Annalisa Angeloni - Poesie e Racconti

LA CENA


“Non mangiamo?”, chiesi io. “Lo sai che dobbiamo aspettare”, rispose lei. Lei, come tutte le sere, le stesse parole. Non ce la facevo più, non potevo continuare così. “Basta!”, sbottai, “fra poco mi dirai che sta suonando il telefono, ti alzerai, andrai a rispondere e io resterò qui, ad attendere che tu mi dica che papà ed Helen stasera non tornano, faranno molto tardi, mangiamo noi”. “Ma stasera, mamma, non farò finta di crederti, non posso più, mamma, papà ed Helen sono morti due anni fa in quel maledetto incidente, non fanno tardi stasera, non faranno tardi mai più, sono morti e devi ammetterlo per continuare a vivere”. Smisi di parlare ed alzai lo sguardo su di lei, i miei occhi pieni di lacrime affogarono nei suoi. Non disse niente e levò i piatti, aprì la finestra e li gettò nel buio, nel vuoto. E un senso di vuoto mi prese, poi mi venne fame.


 

IL PIANO

 

“Eh sì, ogni tanto ne nasce qualcuno così”, disse il dottore con aria annoiata. “Ma non si preoccupi” si affrettò ad aggiungere, ” prenda queste pillole, sono una mano santa per la depressione”. E giù a scrivere un’altra delle milioni di ricette incomprensibili redatte ogni giorno da milioni di medici, che hanno imparato tanto e sempre, a scrivere, invece, niente e mai. Lei prese la ricetta e andò via senza ribattere, a che sarebbe servito? “Depressione”, questo era il nome comune del male di vivere di chi vuol troppo bene alla vita. Troppo bene per lasciarsi vivere senza soffrirne, per non entrare placidamente nella schiera dei bravi soldati, nel reggimento dei normali. Tra quello e il vero, nessuna via di mezzo, soltanto pillole. Le vide scomparire nello scarico ad una ad una, mentre il loro celeste si dissolveva nell’acqua, come in una nuova vita, suscitandole quasi una voglia di immedesimazione. Le baleno’ in mente l’idea folle di avvisare tutti ad uno ad uno di un atto di coraggio da compiere in massa: distruggere il mondo, tutti, dovunque, insieme, contemporaneamente, far saltare in aria la terra, tanto per far capire a quel tipo lassù che non era lui a decidere quando un singolo uomo o l’umanità dovesse morire. Cominciò a scrivere sui social, creò un sito web, che aveva più followers di uno stadio di calcio alla finale di Champions. Nessuno la fermò, la rete era piena dei buchi della follia, forse viveva di questo. Era tutto pronto, il giorno deciso, l’ora fissata, toccava a lei dare il via. E mentre si accingeva a farlo con un semplice click, si sentì tirare l’orlo della gonna dal nipote. Due occhi azzurri e otto mesi di inconsapevolezza la gettarono nel baratro: un non avvisato! E come lui chissà quanti. Si disse allora che non aveva il diritto di scegliere per loro, per non incorrere nella stessa prepotenza di chi ogni giorno dava la vita per toglierla, elargendo a profusione il desiderio di infinito senza appagamento alcuno, imprigionato in un corpo finito e in schemi fissi. Con un semplice messaggio sul sito, disse “Niente segnale, non se ne fa più nulla” e chiuse la pagina web. Attese l’ora prefissata per vedere se qualcuno avesse il coraggio, l’ardire e l’egoismo di portare avanti il proposito. Non accadde nulla, non aspettavano altro. “Restano sempre le pillole celesti”, pensò, “non avranno problemi a farmi un’altra ricetta”. Poi le venne un’idea: con Google che pagava ogni accesso, il sito web le aveva reso un mucchio di soldi. Li ritirò tutti, chiuse il conto in banca e comprò un viaggio su Marte, di quelli per ricchi, senza previsione di ritorno. Nonostante tanta pubblicità, sulla navetta era sola. Tanto meglio, non era lì per condividere ancora un’altra delusione, solo per provare. Non tornò più e nulla più se ne seppe e se ne chiese. Soltanto talvolta, più spesso i depressi, raramente i normali guardavano il cielo e pensavano a lei con una punta di invidia.


Che sia?

