Caterina Saias - Poesie e Racconti

A Elio Sanna

 

Siamo andati stamani

alla ricerca del sole,

a cercare

sprazzi d’anima, scolpiti nel legno.

 

Abbiamo scovato un tesoro nascosto

di parole splendenti

disperse nell’aria,

come stelle cadute dal cielo

ad impreziosire la notte.

 

Ci hanno svelato la grandezza

di un uomo,

fuggito sulle ali veloci

di un nero cavallo.

Quel nero cavallo volato lontano

ha lasciato tracce

di sogni, emozioni,

colori e speranze per poterlo seguire

su ombrosi sentieri del cuore.

 

Abbiamo trovato le tracce di Elio

su montagne imbiancate di neve,

su valli baciate dal sole,

sentore di lui nel cuore di genti

intagliate nel legno.

 

Immagini doppie,

riflesse nell’acqua

alla ricerca del cielo.

 

Ci siam persi in abbracci,

a scambiare rimpianti e donare

calore.

 

Abbiam lasciato lacrime appese,

come foglie d’argento

a suonare nel vento.


Girotondo di gocce

 

C’è un goccio che stilla

da pareti di roccia,

un fiume che nasce

goccia su goccia.

 

      C’è una goccia che fugge

da sorgente profonda,

che corre, che scappa

per raggiungere l’onda.

 

Si trasforma d’inverno

in ruscelli impetuosi,

si riposa d’aprile

tra cespugli odorosi.

 

Goccia d’acqua perduta,

tra fatica e lavoro,

goccia d’acqua gelata

che ti offre ristoro.

 

Gocce, 

scese dagli occhi,

che ti fanno tremare.

Gocce,

sparse sul viso,

che ti fanno danzare.

 

C’è una donna, una fonte,

una brocca che cola,

c’è un bimbo che piange

e c’è chi lo consola.

 

C’è un prato bagnato

da rugiada lucente.

C’è la nebbia che cade

e non si vede niente.

 

C’è una nube nel cielo

che diventa una nave,

c’è un uomo che canta

con la sua voce grave.

 

C’è un giardino bagnato

dove sbocciano fiori,

c’è un prato selvaggio

pieno di colori.

 

Acqua che danza,

acqua che scorre,

acqua lucente,

acqua corrente.

 

Nasciamo dall’acqua,

 che dona la vita,

accompagna cantando

la tua storia infinita.


La Danza delle Stagioni

 

Iniziamo dall’Estate

mia  stagione preferita

son di giugno giunta al mondo

alla scoperta della vita.

 

E’ l’Estate rilucente

con capelli color grano

labbra rosse di ciliegie

con il sole nella mano.

 

Lei ci dà giornate lunghe

lei ci dà volte stellate

lei ci dà stelle cadenti

e nottate profumate.

 

Dà la mano anche all’Autunno

continuando la sua danza

che si adorna di colori

che rilucono la stanza.

 

Giallo oro di farfalle

rosse foglie volan via

una rondine perduta

trova alfine la sua via;

e tra  pampani bruciati

spuntan grappi ormai maturi

riponiamo nelle botti

per i giorni ormai venturi.

 

E’ d’Autunno la rugiada

e la prima nebbiolina

i colori accesi sbiada

la caduta della brina.

 

Tende mano calorosa

all’inverno ormai arrivato

e si scalda al fuoco acceso

di un camino illuminato.

 

Già pianin scende la neve

per il grano riscaldare

e si prepara dentro al cuore

alla notte di Natale.

 

E’ l’Inverno il Re potente

di giornate fredde e dure

soffia il vento tra le foglie

affilato come scure.

 

Ma la neve piu’ gentile

copre il mondo con candore

brilla il sole in ogni fiocco

e ti  incanta di stupore,

ed il ghiaccio risplendendo

rende il mondo

assai incantato

trasformando anche uno stelo

in un dardo acuminato.

 

Danza intorno a Primavera

illuminata da un sorriso

fiori e foglie tra i capelli

è sereno il suo bel viso.

