Anthos - Poesie

VORREI SALIRE LADDOVE VOLANO LE AQUILE

Vorrei salire… laddove volano le aquile…
ed il cielo è un cristallo azzurro screziato di bianco;
laddove il vento… ti avvolge con la sua carezza…
ed i suoni si dilatano… come onde in uno stagno…

Ho sognato di volare,
staccandomi da questo mondo greve.
Ho spiegato le ali in un balzo,
sperando di rimanere sospeso nell’aere.
Ma ogni volta, ritornando a terra,
l’ho baciata con sollievo;
mi sono calato nelle sue viscere rassicuranti
ed ho affondato le mani in un abbraccio materno.

Forse siamo noi un guado limaccioso
in cui fango ed acqua limpida convivono,
contaminandosi a vicenda.
Ciò che conta è lasciare un varco,
laddove l’acqua scorra
e la terra permetta un passaggio.


 

Sortir de la décadence
(La certezza, la decadenza, la rinascita)

La pianta un giorno salda
dal fusto nodoso e vitale
perse la linfa, perse le foglie,
perse la sua solida compattezza,
cominciando a sgretolarsi.

I contorni non sono più nitidi
ed ombre ne tradiscono
le linee una volta sicure.
Il tronco si ripiega su se stesso,
i rami, braccia rivolte al cielo,
ora hanno cinto il ventre nudo.

Ma, come il danzatore
che raccoglie le membra,
per spiegare un balzo,
che lasci la gente
col naso all’insù,
esso s’invola
con gesto etereo.

Non indica la via,
ma lo spirito di un popolo.


 

Rosa mistica

Coglierò una rosa
nel giardino della speranza…
sbocciata sull’arido mio dolore,
dissetata con lacrime di madre,
nutrita del sangue mio.

Donna dal capo velato
mi sovvenne una notte
recante una rosa in mano.
Il fiore, dallo stelo aguzzo reciso,
roteò sul palmo… piagando…
e sangue ne sgorgò copioso.

_ Quale presagio? –

Nel giardino delle rose
io chiesi il fiore terreno della gioia,
ma Tu… mi portasti la palma!
Io… non capii…
e quel fiore negato,
pur rischiarò la mia strada!

O Rosa Mistica,
Tu, fiamma purpurea,
rivolgesti a me
la tua chiamata!
Eccomi…
il tuo servo ti ascolta!


 

Quando canta l’allodola…

Quando canta l’allodola,
fammi entrare nel nido
che soffice di piume
per me hai preparato.
Il suo caldo tepore
a spiegare le mie ali
su di te m’induce.

Vengono a me i tuoi umori
e trilli d’amore permeano l’aria,
satura di flauti sospiri.
Non percepisco più il mio
scisso dall’essere tuo
ed un’onda calda
pervade il nostro corpo.

– Uno scoppio d’energia pura –

Pura di una sofferente estasi,
che innalza e lacera,
ci scuote,
rombando fragorosa,
generatrice di vita.


 

Nausicaa

Nausicaa, le tue lacrime
sono scrosci di pioggia leggera
che rendono fertile la mia terra.
Si gonfiano i semi, nel cuore,
che bevono stilla a stilla
gli umori salati di pianto.
Espandono, lacerando le scorze,
eiettando tenui germogli,
presagio di radici potenti.
Ergesi la timida pianta,
rizzando le foglie verdoline,
che domani sfideranno il sole.
Lascerò che le sue radici
penetrino negli strati profondi,
ove il mio humus è più ricco.
Che suggano tutte le forze,
nutrendo sogni d’altezza,
rincorsi con scatti affannosi.
Ha sete di te la nostra verde figlia!
Che scendano gonfie e copiose,
coscienti di sé, le prossime gocce.


 

L’uomo di dentro – tensione – genesi – poesia

Informe bolo di passione
vomitato in un corpo rigido e freddo,
calda emozione imprigionata,
costretta in questa scatola vitrea:
ecco cosa sei!
Tendi la mano,
ma una trasparente barriera
ti blocca!
Aggiungi violenza al tuo gesto,
ma uno stridio cristallino
ti frena!
Perché?
Al di là di questo limpido sbarramento
la tua voce non giunge!
Lo varcano i suoni,
lo scavalcano i gesti,
ma, caldo pathos,
intimo di quest’uomo,
resto prigioniero.

Essere senza certezze, senza ruoli,
disgregato e disperso
in un tempo irrefrenabile,
in uno spazio inesauribile,
in continua ricerca…fermati!

Fermati… ora!
Piega il tuo corpo,
raccogli la tua persona in un gomitolo
ed apri
le nuove frontiere della mente!
non aver paura…espandi
la tua personalità e riempi la stanza,
la galassia, l’universo…
Compenetra…
l’Io che ti siede accanto.
Fondi …
il tuo col suo dolore!

Ed il mondo si fermò…
un gran silenzio l’avvolse…
e l’uomo
sentì scorrere sul suo volto
la brezza fresca della vita.
Finalmente, le orecchie dell’anima si aprirono
ed egli poté udire la voce!
Oh quale voce…
Suono di indescrivibile calore,
di tono pallido e fremente,
che si insinuava nell’animo riarso,
addolcendo l’asprezza del cuore.
Non uno…non due… ma mille giorni
egli rimase assorto in quell’estasi profonda,
da cui la fine del sogno lo strappò via,
riportandolo alla vita.

Tenue luccichio dell’animo
si muove in un tenero, morbido buio;
ombre incarnano i sentimenti
e nello schiarirsi della notte
limpidi personaggi affiorano alla mente.
Poesia di emozioni è la mia,
sensazioni felpate, colori
che voglio evocare
in quello scenario surreale
che è la mente dell’uomo.


