Camilla Colombo - Poesie

SIRENE

 

Il vostro canto

echeggia negli abissi

I nostri cuori

curiosi

possedere vorrebbero

la vostra vista

di antica bellezza

senza tempo.

 

Un suono i marinai udirono

nei loro eterni viaggi

nel Mondo.

 

In tante leggende 

si narra di voi.

Da tempi lontani

affascinate l’uman desiderio 

di conquista.


ADDIO

 

Onde nel mare

corpi sospesi

L’emozione di un dolore.


DISTORTE RIFLESSIONI NOTTURNE:

DOVE FINISCE LA REALTà?

 

Nel buio, notte

piccini noi siamo

lo spazio osserviamo:

stelle che muoiono,

creano materia,

bruciano idrogeno

che in elio diviene.

Fragili esistenze accompagnano

Universi interminabili

solida certezza di esistere

Uomini o dei,

possediamo gli dei che cerchiamo 

assiduamente altrove

cuori di materia pulsante. 

Ossigeno diviene CO2

Trasformazione

Concentrazioni gravitazionali e  

il tempo che conosciamo

non esiste più…

 

Eppur illusione non è.

 

Perduti nella monotonia della quotidianità;

stolta tecnologia

bruciamo soli capacità che possediamo da sempre.

E ciò che è superfluo diverge in essenziale.

Errore moderno

di ingenuità superficiale,

loschi frammenti di poteri sovrani,

di libertà perdute…

 

Eppur illusione non è

 

Ossessione di sapere il destino che abbiamo

dovuto avere

nell’incertezza di vivere

nell’unica certezza di morire.

Male non è Morte, ma un nuovo inizio;

si torna ad essere frammenti di materia, 

di spazi temporali in Universi paralleli,

dispersi nel confine sfumato

di ciò che a mala pena riusciamo ad osservare

nella desolazione dell’immaginario collettivo.


LETTERA A UN VIAGGIATORE 

 

A te,

marinaio lontano, oggi va il mio pensiero.

Vestito di stracci logorati dal Sole e dal vento, ti vedo, laggiù dalla mia innoqua riva: ti senti rinchiuso su di una barca in legno con una vela bianca strappata; strappata da quelle tempeste che, con qualche acciacco e nuove conoscienze sei riuscito a superare.

Ti vedo lontano ma ti sento vicino al mio cuore e un po’ in te, riconosco me.

Vedo ogni particolare: il tuo berretto bianco da cui spuntano occhi color smeraldo, quasi consumati da tutto il mare che hanno veduto.

Sei al sicuro, rinchiuso sulla tua barca che ti dà protezione ma in cui, spesso ti senti prigioniero. 

Chissà quanti pesci, sirene, animali a me sconosciuti hai potuto mirare.

Chissà quante Lune, quante Stelle, quanti mari, hai potuto abbracciare.

Da quante mattine ti sarai fatto cullare?

Quanta sicurezza può dare un mare che un momento pima ti logora gli occhi con la sua bellezza e un momento dopo vorrebbe ucciderti?

Quanto bella può esere la sensazione di sentirsi impotente? Di non avere nessuna arma dalla tua parte che possa proteggerti dalla furia marina?

E tutti quegli esseri a me sconosciuti, caro marinaio, quale magnifica tetra sensazione può donarti una creatura tanto bella che non sarai mai in grado di domare e di conoscere in ogni suo movimento e strategia?

So che sei saggio, i tuoi capelli di paglia secchi e bianchi ne sono testimoni.

In ogni situazione sei stato saggio, dacchè avesti sedici anni.

Hai saputo come comportarti in ogni occasone e il mare te ne sarà riconoscente:

lui sa che quando verrà la fine non ti tirerai indietro, accondiscenderai al volere del tuo unico grande indiscusso dio: il Mare.


SERPEGGIARE IN CIELI MAESTOSI DI UN TIEPIDO INVERNO

 

Noi volevamo solo volare

Attesa

indiscussa indomabile attesa

Ci fai pregustare il momento

dolce mio sentimento

scrivo di te 

Che sei nell’aria fresca del mattino

pretesa di essere chi non si è 

da quassù il mondo è com’è

 

Solo,

immerso,

sirene eleganti, 

profili radiosi.

