Clara Canal - Poesie

Quell’ultimo giorno a Bologna

 

Era fine gennaio e Bologna era immersa nella nebbia quella mattina. Il treno era partito in ritardo da Firenze facendola arrivare dopo di lui, quel giorno l’aveva fatto aspettare. Erano passati due mesi esatti dall’ultima volta, sempre in quella città, sempre insieme. Credeva che non l’avrebbe più rivisto eppure eccola lì, ad andare verso la sua macchina parcheggiata in seconda fila mentre stava parlando al telefono. Salì a bordo e prima che potesse dire qualcosa la bloccò posandole un dito sulla bocca, poi le prese una mano e se la portò alle labbra. Stette in silenzio a guardarlo e ascoltarlo parlare, ogni tanto si avvicinava per baciarlo sul collo o sulla guancia, era impaziente.

<<Buongiorno…>> disse e senza dargli il tempo di rispondere lo baciò, sulla bocca quella volta.

<<Buongiorno>> rispose tra un bacio e un altro. Finiva sempre così, il tempo passato lontani si faceva sentire subito quando le labbra si ritrovavano, tanto che non si sarebbero più staccate.

<<Sei sicura di non voler prima…>>

<<Sicura, dopo abbiamo tutto il tempo>> rispose lei, nonostante il dispiacere per il momento finito.

<<Ok andiamo allora>>.

Mise in moto e seguendo le indicazioni arrivarono presto a destinazione. Lui non era un appassionato, ma con lei avrebbe fatto tantissime cose, soprattutto per farla contenta ed essere insieme. Il posto dove si svolgeva la mostra d’arte di Marc Chagall era il Palazzo Albergati, un palazzo rinascimentale che si trova vicino a Porta Saragozza, nel centro di Bologna.

Aveva comprato i biglietti online, un po’ per comodità, un po’ per non avere finte discussioni su chi doveva offrire, e un po’ per saltare la fila nel caso ci fosse stata più gente di quanta non credeva.

In sottofondo la musica di Bach accompagnava le persone di stanza in stanza, e così lui faceva con lei mentre con la macchinetta cercava di catturare nel miglior modo possibile la luce che colpiva i dipinti. I quadri esposti furono molti, dalle illustrazioni dedicate alla Bibbia alle opere dalle forme più semplici in cui risaltava l’importanza che il pittore dava al colore per trasmettere emozioni.

Oltre ai quadri si interessò di fotografare i soffitti del palazzo pieni di affreschi e i pavimenti dove, in alcune stanze, erano riprodotti i quadri dell’artista. All’ultima stanza accedevi oltrepassando una tenda rossa, di quelle pesanti, come il sipario di un teatro, in cui al centro si trovava un divanetto e nella parete di fronte, grazie a un proiettore, veniva trasmesso un video di fiori che sbocciano, petali che cadono, con della musica classica sempre in sottofondo. Loro non si sedettero ma si avvicinarono, Lei appoggiò la testa sulla sua spalla mentre Lui muoveva una mano su e giù lungo la schiena. Non dissero una parola, semplicemente avrebbero voluto che quel momento durasse in eterno. Rimasero finché non furono raggiunti da un’altra coppia e lasciarono a loro lo spettacolo uscendo dalla stanza. Percorsero un piccolo corridoio che costeggiava le stanze e si ritrovarono vicino alla scalinata che li avrebbe condotti fuori dal palazzo.

<<Mi è piaciuta, ed è stata organizzata molto bene>> commentò Lei mentre stavano tornando verso la macchina. Lui era silenzioso ma contento che le fosse piaciuta e di averla accompagnata.

 

<<Hai fame?>>

<<Si>>

<<Il ristorante è vicino all’hotel, possiamo fare il check-in e andare a mangiare>> propose Lui che si era occupato di tutto. L’hotel si trovava vicino alla stazione centrale e aveva il parcheggio privato per le auto. Entrarono in stanza quasi convinti di uscirne subito. Lei ne approfittò per levare un attimo gli stivali col tacco che aveva messo a posta per fare bella impressione e si aggirò per la stanza. Era una mansarda, con il tetto spiovente, un piccolo balcone e un bagno con un balcone anch’esso. Le piacque molto più quella stanza rispetto a quella della volta precedente che aveva scelto Lei perché era più semplice, aveva uno stile più rustico e più romantico.