 

Ha farfalle ed api in mano

tavolozze di colore  

è fanciulla Primavera

è stagione dell’Amore.

 

Con lei cantano i ruscelli

con lei danzano i gabbiani

con lei tornano le rondini

da paesi assai lontani.

 

Con lei rinasce la natura

ogni seme si fa prato

con lei tornano i colori

in un mondo addormentato

 

Tutti insieme per la mano

lor si inchinano alla danza

questo è il ballo della vita

che ci riempie di speranza.

 

Ogni giorno che passiamo

in un mondo a volte duro

è la danza che balliamo

mentre andiamo nel futuro

 

Batti  piedi, batti mano,

stai vicino, vai lontano

poi sorridi e giravolta

sorridi ancora un’altra volta

è la danza della vita

ed è tua se vuoi giocare

è la tua storia infinita

finchè hai voglia di danzare.


Le sette Dee

 

C’erano Sette Dee che dominavano la terra:

Athéna, la Potente regina della guerra,

giocava con la pace e con lo scettro in mano,

donava la saggezza, guardando assai lontano.

 

Demétra era Regina

del cibo e anche del grano:

ci regalò il profumo di ogni frutto che mangiamo.

Donò benigna agli uomini il falcetto e l’aratro

e fu la dea potente di ogni campo arato.

 

Perséfone fu figlia amata e idolatrata,

fu figlia prediletta che per un melograno

si perse, ahimé, l’eterno tenersi per  la mano.

A lei la luce e il buio,

e lei le distruzioni,

a lei la fiaba antica

del cambio di stagioni.

 

Héra fu Regina e Moglie del sovrano.

Soffrì per molto tempo,

ferita dall’inganno,

ma ritrovò se stessa

fuggendo e ritornando

al matrimonio vero,

che aveva assai bramato,

quando fu tosto libera

dal buio del passato.

 

Afrodìte regnava

come dea dell’amore,

porgendo la bellezza

come profumo di un fiore.

Nacque dalla spuma di mare tempestoso;

fu Efesto, il fabbro, ad essere suo sposo.

 

Fu data a Hèstia la corona

per regnar sul focolare:

un fuoco sempre acceso

dove poter tornare.

Ei fu sempre fedele

al suo grande calore

e non volle per sé

alcuna storia d’amore.

Ci porta l’essenza

di essere maestosa,

brillante e ardente,

senza essere mai sposa.

 

Artémide proteggeva la vita e anche la morte:

la sua collera distruttiva non risparmiava sorte.

Vegliava su ogni parto e sul cambio della Luna,

vederla nella notte portava gran fortuna.

Il suo potere è grande, comanda le maree,

è forte e combattiva al par delle altre dee.

 

Nel cuore di ogni donna

 troviamo le passioni, 

la vita, la morte,

e tutte le pulsioni.

La beltà e la dolcezza,

un bacio appassionato,

una dolce carezza 

o un dardo acuminato. 

Un gesto immenso, un gesto d’amore,

un gesto di odio che può spezzare il cuore,

un caldo focolare,

una landa sconfinata

dove vive una persona che non si sente amata.

 

Nel cuore di ogni donna albergan Sette Dee:

ci portan sogni rosa, ci riempiono di idee.

Possiamo dar la vita, possiamo dar la morte.

Possiamo esser noi a decretar la sorte

del figlio che portammo 

in grembo e alfin nel mondo,

lasciandogli lo scettro,

 o meno, del comando.

A lui diamo la vita

come se fosse un dono

donandogli il potere di diventare UOMO.


Lo scrigno di mia madre.

 

Le mani di mia madre

sono mani bruciate dal sale

di un marinaio senza mare

che ha navigato in oceani tempestosi.

Sono dita indurite dal sole

deformate da duro lavoro.

Ha sul viso un rete di rughe sottili

che contornano il suo incarnato.

Ha una piccola scia

di solchi leggeri

lasciata da lacrime nascoste.

A volte ha una voce lucente

come pesce che guizza veloce.

