La casa nella nebbia
Un piccolo quadrato
si scorge appena
in fondo a quella valle
baciata dalla luce
svanisce nell’oblio
e ricompare indefinita
impero degli dei
eremo di tempeste
aleggia intorno a lei
la nebbia d’ogni tempo
sommersa dalle nubi
in un antro d’universo.
La mia campagna
Bastan pochi passi o qualche pedalata
verso il mezzogiorno
e vedo aprirsi innanzi a me
una nuova dimensione
verde a sinistra, verde a destra
verde tutto intorno
verde vento primaverile
gonfio di velata freschezza
freme fra le fronde
e fende la mia fronte
e porta all’olfatto il profumo genuino
di mucchi di letame fumante
e paglia e fieno che son lo spuntino
di mucche al caldo nelle stalle
caldo sole color del grano
lucida i prati a mano a mano
e lieti gorgogliano
rivoli a lato alla via
limpidi laghi campestri
lì dove aratro non ruota
e pullula ancora di rane
la roggia che era vuota
strade asfaltate segnate dal tempo
strade sterrate solcate dall’uomo
scendono a picco e salgono in quota
verso una meta ignota
vanno per colli e vallate fiorite
là dove il cielo è terso
e neve incorona i monti
Alpi maestose dai picchi taglienti
e dolci Appennini dai fianchi rotondi
fin laggiù il mio pensiero vola
ma è qui che è nato e cresciuto
fra pesci, vermi e funghi
di ugual madre Natura
ed è qui che si sente a casa
in mezzo a chiesuoli e cappelle votive
che sacro spirito emanano qual nebbia
a render bianche le spoglie margherite
questa e questa sola è la mia campagna
dove sognando il pensiero vaga
smarrito in un mare d’erba
La storia infinita
Tutto passa e tutto resta.
Ciclo non è un mezzo di trasporto
è un rinascere e morire
conservare e divenire
come il salice in mezzo alla foresta.
Le stagioni son sempre state quattro
ognuna la sua bellezza.
La stessa traiettoria
lo stesso strano percorso
col paesaggio che so a memoria
eppure sempre un po’ diverso.
San Siro è la Scala del calcio.
Giorni più rossi, giorni più neri
ma il cuore di entrambi i colori.
Atene e Manchester da sogno
Istanbul incubo, oblio.
Ci siamo passati tutti
è così che va la vita.
Alti e bassi, magri e grassi
belli e brutti… ci son tutti.
Ciao Darwin 6, la regressione
non san più cosa inventarsi
per fermar l’evoluzione
e tanto siamo sempre punto e a capo.
Questione di punteggiatura
rientro nello spazio.
Bandito il punto fermo.
Eppur si muove.
Atomi si aggregano e disgregano
in combo sconosciute.
Avanti, indietro, destra, sinistra
quadrato, cerchio: perfect
triangolo: non considerato
X: conferma; fine dei giochi.
L’amore non è un gioco
eppure un cuore = una vita
e se cuore è amore, amore è vita.
(A volte) si sa come comincia
non si sa come finisce.
Si vive alla giornata
pigliando pesci cari ai giapponesi.
Io voglio io voglio sapere
il segreto dei nostri nonni.
Cinquant’anni insieme
felicitazioni sul giornale.
E adesso…
Sognati pure il matrimonio…
e vai sul giornale solo se divorzi
o fai veder la farfallina…
non per forza tatuata.
Tempi duri per gli eroi della strada.
Trovare la persona giusta.
I vips amano cambiare
secondo il corso naturale.
Morto un Papa se ne fa un altro.
Sì, ma noi…
quelli della vecchia generazione
cresciuti nel mito del passato.
Bastian contrario, cagnone bianco.
Noi ad aspettar la principessa
che ci bacia dietro l’angolo.
E intanto lei è già in ritardo
di quaranta minuti…
mi sa che ormai non viene più…
Si dice che è single per scelta.
È insieme per scelta (dell’altro).
Dura di più, dura di meno
la batteria costa più del pc.
Scossa, colpo di fulmine.
Aspetto più tempo così son sicuro.
Aspetto di più, sbaglio di meno.
Se non erro sono perfetto
eppure nessuno è perfetto.
Magari un alieno.
Errare humanum est
perseverare diabolicum ovest
temptare licitum, sed insidiosum.
La teoria dei poli funziona
è una teoria polifunzione.
Per ora nessun terzo polo
riprende corrente il primo.
Dinamo, tensione alternata.
Ciclo a podalico motore
mi guida sulla traiettoria
di qualche strano percorso.
Questo paesaggio lo so a memoria…
eppure è sempre un po’ diverso.
