Antonio Venturini - Poesie

La casa nella nebbia

 

Un piccolo quadrato

si scorge appena

in fondo a quella valle

baciata dalla luce

 

svanisce nell’oblio

e ricompare indefinita

 

impero degli dei

eremo di tempeste

 

aleggia intorno a lei

la nebbia d’ogni tempo

 

sommersa dalle nubi

in un antro d’universo.



La mia campagna

 

Bastan pochi passi o qualche pedalata

verso il mezzogiorno

e vedo aprirsi innanzi a me

una nuova dimensione

verde a sinistra, verde a destra

verde tutto intorno

verde vento primaverile

gonfio di velata freschezza

freme fra le fronde

e fende la mia fronte

e porta all’olfatto il profumo genuino

di mucchi di letame fumante

e paglia e fieno che son lo spuntino

di mucche al caldo nelle stalle

caldo sole color del grano

lucida i prati a mano a mano

e lieti gorgogliano

rivoli a lato alla via

limpidi laghi campestri

lì dove aratro non ruota

e pullula ancora di rane

la roggia che era vuota

strade asfaltate segnate dal tempo

strade sterrate solcate dall’uomo

scendono a picco e salgono in quota

verso una meta ignota

vanno per colli e vallate fiorite

là dove il cielo è terso

e neve incorona i monti

Alpi maestose dai picchi taglienti

e dolci Appennini dai fianchi rotondi

fin laggiù il mio pensiero vola

ma è qui che è nato e cresciuto

fra pesci, vermi e funghi

di ugual madre Natura

ed è qui che si sente a casa

in mezzo a chiesuoli e cappelle votive

che sacro spirito emanano qual nebbia

a render bianche le spoglie margherite

questa e questa sola è la mia campagna

dove sognando il pensiero vaga

smarrito in un mare d’erba



La storia infinita

 

Tutto passa e tutto resta.

Ciclo non è un mezzo di trasporto

è un rinascere e morire

conservare e divenire

come il salice in mezzo alla foresta.

Le stagioni son sempre state quattro

ognuna la sua bellezza.

La stessa traiettoria

lo stesso strano percorso

col paesaggio che so a memoria

eppure sempre un po’ diverso.

San Siro è la Scala del calcio.

Giorni più rossi, giorni più neri

ma il cuore di entrambi i colori.

Atene e Manchester da sogno

Istanbul incubo, oblio.

Ci siamo passati tutti

è così che va la vita.

Alti e bassi, magri e grassi

belli e brutti… ci son tutti.

Ciao Darwin 6, la regressione

non san più cosa inventarsi

per fermar l’evoluzione

e tanto siamo sempre punto e a capo.

Questione di punteggiatura

rientro nello spazio.

Bandito il punto fermo.

Eppur si muove.

Atomi si aggregano e disgregano

in combo sconosciute.

Avanti, indietro, destra, sinistra

quadrato, cerchio: perfect

triangolo: non considerato

X: conferma; fine dei giochi.

L’amore non è un gioco

eppure un cuore = una vita

e se cuore è amore, amore è vita.

(A volte) si sa come comincia

non si sa come finisce.

Si vive alla giornata

pigliando pesci cari ai giapponesi.

Io voglio io voglio sapere

il segreto dei nostri nonni.

Cinquant’anni insieme

felicitazioni sul giornale.

E adesso…

Sognati pure il matrimonio…

e vai sul giornale solo se divorzi

o fai veder la farfallina…

non per forza tatuata.

Tempi duri per gli eroi della strada.

Trovare la persona giusta.

I vips amano cambiare

secondo il corso naturale.

Morto un Papa se ne fa un altro.

Sì, ma noi…

quelli della vecchia generazione

cresciuti nel mito del passato.

Bastian contrario, cagnone bianco.

Noi ad aspettar la principessa

che ci bacia dietro l’angolo.

E intanto lei è già in ritardo

di quaranta minuti…

mi sa che ormai non viene più…

Si dice che è single per scelta.

È insieme per scelta (dell’altro).

Dura di più, dura di meno

la batteria costa più del pc.

Scossa, colpo di fulmine.

Aspetto più tempo così son sicuro.

Aspetto di più, sbaglio di meno.

Se non erro sono perfetto

eppure nessuno è perfetto.

Magari un alieno.

Errare humanum est

perseverare diabolicum ovest

temptare licitum, sed insidiosum.

La teoria dei poli funziona

è una teoria polifunzione.

Per ora nessun terzo polo

riprende corrente il primo.

Dinamo, tensione alternata.

Ciclo a podalico motore

mi guida sulla traiettoria

di qualche strano percorso.

Questo paesaggio lo so a memoria…

eppure è sempre un po’ diverso.



