Beatrice Berti - Poesie e Racconti

OVEST

 

Da questa notte correrò ad Ovest.

Supererò la Senna a nuoto i Pirenei a piedi nudi

Andrò ad Ovest dei passi che abbiamo percorso

e ad Ovest di quelli che avevamo sognato Decolleranno i nostri destini, a Ovest

come decolla il Duomo di Milano dopo tre bicchieri di Gin

Ovest sarà lontano dalle fotografie che mi hai regalato

e dalle cornici dei nostri quadri impressionisti Guarderò il sole disintegrarsi

nell’Atlantico

cavalcherò balene senza briglie prenderò tra le mani le meduse Supererò la siepe di casa camminerò ad Ovest del mio Paese, dove i granai

restano abbandonati sulle colline Attenderò ad Ovest l’inverno

sui crepacci immacolati dei ricordi disarmati

Leggerò i libri che si leggono ad Ovest

abbandonerò Nabokov nella libreria di Svezia Berrò i caffè d’Ovest nelle tazze grandi

dove navigano idee sottomarini e marinai Mi accuccerò

nel mio sacco a pelo

e quando ad Ovest sarà primavera inizierò a volare

Andrò ad Ovest con le illusioni d’infanzia un edelweiss tra le labbra

e un calice vuoto

A Ovest si prega meglio

A Ovest “conoscevo un tipo, si chiamava Lebowski”

e chissà se è ancora lì, dal ’91

Io parto e lo vado a cercare, lo chiamano ‘Il Grande’ forse

ne varrà la pena Vado ad Ovest

dove mi aspettano i cercatori d’oro del ‘lontano West’

m’insegneranno a sparare con la rivoltella tenuta nella cintura

attorno alla vita Resterò ad Ovest

del nostro latte versato

e mangerò biscotti al burro per tenermi al caldo Albergherò in un motel

ad Ovest

lontano dai tuoi “mi manchi” inceppati come cd usurati L’Ovest sarà il mio nord

dove correranno i treni a carbone nelle praterie

L’Ovest è il confine mediano tra i miei due emisferi cerebrali

E’ il purgatorio del mio subconscio Io rinasco

ad Ovest

alla sinistra dei nostri jeans gettati a terra


Martedì 12 Settembre

 

Dove mi lascerai quando finirà settembre?

Che le cantine, sono piene di botti di vino e

le casette nella valle straripanti di legna da ardere. Dove mi metterai,

quando la porta sarà chiusa a doppia mandata e la neve peserà sui tetti

sopra i cofani delle macchine.

E se geleranno le batterie delle auto

arriverai con il carro attrezzi a trascinarmi a casa? Adesso,

sì,

è già la fine,

tengo in mano solo carta da giornale e la mia stanza è gelata.

Dove sei andato?

Le mie valigie esplose nei cassetti in cirmolo, e i libri li ho già portati tutti via

con le loro orecchie negli angoli i fiori secchi a pagina 159

e le parole che ci assomigliano sottolineate in nero. Vado fuori ad abbandonare i miei passi,

martedì è sempre un giorno favorevole per gli inizi.

Settembre non finirà dentro questa neve e io vincerò le mie Valchirie

bevendo un bicchiere d’acqua nei fienili.

Hai spazio per me davanti al camino di dicembre?

Le foglie saranno già cadute tutte,

ci costruirò un materasso e lo chiuderò, ben stretto,

con un lenzuolo bianco. Sarò cauta sopra di loro.

Se mi vorrai leggere una storia, quando avrai paura

in una notte da lupi, con un Vov tra le mani,

sarò nell’angolo più remoto della casa che aspetterò lo scricchiolio delle assi, voci dei tuoi piedi scalzi.


Martedì 19 Settembre

 

E casomai, fermati qua,

che piove un po’,

ma domani mette sole e aria d’ottobre. Stanotte terrò accesa la luce e farò la maglia, e domattina, se proprio vorrai ripartire

sarà piegata sul comò, accanto alle gioie

che sono tutto quello che tengo. Il collo alto, per tenerti al caldo, ma anche per nasconderti, quando non vorrai essere trovato e il mondo sarà meno inquietante guardandolo tra i fili di cotone.

Ho scoperto, poi,

che l’odore della nostra pelle ci fa tornare a casa,

sempre.