A volte ha una voce tagliente

di conchiglia affilata.

I suoi occhi sono grotte di muschio

dove galleggiano

pensieri sommersi.

I suoi capelli sono alghe d’argento

mescolate, agitate

da bave leggere di vento.

Il suo cuore è un forziere ben chiuso

nascosto da sempre sul fondo del mare.

Come vorrei almeno una volta

poterlo ripescare in una notte di luna.

Trovarne la chiave segreta

ed aprirlo per poterlo guardare.

Vorrei affondare le dita

tra monete di pensieri segreti,

tra sogni preziosi

che non sono sbocciati

tra gli anelli lucenti

di giornate festose.

 

Cercherei i gioielli

che Io le ho donato,

e se trovassi soltanto carbone annerito

piangerei e piangerei,

fino a trasformare lacrime in perle

accarezzandole poi con le mani

trasformandole in lunga collana

che farei baciare dalla luce di luna.

Vorrei riempire il suo forziere

per poi rigettarlo nell’acqua

a farsi cullare

dalle onde del mare.


Il mago della musica

 

C’era una volta, tanto, tanto tempo fa un vecchio mago. 

Quando era più giovane, era stato un grande Mago, impegnato sempre in battaglie a difesa della giustizia e del bene. Aveva partecipato a innumerevoli  conflitti e aveva sconfitto maghi malvagi che volevano avere il dominio del mondo.

 

Dopo tanto tempo era stanco di battaglie e brutture e aveva deciso di ritirarsi in un vecchio castello solitario per quietarsi e poter finalmente dedicarsi alla sua grande passione. La musica.

Il suo talento magico era la musica.

 

Lui sapeva trasformare in  musica qualsiasi rumore.

Sapeva accordare il rumore della pioggia a primavera sulle foglie degli alberi, trasformandolo in dolce melodia.

Sapeva accordare i suoni del vento rabbioso della tempesta con lampi e tuoni, trasformando gli elementi in una magica orchestra, sicché anche il tuono avesse il suo spazio preciso, trasformando il fragore in armonia.

 

Si alzava sempre all’alba, quando tutti gli uccellini del creato si svegliavano all’unisono creando una immensa cacofonia. Con la sua bacchetta magica ogni voce aveva il suo posto e il tutto diventava armonia.

 

I cavalloni del mare, il vento sulle dune del deserto, lo scrosciare di un ruscello in un bosco… 

Ogni suono per lui era musica.

 

Lui viaggiava su una bicicletta magica con la quale poteva raggiungere le nuvole.

Era una bicicletta vetusta, dimenticata da tempi remoti in una soffitta polverosa tra alambicchi opachi, recipienti vuoti diventati nidi di polvere e territorio di ragni e di insetti morti, sospesi tra grandi ragnatele.

 

Un giorno il Mago senti l’impulso irrefrenabile di salire in soffitta. Nessuno vi andava da tempo immemore.

Fece i vecchi scalini consumati quasi al buio fino a quando gli occhi si abituarono.

 

La soffitta era stipata di mille cose.

Vide antiquati specchi spenti dalla polvere, avanzi di remote magie.

Recipienti annosi, pieni di qualcosa divenuta cenere.

Vetuste bacchette magiche, distrutte da guerre con maghi crudeli.

Scuri indumenti appesi a chiodi nel muro, bruciacchiati dal fuoco.

Stava per richiudere la porta quando un raggio di sole birichino si insinuò tra le fessure di una finestra di legno. Bighellonando inondò di oro il pulviscolo che aleggiava nell’aria. Andò a posarsi come una farfalla in un angolo buio, creando un bagliore che parve un lampo.

 

Il Mago, lo vide. 

 

Incuriosito cominciò a spostarsi tra tutte le cose polverose. Il naso gli pizzicava. Starnutiva e gli starnuti alzavano ancora altre nuvole di polvere impalpabile.

 

Ragnatele evanescenti, piene di mosche rinsecchite, si attorcigliavano ai suoi lunghi capelli bianchi. Pareva che le cose gli si parassero davanti per impedirgli di raggiungere l’angolo oscuro. La sua curiosità era troppa per farlo desistere.

