nonna sono io, spingendo l’uscio.

Alchimia!

Panni ritirati al profumo di marsiglia,

mele cotte al vino e cannella,

finocchietti sbollentati,

sospiri dai sensi all’anima.

Hei Pompea, mia nonna

asciugandosi le mani sul grambiule,

Tutto in quel nome.

Quattro fratelli spenti venendo al mondo,

quel significato di quinto figlio,

il viaggio di mia madre verso Roma.

La promessa alla Madonna di Pompei

nel suo settimo mese di gravidanza,

la gioia di una figlia tra le braccia.

A destra dell’entrata il camino,

da poco fiocchettante,

mi donava il suo benvenuto.

M’invitava ad osservarlo

dal letto a due di fronte a lui.

Già rideva del mio solleticarmi

su quel materasso,

complice così com’era

delle stesse foglie di mais che l’imbottivano.

Seduto, con la schiena ormai china,

nonno Vito al centro del lamione

la grata del pozzo sollevava,

nel suo rito ansiosa aspettavo.

Dalla cordicella l’anfora saliva,

poi nel bicchiere in terracotta

la sua fresca acqua mi versava,

ignaro che solo nel suo affetto mi dissetavo.

I passi di mio padre erano giunti

a riprendermi per la cena,

a riavvolgersi nel saluto

di un genitore ai suoi genitori.

Spazio a lui ora toccava.

Così a cercare l’anziana tartaruga,

sotto le ceneri spente del camino,

iniziavo il mio gioco a nascondino

in quell’unica stanza,

in quel cuore ed una capanna,

lì, nella terra che s’innalza ancora

tra i verdi campi del Bradano e del Basento

lì, nel lamione sotto la chiazzodda.