Iniziarono a baciarsi indecisi se lasciarsi andare o meno al momento ma la tentazione fu troppo forte. Era seduto sul bordo del letto e Lei gli si mise a cavalcioni iniziando a sbottonargli la camicia azzurra che gli fasciava i pettorali alla perfezione. Fecero l’amore, incapaci di aspettare dopo pranzo, consapevoli di tutto il pomeriggio a disposizione per le coccole, la doccia, i baci.

 

Il ristorante era un posto piccolo ma perfetto per un pranzo intimo, in più gli avevano riservato il tavolino in fondo alla stanza, vicino a un pianoforte e una chitarra.

Parlarono del più e del meno, di musica, cercarono di ricordare le parole di ‘La canzone del sole” di Battisti fallendo miseramente e appena arrivò il vino in tavola brindarono a quell’incontro come in quelli precedenti.

<<Al nostro…>> cominciò Lui il discorso confondendo a quale numero di incontri erano.

<<Eh, e mo’ so cazzi>> rispose Lei divertita, anche se pensò a quando credeva che non ci sarebbe mai stato un undicesimo incontro. Si era chiesta più volte se l’ultima volta sarebbe stato premeditata o meno e quale delle due opzioni avrebbe preferito. Lui la guardò sorridendo e allungò una mano verso il suo viso ma lei si scostò; anche se stava ridendo ci era rimasta un po’ male per quella dimenticanza, solo undici giorni avevano passato insieme, senza contare la quantità infinita di messaggi che si erano scambiati tra un incontro e l’altro.

Ordinarono dei piatti particolari che divisero per assaggiare ogni cosa ciascuno fino al dessert. Fu la prima volta che al ristorante mangiarono il dolce e la scelta cadde su dei biscotti con il ripieno di cioccolato e liquore.

<<Secondo me è Rum>> osservò lei con voce da finta intenditrice di alcolici.

<<Lo stavo per dire anch’io>> rispose, e finirono il pranzo in bellezza con due caffè, un amaro e una grappa. In quegli ultimi instanti lo osservò più attentamente. Le spalle larghe, gli occhi che la guardavano come se fosse la cosa più bella che avessero mai visto, le sue mani che avrebbe voluto sempre addosso come la sensazione di essere una vera coppia e non degli amici/amanti. Avrebbe voluto la certezza che provasse le sue stesse emozioni e, nonostante diceva di sì, Lei non riusciva mai a crederci del tutto, sperava solo che un giorno, non troppo lontano, Lui avrebbe aperto gli occhi.

 

Rientrarono in stanza e la prima cosa che fece fu approfittare del momento per dargli un piccolo regalo che gli aveva portato da Roma, un libro in cui erano elencati cinquanta motivi per tifare Milan; essendo un tifoso sfegatato non aveva dubbi su quanto sarebbe stato apprezzato come piccolo pensiero. Si sdraiarono sul letto insieme, sfogliò quel libricino e preso dall’entusiasmo iniziò a parlarle di calcio come se fosse appassionata quanto un altro uomo, non riusciva a stargli molto dietro ma gli piaceva vederlo così contento. La ringraziò per l’ultima volta prima di tornare a baciarsi e rigirarsi tra le lenzuola. <<Facciamo una doccia?>> propose alzandosi dal letto, avevano fatto il bis e come rituale c’era anche la doccia insieme, a ogni incontro. La raggiunse sotto al getto dell’acqua calda, sentì il suo sguardo addosso mentre a occhi chiusi tendeva la testa indietro per bagnarsi i capelli. Quello era un modo come un altro per coccolarsi, l’uno si prendeva cura dell’altro, si insaponavano a vicenda, si accarezzavano, parlavano finché, stanchi di stare in piedi, uscivano per tornare a coccolarsi sdraiati sul letto. Prima Lei metteva la testa sul suo petto e con una mano lo accarezzava dal basso verso l’alto poi aveva l’abitudine di girarsi, gli dava la schiena e Lui di conseguenza l’abbracciava da dietro, le mani intrecciate, il suo respiro sul collo che era una delle poche cause di brividi in tutto il corpo.

<<Sai che prima o poi finirà>> disse.

<<Non riesco a pensare di non vederti più>> disse Lui.

