Caterina Guzzo - Poesie

Due volte figlia

Una,
sul marmo e sul legno
di 28 gradini
si carica il peso
e ne scioglie i nodi,
si carica il peso e ne scioglie i nodi.
L’altra,
con la mano
riflessa
sulla parete bianca che la ripara dal freddo,
e occhi seri
che implorano,
danno
senza limiti,
una scelta,
la decisione più giusta
quella per i suoi tempi.
Sono guaritrici che non invecchiano mai.
Sono madre e figlia,
e chi riceve
due volte figlia.

 

 

 

All’ultimo tiro (ad Alda Merini)

Hanno staccato le pareti
a cominciare dalla tua porta,
con la massima attenzione e lucidità,
tu non l’avresti avuta
la stessa.
Avresti scritto con caratteri leggerissimi
tutto il tuo disprezzo,
senza bisogno di comporlo
quell’ultimo numero di telefono,
consapevole del lutto che ti avrebbero portato,
anche da morta.
Ammutolisco nell’osservare
una nottata e mi immagino la vista.
Da quale angolazione preferivi guardare?
Lo so che la luce sopravveniva dal basso,
lì dove il pavimento stava per sobbalzare
all’ultimo tiro.
Nelle acque, quale riflesso ti mostrava il tuo Dio
alla fine dei tuoi giorni?
Da un balcone che non è il tuo,
alla composizione che non è mai l’ultima
Arrivederci.

 

 

 

Senza trucco (Alla mia terra di origine, la Calabria)

Ti ho vista,
senza trucco
con il volto pulito
le profondità illese
i pori da cui straborda
con il contagocce,
profumo.

 

 

 

Alla moglie di un condannato

Luogo comune per la luce delle tue carni,
hai scelto.
Germoglia di dolore la tua pelle stirata al sole.
Siamo o non siamo sotto il vitale riflesso della stessa salata acqua?
Tu hai un anello e dei frutti,
io speranze perdute.
Nelle estremità della sfera bruciante,
cammini ritta con i capillari scoppiati tu,
abbasso la testa mentre niente mi incuriosisce io.

 

 

 

Guardati le spalle

Guardati le spalle da chi non sa vedere
oltre il proprio naso.
Guardati le spalle da chi nel presente
ti fa i nodi al passato.
Guardati le spalle da chi ha la maschera dello stesso colore dell’anima.
Guardati le spalle da chi ti spia mentre tu ridi
perché non sa gioire con te.
Guardati le spalle da chi ti ama davanti ad una cena calda
e te le volta quando calda non lo sei.
Guardati le spalle da colui che di notte ti stima
e al mattino non sente più il profumo del caffè di tutti i giorni.
Non sa affrontare l’imprevisto.
Guardati le spalle da chi vuole vederti inebriata per sentirsi uguale.
Guardati le spalle da colui che si mette al posto di Dio nella tua vita.
Non accetta le tue debolezze.
Guardati le spalle da chi di spalle non ne ha
per portarti in braccio come una bambina.
Quell’uomo non è il tuo maestro, né tuo padre.

 

 

 

Aspergi lacrime (alle donne afgane)

Aspergi lacrime come l’acqua benedetta.
E i buchi che fai nella terra creano pozzanghere
tanto grandi eppure tanto piccole
perché nessuna bambina le vede e inizia a saltare.
Di loro che non sono sabbie mobili.

Adesso salvati la pelle.
Io salverò i tuoi libri
che parlano di vittorie
come il colore del rossetto
che hai scelto,
oggi.

Perdonami se leggerò
tra le note,
quelle che segnano i voli del tuo cuore.
Me ne servirò quando anche a casa mia farà buio
e quando lui mi farà aspettare.
Me ne servirò e tu te ne servirai
per intrattenere discorsi
alla tavola rotonda
di donne beate.

 

 

 

Pane e magnificat

Spazzatura
spilli e forbici
pane e magnificat
dal buco della serratura
puoi vedere.

Sono tutte intatte le porte di casa mia
marcite di promesse
all’altare di una tavola ovale.

La stagione sudata è alle spalle,
il pomodoro è buono,
la dottrina suggellata
internos
sfida l’eco stanco di medicamenti umani e divini.

Tu madre,
regni il fuoco.
Nella pietra confidi. A lei consegni l’attesa di quell’abbraccio?
Ancora un po’.
Devi ricordarmi di notte la via più illuminata.

Sono parabole e versi
i fondamenti di questa casa
ai piedi di montagne
che mai ci voltano le spalle.

 

 

 

La parte dell’istinto

Dolce mio compagno
tu batti forte come il sole sui suoi raggi.
Prima mi hai costretta a vivere.
Ricordi bene tu.

In una sala da ballo mi hai condotta.
Era incantevole il posto,
Non l’avevo mai visto prima.
Nelle sue stanze gli affreschi accecavano guarivano le vertebre
Che giocavano
a sorreggermi.
Adesso sono di nuovo tutta in fiamme.

Le mani non reggono neanche una ciglia
i sensi nessuna voglia.
Ingoio aria densa
ma il mio letto non è una mongolfiera
che regge il mio peso.

Gli uccelli mi Tendono un’ala.
Lotta la prigione con le sue mura.
Al mattino
e alla sera.

Tu sei fame
e con la stessa disperazione
del cibo in bocca
mi frantumi.

Quale sarà l’errore che farà ridere
le parti scoperte del mio ventre?

Io, devo andare via.
Cosi
piegata.
Non mi Scusate.

 

 

 

Ogni figlia di Maria

Ricurva vive
per non essere vista.
Ogni suo battito da al suo frutto
e il frutto da luce
luce pieno intorno a lei.
La fa donna ogni sua figlia,
la fa madre ogni sua figlia,
Maria.

 

 

 

La mia povertà

Se solo potessi vedere
con gli occhi della tristezza
la polvere
la nebbia
i respiri mancati
riflettere
la mia povertà
sarei già al tuo fianco
con gli occhi del canto.