London Underground
Pass entrata benvenuto
fila all’ascensore
lumaca d’emergenza ma sì
nord sud ovest est
piattaforma linea gialla
gente che scende e che sale
tranquilli sulla destra
chi ha fretta sorpassa
in barba alle mobili scale
sorry excuse me addirittura
suonano e cantano ovunque
tastiera guitar e soprano sax
non vedi nessuno sganciare
ma fodere piene di pounds
me li mandino via fax
buio polvere pietra
aria nel naso nera
tutti di corsa su e giù
si infiltrano come matrix
e poi sgusciano fra le porte
sembriamo sardine in scatola
VROOOOOOMMMM nel nulla
chi legge chi dorme
chi parla chi pensa per sé
nel buio dei suoi guai
the next station is
esodo clamoroso e vuoto
risacca anzi e pieno
mind the gap please
via via cambio colore
altre scale su piani
una grotta sotterranea
mega ventilatori nel tunnel
ah maestri musivari
e tessere con la stessa faccia
indaga fumando la pipa
porte porte doors closing
attàccati al palo
toh una ragazza con suo padre
sorride; e posa il capo sulla sua spalla…
è un altro mondo; il tempo è sospeso…
quanta dolcezza e sincerità in un gesto;
quanto amore, quanta complicità!
sarò anch’io padre un giorno?
e come vedranno il loro papà?
lei è il suo dono più grande;
lui è la sua sicurezza…
e che lingua parlano che importa…
in un atomo è racchiuso l’universo
di sopravvivenza e evoluzione,
di istinto paterno e affetto filiale…
mi vien quasi da piangere…
una perla naturale e trasparente
che dissolve i miasmi del caos…
potessi immortalarne la bellezza…
the next station is
la nostra purtroppo…
addio famiglia perfetta…
mind the gap please
e se ne vanno nel nulla…
ultime scale su piani
ah la regina da sessant’ anni
chissà quando muore che casini
fila all’ascensore
ma quali quindici piani
pass uscita goodbye
a riveder la luce
L’abbraccio
Guancia sulla guancia, dopo tanto,
per una selva oscura mi trovai
col respiro mio infranto
da tali meraviglie
che in vita non avevo visto mai:
dormivo in cuscini di foglie
nuotando in boschi ondosi
senza riva, o spuma di foresta
o radura submarina.
Un attimo d’apnea, d’inverno,
appresso ai dì di festa;
in quei capelli suoi
un attimo d’eterno.
Tiffany’s
Convieni alla taverna più appartata,
convieni senza pena e senza cruccio
per latte con arabica miscela
gustare, ciò che noi diciam cappuccio.
Se Borea le menti ci raggela,
godiamo del tepore casalingo
della sala da pranzo desolata,
seduti, stretti a l’ombra d’un cantuccio.
Di luna senza ciocco-marmellata
spartiamoci ad ognun la mezza fase,
e intavola accademico discorso
intanto che libiam da tazze rase.
Ecco Beckett e Pinter con un morso
(così la timidezza mia respingo);
ecco Roma e bovini con un sorso
(sarai, mi chiedo io, accompagnata?)
E segue in alternanza sorso e morso…
con nulla da versare, conversiamo
(e l’anima domanda e mi si ostina,
si dibattono i sensi presi all’amo…)
Ma invano: che oramai non sei bambina
e nella tua tagliola il piede stringo,
e per le ciocche dei fondenti ricci
chissà poi cosa nel pensier mi fingo…
Lo ben so che non sono tuoi capricci,
ma leggi (e che noi disconosciamo)
di natura e d’amor che l’ha creata
in tempi già ignorati dalla storia.
O tu che nome devi a Nike alata
o epocale britannica regina,
albergo ti sarà la mia memoria
che abbonda di ristrutturate case.
È sufficiente gloria
l’invito a colazione stamattina:
perché non so né come,
ma pare aver sapore del tuo nome.
A un’amica poco lieta dell’assenza in corpo suo di femminee forme
Diceva quest’amica piacentina
che fra le buone cose un gran difetto
le pose nel sembiante per dispetto
la natura; pensando «Ahi, meschina!
a me che son guardiana di piscina
e posso altrui salvar con mio brevetto,
perché non desti egual formoso petto
che a celebre baywatchica bagnina?».
Martina, pur dicevalo Petrarca,
che il crescere la mamma in eccedenza
sudor più ti procura e il busto inarca…
se in modellar corporea sporgenza
fu mano del creator sì tanto parca,
gioisci tua beltà ed intelligenza!
Le confessioni di un ventottenario
Disse mia madre: «Figliolo, datti una spinta
ed esci dalla tua vasca.
Non bussa certo l’impiego alla porta».
È vero. Mi adagio sugli allori
di otto anni d’ateneo.
Che ci posso fare, mi affeziono.
V’è gente con sei carte in tasca,
eppure con speranza quasi morta.
Aspettate il mio CV.
Tempo di finire, poi sì, ve lo compilo.