Quando raggiunse la sua meta, nascosta da uno sdrucito mantello magico, c’era una  grande bicicletta.

 

Argentata, lucente leggera come le ali di una farfalla. Pareva fatta di luna.

Si vedeva però che aveva fatto tanta strada.

Le ruote erano consunte e non erano neanche più rotonde.

Si vedeva che avevano attraversato strade sassose e buche profonde lungo il loro cammino.

Lui, che era un mago gentile, sorrise, appoggiò la bicicletta sulle spalle e riattraversò il polveroso “campo minato”.

 

La curiosità lo rendeva euforico. Non sentiva più la polvere. La bicicletta rischiarava da sola la via, rendendola  visibile.

 

La portò subito nel suo magico laboratorio. Smontò le ruote stondate.

Con maestria, costruì due nuovi cerchi. 

In fondo lui era un vero Mago, non esistevano cose impossibili.

E lui era il mago della Musica.

Fece delle ruote con tanti tanti raggi.

Ad ogni raggio avvolse il filo fatato di una nota diversa.

 

La bicicletta magica poteva correre nell’aria, andare lassù fino alle nuvole.

Ad ogni giro, ogni raggio emetteva la sua nota. Le ruote incantate, girando, cantavano entrando in armonia con tutti i suoni della natura.

 

Il Mago, che pareva ringiovanito, continuò così nel tempo a pedalare nel cielo, immerso in una musica meravigliosa, accordando i raggi con i raggi della luna.

Ancora oggi, lo possiamo vedere stagliato nel cielo al tramonto, oppure lassù sulle nuvole che sormonta i cirri, ad ascoltare i melodiosi suoni dell’universo.


Il paese della Parole

 

C’era volta, tanto tempo fa, un paese che si trovava sul cucuzzolo di una montagna lontana, lontana.

Il sole appena sorto lo illuminava di una luce brillante, accendendo di bagliori tutti i fili d’erba bagnati di rugiada. 

 

La sera al tramonto riverberava la sua calda luce sui vetri delle finestre per augurare una buona notte agli abitanti e con la promessa che sarebbe tornato all’alba.

 

D’inverno, anche  quando c’era la nebbia, il piccolo paese si svegliava sempre al sole. 

Un bianco mare di soffici nuvole si stendeva ai suoi piedi, dando agli abitanti la sensazione di potervi camminare sopra.

 

Dovete sapere che era un paese davvero speciale: i suoi abitanti erano composti di pensieri.

Avevano sì un corpo, ma non era una cosa solida e fissa, era una immagine olografica. 

Avevano un aspetto umano, ma dentro non scorreva sangue, scorrevano parole, pensieri, idee.

 

Quando uno di loro era arrabbiato, infatti, diventava di colore scuro e cupo, perchè così erano i suoi pensieri.

I bambini erano sempre di colori pastello perchè i loro pensieri erano allegri e fantasiosi.

Nessuno aveva una forma stabile e ben definita, infatti c’erano certe donne secche, secche e lunghe, lunghe che se ne andavano in giro impettite e scure perchè non c’era nessuno che le degnasse della  virgola di uno sguardo. Poi, magari, incontravano un pensiero birbone che le faceva sorridere e cominciavano a lanciarsi virgole e puntini. E quando finalmente si scambiavano gli accenti, allora il loro aspetto cambiava: diventavano più morbide, sinuose, assumevano sfumature  pastello e riflessi di sole si accendevano nei loro occhi. Anche la loro forma cambiava.

Diventavano magari più basse e tonde e andavano a braccetto con il loro pensiero birbone con gli occhi accesi e la fronte rossa, come se una leggera febbre ardesse dentro di loro.

 

C’era nel centro del paese una grande sala comune, dove alla sera si incontravano.

Era bello il rito serale dell’incontro dopo avere adempiuto alle incombenze della giornata.

All’interno c’era un grande camino dove ardeva sempre il fuoco dell’Unione e dell’Amicizia.