<<Io non riesco nemmeno a pensare che dovremmo lasciare questa stanza tra poco>> ribatté, lo sentì sorridere senza rispondere. Lasciò cadere l’argomento anche se avrebbe voluto parlarne per non crearsi false speranze. Sapeva, vedeva e sentiva che i suoi sentimenti erano corrisposti, che anche Lui capiva quanto realmente stavano bene insieme ma innalzava comunque un muro di fronte a quella felicità.

Cambiò nuovamente posizione girandosi verso di Lui e lasciando che mettesse la testa sulla sua spalla per poterlo abbracciare da una parte e con la mano opposta accarezzargli i capelli. Quel pomeriggio, stranamente, sentì anche l’esigenza di coprire entrambi con il lenzuolo.

<<Addirittura?>> chiese Lui, sorpreso.

<<Si oggi voglio esagerare>>.

 

Era ora di lasciare la stanza quando si ricordò di aver portato con sé la sciarpa che le aveva lasciato in regalo qualche incontro prima. Solitamente ci spruzzavano sopra un po’ di profumo, il Blue di Chanel, in modo che a casa avrebbe potuto risentircelo e solo Lei sapeva cosa voleva dire dormire abbracciata a quella sciarpa.

<<Non ce l’ho oggi, me lo sono dimenticato…>> disse dopo aver visto che la tirava fuori dalla borsa. Si girò di scatto nella sua direzione, era strano che se ne fosse dimenticato, infatti si accorse immediatamente che non riusciva a essere del tutto serio, l’ombra di un sorriso si celava nel suo volto.

<<Non è vero. Quella è la faccia di chi dice bugie>> rispose Lei osservandolo mentre annullava la distanza tra loro.

Dopo quei momenti passati le risultava difficile pensare a quando sarebbe stata la prossima volta, era sempre un’incognita e tutto cominciava a pesarle enormemente. Si fermò con la macchina vicino all’autostazione mentre era in fila a un semaforo rosso, dopo il bacio di saluto aprì il vano portaoggetti per prendere una scatolina e dargliela.

<<Questo è per te>> disse, <<il pacchetto non è il massimo>>

<<Stai scherzando…>>.

Le aveva già fatto dei piccoli regali e non voleva che si sentisse in obbligo a portarle qualcosa ogni volta. Lo ringraziò e scese dalla macchina senza aprirlo, preferiva essere sola. Non sapeva resistere alla curiosità e l’aprì subito cercando di indovinare cosa mai potesse essere. Un profumo, il suo profumo, quello che aveva detto di aver dimenticato e, un po’ più innamorata di Lui rispetto alla volta precedente, gli scrisse un messaggio per ringraziarlo di nuovo.

 

A distanza di mesi da quell’ultimo giorno si chiese se non fosse tutto premeditato, non dà loro, ma dal destino. Non sapere che quella era l’ultima volta, ricevere il profumo come un segno del fatto che non avrebbe più potuto averlo direttamente da Lui. Dire addio, definitivamente, a quella magia che si creava quando erano insieme sembrava impossibile e da brava masochista quasi le piaceva ricordare tutto come l’impossibile certezza che niente si ripete allo stesso modo e quei momenti non sarebbero mai più tornati.


Come si fa a capire quando si è innamorati?

 

<<Dai, parlami di loro>> esordì la sua migliore amica.

<<Per far cosa?>>

<<Cercare di capire>>

 

Andrea è stato la rappresentazione di tutto quello che sognavo. Inizialmente non me ne resi conto, conoscendolo tramite internet, ma quando lo incontrai la prima volta avevo già una mezza cotta per lui. Era cominciato tutto con l’intenzione di mantenere un rapporto superficiale e forse in questo la distanza ci ha ingannati perché invece, in quel modo, eravamo più ispirati nel sentirci tutti i giorni e parlare, fino a conoscere meglio l’altro e noi stessi. Vivendo lontani avevo l’impressione di avere un amico di penna, solo nel mondo dei social, in cui i messaggi arrivano in tempo reale e puoi sentire la voce dell’altra persona senza chiamare. Era facile per me confidarmi con lui, mettere da parte la timidezza e mi riscoprivo.

Poteva essere tutto rovinato quando stavamo insieme perché potevamo trovarci in disaccordo o fare veramente solo sesso… Non è stato affatto così.