Disse mio padre: «Mettici più grinta
nel trovarti una compagna.
Guarda in giro quante ce ne sono».
Lo so. Se non ci penso io,
nessuno più: si rompe il filo.
La mia lancetta tira indietro,
e fratelli non ho di scorta.
Meno male, pazienza ne ho fin troppa
- (non saprei se difetto sia o dono) -
quasi quasi la vendo al metro.
Non è, in fondo, ‘sta gran mancanza.
Verrà il giorno che il buco si rattoppa.
Disse un’amica parole sincere:
«Ti prego, resta sempre cavaliere».
Razza ormai estinta,
e oggi fallito galateo.
Magari fra vent’anni,
solo ed orfano di Panza,
errando a bicicletta in groppa,
farò traversar la giovinetta
borse in mano e dentatura finta.
Siano chiome bionde o nere,
ora e sempre cortesia.
Oh tempi, oh ideali!… Unico neo:
oggi un mondo sovraevoluto.
«Non v’è salute fuor di conoscenza»
- disse un omone barbuto -
«Ricorda le due vie dell’esistenza:
gioir copulativo e fare stemma».
Ok… nel mezzo cercherò la mia,
fuggendo gli estremi affanni.
Ma quanto, quanto si può sapere?
Antico, eterno dilemma.
Di Montale, direi sono a buon punto;
di Tasso, direi non so un’Aminta.
«Amore» disse una voce lontana;
sì tanto bella, come dipinta…
gli occhi verdi color di gemma…
«Se è vero quel che provi,
io prova non ho avuto».
Il poco tempo non paga i danni.
Ma bando all’amore defunto:
che siano rose oppure siano rovi,
prendere ogni cosa con filosofia.
Qualcuno bussò alla porta.
Ecco l’impiego, ecco l’amore che mi chiama!
Nero elegante, volto smunto.
C’è tanto ancora da fare! Mi rifiuto
di smettere i mortali panni!
«Mi spiace» – disse lei – «Tempo scaduto».
NUNTIO VOBIS FINEM MUNDI:
notizia secolare
che s’udirà da qui
fino al Sudan e in Burundi:
sono entrato in FB.
Folle non son, né da curare
se dopo lunghi anni
e attento meditare
approdo a Faccialibro.
Fu colpa di un amico,
che tanto impegno mise in esortare
che l’ebbe vinta al fin la cortesia.
«Lo faccia, orsù, lo faccia!
che fin che non lo fa la sfibro!
quand’è che si decide?
vi sono manga e anime,
di più: cinematografia;
ma in special modo – non si taccia -,
vide mai di giovinette prima
(e pulcre) di più che qui ne vide?»
Mi chiuse in cieco vicolo alle strette…
«Sì sì tranquillo, arrivo domani…»
e mai quel giorno giunse fino ad oggi.
Eppure, se ci penso, buoni spunti
potrei collezionare; dei cocci
di giovane ed antico
spirito poetico:
reclama la bisaccia che tracima
ormai dalle esili pareti…
Li posterò e mi dico
«speriamo al web che piaccia».
Canzone del filo logico
Un professore universitario
sapiente e misurato,
che guarda ancora avanti il calendario,
la filologia
a Pavia
insegna e non annoia.
Le origini rispolvera da Omero
che fu normalizzato,
agli umanisti dopo il buco nero
dell’era di mezzo -
col disprezzo
del recente passato.
Ci volle d’un tedesco l’intuizione
(a diciannove entrato)
per far capire a tutti la lezione:
l’errore comune,
le lacune
di parentela son certificato.
E fu da allora un nevicar di studi
sul testo tramandato,
tant’è che si trovaron quasi nudi
Seneca e Lucilio,
e Virgilio
le terga su una stuoia;
il Tasso e l’Arïosto un animale,
di spezie un preparato;
Petrarca ci lasciò l’originale;
Boccaccio e Manzoni,
e Goldoni,
e Cino da Pistoia.
Oh modelli, Rajna, Vandelli e Barbi,
dovrei esservi grato!
A Pasquali e Contini non far sgarbi;
a Maas, Paris mercé;
anche a Bédier,
pur del maestro il boia…
Ma a me che me ne importa dello stemma
quant’è ramificato?
Come han corrotto questo od altro lemma?
Io voglio quel mare
che traspare
per doppia feritoia.
Ferisce tanto il ghiaccio di quegli occhi
quanto l’incendio a Troia;
quisquilie la Commedia del Petrocchi…
Oh amoroso mare
oculare,
in te par ch’io mi muoia!
Potessi estirpare quei brillanti,
del vecchio condannato
marinaio pupille sfavillanti
(e chiedo perdono!)…
ma per dono
sarebbe immensa gioia.
E metterli ad un lato
lì sul comodino…
come un cetriolino
tenerli in salamoia.