Non c’erano tra loro belli o brutti, ricchi o poveri.

Tutti avevano idee e pensieri da condividere con gli altri.

 

C’erano i pensieri dorati di anziani, che riportavano a tempi lontani; ed era una grande ricchezza poterla condividere con loro.

C’erano i pensieri colorati delle donne e degli uomini, che si scambiavano la quotidianità, i consigli,  le risate, l’amore.

C’erano i pensieri dei più giovani: pensieri dai colori accesi, pieni di sogni e speranze.

E poi c’erano i pensieri rosei dei bambini, che spesso si addormentavano lasciandosi cullare dal suono delle parole dei grandi.

 

A volte si scatenavano anche accese discussioni dove le parole correvano veloci. A volte si lanciavano virgolette e la punteggiatura stizzita evidenziava l’ostilità di pensieri diversi. 

Questo di solito durava molto poco, c’era sempre un pensiero per incontrarsi e intendersi!

 

Un giorno il Re ebbe una splendida idea. Per ravvivare la vita della comunità avrebbero fatto una bellissima festa e tutti avevano la possibilità di esporre un loro progetto.

 L’idea più bella sarebbe stata realizzata.

Così, tutti cominciarono a pensare, elucubrare, arzigogolare e nessuno condivideva con gli altri per paura che le loro idee venissero copiate. 

 

Smisero di parlarsi, smisero di incontrarsi e di spartire pensieri e idee.

Si sentiva aleggiare nell’aria una strana atmosfera, pochi i colori.

 

Dappertutto si stendeva una bruma grigia e spessa e anche il sole sembrava meno luminoso. 

I punti esclamativi cominciarono a  percorrere le strade a tutte le ore del giorno e della notte, mentre i punti interrogativi continuavano a chiedersi come uscire da quell’impasse.

Pian piano, gli abitanti cominciarono a sparire dal paese. 

I pensieri e le idee non condivise morivano.

I pensieri solitari languivano e si spegnevano come piccole fiamme senza fuoco.

I pensieri più giovani fuggirono e andarono a cercare fortuna per il mondo.

 

Quelli che rimasero, sono ancora lì, a cercare l’idea più bella per realizzare la festa, senza rendersi conto che mai più si farà.


Il Re del tempo

 

Ogni bambino che nasce, prima che la stella che lo accoglie si accenda e lo faccia scivolare dolcemente sulla terra come un piccolo fiocco di neve, deve passare dal castello del Re del Tempo.

 

Il Re del tempo è un vecchio saggio dalla lunga, lunghissima barba bianca. 

Il suo viso senza età scurito dal sole è solcato da profonde ragnatele di rughe. Due occhi vivissimi e brillanti stanno come laghi profondi sopra il suo naso, che si erge come una montagna appuntita.

 

Ma tutto diventa una valle di calma quando schiude la bocca al sorriso.

Il viso diventa disteso come quello di un bambino e dona calore ed energia e come un sole illumina la giornata di chi lo incontra.

 

Ad ogni  bambino non ancora  nato, dona un vaso di cristallo. Il vaso è sfavillante e luminoso e pieno di piccoli chicchi di riso. Ognuno di quei chicchi è un giorno della vita futura: è il tempo che a ciascuno è concesso di vivere.

Ad ogni bambino dona il vaso e un consiglio “questo è il tuo tempo, non sprecarlo”:

E con un sorriso e un bacio lo sospinge verso la terra.

 

I chicchi di riso sono magici. I giorni si schiudono come la corolla di un fiore e ad ogni alba si apre una nuova giornata.

 

Ci sono giorni bui ed uggiosi quando fa freddo e la nebbia nasconde i colori del mondo, ma ci sono giorni radiosi e pieni di sole dove le ciliegie colorano le labbra ed il grano ondeggia accarezzato dal vento.

 

Ci sono giorni in cui le lacrime inondano il viso e ti sembra che il dolore non debba finire mai, ma ci sono giorni in cui le risa gorgheggiano cristalline come le acque fresche di un torrente e la gioia ti riempie l’anima.