Raccogli calze e guanti,

lascia sul cuscino i tuoi macelli e i bombardamenti nucleari, che poi tanto apro le finestre e cadranno fuori,

assieme alle foglie d’autunno

e alle polveri dei nostri scendiletto. Tu, vai,

che la porta è rimasta aperta e se poi magari torni,

sarà così che la troverai. Ma se torni,

fallo prima dell’equinozio di primavera, che le castagne vanno mangiate in due sotto le coperte fatte a mano.

E se il fuoco nel camino si spegne, bruceremo le tappe

e il tavolino in vimini che alberga nello scantinato.

Ma se non ci basteranno

per tutta la notte del tuo ritorno, e per quelle successive, sapranno bruciare i nostri cuori,

che hanno riconosciuto casa loro. Mentre cambio le lenzuola,

ti guardo andare via, con le tue spalle larghe

e i quintali di sabbia bagnata tra le mani, che hanno saputo tenermi stretta quando ero ubriaca,

e i sambuca con la mosca non li sapevo contare più. La distanza tra me e te, adesso,

saranno le sigarette di dieci pacchetti, tutte in fila,

come macchine a ferragosto. Tutte le fumerò,

per bruciare la tua mancanza. Girati, ti prego, sono quassù, dimmi che resti.

Metto su il caffè?


Martedì 26 Settembre

 

I nostri spazi,

le terre straniere,

e i granelli di sabbia ancora tra le dita dei piedi. Luglio è finito,

La Cinta,

non ci ha seguiti fino a casa, ora,

sono i suoni delle foreste e delle birrerie di paese

a tenerci svegli la notte. E poi il mio nome,

con i miei capelli nella tua bocca.

E poi il freddo che non ci fa dormire, e poi le adrenaline

dei nostri corpi.

E allora sono acque, sotto i piumoni,

e poi uragani

e poi fuochi della Patagonia. E poi,

andiamo in Cina,

a scalare la muraglia, io,

sopra i tuoi fianchi, tu,

dentro la mia città.

E poi mangeremo una piadina,

se ci va, con le coperte ai piedi del letto e poi leccheremo via le briciole

che ci cadranno addosso. E se vorremo,

poi, ricominceremo,

che ormai sappiamo come si fa. E poi passami una sigaretta,

e lasciami qua,

accanto a quello che resta.


Domenica 4 Febbraio

 

Abbiamo rifatto il letto due mesi dopo Natale,

ha continuato a cadere la neve sulle nostre schiene nude. Ho scoperto, sulla tua,

costellazioni non riconosciute dall’astronomia e gli ho dato un nome.

Ho scoperto spazi tridimensionali sul tuo addome

e ci ho fatto viaggi interstellari, extra terresti, extra lunari. Lo strudel è appena tiepido,

niente di paragonabile alla tua pelle calda nel tramonto. I pini ci hanno vegliato tutta la notte,

ed anche quella prima;

ronde e sentinelle con gli aghi e la brezza sulle mani. Siamo tornati al momento delle collisioni continentali, alla preistoria.

Assieme.

I fossili li abbiamo visti nascere sulle pietre

dove abbiamo iniziato le nostre reciproche invasioni barbariche. Portavi arco e frecce per ferirmi,

io una sola spada di cartone e le spalle scoperte.

I lupi conoscevano il mio nome e assieme cantavamo alla luna. Appoggia il tuo arco sulla paglia nei fienili, che non faccia rumore. Non ci puoi ferire.

Il loro manto si schiude dalla roccia del Seceda e gli occhi sfociano nella Strada Nives.

Roma non è stata costruita in un giorno, ma le nostre carni, sì. E in quel giorno stesso gli abbiamo dato fuoco,

in mezzo alla neve bianca, alle pendici di Canazei.


Giovedì 15 Febbraio

 

Ti darò le mie mani, se mi ridarai i vestiti, ammucchiati nell’angolo del bagno.

Poco m’importa se sono sporchi, li laverò con un po’ di capi macchiati della mia vita.

Ti darò la mia bocca chiusa da portare in chiesa o in Normandia, se mi consolerai con carta bianca. Un segnalibro lo puoi trovare tra il telefono e la salvia.

Dove sono ora, bevo caffè ogni giorno e ti darò tutto febbraio in anticipo, se mi darai un posto a tavola e pasta da mangiare.

