Caterina Bertolini - Poesie

Il vento della mediocrità

 

Il vento della mediocrità della vita

ha spazzato via con sé 

le lacrime

che come secchi colmi

d’acqua salata

mi scendevano sul viso stanco, 

lasciandomi ancor più stanca ​

e con un sorriso amaro. 

Con lo stesso sorriso amaro

sto correndo

per andare a prendere il pullman 

verso la mia vita che continua, 

come sempre, 

sotto il peso difficile da sopportare

- ma pur sempre sopportabile – 

dello scorrere inesorabile 

dell’acqua della fontana 

che in questo millesimo di secondo è alla mia destra. 

E che già non c’è più.


Lorenzo detto polvere

 

Sette giorni su sette di freddo                         

e nebbia

e odore di bosco, 

e uno strano fumo 

dalla casa   diroccata 

fuori dal paese: 

odore di famiglia, forse.

Sprezzante quel ragazzetto : non può giocare a pallone ​

- si sa, a volte gli amici hanno altro da fare – 

saltellò via  con le gambe secche, 

veloce come polvere.

A casa la madre, 

passati i trent’anni,

il cane da caccia, 

un setter – credo – , 

una pasta riscaldata, e buona,

fatta dalle mani di mamma. 

Piatto di pasta cucinato con l’amore 

               e l’odio 

che solo una madre ti può dare, 

come se amore e odio fossero la stessa cosa, 

e come siete ciechi   voi che non lo capite. 

Mangiava la pasta  veloce, 

velocissimo

una corsa contro il tempo 

e un’idea della morte 

che già un bimbo può avere insita dentro

             l’anima fragile.  


Ritaglio livornese

 

Il treno della domenica

passa inesorabile  come il tempo

perché fugga dalla Rocca grigia,

        specchio di gioventù.

E quel vecchio pullmino giallo 

– lo sogno tutte le notti – 

è un ricordo che si fa dolce,

e forte;

forte:  come queste onde settembrine

che si rompono   violente

sugli scogli martoriati  di Calafuria.

         Onde

che questo treno 

– che strano – ​

mi regala e mi toglie.

E di fronte a tanta bellezza

mi sento così a disagio 

che vorrei voltarmi.

Ma sono costretta a guardare, 

– col viso incollato al vetro freddo –

a non perdermi 

neanche un ritaglio

di questo breve, meraviglioso

             Tratto di strada.


Inettitudine

 

Non puoi chiedermi

perché

e imputarmi

uno scontento

che forse mi appartiene

da sempre;

non so darti risposte

tra questi ciliegi

in fiore

e questo alloro 

scuro;

non ho con me analgesici

né posso proteggermi

da qualcosa che 

è dentro di me;

ma, solo per un attimo,

questi ulivi abbandonati

e il respiro del mio cane

spazzano via 

tutto questo rumore​

e questo silenzio,

che forse nasconde

- ormai devo considerarlo -

nient’altro che 

                  inettitudine alla vita.


Il vignaiolo

 

Quanto quella vigna fosse

un’inclinazione del cuore

e del sorrisetto furbo

a tratti burbero

di un giovane uomo

forse neanche si può capire:​

quell’esistenza schietta 

e dolce

e a volte dura per capirne il valore.

La bassa vigna

avversa

e soave

in quella Rocca

- la mia Rocca -

dipinta come un’ambizione

atro non era che

                                   pace

e protezione materna

 e pure desiderio

di vivere per l’eternità

tra quei castagni

che hanno la pazienza 

di vederci vivere 

e morire

e poi rinascere 

per generazioni.


Basta, amica mia

 

Ricordi

ricordi

che parola 

fossilizzata

nella banalità

di cose già dette

già scritte

già amate

già perse.

Che impossibilità

un po’ amara

di evocare 

sere d’estate

forse tutte uguali​

quando eravamo noi

sole:

io

te 

e una Seicento

che non mi facevi guidare.

Ma basta, amica mia:

ti prego,

non mi accusare

di cadere 

- ora come sempre -

nel più becero 

sentimentalismo. 


Dorme la mente fra i massi

 

Dorme

la mente

fra questi massi;

e interrompe 

il silenzio

e scandisce 

il tempo

questa campana

a ogni ora;

e noi fuggiamo via 

a ogni tocco

ricordando

per un attimo​

la linea del destino

che ci è comune:

“traditrice della vita” diciamo

invece è figlia sua, 

o forse madre?

Ma questa chiesa 

                        immobile

questo paesaggio

                          eterno.


Pelle

 

La mia vita

sulla pelle,

dentro   la pelle,

dentro   la carne,

le viscere;

viscere 

che vogliono liberarsi​

dalla mia pelle.

Sempre resterà

la mia storia

incisa su questa tela,

ma è la mia pelle,

e solo con me se ne andrà,

brucerà,

e non sarà mai esistita,

come tutto.

E tu

ricordi di aver dipinto

su questa tela?

O mai lo sentirai 

quel peso

di aver tracciato 

un pezzo della mia storia,

squarciando il braccio,

l’amore,

l’odio,

la noia,

l’anima?


Pezzi di carta​

 

La stagione è finita.

Non ci saranno più

tinte nere per capelli

né – tantomeno – vecchi libri di scuola 

stracciati 

come ogni pezzo di carta

che mi è capitato

fra le mani.

Raccolgo i cocci 

di un vaso di fiori

che ho fatto cadere 

accidentalmente, 

allagando il pavimento di questa casa

vuota,

come lo è sempre stata,

 e io – che sono sempre stata così -

penso solo a questo: 

è bello ricordarsi di noi,

non perdersi di vista,

un po’ come i vecchi amici.

C’è una bambina bionda

con un tutù bianco

in questa fotografia incorniciata, ​

mi piace ricordarla, vedere

che non è cambiata di tanto: 

e voglio pensare che anche lei 

sia fiera di me.


Non cambio radio stazione

 

Non cambio 

radio stazione,

voglio sentire questa canzone 

che non mi piace, 

con le mani incollate al volante,

l’orecchio destro in ascolto 

di nonno, 

mi chiede dell’università. 

Entra dentro di me, passivamente, 

questa pubblicità gracchiante 

rilassante 

giustiziera di pensieri intrusivi;

ai bordi della strada

grandi campi

sterminati dipinti

di verde e giallo

di rotoballe amiche;

e lassù azzurro e nuvole 

bianche

acquerelli del cielo.

Grazie ai miei occhi

per questi sprazzi bucolici​

grazie orecchie

che ascoltate inconsciamente

i rumori invasivi

e le voci dei nonni

perché io sappia

che tutto va avanti.