 

Ci sono giorni in cui i ladri di tempo ci tediano e ci rendono tristi, ma ci sono giorni in cui gli amici ci fanno compagnia e ci donano allegria.

 

Ci sono giorni di noia che non passano e i minuti e le ore non finiscono mai, ma ci sono giorni d’amore dove il tempo scorre veloce e le ore sembrano minuti e il calore dei baci trasforma l’alba in tramonto in un battito d’ali.

 

Ci sono giorni grigi e il mare in tempesta batte sugli scogli ed erode le spiagge, ma ci sono giorni d’inverno in cui la neve scende lieve e trasforma il mondo in presepe.

 

Ci sono albe e tramonti in tutti i nostri giorni e i giorni più bui non cancellano i sorrisi dei bimbi.

Le notti più buie non possono però spegnere la luna ed è vero che il tempo lenisce ogni grande dolore,  ma non può scalfire un grande amore.

 

Ciascuno di noi è il Re del suo tempo.

 

Possiamo sprecarlo e lasciarlo scorrere come acqua di un fiume

o possiamo plasmarlo e renderlo prezioso centellinandolo come  un buon vino, vivendolo, scandendolo con il battito del cuore, amando la vita e godendo del tempo che ci è dato di vivere.


La Favola di Kate e Marco

           

C’era una volta, tanto, tanto tempo fa, un paese che si chiamava S.Martino – non c’era nessuno che si perse la cappa… – ma c’erano due bambini che si conobbero e diventarono amici.

Si chiamavano Marco e Kate. 

 

Kate era una bambina vivace con brillantissimi occhi e lunghi capelli scuri ad incorniciarle il viso e veniva da un città di mare. 

Marco era un bambino tranquillo, veniva da una città accanto a un grande fiume e aveva sempre la testa tra le nuvole.

 

Kate andava a S. Martino d’estate ed aveva fatto subito amicizia con tutti i bambini del quartiere.

Intorno alle case c’erano campi e tanto verde e un ruscello dove scorreva  acqua fresca, dolce da bere e dove si potevano mettere a bagno i piedi e lasciare che scorresse fino a che diventavano ghiacciati.

 

Andavano in bicicletta, giocavano a nascondino dietro un grande pozzo, e facevano le torte con il fango seduti all’ombra tra l’erba del giardino. 

Nelle lunghe ore della “siesta” pomeridiana, quando il sole era troppo forte e i bambini non potevano giocare fuori in cortile per non svegliare i grandi che dormivano, Marco e Kate si sedevano nei rispettivi terrazzi uno dirimpetto all’altro.

Allora non c’erano i cellulari e Marco scriveva messaggi su piccoli foglietti che spediva  con una cerbottana sul terrazzo di fronte a Kate .

Marco le aveva regalato anche un grande tesoro, una grossa pirite che aveva trovato durante le vacanze con i genitori. 

 

Era il più bel pezzo della sua collezione di minerali, ma lo aveva regalato a lei perché quella bambina era davvero speciale. 

Ogni anno, quando si incontravano, diventavano più grandi, non facevano più le torte con il fango e non si rincorrevano più sui prati, ma stavano comunque ore ed ore a chiacchierare su un muretto davanti a casa e le grida della mamma di Marco che lo chiamava e richiamava per andare a pranzo si perdevano tra le fronde dei giardini.

 

Marco aveva cominciato a suonare la chitarra e gli piaceva tantissimo suonarla per lei. 

 

Kate da sempre scriveva poesie, e regalava a lui fogli pieni di pensieri scritti a mano. 

 

Una sera, con gli amici, decisero di giocare ancora a nascondino come da piccoli.

Kate e Marco si presero per mano e andarono a nascondersi ridendo e correndo dietro al vecchio pozzo. 

Ma anche quando furono al coperto, non si lasciarono la mano anzi, si strinsero più forte. 

Smisero di ridere. 

Tutti i rumori del mondo si acquetarono e sentivano soltanto il battito dei loro cuori. 