Quando ero con lui mi sentivo in un mondo a parte, esistevamo solo noi e quella stanza. Mi rendevo conto, volta dopo volta, di quanto stavamo bene e che ci scioglievamo sempre di più nei confronti dell’altro. Meno imbarazzo e più libertà di espressione, finché le parole erano superflue perché bastava uno sguardo e ci capivamo.

In quel periodo la distanza non mi pesava molto, sapevo che prima o poi sarebbe finita. Il problema è nato quando mi sono innamorata. La sua mancanza diventava un dolore nel petto; stringere la sciarpa con il suo profumo, dormirci insieme, me lo faceva sognare e la mattina avevo solo voglia di piangere. La distanza non era un problema se prima o poi fosse sparita. Vicino o lontano, amandolo, per me non esisteva nessun altro uomo e stavo veramente bene in quel modo: con la certezza di avere lui nella mia vita”.

<<Ma come fai a capire quando sei innamorata?>> la interruppe l’amica sorridendo imbarazzata per la domanda scomoda.

<<Se lo vuoi nel tuo futuro vuol dire che lo ami, se ti immagini sempre con lui tra anni, felici, magari con dei figli, sei innamorata>>

<<E tu provavi questo per Andrea?>>

<<Oh sì>>

Per questo la distanza doveva sparire. Nella mia testa sarebbe giunto il momento in cui avremmo preso una decisione e avremmo iniziato a vivere insieme, a dormire insieme, a venire in vacanza qui, dalle mie parti. Non immagini la facilità con cui fantasticavo su di lui, vestito tutto di lino, che mi portava al mare. La facilità con cui fantasticavo di avere figli con lui tanto che, presa dall’euforia, avrei voluto averli subito o essere incinta e vedere l’espressione di felicità dipinta sul suo volto. Però con il tempo la situazione non è cambiata e ho iniziato ad aprire gli occhi, a rendermi conto che sicuramente non era perfetto come credevo, che tante cose non potevo saperle perché non gli ero accanto tutti i giorni e ho realizzato che, probabilmente, doveva finire.

Non ha nemmeno provato a farmi cambiare idea. Mi diceva sempre che ero importante e che mi voleva bene ma non sono mai riusciva a credergli del tutto; a lui bastavano quelle poche ore al mese che passavamo insieme, come se fossi solo un antistress dal lavoro, una con cui passare una bella giornata da favola per poi tornare alla realtà. In fine ho capito che non potevo vivere la favola tutti i giorni perché lui non voleva e io, per amor proprio, non potevo lasciargli prendere tutto il meglio di me”.

<<Con il tempo poi passa>>

<<Credo di odiarlo adesso, forse perché lo amo ancora un po’>>

<<E quest’altro?>>

Quest’altro mi ha portato a vedere le stelle e non poteva esserci un inizio migliore. Io parto sempre con un’intenzione marginale di coinvolgimento emotivo; il sesso va benissimo, a quello non so dire di no e può esistere il sesso senza l’amore, solo che viene a noia prima in quel caso. Con lui è partita lenta ed è quello che mi piace; abituata com’ero a lasciare che mi saltassero addosso o che almeno ci provassero, mi rendevo conto che si tratteneva le prime volte e mi ha fatto piacere, mi ha fatto apprezzare ancora di più la sua compagnia. La seconda volta che ci siamo visti eravamo al mare e pensavo che si sarebbe lasciato andare invece ha fatto il gentiluomo e non mi ha sfiorato. La terza volta mi sarei sentita poco attraente se non avesse fatto nulla e io, anche se non ci pensavo o lo negavo a me stessa, volevo che ci provasse; se ci passavo del tempo assieme era perché ci stavo bene o comunque ero curiosa di stare in sua compagnia… Ad altri ragazzi dopo un paio di incontri li avevo mandati in bianco mentre lui sapeva dimostrare indifferenza e per quello mi sentivo tranquilla, a parte le coccole dopo il sesso ma quelle si mascherano bene”.