 La luce dei sensi

L’onda che scende e che sale
ha il sapore acre del mare,
s’infrange sui corpi frementi
di giovani amanti giacenti.

Si flettono i giunchi sinuosi,
sospinti da venti impetuosi,
scomposti nel moto vitale,
s’odono, gonfie, le vene pulsare.

Il sole arde dentro e fuori,
confondendo i contorni dei colori.

S’invocan le spume…
…che giungano ai lidi assetati…
…portando la luce dei sensi!


 

La fiaba della vita

 

E dopo che mi tirarono fuori

dalle sue viscere

mia madre mi disse: << Vai figliolo,

questa è la strada, non ti fermare >>.

Io camminai, la strada era certa,

il sole era caldo, la fatica era lieve.

<< Non ti fermare >> mi disse

<< non chiedere dove, non chiedere perché,

segui l’umana linea innanzi a te.

E ricorda…tre cose contano:

lavoro, l’amore

ed una luce nel cuore >>.

Ahimè! Incontrai il Fiore sul ciglio

e mi chiese: << Dove vai? Perché? >>

Ed io mi fermai…

…esitai…e poi ripetei:

<< Dove vado? Perché? >>.

La strada scomparve davanti a me,

il cielo non fu più terso,

il sole non riscaldava più.

Sentii un dolore venire da dentro

ed un’esplosione mi frantumò il cuore.

Davanti a me nient’altro che boschi,

radure, prati, montagne e laghi.

<< O fiore, piccolo fiore, la strada dov’è? >>.

Ma il fiore era già appassito sul ciglio

ed io rimasi solo……solo!

Un’inebriante aria di libertà

mi riempì i polmoni,

ma un grande scoramento

fiaccava le mie gambe.

Mi inoltrai allora nel bosco

e vi incontrai la Follia,

che fischiava veemente

tra i rami ricurvi, agitati dal vento.

<< Vieni >>  mi disse << io sono la verità

che gli uomini rifuggono,

per me si va nel mondo degli uomini grandi >>.

<< Ma signora >> le risposi << io…

sono un piccolo uomo,

di lacrime e carne,

e cerco la via dell’umana felicità >>.

Rise la donna dagli occhi brucianti,

rise e mi disse: << Dolore tu avrai!

Pianti e menzogne la vita ti dà

e quel piccolo attimo di stasi

tu lo chiami felicità? >>.

Poi sparì, accompagnata

da un’assordante stormir di fronde

e gracchiar di corvi.

Ed io allora mi incamminai sulle sponde

di un lago immobile,

mi affacciai su quell’acqua cupa,

ma non vidi la mia immagine.

<< Chi sei tu, acqua che non rifletti il cielo,

che non restituisci la luce del giorno,

né il verde dei freschi prati,

né dei caldi fiori il vermiglio? >>.

<< Vieni >>  mi rispose << io sono la Morte,

dolce è l’oblio, dura la vita!

Stendi le tue membra in questo sonno,

sciogli i tuoi affanni in quest’acqua eterna >>.

Ma io ricordai le parole di mia madre:

<< Non ti fermare >>.

E proseguii e mi posai su di un prato.

Dolce la carezza dell’erba,

tenue la brezza mi sfiorava le gote

e nel mio labile sogno

essa si materializzò.

La mano delicata di una donna

mi chiuse le labbra stupite:

<< Io son Speranza >> mi disse

<< vieni con me e ti darò la strada!

Io son quella che la neonata ragione

scacciò dal tuo cuore.

Io sono la donna di fumo,

che la luce dissolve.

Ma quando il crepuscolo viene

ed il giorno tenue si smorza,

con tutte le sue promesse insoddisfatte;

quando l’uccello ormai stanco

vola basso sui tetti alla sera,

allora…io riappaio!

Ristorano le mie labbra le tue

e fresca la mia carezza

dischiude a nuova primavera

l’anima ormai arida e stanca >>.

 

Anthos


I fiori di domani

Il tiepido vento
più pause non ha,
la pioggia or’ cheta
non batte più lenta
e grandine dura
sul petto si schianta.
Affannoso respiro
e gelo sul viso
torce le labbra di spasmi
e denti ringhianti.
La bufera è più fitta,
ma il cuore è più caldo,
più stretto è il dolore
e tenero il calore
nel grembo si fa.
Non c’è più rumore
ne eco di spasmi
ed i fiori recisi
si ergeranno decisi
al sol’ di domani
che il grano imbiondirà
e pani fragranti
su mani festanti
di bimbi gioiosi
sbocceranno copiosi.


 

Dolor ultima stella

Dolor ultima stella d’umano firmamento.
Fiamma bambina per l’uomo ignaro,
che il viver alimenta. Adulto rogo
che accende domande dell’uomo cosciente.
Aldebaran schema Innanzi al tragico astro
che illumina l’universo. E più t’appressi
maggior chiarore ti coglie
in disumana estasi che la vita invera.
Come il foco, prima scintilla,
infiamma l’intelletto di future conoscenze,
così tagliente freccia crea novella breccia,
che strappa l’umano su nove apparenze.
Ahi! Quante ali straziò dolore,
‘che troppo vicina falena volò.
Ahi! Quante mani rimasero sole,
mai più congiunte, Dio si eclissò.
Volti intagliati, sogni pestati, grida di madri
ruppero il tempo, deviaron gli spazi
e trapassarono su altre pianure, certo più scure,
ove veleggiano liberi e sazi
poeti, bambini ed altri pazzi.
Non più sicuri della terra e del cielo,
forse più puri innanzi al mistero
di questa vita che libera vola
e con le sue schegge più non ci consola.