Era una sensazione strana, nuova. 

Uno sciogliere di ghiacciai dentro di loro.

Un vulcano di calore che esplodeva veloce nelle vene. 

Vedevano gli occhi dell’altro risplendere nel buio, come se pulviscoli di stelle vi si fossero posati dentro. 

Si strinsero più forte e avvicinarono le labbra. 

Il mondo sparì intorno a loro. 

Come ai primordi della vita, si accese un grande fuoco dentro di loro.

Era il loro primo bacio d’amore.

Da quel giorno la vita non fu più la stessa. 

Basta corse nei prati, basta giocare agli indiani.

La chitarra divenne per Marco un’amica inseparabile. 

 

Il tempo veniva scandito da decine di lettere, aspettando l’arrivo del postino.

Quanti baci spediti, quanti sogni rubati aspettando di potersi abbracciare.

 

Si inventarono una parola magica che fosse solo loro. 

 

La scrivevano dappertutto come un talismano segreto che avrebbe protetto il loro amore.

Solllens, una parola che sapeva di sole, che sapeva di stelle, che sapeva di sempre.

Tre “elle” sempre abbracciate, come loro avrebbero voluto stare. 

 

Kate gli regalò una medaglietta con due cuori, su cui incise con un chiodo le loro iniziali.

Marco una Pasqua le regalò un piccolo pulcino di pelouche.

 

Intanto il tempo passava e diventarono grandi. 

Ed ai grandi non è permesso sognare come ai bambini.

 

In tutte le favole c’è un mago cattivo che distrugge i sogni e anche qui c’era un mago, molto, molto cattivo. 

Il Mago Destino che volle distruggere  questo sogno.  

 

E anche questa volta ci riuscì.

E così rimasero solo poesie e canzoni e musica di quell’amore.  

La medaglietta incisa con un chiodo e la piccola pietra appuntita vennero nascoste ciascuno in un cassetto segreto.

Ma quel sogno era veramente grande. 

E qualche  pezzettino di quel sogno riuscì a sfuggire al mago Destino.

Erano dei piccoli sogni colorati rimasti in fondo in fondo, nascosti nei cuori di Kate e Marco.

Erano  come piccoli semi addormentati  nel buio. 

 

Aspettavano di poter uscire e volare, volare ancora nel cielo come scampoli  di nuvole che il sole accende al tramonto.

 

Un giorno, quei semi di sogni germogliarono, uscirono dal buio e decisero di sfidare il  Mago Destino.

E questa volta vinsero.

 

Nelle favole, non ci sono solo i maghi cattivi, ci sono anche le fate gentili e la Fata Poesia fece sì che si potessero rincontrare

E così, si rividero.

Dopo tanto, tanto tempo, si rividero.

Subito, quasi non si riconoscevano.

Erano diventati grandi e il tempo e il dolore avevano segnato rughe sui loro visi.

Le avventure della vita passata, avevano offuscato la luce nei loro occhi

I capelli di Marco non c’erano quasi più e anche quelli di Kate non erano più come Marco li ricordava… 

                                                            

Quando si incontrarono, si abbracciarono, si strinsero forte. 

Gli occhi erano pieni di lacrime.  

Si abbracciarono ancora ad occhi chiusi, e si riconobbero “a pelle”.

Come davvero succede solo nelle favole. 

Riconobbero il calore delle loro mani, il profumo della pelle, il loro modo di abbracciarsi che era davvero unico e solo loro.

Come se le mani di Marco non avessero mai dimenticato il calore delle mani di Kate.

 

Dentro al cuore ritrovarono il loro Amore, ancora lucente, intatto come lo avevano lasciato. 

 

E quando si baciarono fu come tornare dietro al vecchio pozzo e risentire le emozioni potenti del loro primo bacio. 

 

Giurarono che non si sarebbero più lasciati.

 

Ricominciarono così insieme la loro vita e ci fu poesia e musica e crearono una grande famiglia con tutte le persone che amavano.