Ali create da menti,

antropici lamenti

Il mare di Icaro da quassopra 

ammiriamo

con lui andar non vogliamo

ma con Dedalo risoluti siamo

e al dio Apollo un dono portiamo

 

Ora noi saper non possiamo quale

gioia assiste svolazzar leggiadri

Ma da Icaro qualcosa impararmmo,

rispettare la memoria quando per 

cieli gli equlibri cerchiamo. 


Aprile 2020

 

Il bianco lasciava posto 

al verde 

ma viceversa succedeva per il ciliegio

l’unico albero fiorito 

in quell’aprile speranzoso,

pieno di sogni.

Le primavere si infittivano anche sulla mia schiena.

Riconoscevo i profumi della sera chiara,

mi riportavano ricordi:

la cena con le erbette del prato,

il profumo dell’incenso che mia madre era solita accendere mentre godevamo del tramonto,

le corse in piazza in bicicletta…

Più tardi la primavera è stata finalmente andare in piscina in motorino,

uscire con i capelli bagnati,

non vedere l’ora di fare un tuffo nel fiume, un risveglio dell’anima,

una liberazione a tutti gli effetti.

Come il serpente lascia indietro la sua vecchia pelle, io mi spogliavo da quei vestiti caldi e pesanti, che mi opprimevano i sogni e mi facevano vivere a metà per tuffarmi alla ricerca di qualcosa lungo il corso dei fiumi rapidi e sul fondo del lago.

La primavera ci travolge dal vento da est, rincorro il suo tragitto, ascolto le voci degi spiriti del fiume, mi godo il canto degli uccelli e il rincorrersi delle rondini in questo aprile senza uomini.


Il paese si prepara…

 

alla grande nevicata novembrina

Un fremito generale irrompe le strade

le case già illuminate

dal candido fragore della legna 

che canta sapori di di estati passate

Pale,

uomini aspettano la Dama Bianca

Regina dei monti

Nei bar ci si trova allegramente

la sera, prima di cena

Confronti e nuove idee,

Dolce attesa,

Luna piena.

Le chiese dei paeselli calde.

Il cielo diviso,

nuvole in arrivo,

Tramontana.


LIBERTA’ PERDUTA

 

Voglio scambi,

scambi facciali

intermolecolari

che facciano ridere, sorridere.

arrabbiare bonariamente

Ho bisogno di cultura, di teatro,

di sapere le cose belle

semplici della vita

che oggi mi sento stritolare i nervi,

le membra

al solo pensiero 

di essere nella cruda realtà 

delle terribili atrocità

in cui l’esistenza

 si accinge ad essere

Vorrei essere lo spirito e 

l’anima di quei tanti 

esseri da pochi anni nati che ora si accingono 

ad essere carne per avvoltoi, squali o 

per esseri  potenti.


SASSI

 

Pesante è il fardello,

si appresta 

silente

di tanto in tanto

irriverente

amor che ogni cosa

 tu vedi nella mente,

aiutami dimenticandone 

l’oblio portante 

del suo corpo inesistente;

esonda in me il pensiero di trascinare con fatica

la colpevolezza umana 

ch’ogni cosa distrugge,

ch’ogni cosa aggredisce

consapevole non lo è 

attratta dal potere,

dall’avere,

“Voglio tutto e subito” disse,

io non potei darglielo

e si scalfì contro la mia anima.

 

.

Che poi 

era bello lasciarsi amare

essere fusi in unica soluzione

Terra Sacra 

 

E ora 

patria sola

Figli di indegno “progresso”

La definizione che offusca

 

Ragioni radicate all’antico 

umano rito

le stagioni che passano

Disdegnate sotto suole 

Di scarpe costose

Con nomi di gente 

A quanto pare importante

 

Dimenticando l’essenziale

La strada percorsa crolla

E sotto i nostri piedi scalzi

scorgemmo frammenti di Terra e di

Vivi dissolversi

 

Ma noi continuammo a vendere scarpe.