Il vento della mediocrità
Il vento della mediocrità della vita
ha spazzato via con sé
le lacrime
che come secchi colmi
d’acqua salata
mi scendevano sul viso stanco,
lasciandomi ancor più stanca
e con un sorriso amaro.
Con lo stesso sorriso amaro
sto correndo
per andare a prendere il pullman
verso la mia vita che continua,
come sempre,
sotto il peso difficile da sopportare
- ma pur sempre sopportabile –
dello scorrere inesorabile
dell’acqua della fontana
che in questo millesimo di secondo è alla mia destra.
E che già non c’è più.
Lorenzo detto polvere
Sette giorni su sette di freddo
e nebbia
e odore di bosco,
e uno strano fumo
dalla casa diroccata
fuori dal paese:
odore di famiglia, forse.
Sprezzante quel ragazzetto : non può giocare a pallone
- si sa, a volte gli amici hanno altro da fare –
saltellò via con le gambe secche,
veloce come polvere.
A casa la madre,
passati i trent’anni,
il cane da caccia,
un setter – credo – ,
una pasta riscaldata, e buona,
fatta dalle mani di mamma.
Piatto di pasta cucinato con l’amore
e l’odio
che solo una madre ti può dare,
come se amore e odio fossero la stessa cosa,
e come siete ciechi voi che non lo capite.
Mangiava la pasta veloce,
velocissimo
una corsa contro il tempo
e un’idea della morte
che già un bimbo può avere insita dentro
l’anima fragile.
Ritaglio livornese
Il treno della domenica
passa inesorabile come il tempo
perché fugga dalla Rocca grigia,
specchio di gioventù.
E quel vecchio pullmino giallo
– lo sogno tutte le notti –
è un ricordo che si fa dolce,
e forte;
forte: come queste onde settembrine
che si rompono violente
sugli scogli martoriati di Calafuria.
Onde
che questo treno
– che strano –
mi regala e mi toglie.
E di fronte a tanta bellezza
mi sento così a disagio
che vorrei voltarmi.
Ma sono costretta a guardare,
– col viso incollato al vetro freddo –
a non perdermi
neanche un ritaglio
di questo breve, meraviglioso
Tratto di strada.
Inettitudine
Non puoi chiedermi
perché
e imputarmi
uno scontento
che forse mi appartiene
da sempre;
non so darti risposte
tra questi ciliegi
in fiore
e questo alloro
scuro;
non ho con me analgesici
né posso proteggermi
da qualcosa che
è dentro di me;
ma, solo per un attimo,
questi ulivi abbandonati
e il respiro del mio cane
spazzano via
tutto questo rumore
e questo silenzio,
che forse nasconde
- ormai devo considerarlo -
nient’altro che
inettitudine alla vita.
Il vignaiolo
Quanto quella vigna fosse
un’inclinazione del cuore
e del sorrisetto furbo
a tratti burbero
di un giovane uomo
forse neanche si può capire:
quell’esistenza schietta
e dolce
e a volte dura per capirne il valore.
La bassa vigna
avversa
e soave
in quella Rocca
- la mia Rocca -
dipinta come un’ambizione
atro non era che
pace
e protezione materna
e pure desiderio
di vivere per l’eternità
tra quei castagni
che hanno la pazienza
di vederci vivere
e morire
e poi rinascere
per generazioni.
Basta, amica mia
Ricordi
ricordi
che parola
fossilizzata
nella banalità
di cose già dette
già scritte
già amate
già perse.
Che impossibilità
un po’ amara
di evocare
sere d’estate
forse tutte uguali
quando eravamo noi
sole:
io
te
e una Seicento
che non mi facevi guidare.
Ma basta, amica mia:
ti prego,
non mi accusare
di cadere
- ora come sempre -
nel più becero
sentimentalismo.
Dorme la mente fra i massi
Dorme
la mente
fra questi massi;
e interrompe
il silenzio
e scandisce
il tempo
questa campana
a ogni ora;
e noi fuggiamo via
a ogni tocco
ricordando
per un attimo
la linea del destino
che ci è comune:
“traditrice della vita” diciamo
invece è figlia sua,
o forse madre?
Ma questa chiesa
immobile
questo paesaggio
eterno.
Pelle
La mia vita
sulla pelle,
dentro la pelle,
dentro la carne,
le viscere;
viscere
che vogliono liberarsi
dalla mia pelle.
Sempre resterà
la mia storia
incisa su questa tela,
ma è la mia pelle,
e solo con me se ne andrà,
brucerà,
e non sarà mai esistita,
come tutto.
E tu
ricordi di aver dipinto
su questa tela?
O mai lo sentirai
quel peso
di aver tracciato
un pezzo della mia storia,
squarciando il braccio,
l’amore,
l’odio,
la noia,
l’anima?
Pezzi di carta
La stagione è finita.
Non ci saranno più
tinte nere per capelli
né – tantomeno – vecchi libri di scuola
stracciati
come ogni pezzo di carta
che mi è capitato
fra le mani.
Raccolgo i cocci
di un vaso di fiori
che ho fatto cadere
accidentalmente,
allagando il pavimento di questa casa
vuota,
come lo è sempre stata,
e io – che sono sempre stata così -
penso solo a questo:
è bello ricordarsi di noi,
non perdersi di vista,
un po’ come i vecchi amici.
C’è una bambina bionda
con un tutù bianco
in questa fotografia incorniciata,
mi piace ricordarla, vedere
che non è cambiata di tanto:
e voglio pensare che anche lei
sia fiera di me.
Non cambio radio stazione
Non cambio
radio stazione,
voglio sentire questa canzone
che non mi piace,
con le mani incollate al volante,
l’orecchio destro in ascolto
di nonno,
mi chiede dell’università.
Entra dentro di me, passivamente,
questa pubblicità gracchiante
rilassante
giustiziera di pensieri intrusivi;
ai bordi della strada
grandi campi
sterminati dipinti
di verde e giallo
di rotoballe amiche;
e lassù azzurro e nuvole
bianche
acquerelli del cielo.
Grazie ai miei occhi
per questi sprazzi bucolici
grazie orecchie
che ascoltate inconsciamente
i rumori invasivi
e le voci dei nonni
perché io sappia
che tutto va avanti.