 

E così vissero tutti felici e contenti…


La sinfonia del grano

 

Dedicata al Maestro Cesare Morganti

 

C’era una volta un piccolo campo nato sotto la grande Torre del Castello di S. Marino.

Era un campo di terra morbida, creatosi chissà come migliaia di anni prima, quando la terra era un crogiuolo infuocato e si erano formate le montagne e le rocce.

Tutt’intorno, c’era il caos. Il magma bollente veniva eruttato e lanciato nell’aria e ricadendo formava creste rocciose, mentre lapilli accendevano l’aria perdendosi in nuvole rosse che incendiavano il cielo.

In  tutto questo caos un piccolo cuore di terra morbida si formò lì sul costone della montagna impervia.

Ci vollero migliaia di anni perché le montagne si raffreddassero e prendessero la forma che noi conosciamo, ma il piccolo cuore morbido rimase lì, come una piccola ferita aperta contornato da rocce scoscese.

Nei secoli gli uomini giunsero a dominare la terra e le montagne che parevano indomite, furono imbrigliate e cavalcate come scalpitanti cavalli selvaggi.

Su di esse furono costruite fortezze che cambiarono i connotati della montagna.

Ci furono guerre e rimbombi di cannoni ed eserciti feroci che bagnarono la terra di sangue mentre scalavano le montagne.

Il piccolo campo aspettava ogni giorno il sorgere del sole.

Finalmente scoppiò la pace e le montagne che si erano ormai acquetate da lungo tempo, si erano ricoperte di alberi e piante che avevano conquistato le montagne aguzze.

Gli uccelli riempivano l’aria di suoni gentili che il vento portava lontano.

Gli uomini, che finalmente avevano gettato le armi, impugnarono le zappe per  ammaestrare la terra e renderla più docile.

Tutt’intorno colline e pianure furono abitate.

La terra lavorata, accarezzata, arata dava frutti profumati e l’erba danzava accarezzata dal vento.

Il piccolo cuore di terra tra le rocce fu curato da mani nodose.

Le pietre nate dai lapilli infuocati vennero  raccolte e depositate ai margini cosìcché ancor di più il cuore della montagna fosse delimitato e potesse pulsare libero.

La terra venne amorevolmente diserbata, zappata e coltivata. 

L’uomo che la curava una notte fece un sogno meraviglioso, vide il suo piccolo campo coperto di grano.

Lo sognava brillare sotto il sole, punteggiato di papaveri e fiordalisi, accarezzato dalle mani del vento, mentre insetti laboriosi ronzavano nell’aria.

Era un sogno fantastico, nessuno aveva mai seminato grano nel cuore della montagna.

Ma il suo sogno era stato così bello che lo volle realizzare.

Tutto quello che ci circonda spesso è il sogno di qualcuno e lui volle realizzare il suo.

Lavorò, lavoro tanto e dopo un freddo inverno venne una tiepida primavera, seguita da una calda estate.

Il piccolo cuore della montagna sembrava pulsare.

La luna lo inondava ogni notte della sua candida luce.

Gli alberi e le rocce intorno sembravano volerlo proteggere.

Le spighe si ergevano turgide sui loro steli, agghindati da una raggiera di piccoli fili stesi come una piccola corona dorata, che ondeggiava con il vento.

Quando la notte la luna cominciava a tramontare e le stelle tremolavano incalzate dalle prime luci del giorno, il cuore della montagna iniziava a svegliarsi.

Ogni spiga accarezzava quella che le era vicino e tutte insieme cominciavano a fremere sospinte da un vento leggero che le faceva oscillare.

Tutte le spighe si volgevano all’unisono verso la luce del sole, che si alzava dal mare.

La luce era dapprima soffusa… una linea sottile che saliva dal fondo dell’acqua, poi diventava potente, mentre il sole sorgeva ammantato di rosso e diventava padrone del mondo.

Nel  piccolo campo di grano ogni spiga salmodiava la sua nota. Ogni spiga diventava musica e tutte insieme componevano una meravigliosa melodia ad osannare la vita.