 

Che sia la poesia
fatta soltanto
di termini difficili?
Eppure è così semplice
il dolore,
lo avverti
nell’immediatezza del pianto,
nel perenne scontento
che ti vive accanto
Che sia la poesia
solo metafore?
Eppure l’amore
è fatto di anafore,
del ripetersi incessante
d’ogni giorno, giorno, giorno
che è luce solamente
se crea vita veramente
Che sia la poesia
ardito, continuo esperimento
dell’espressione di un tormento?
Ignoro poeta contento
se non per l’ebbrezza d’un momento
Sono forse un dono
così tante parole,
nel loro fluire,
nel loro ferire?
Che dono c’è nel morire
e nel saperlo dire?
E quand’anche il poeta
fosse immortale,
dimmi, Ugo,
starebbe meno male?
Non trovo gioia
nel ricordo solitario
di sconosciuti posteri,
potrei trovarne forse
in un presente oblio
ma non sarà mai mio


Dolce tormento

 

Ti ho amato,
come il cielo ama il sole
Sei stata
l’acqua del mio mare
ma ho dovuto
lasciarti andare
e mio malgrado imparare
che il vero amore
non finisce
ma l’amore non guarisce,
aiuta
ma non basta,
altrimenti saresti rimasta.
Invece sono sola
e l’amore non consola,
Il tempo sembra farlo
ma tradisce,
rete a trama larga
che attraversi
e non demordi
padrona come sei
di troppi miei ricordi.
Arrivi puntuale
dritta dentro il cuore
a farmi stare male,
male d’amore
Amo il mio dolore
perché mi tiene viva
Amo quando arriva
perché ti tiene viva.
Non sei accanto,
sei dentro
fai la mia strada,
dovunque io vada
insieme arriviamo,
nello stesso momento,
è questo il mio immenso
dolce tormento.


Nonna

 

Ti rivedo
seduta alla finestra
a spiare il mondo
da quattro mura
e ricordo le calze
che ti facevi dare
da riempire
con noci e amore
Rivedo i tuoi occhi
buoni e chiari,
velati dietro gli occhiali
e ricordo quando ci chiamavi
per regalarci un grande tesoro:
cinque lire e rabarbaro amaro
e adesso pagherei oro
per quello che non apprezzavo,
per le tue storie sussurrate
come fossero enormi segreti
per te seduta
e io in piedi
ad osservare curiosa
quella vecchietta dolce e strana
col fazzoletto in testa da paesana
e una lunga gonna,
quanto vorrei tirarla, nonna
per vedere se torni, indietro da me
perché da tanto non ci sei più
ma il tesoro nonna eri tu
e l’ho scoperto ora
spiando il mondo
alla finestra
da quattro mura.
Adesso mi affaccio
e calo giù il cesto,
siediti lì
che io ti tiro su’
e poi non lo calo più.


La signora

 

In via XX Settembre altèra

una capanna di cartoni

a sfregio

Sorseggia il cappuccino la signora

impellicciata al bar,

sgrullandosi di dosso

le briciole di cornetto

con la stessa noncuranza con cui

lo fa per la tristezza

letta negli occhi altrui.


Perché la vita è fatta

 

Perché la vita è fatta
di tavoli allungati
ed i bambini a parte,
a fare la capanna
con la tovaglia per pareti,
è fatta
di io dormo da capo e tu da piedi
o viceversa.
Ancora la insegui
e già l’hai persa
te lo dicono le foto
senza più persone,
te lo dice l’ansia
da ultimo boccone
e quella voglia di stringere
tutto tra le mani,
di volere un oggi già domani
o ancora ieri,
te lo dicono i pensieri,
sempre più pensiero e meno sogno
Te lo dice un frenetico bisogno
di fare la bicicletta con le gambe
Pedala Francy, veloce anche per me
però tienimi sempre la mano,
voglio viaggiare con te
mai andarti lontano


L’imbroglio

 

Quanti profili
nascondono un volto
a cui è stato tolto
quello che e’ dentro,
persone per cui non e’ piu’ giorno
come tante foto solo contorno
Tu sorridi su facebook
come fossi un fumetto
ti si può messaggiare,
tutto perfetto,
tranne il piccolo fatto
che non ci sei piu’,
leggerai i miei post da lassu’?
E’ il miracolo della rete
per chi ci crede,
per chi ci crede,
ma e’ una rete che imbriglia,
una rete che imbroglia,
non vedi che l’albero
non ha più una foglia?
Lo vedo
ma credo
che quando fa male
e’ meglio guardare
senza vedere…
Anzi, sai cosa faccio?
Ti posto qualcosa,
so le spine
ma voglio la rosa.


Hai

 

Hai il guizzo vivace e repentino
dei pesci in un lago alpino,
il muoversi veloce
di mille lucciole
nel buio della notte,
il ridere argentino
di un cortile bambino.
A fatica talvolta
porto sulle spalle
un moto che spaventa
ma per lo più mi incanta
e mi innamoro
del tuo incessante volo
che colora il cielo.


Tutto di te

 

Amo tutto di te,
anche il non me,
le parole non dette,
le giornate imperfette,
quella tua forza fragile,
una scelta difficile,
le passioni distanti
da quelle di tanti,
gli sguardi scontrosi,
gli abbracci affettuosi,
i baci gioiosi
e quei tuoi grandi sorrisi
così luminosi…,
la tua aria pulita
Amo tutto di te,
anche il tuo me.
Se vuoi farmi un regalo,
per tutta la vita,
fai come me,
ama tutto di te