Armi Carbonaro

Racconti


Inferno moderno

Insomma, credo che io non sia l’unico, almeno lo spero.
Sono solito chiamarla discesa all’Inferno, per la sua somiglianza con il viaggio ultraterreno intrapreso da Dante.
Chi l’avrebbe detto che qualche secolo più tardi ci fossimo trovati nella sua stessa situazione con la differenza che alcuni sono ancora inconsapevoli del loro viaggio.
Tutto inizia con un ingresso, ogni cosa fatta per bene dovrà pur avere un ingresso; credi poi di volerlo, di voler scendere quelle prime semplici scalinate, questo per un gesto di tua volontà, ma in realtà non funziona mai così.
Il primo passo alla porta dell’Inferno ti viene condannato da un Minosse colosso che ha come braccia torri di marmo e le mani sono tenaglie che tengono indicibili fruste, è con queste che sancisce la pena, quanti più colpi ti dà, tanto più l’oggetto colpevole si infiamma e scaglie lingue di fuoco roventi svolazzanti nell’aria.
I più sensibili riescono anche ad avvertirlo questo passaggio, da un’aria salubre e leggera ad una grigia, rovente e asfissiante foschia.
Qualcuno disse che era lo stesso Minosse a scegliere quanto in profondità saremmo scesi e soprattutto quante e quali colpe avremmo dovuto subire in quel breve, seppur maledetto, cammino.
Inevitabilmente scendi quelle scale, veloce o lento, ti percuoti poi il corpo con una mano alla ricerca del pass. O quello che tu credi sia un pass.
E purtroppo non ti rendi conto della pena che subisci. Ignavi, una schiera di corpi si avvicinano ai caselli e tu, naturalmente, fai come loro. Il più furbo prova a fuggire, fa un’acrobazia, volteggia in aria, rimane per un po’ sospeso nel grigiore che si respira e poi corre, corre verso la tortura che lo aspetta, immaginandola come salvezza.
Oh virgiliana scienza, perché non accorri dal cielo? Perché non ci guidi nuovamente sull’ostico sentiero, perché non ci mostri il Demonio così com’è fatto nella sua empia colpevolezza di dissimulatore della natura?
Il pass prima o poi lo trovi e, folle, ti inoltre nel sempre più buio cimitero dei corpi vivi e delle anime assenti.
Cammini tu, magari senza pensieri, ti accosti prima dietro alla coda e poi cerchi, di superarlo.
Spingi, sgomiti, per cosa? Non lo si capisce. Cerchi spazio anche se sei ingabbiato. E procedi tu, procedi avanti, non senti il canto dello stonato Caronte e forse la sordità è una grande fortuna.
Eccolo, Caron selvaggio, l’ignudo dal pelo bianco, lo avverti inevitabilmente, un fastidio alla testa, credi che sia il rumore degli ingranaggio che penetri sin dentro le budella, le tue budella, ma tranquillo, è solo Caronte il traghettatore che ti bastona coi suoi remi.
Lontani sono i tempi in cui lo Stige o l’Acheronte erano ancora fiumi. Tanto fu il dolore che le acque si calcificarono, diventando cemento e asfalto, e, sempre più sprezzato, quel frutto dell’umana pena viene calpestato da tutti sin d’allora.
Scendi giù, vieni trasportato nell’Ade, laddove l’unica luce è quella delle fiamme divoratrici.
È allora che aspetti, che rimani in attesa. Ognuno ha un linea, una riga gialla, che non può superare.
Lo sentì dentro di te il disagio che aumenta, il fuoco ti consuma, essere indegno.
Poi, d’un tratto, tiri un sospiro di sollievo. Una ventata d’aria fresca ti bagna il volto, sorridi, il tuo percorso è quasi al compimento.
Arriva. La Cosa, l’Essere bestiale dal capo trino giunge, accompagnato dal gelo.
Apre le fauci e divora tutti voi.
Si sta stretti, non si respira, tutti ammassati, qualcuno rabbrividisce, c’è che inizia a sudare.
Il Diavolo ti mastica ma non ti ingurgita.
Credi di essere condannato per l’eternità, eppure…
Il vagone si apre.
Sali altre scale.
Esci dalla metrò e respiri libero il sole primaverile.

 


 