London Underground

 

Pass entrata benvenuto

fila all’ascensore

lumaca d’emergenza ma sì

nord sud ovest est

piattaforma linea gialla

gente che scende e che sale

tranquilli sulla destra

chi ha fretta sorpassa

in barba alle mobili scale

sorry excuse me addirittura

suonano e cantano ovunque

tastiera guitar e soprano sax

non vedi nessuno sganciare

ma fodere piene di pounds

me li mandino via fax

buio polvere pietra

aria nel naso nera

tutti di corsa su e giù

si infiltrano come matrix

e poi sgusciano fra le porte

sembriamo sardine in scatola

VROOOOOOMMMM nel nulla

chi legge chi dorme

chi parla chi pensa per sé

nel buio dei suoi guai

the next station is

esodo clamoroso e vuoto

risacca anzi e pieno

mind the gap please

via via cambio colore

altre scale su piani

una grotta sotterranea

mega ventilatori nel tunnel

ah maestri musivari

e tessere con la stessa faccia

indaga fumando la pipa

porte porte doors closing

attàccati al palo

toh una ragazza con suo padre

 

sorride; e posa il capo sulla sua spalla…

è un altro mondo; il tempo è sospeso…

quanta dolcezza e sincerità in un gesto;

quanto amore, quanta complicità!

sarò anch’io padre un giorno?

e come vedranno il loro papà?

lei è il suo dono più grande;

lui è la sua sicurezza…

e che lingua parlano che importa…

in un atomo è racchiuso l’universo

di sopravvivenza e evoluzione,

di istinto paterno e affetto filiale…

mi vien quasi da piangere…

una perla naturale e trasparente

che dissolve i miasmi del caos…

potessi immortalarne la bellezza…

 

the next station is

la nostra purtroppo…

addio famiglia perfetta…

mind the gap please

e se ne vanno nel nulla…

ultime scale su piani

ah la regina da sessant’ anni

chissà quando muore che casini

fila all’ascensore

ma quali quindici piani

pass uscita goodbye

a riveder la luce


 

L’abbraccio

 

Guancia sulla guancia, dopo tanto,

per una selva oscura mi trovai

col respiro mio infranto

da tali meraviglie

che in vita non avevo visto mai:

dormivo in cuscini di foglie

nuotando in boschi ondosi

senza riva, o spuma di foresta

o radura submarina.

 

Un attimo d’apnea, d’inverno,

appresso ai dì di festa;

in quei capelli suoi

un attimo d’eterno.



Tiffany’s

 

Convieni alla taverna più appartata,

convieni senza pena e senza cruccio

per latte con arabica miscela

gustare, ciò che noi diciam cappuccio.

 

Se Borea le menti ci raggela,

godiamo del tepore casalingo

della sala da pranzo desolata,

seduti, stretti a l’ombra d’un cantuccio.

 

Di luna senza ciocco-marmellata

spartiamoci ad ognun la mezza fase,

e intavola accademico discorso

intanto che libiam da tazze rase.

 

Ecco Beckett e Pinter con un morso

(così la timidezza mia respingo);

ecco Roma e bovini con un sorso

(sarai, mi chiedo io, accompagnata?)

 

E segue in alternanza sorso e morso…

con nulla da versare, conversiamo

(e l’anima domanda e mi si ostina,

si dibattono i sensi presi all’amo…)

 

Ma invano: che oramai non sei bambina

e nella tua tagliola il piede stringo,

e per le ciocche dei fondenti ricci

chissà poi cosa nel pensier mi fingo…

 

Lo ben so che non sono tuoi capricci,

ma leggi (e che noi disconosciamo)

di natura e d’amor che l’ha creata

in tempi già ignorati dalla storia.

 

O tu che nome devi a Nike alata

o epocale britannica regina,

albergo ti sarà la mia memoria

che abbonda di ristrutturate case.

 

È sufficiente gloria

l’invito a colazione stamattina:

perché non so né come,

ma pare aver sapore del tuo nome.



A un’amica poco lieta dell’assenza in corpo suo di femminee forme

 

Diceva quest’amica piacentina

che fra le buone cose un gran difetto

le pose nel sembiante per dispetto

la natura; pensando «Ahi, meschina!

 

a me che son guardiana di piscina

e posso altrui salvar con mio brevetto,

perché non desti egual formoso petto

che a celebre baywatchica bagnina?».

 

Martina, pur dicevalo Petrarca,

che il crescere la mamma in eccedenza

sudor più ti procura e il busto inarca…

 

se in modellar corporea sporgenza

fu mano del creator sì tanto parca,

gioisci tua beltà ed intelligenza!



Le confessioni di un ventottenario

 

Disse mia madre: «Figliolo, datti una spinta

ed esci dalla tua vasca.

Non bussa certo l’impiego alla porta».

È vero. Mi adagio sugli allori

di otto anni d’ateneo.

Che ci posso fare, mi affeziono.

V’è gente con sei carte in tasca,

eppure con speranza quasi morta.

Aspettate il mio CV.

Tempo di finire, poi sì, ve lo compilo.

