Bruno Lijoi - Poesie

Strage su strage

 

In quali abissi

ci siamo avventurati

ove perfino i lamenti

non riescono ad assicurare

contorni all’orizzonte

che non c’è?

In questo impalpabile luogo,

in questo mobile deserto,

anche la presenza della poiana,

che si prenda cura

del mio bambino,

offerto agli Dei

e rifiutato

ancor prima dagli uomini,

risulterebbe essere gradita.

Vorrei unicamente vedere

quale poiana,

mossa da una nobile causa,

riuscirà a cancellare

questa ignobile vergogna

e poi, tranquilla, aspetterò

che il mio avvoltoio

venga a banchettare

con il mio corpo,

venga ad incavare

i miei occhi calcinati,

venga a strappare

la mia bocca screpolata,

venga a perforare

le mie mani macerate,

venga a sbrindellare

il mio cuore pietrificato.

Cancellate, amici volatili,

ogni traccia di vergogna

sulle rotte del mercimonio.

Il mare non ha occhi,

il mare non ha lacrime,

il mare non ha cuore

come chi pretende

di cavalcarlo:

il mare non concede spazio

alla croce dedicata alla pietà.


Lupi famelici

 

Si cammina

sul crinale di sentieri

immersi nel buio,

abbandonati,

in balia

di lupi mai sazi.

Si cammina

in ordine sparso

avvolti da un fumo,

acre e denso,

in sale chiuse

senza poterlo disperdere.

Si cammina

oltre il silenzio

chiudendo gli occhi

allo spiraglio di luce

celato

oltre le porte sprangate.



Amanti

 

Abbiamo rubato al presente

un momento

favorito dal luogo.

Le ali del vento

hanno socchiuso

le porte del tempo

diluendo

senza interferenze

la sua veste,

sfilacciandola.

Non ascoltiamo

i rintocchi del campanile

né ci preoccupiamo

del desco giornaliero,

preferiamo

consumare il tempo

tra quattro mura

ad esplorare angoli

e ad illuminare pieghe

per offrire all’orecchio

un tono intonato,

prima di ripiombare nel presente

che ci ritrova divisi.


 

Ricordi

 

I fili recisi

riaffiorano

al calar della bruma.

Una danza di polvere,

in filigrana,

si offre

a pizzicare

le corde dei ricordi

chiusi in uno scrigno,

intoccabile,

a prova di scasso.

Un balletto improvvisato

strappa la fatica

al quotidiano,

con un dolce ricordo

od un rimpianto.

E mentre la luce

va a morire,

coltivando la rinascita,

colori brillanti

riempiono la scena

stemperandola.


 

Mai  

 

Mai

sarai il mio sole:

ho il mio giardino

da coltivare

in compagnia

delle mie sorelle stelle.

Mai

sarai il mio sole

e non potrai occultare

la mia luminosità.

Sarò la stella polare

di chi mi vorrà amica

ed insieme

daremo speranze

a quante, pervase da dubbi,

si fanno risucchiare

in un vortice letale.

Mai

sarai il mio sole

e non brucerai le mie ali

ma di questa grande famiglia

potrai essere

solo la luna.


 

Sorriso

 

 

Un volto sconosciuto

che dona il buongiorno

viene a stemperare

come brezza,

refolo gentile,

l’arsura dell’animo.

Un sorriso non dovuto

un saluto inaspettato

allarga il cuore

e le pietre che vi albergano

come calcoli

vengono frantumate.

Porta il tuo sorriso

nell’agone internazionale

e il tuo saluto

nel consesso universale:

gli ardimentosi inganni

si appianeranno.


Olive

 

Mi mette le ali

il vento

verso l’ultimo ramo

mentre mi asciuga

il sudore sulle spalle.

Le gemme,

le posso afferrare,

si insinuano

nella canottiera,

si infilano negli stivali,

si poggiano

sul ponticello

a contatto con gli occhi

mentre ruvidi rami

tracciano ricami

sulle braccia.

Brucia la pelle

nelle ferite non incrostate

ma brillano gli occhi,

anche nel buio,

quando i rami,

carichi di olive,

ondeggiano al vento.



Naufrago

 

 

Scruta l’orizzonte,

vuoto,

la mano agli occhi

e l’ansia

che si fa calcina

intorno al cuore.

Un sudore amaro,

che brucia la pelle

e pietrifica gli occhi,

viene cullato

dallo sciabordio delle onde

e dal rantolo del motore.

L’immensità vuota

è pronta ad inghiottire

l’ennesimo boccone amaro

che pervicacemente

scruta l’orizzonte

in cerca di pietà umana.

Nessun presagio in vista

porta sollievo

a membra sfatte

ma l’ansimare del mare

sollecita una resa calcificata.


Lamento del mare

 

Quella voce

che mi parla,

quella voce

che ti parla,

quella voce

che ci parla

viene dispersa,

cristallizzata dal vento,

sulle chiome dei cespugli

abbarbicati alla sabbia.

Non basta il merletto,

dardeggiato dal vento,

ad ingentilire

la voce smerigliata dei cardi,

dei giunchi e delle canne

che cerca riparo

dalle sue folate.

I lamenti si intrecciano

Sulla stessa lunghezza d’onda

E si sostengono

E si consolano

Trovando quella assonanza

Che è mancata loro

Nella bella stagione,

sovrastata

dalle voci diverse

e solo ospiti del luogo.

Ed ora mi parla,

quella voce,

e chiede conto

a me ed agli altri

che si accompagnavano

sfruttandone

il melodioso canto,

e si lamenta

propagando il contagio

perché non mi può aiutare

avendone cancellato le orme.


Puzzle

 

Un cocktail

e una musica travolgente

trascinano i passi

e liberano il corpo

dai limiti imposti

dal pubblico mostrarsi.

Tracima l’energia

nascosta

e a nulla vale

aggrapparsi alle convenienze.

Mi ritrovo

non padrone

di me stesso

e invano cerco

di riallacciare

i fili del mio essere

e di ricomporre il puzzle

che mi accompagna.