<<Anche qui c’è il problema della distanza però>>

<<Si, ma molto meno lontano e, ti ripeto, per iniziare va bene così. Se dovessimo stare realmente bene insieme farei in modo di diminuirla o annullarla comunque>>

<<E cosa provi per lui>>

Niente di concreto per adesso. Credo di aver paura a lasciarmi andare. Una relazione basata sul sesso è molto facile, non rischi di farti male o almeno non troppo, solo che nel suo caso mi sembrava uno spreco far finta di niente. Entrambi stiamo bene con l’altro e quindi perché non provare. Ci sono stati momenti in cui mi è sembrato di vivere scene da film o di essere all’interno di un libro di Bukowski meno volgare, come quando abbiamo fatto l’amore in camera sua e poi ha suonato la chitarra mentre ero ancora sdraiata sul letto tutta nuda. Mancavano solo le sigarette.

Lui mi fa sentire come se potessi fare tutto; una sensazione che non provavo da un po’ e che mi fa stare bene perciò ho deciso di provare, alla fine non ho niente da perdere”.

<<Secondo me ti ci troverai bene, potresti rimanere sorpresa>>

<<Lo spero>>

<<Ecco lo stesso cinismo di sempre>>

<<A volte mi ci vedo a stare sola per tutta la vita, altre mi sembra impossibile che non avrò nessuno da amare, solo che pretendo così tanto dall’uomo che vorrò accanto, dall’amore, che ho paura di rimanere insoddisfatta>>

<<Perché cosa vuoi davvero?>>

<<Questa è un’altra storia>>

Ultimamente si, mi sembri un po’ pazzo”

Si, pazzo di te”


 

22 settembre

 

Quella mattina Cristina si svegliò con il bacio in fronte datole dalla madre prima di uscire di casa per andare al lavoro e avvisarla che erano stati consegnati dei fiori per lei. In realtà era sveglia da una mezz’ora e stava cercando di elaborare che da quel giorno, a partire dalla mezzanotte per essere precisi, aveva definitivamente ventiquattro anni.

Non si sentiva diversa ma iniziava a farle uno strano effetto quel numero che cresceva anno dopo anno.

Si chiese chi potesse essere stato a mandarle dei fiori, pensò a suo padre anche se il presentimento di quel gesto era presente dal giorno avanti. Era impossibile che si fosse dimenticato il suo compleanno.

Aspettò di sentire la porta sbattere, segno che sua madre era uscita e si alzò per placare la sua curiosità. Il mazzo si trovava sopra il tavolo di cucina, già messo in un vaso con dell’acqua, e al centro si distingueva bene da tutti gli altri fiori una rosa rossa. Non ebbe più dubbi su chi fosse il mandante.

Prese in mano il biglietto assorta in una specie di trance e lo aprì per leggere il messaggio che recitava: “Hai ragione, sono pazzo! Avrei voluto consegnarti io, di persona, questi fiori ma ancora non è il momento… Buon compleanno mia Meravigliosa”.

Le veniva da ridere e da piangere allo stesso tempo, avrebbe voluto arrabbiarsi per tutta quella tenacia perché sapeva che, oltre a quel gesto romantico, si celava anche la sua richiesta a cui da mesi rispondeva ‘no’ e invece riusciva solo a essere incredula e a pensare a quanto avrebbe voluto succedesse tutto ciò un anno prima. Nonostante tutto, la sua chat, i loro messaggi erano sempre lì e aprì la conversazione per mandargli una foto del mazzo ringraziandolo per il pensiero per poi rispondere al messaggio di auguri della migliore amica che le chiedeva anche chi si fosse fatto sentire nonostante immaginasse la risposta. Mandò anche a lei la foto dei fiori più il biglietto in modo da farglielo leggere e uscì dalla stanza lasciando la composizione sul tavolo.

Dovette ammettere a se stessa che non avrebbe mai creduto che sarebbe stata così felice nel ricevere dei fiori da parte di un uomo. Suo padre l’aveva fatto qualche volta ma lui non contava.

Le rispose al messaggio scrivendole che si era sentito in dovere di farlo, che poteva immaginare l’imbarazzo nel chiamare Chiara, la fioraia, e sentirsi dire che conosceva la ragazza molto bene. Cristina pensò a quanta gente, soprattutto del paese in cui viveva, credeva di conoscerla molto bene, sbagliando al cento per cento. Si chiese cosa mai si fossero detti ed ebbe conferma da lui che per telefono Chiara avesse capito che non era toscano; l’accento si sentiva. Gli rispose, inoltre, che non aveva nessun ragazzo vicino che avrebbe mai fatto un gesto del genere.