 

Disse mio padre: «Mettici più grinta

nel trovarti una compagna.

Guarda in giro quante ce ne sono».

Lo so. Se non ci penso io,

nessuno più: si rompe il filo.

La mia lancetta tira indietro,

e fratelli non ho di scorta.

Meno male, pazienza ne ho fin troppa

- (non saprei se difetto sia o dono) -

quasi quasi la vendo al metro.

Non è, in fondo, ‘sta gran mancanza.

Verrà il giorno che il buco si rattoppa.

 

Disse un’amica parole sincere:

«Ti prego, resta sempre cavaliere».

Razza ormai estinta,

e oggi fallito galateo.

Magari fra vent’anni,

solo ed orfano di Panza,

errando a bicicletta in groppa,

farò traversar la giovinetta

borse in mano e dentatura finta.

Siano chiome bionde o nere,

ora e sempre cortesia.

Oh tempi, oh ideali!… Unico neo:

oggi un mondo sovraevoluto.

 

«Non v’è salute fuor di conoscenza»

- disse un omone barbuto -

«Ricorda le due vie dell’esistenza:

gioir copulativo e fare stemma».

Ok… nel mezzo cercherò la mia,

fuggendo gli estremi affanni.

Ma quanto, quanto si può sapere?

Antico, eterno dilemma.

Di Montale, direi sono a buon punto;

di Tasso, direi non so un’Aminta.

 

«Amore» disse una voce lontana;

sì tanto bella, come dipinta…

gli occhi verdi color di gemma…

«Se è vero quel che provi,

io prova non ho avuto».

Il poco tempo non paga i danni.

Ma bando all’amore defunto:

che siano rose oppure siano rovi,

prendere ogni cosa con filosofia.

 

Qualcuno bussò alla porta.

Ecco l’impiego, ecco l’amore che mi chiama!

Nero elegante, volto smunto.

C’è tanto ancora da fare! Mi rifiuto

di smettere i mortali panni!

«Mi spiace» – disse lei – «Tempo scaduto».



NUNTIO VOBIS FINEM MUNDI:

 

notizia secolare

che s’udirà da qui

fino al Sudan e in Burundi:

sono entrato in FB.

 

Folle non son, né da curare

se dopo lunghi anni

e attento meditare

approdo a Faccialibro.

 

Fu colpa di un amico,

che tanto impegno mise in esortare

che l’ebbe vinta al fin la cortesia.

«Lo faccia, orsù, lo faccia!

che fin che non lo fa la sfibro!

quand’è che si decide?

vi sono manga e anime,

di più: cinematografia;

ma in special modo – non si taccia -,

vide mai di giovinette prima

(e pulcre) di più che qui ne vide?»

 

Mi chiuse in cieco vicolo alle strette…

«Sì sì tranquillo, arrivo domani…»

e mai quel giorno giunse fino ad oggi.

 

Eppure, se ci penso, buoni spunti

potrei collezionare; dei cocci

di giovane ed antico

spirito poetico:

reclama la bisaccia che tracima

ormai dalle esili pareti…

Li posterò e mi dico

«speriamo al web che piaccia».



Canzone del filo logico

 

Un professore universitario

sapiente e misurato,

che guarda ancora avanti il calendario,

la filologia

a Pavia

insegna e non annoia.

 

Le origini rispolvera da Omero

che fu normalizzato,

agli umanisti dopo il buco nero

dell’era di mezzo -

col disprezzo

del recente passato.

 

Ci volle d’un tedesco l’intuizione

(a diciannove entrato)

per far capire a tutti la lezione:

l’errore comune,

le lacune

di parentela son certificato.

 

E fu da allora un nevicar di studi

sul testo tramandato,

tant’è che si trovaron quasi nudi

Seneca e Lucilio,

e Virgilio

le terga su una stuoia;

 

il Tasso e l’Arïosto un animale,

di spezie un preparato;

Petrarca ci lasciò l’originale;

Boccaccio e Manzoni,

e Goldoni,

e Cino da Pistoia.

 

Oh modelli, Rajna, Vandelli e Barbi,

dovrei esservi grato!

A Pasquali e Contini non far sgarbi;

a Maas, Paris mercé;

anche a Bédier,

pur del maestro il boia…

 

Ma a me che me ne importa dello stemma

quant’è ramificato?

Come han corrotto questo od altro lemma?

Io voglio quel mare

che traspare

per doppia feritoia.

 

Ferisce tanto il ghiaccio di quegli occhi

quanto l’incendio a Troia;

quisquilie la Commedia del Petrocchi…

Oh amoroso mare

oculare,

in te par ch’io mi muoia!

 

Potessi estirpare quei brillanti,

del vecchio condannato

marinaio pupille sfavillanti

(e chiedo perdono!)…

ma per dono

sarebbe immensa gioia.

 

E metterli ad un lato

lì sul comodino…

come un cetriolino

tenerli in salamoia.