Ti darò i miei giorni di festa, se indosseremo un panama, sotto il cielo di settembre, con i temporali che ci purificano la faccia nel mattino e ci lasceremo lavare via le occhiaie delle notti brave di mezza estate. E poi, sarò cosi intensa, che ti darò i mercoledì che abbiamo passato senza vederci, a litigare nel buio per una certezza in più e un dubbio in meno. E se sarai stanco di guidare ti darò ore in più di sonno prima di partire per tornare a casa anche se l’adrenalina sulla via del ritorno aiuterà a non fermarti mai. Ti darò le mie calze bucate, anche se non saprai rammendarle, cosicché tu possa trovare i miei passi se dovessi perdere i tuoi.

Se mi dai le tue spiagge calde del sud America, ti darò i miei ghiacciai artici, che per te, vanno sciogliendosi.

E ci sarà l’innalzamento degli oceani, ma galleggeremo nelle acque buie, come bustine di tè.

Ti darò le mie lune piene, tonde come biglie da mettere nelle tasche per sentire le mie storie quando non saremo assieme. Ma tu mi porterai legna da ardere, perché cala presto la notte sui nostri tetti e il solstizio d’inverno tarda ad arrivare.

Se mi dai un bacio, ti darò il mio ventre piatto, gli angoli e le curve della mia schiena.


Mercoledì 25 Ottobre

 

Gli stracci, li stenderò domani, ora piego le lenzuola, così stanotte ci copriremo e potremo stropicciarle di nuovo.

Il pavimento invece, potrà restare sporco ancora un altro giorno, la polvere per un po’ di compagnia in più, non se la prenderà. E quindi facciamo finta che la polvere non ne abbia a male, e resti ancora sul cassettone in noce, con i fiammiferi, la pubblicità e la foto di mamma che sorride al mare.

E poi facciamo che io non abbia mai contato i giorni che ci hanno tenuti lontani, così squilla il telefono e sei tu – TI PIACE ANCORA IL LATTE BIANCO? – e sotto i tuoi passi storti, che fino a qui, non arriveranno mai.

Un mio capello, caduto sulla pianta grassa e io sento il richiamo dei bicchieri sporchi d’amaro nascosti nell’armadio. Le grucce vuote sono più dei vestiti appesi.

La calzamaglia bucata, smagliata dall’inguine al ginocchio e il barattolo di caramelle pieno. Qualcuno saprà salvarmi dalla glicemia alta. Forse le vie strette, che si allungano come gonne striminzite tra le mani di qualcuna che ha voluto osare troppo o forse mi salverà l’ultima stanza libera di un hotel a due stelle, dove solo gli scarafaggi non pagano il soggiorno. Oppure tutte le camere occupate mi faranno prendere la metro, e mi salveranno il calcio dato alla lattina accartocciata in Piazza della Vittoria e i cinquanta centesimi gettati al miserabile col cane meticcio e malato.

Il ritardo innalzerà le maree date dalla luna e tu passerai due vie dopo la mia. È così che non ci s’incontra mai. E io non perderò il mio appuntamento con l’acqua calda e le stoviglie sporche. Il frigo è pieno di tutte le cene che non mi hai mai preparato. E poi facciamo, senza fare finta, che una finestra e un filo di ferro siano l’ostacolo tra di noi.

Il marciapiede, con il gradino rotto, una spada di verde nasce dalla crepa, e poi il gatto che ci piscia sopra. L’immondizia è ancora lì, l’ecologia è soltanto una gran bella preghiera.

Arriverà mercoledì, forse è già domani, il mercato e l’odore di fritto sulla maglia da 10 euro. Perché è così, se compri da vestire, ti porti a casa pure il pescivendolo.

Tu, invece, non sei passato a salutare, collezioniamo i NO e i CIAO. Riattacca pure il tuo telefono, che le scuse te le posso elencare io. Cinque giri a sinistra e chiudo casa mia, l’accendino nel chiodo e apro la finestra.

E stenderò stasera gli stracci, e per le lenzuola non c’è fretta, le piegherò domani.


Lunedì 21 Agosto

 

Questo traghetto non mi sa tenere in braccio,

come del resto tutti voi e

queste assurde transizioni. Ma rimangono ancora integre le mie ossa

di argilla,

mentre resto seduta qui,

a guardare le gocce che bucano il lago.