Arrivò l’ora del mezzogiorno e, come di consueto, si avviò verso casa di sua nonna per pranzo, dove avrebbe mangiato con sua madre e sua zia.

Era stata ben attenta a non dire niente riguardo quella sorpresa ma ci pensò la mamma, appena arrivata dal lavoro, a renderne partecipi la nonna e la zia.

<<Le hanno anche mandato dei fiori>>

<<Chi?>> esclamò incuriosita la nonna, voltandosi verso la nipote.

<<Non lo so, il biglietto non è firmato>> rispose sperando di avere un’aria credibile.

<<Ma te lo sai chi è>> incalzò la madre.

<<No no…>> continuò lei e sembrò che tutte e tre le credettero.

A quel punto però partirono le supposizioni.

<<Te l’avrà fatti il tuo ex>> esordì sua nonna; era sempre stata speranzosa di un ritorno di fiamma.

<<Anche perché la scrittura sul biglietto non è quella di Chiara>> considerò la madre che conosceva la fioraia molto meglio della figlia.

<<Non è neanche la sua scrittura, se è per questo>> rispose Cristina riferendosi alla considerazione della nonna.

<<L’avrà fatto scrivere alla mamma>> ribatté prontamente la signora anziana.

<<Non importa, tanto quei fiori prima o poi appassiranno e si dovranno buttare>> commentò lei cercando di non dare importanza alla cosa, nel mentre parlava sentì la suoneria personalizzata dei suoi messaggi venire dal telefono. Le aveva risposto.

Da cosa nasce cosa e quello lo sapeva bene, aveva immaginato infatti che avrebbe rinnovato la proposta di un incontro e ne approfittò quando gli disse che, anche se era il suo compleanno, sarebbe andata al lavoro nel pomeriggio e le chiese cosa pensava se fosse passato a prenderla. Fortunatamente quei fiori le avevano scalfito il cuore ma non la testa, ed essendo distante da mesi, riusciva a tenere i piedi a terra rimanendo ferma nella sua decisione. Non si sarebbero rivisti. Non dopo tutto il lavoro che aveva fatto su se stessa, non dopo aver imparato a mettersi al primo posto, non dopo aver capito che meritava e voleva di più e, per quanto soffrisse nel doverlo rifiutare, sapeva che era solo un bene stargli lontana. Peccato che con mazzo di fiori si risentiva subito innamorata.

Tornò a casa in fretta, fece sparire il bigliettino sperando che la madre non avesse voluto leggerlo e le confidò di credere che un ragazzo, frequentato per un mesetto, avrebbe potuto fare un gesto del genere anche da lontano. Con internet non era difficile trovare il numero di una fioraia e far consegnare dei fiori. Non poteva parlarne da sua nonna perché ogni maschietto sarebbe stato considerato un fidanzato, quindi un presunto marito nell’arco di cinque minuti.

Portò il mazzo in camera sua, annusò ancora una volta il profumo della rosa rossa che, proprio da sue indicazioni, si trovava al centro e pensò a quanto gli era costato; la madre le aveva detto che anche gli altri fiori erano molto belli e piuttosto costosi.

Mandò un messaggio alla sua migliore amica per raccontarle il pranzo, le chiacchiere della fioraia che aveva commentato alla madre durante la consegna <<Certo anche voi ve li cercate tutti fatti con lo stampino>>, cosa intendesse dire non poteva saperlo ma di sicuro non era una persona che conosceva come aveva creduto la mamma di Cristina. Le disse che stava giocando tutte le sue carte per convincerla a vedersi, e le confidò di pensare che se lo sarebbe trovato sul luogo di lavoro un giorno o un altro. Immaginava la scena, immaginava la sua faccia, la sua espressione e si sorprendeva di riuscire a ricordarlo così bene per poi rendersi conto di quanto le mancava.

Negli ultimi mesi aveva conosciuti altri ragazzi ma nessuno che la coinvolgesse così tanto, o forse era lei che aveva paura, di buttarsi in una relazione o di innamorarsi davvero e a quel punto nessuno le sembrava all’altezza. All’altezza di lui. Nessuno che aveva lo stesso sguardo, gli stessi occhi, lo stesso modo di fare. Era impossibile da trovare un altro identico e non poteva amare due uomini nello stesso tempo.


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