Il folle dell’assicurazione

Viveva in una città un uomo molto polemico e abbastanza bizzarro.
Da quando aveva visto al TG un omiciattolo che chiese il risarcimento danni per uno scontro tra la sua auto e quello di un altro, si era incaponito di voler fare altrettanto; cioè: cercare l’incidente automobilistico per il solo gusto di scrivere la lettera di risarcimento.
I soldi non gli interessavano affatto, l’unica sua intenzione era scrivere quella denuncia e, giustamente, mica poteva inventarsi tutto?
Così, il folle uomo trascorreva ogni minuto della sua giornata per strada.
Gli occhi vispi e lo sguardo inebriato, estasiato, cercava ad ogni incrocio una macchina da colpire. Eccolo che accelera, incurante del rosso, ed è quasi fatta quando la vittima, con una virata repentina si salva incolume.
L’uomo ci prova e ci riprova; una però si scansa, l’altra accelera e si perde, la terza gira un angolo un momento prima dell’impatto, addirittura una che gli stava davanti, per evitare il tamponamento, fa un elegante balzo e si leva da mezzo.
L’uomo era inferocito, perché quattro giorni aveva passato a cacciare prede, tutto inutilmente.
E’ la sera del quinto giorno consecutivo e ogni strada, stradina o viuzzola è deserta, l’uomo bizzarro è preso dal panico, è come in astinenza, deve schiantarsi contro qualcosa, allora gli viene l’idea geniale. Chiude gli occhi, libera le mani dal volante e preme sull’acceleratore.
Che gioia! Che felicità, quando apre gli occhi, vede del fumo uscire dal parabrezza ammaccato e, con un colpo al cuore, guarda la cosa che gli ha causato un così ingente danno.
Si finge terribilmente offeso, quindi, apre la portiera, prende carta e penna e, sul tettuccio dell’auto inizia a scrivere.
“Gentile Signor Palo della Luce,
sono profondamente scosso dalla sua azione. Lei saprà che, per strada, vigono leggi ben precise, ideate per tutelare i cittadini, come me e Lei, e l’ordine pubblico.
Confido nel credere che le conosca bene; tuttavia, ciò che ha fatto stasera farebbe credere il contrario. Ma non si preoccupi mio cordiale Signor Palo, non è mia intenzione infangare il suo lodabile nome.
No, piuttosto vorrei far luce su questa questione abbastanza ostica. Dico io, con tutto il rispetto ma, prima di attraversare, vuole dare un’occhiata intorno?
In questo momento non staremmo a discutere se lei non avesse commesso questa sciocchezza.
Lei dirà che la colpa potrebbe essere anche mia, perché le sono venuto addosso come se avessi tenuto gli occhi chiusi, ma si sbaglia di nuovo enormemente; è vero che avevo chiuso gli occhi ma questo semplicemente perché Lei ha dimenticato di spegnere le luci abbaglianti.
Insomma, credo che invierò questa lettera, oltre che a Lei e alla sua compagnia assicurativa, anche al giudice, sa,  mi premunisco casomai…
Ma io spero, e sono sicuro, che lei sarà felicemente collaborativo e cercherà in ogni modo di rimediare al danno, quasi vitale, che lei mi ha inflitto.
Detto questo la pregherei di darmi le sue credenziali affinché possa richiedere il risarcimento agli organi competenti. Le auguro, con questa, una vita serena e felice.
Spero di non rivederla in tribunale-
Addio.”
E se ne andò soddisfatto a casa, recandosi a piedi perché l’auto era completamente sfasciata. 

 


 

Hitler

Un giorno, una mattina, mi venne un incredibile desiderio di fare qualcosa di costruttivo che non richiedesse parecchie energie.
Decisi quindi di visitare un museo, luogo a me completamente ignoto, sperando di incappare in meraviglie millenarie e oggetti storici senza prezzo.
Parlando proprio di storia, non potete capire quanto mi stupì incontrare in quel posto un personaggio che la Storia l’aveva fatta.
Con mio grande piacere mi trovai a parlare con Adolf Hitler in persona, vestito di pantofole rosa con simpatici coniglietti sopra, del suo pantalone militare verde, di una camicia bianca e, affinché risaltasse il suo baffetto, indossava un papillon nero, leggermente storto.
Al che iniziammo la discussione:
-Ehi Adolf, ti piace “L’Urlo”? Sembra che Munch pensasse a te quando l’ha ideato- dissi io e, non comprendendo il come e il perché, Hitler parlò con un certo accento francese.
-Vorrei poterlo credere, amico mio. Inspirare un simile artista sarebbe per me un grande onore, la pittura mi ha sempre colpito per la sua potenza emotiva, sai?-
– No, lo ignoravo, sapevo che il potere ha sempre avuto un certo fascino su di te ma…Piuttosto dov’è finito il tuo alter ego nazista? Quello che sbraitava anche quando mangiava pop-corn? Non avrai ucciso anche lui, spero-
-Uccidere?- domandò lui, come se fosse un’azione che non contemplava – No, non ho ucciso nessuno, hai ragione sul fatto che prima non ero un tipo dai nervi saldi ma ho conosciuto la calma dell’esercizio dello yoga e sono cambiato. Lo so, non si direbbe, ma sono un’altra persona-
-No, non si direbbe affatto- dissi ironicamente- Devo mettere in inciso però, e spero che tu mi capisca, che ho qualcosa da dire sul tuo “non avere ucciso nessuno”. Devo rammentarti, solo per precisione, nulla di personale, dei milioni di ebrei massacrati per tuo volere?-
– Ah già- rispose aspro, arricciando il baffetto- Beh, ho reso un servizio a questa terra, no? Insomma siamo sette miliardi, c’era bisogno che qualcuno facesse spazio su un pianeta così popolato-
-Capisco, quindi nulla di personale anche per te?-
-Ehm… non proprio, diciamo che, dopo essere diventato il Boss, temevo che quei folletti si accaparrassero tutte le mie ricchezze. Solo per questo, lo giuro. E comunque quello è il passato oramai. Non importa ciò che ero, ha importanza ciò che sono, e ora sono una persona migliore. Peccato che John Lennon sia morto, mi piacerebbe essere stato al suo fianco a gridare “Date alla pace una chance”. Già mi vedo, lì, in piazza, con una corona di fiorellini che mi cingeva il capo, a protestare per i miei diritti civili. O meglio, per i diritti civili dei miei civili. Peccato…-
-Adolf caro, non so se credere alla tua follia o scoppiare a ridere. Penso, comunque che se provi veramente sentimento per queste idee, non aspettare il Messia, attivati tu stesso e comincia ad agire ora-
-Ma sono ormai vecchio per queste cose, si dovrebbe dare spazio ai giovani!-
-I giovani hanno bisogno di esempi e poi non si è mai troppo vecchi per esprimere le proprie idee. Non trovi?
-Figliolo- disse lui illuminato- trovo che tu abbia profondamente ragione- disse questo e poi se ne andò e mi lasciò lì da solo, impalato, a fissare L’Urlo di Munch.
Stordito uscii anche io.
“Come si può” pensai “Non amare in questo mondo, quando è lo stesso Hitler a farsi profeta”.
Tornai a casa, soddisfatto di aver fatto qualcosa di decisamente costruttivo.