Il ghiaccio non è abbastanza robusto, o forse,

è debole di cuore

e le prende tutte con sé. Questi finestrini, brinati,

mi riportano in Islanda, quando il caldo

non era solo nelle borracce termiche, ma anche nei nostri corpi

durante le notti polari,

avremmo potuto sciogliere i ghiacciai e dare fuoco alle foreste,

e se fatti prigionieri piromani avremmo fuso le manette.

Aghi nelle tempie

queste moquette impolverate, la lampada ad olio,

mi uccide l’olfatto, mi divora di nostalgia e tutto quello

che rimaneva

del tuo odore d’arancio

è bruciato con lo stoppino. Il k-way rosso,

mi arrivava

appena sotto i fianchi

e le gambe sempre grondanti d’acqua

fango sangue ed ora

è sotto macerie di cerotti strappati in chissà quale sito archeologico della nostra città asfaltata.

Abbiamo portato a spalle un pino, un Natale,

io la punta,

tu il fardello vero,

ma ci hanno risparmiato le radici. Perché?

Le volevo io,

ci avrei costruito altalene, per non toccar a terra.

Ma tu,

non mi ascoltavi

con quel tuo paraorecchie color senape.

Dio come eri bello, nel tuo montone nero

e i miei passi sulle tue orme nella neve.


Martedì 6 Giugno

 

Ritorna a prendermi, questa notte,

dopo le dieci,

ma non alle undici,

che sarebbe già troppo tardi, e qui

dove sono adesso

mi uccide restare così a lungo. Ritorna qui,

sul lungomare,

dove mi hai detto “No”,

dove mi hai lasciata a creare impronte e a capire quanto possa affondare

dentro questa sabbia. Mi hai lasciata qui,

con gli occhi rossi per il vento e gli ombrelloni chiusi,

il mare calmo,

che non sa più parlare questa notte. E sì,

è ancora tutto qui, il mare della riviera,

dove ho giocato alle biglie sotto gallerie di sabbia,

la briscola col nonno che non ho imparato mai,

ma l’enigmistica della nonna, la sapevo fare bene.

Ho oscurato caselle,

e sono andata fuori dai bordi, perché da bambini si può,

mentre ti tiri fuori il costume della riga, con le mani incollate di crema solare.

E i granelli di sabbia sotto i denti e,

il cocco che era troppo

ed occultavo nella buca sotto l’asciugamano. Stappo una birra,

la bevo e penso e bevo

e mi sento in un film, ma questa bionda ora,

la verso in mare, che a me

la birra mica è mai piaciuta. E il materassino rosa,

preso dal tabaccaio del paese, qui,

nella Romagna in fiore,

era già gonfio e legato

con una corda per le barche, intorno a un coccodrillo, con le maniglie nere che, non mi han comprato mai.


Martedì 6 Febbraio

 

Resta al sole, Clementina, cerca di non cadere se correrai.

Hai ancora i piedi piccoli e la terra sotto di te

ti prenderà con sé.

La polvere coprirà la tua pelle bianca ed i capelli rossi,

raccolti in due trecce si ribelleranno.

Capirai che serve tempo

per avere la forza di arrampicarsi sugli alberi, e quando lo farai

le tue lentiggini si moltiplicheranno. Al tramonto,

la tavola sarà imbandita ma nessuno ti troverà.

Ed i nonni

lasceranno raffreddare le loro cene

ed usciranno coi loro cucchiai puliti tra le mani per venire a cercarti.

I tuoi occhi

si confonderanno con le foglie dei faggi a maggio,

e suonerai la tua armonica a bocca quando tirerà vento.

Arriveranno i cavalli,

dalle praterie umide della Bolivia e berranno l’acqua del fiume.

Non ci sarà differenza tra i loro crini e i tuoi capelli sciolti,

i vostri dorsi,

lenzuola che asciugano al sole. Che pochi anni hai, Clementina,

avrai ancora braccia che ti solleveranno e spalle che ti faranno guardare più in là.

Avrai ancora qualche notte

da passare con la paura del buio e qualche bicchiere d’acqua da bere dopo un brutto sogno.

Scoprirai che la tua pelle di latte ha il profumo della tua casa e

che le stagioni cambieranno la natura delle cose.

A giugno

cercherai di scoprire che aspetto hanno le cicale e quando non ci riuscirai

aspetterai la mano stanca della pioggia d’ottobre. Resta al sole, Clementina,

cadrai se correrai, ma la pelle,

sulle ginocchia sbucciate ricrescerà.