Claudio Biondi - Poesie

Antica Pieve

La Pieve mi chiama, lo sento,
lo dicono le amiche querce
in aprile, quando soffia il vento.
Soffia sulla chiesa, sulla croce
e attraversando le folte chiome
dona ai possenti alberi, la voce.

Son tornato all’Antica Pieve,
nel giorno de venerdì santo
ho rivisto la millenaria chiesa,
e il vecchio camposanto.
Era la parrocchia di Don Serafino,
dove ho ricevuto i sacramenti
che può ricevere un bambino.
Nelle pietre consumate
dalla pioggia e dal vento,
percepisco l’inesorabile
trascorrere del tempo.
Come guardiani alti e fieri
incontro le querce centenarie,
dopo tanti anni sembra ieri.

«Claudio! Sei proprio tu?
L’ultima volta ti abbiamo visto
in un lontano giorno d’agosto
eri con una bella ragazza,
di sicuro la tua futura sposa;
Don Serafino con i documenti,
lei tra i capelli, una piccola rosa;
com’eravate contenti!»

«Vi ricordate bene, era d’agosto
e prima del cader delle foglie,
in un luogo simile a questo
lei, diventò mia moglie.»

«Ed ora, quell’espressione
malinconica non ti s’addice;
sei sicuro d’essere felice?»

«La felicità mi è ancora amica
come in quel giorno lontano,
lei è sempre la mia ragazza
e spesso ci teniamo per mano.
È solo un po’ di malinconia
per tutto quello che il tempo
piano piano si è portato via.
Riposano nel cimitero persone care
a loro va il mio pensiero,
non le potrò mai dimenticare.»

«Se vuoi parlare del passato,
nulla di te abbiamo dimenticato:
il Battesimo, il Catechismo,
l’ Eucarestia, la Cresima e poi…
i calci e le corse dietro al pallone
proprio su questo prato,
fino a ieri un poco spelacchiato.
Ma oggi l’erba da quassù
sembra più verde, più folta,
pare proprio l’erba di una volta.»

«L’erba di quei giorni spensierati
quando a noi bambini
per divertirci, bastavano i prati.
I prati di campagna,
delle chiese e delle scuole,
dove in questi giorni
come allora, sbocciano le viole».

La mia mente ora vola,
sulla chiesa, sul campanile
e poi, in una nuvola.
Da lassù vedo cari posti,
numerosi affiorano i ricordi
dalla coltre del tempo nascosti.
Era ottobre, l’aria era fresca,
la maestra con la scolaresca
in doppia fila, in cammino
per un incontro con Don Serafino.
Il ricordo dell’estate passata
nel mio cuore era ancora forte,
ma le querce raccontavano
di un autunno ormai alle porte.
S’accorciavano le giornate
arrivava la malinconia
per la mia bella estate
troppo in fretta volata via.
All’improvviso, qualche parola
mi fa scendere dalla nuvola;
sono i ricordi che ho nel cuore
sanno di famiglia, sanno d’amore;
sanno di lunghe giornate d’estate
di canzoni leggere e spensierate;
di foglie secche agitate dal vento
di un bambino che corre contento.
Sono sicuro, prima non c’era
eppure proprio adesso, soffia
vigoroso, il vento della primavera.
Quel vento che in campagna
s’intrufola nelle sperdute chiese
a far tremolare sull’altare
le fiammelle delle candele accese.
Nei cimiteri soffia forte,
agita i cipressi, interrompe,
il triste silenzio della morte.
Si calma un poco il vento
il pomeriggio incontra la sera,
torna il silenzio, lo sento
in questo giorno di primavera.
Si diffonde nell’aria tersa
un rintocco di campana soltanto;
nessuno parla e ne conversa
in questo giorno del Venerdì Santo.
Soltanto i ricordi rimangono,
di storie liete e altre che piangono
e sotto voce continuano a raccontare
mentre il sole se ne va a tramontare.
Credo proprio che in questo posto
un pezzetto del mio cuore sia rimasto
e mentre verso casa m’incammino
saluto le querce e Claudio bambino.

Alla mia ragazza poi ho chiesto
dove fosse ora quella piccola rosa
che aveva tra i capelli quel giorno
prima di diventar mia sposa.

«Tra le pagine di un libro di scuola
il tempo l’ha scolorita e seccata;
ogni tanto la metto tra i capelli
con cura, perché è molto delicata».

“Come promessa d’amore
ti donai un piccolo fiore,
profumato e delicato.
Tra le pagine di un libro di scuola
hai trovato una piccola rosa.
È quel piccolo fiore che ti avevo donato…
è quel piccolo fiore ora, ancor più delicato”.

 


 

Come se fosse ieri

I cipressi
osservano intorno
come muti guardiani;
è arrivata la primavera
e la campagna indossa
la sua veste migliore.
All’improvviso un vento forte
ruba alle tombe, qualche fiore
che colorava un poco la morte.
In questo vecchio cimitero
parlo alla sua foto
in bianco e nero.
La tocco con la mano,
ma il mio cuore
sente il suo troppo lontano.
Cambia il tempo ed ora piove
rimarrei volentieri,
ma lei non qui, è altrove;
è nella casa
di quand’ero bambino,
nella strada che portava a scuola
è nei miei pensieri,
e nel ricordo di ogni sua parola.
Tanto di lei mi è rimasto ancora;
come se fosse ieri.

 


 

Contraddizioni

Due anni fa, il mio medico di base, mi consigliò vivamente di andare da un cardiologo di sua conoscenza per una visita accurata. Il colesterolo non era più a posto; in particolare quello cattivo aveva raggiunto valori preoccupanti. Inoltre era arrivato il momento di dare un’aggiustatina alla terapia per l’ipertensione.
Ricordo che era una tarda mattinata di primavera e dieci minuti prima dell’appuntamento mi sedetti nella lussuosa sala d’attesa con tutti i miei referti clinici in mano. La struttura era praticamente nuova, poltrone comode, massima pulizia e impiegate molto carine e gentili che sembravano scelte con cura.
Arrivò il mio turno. Salutai il cardiologo; un uomo giovane, molto atletico. Iniziai a sentirmi a disagio; tentai di nascondere il mio addome prominente, ma evidentemente non ci riuscii.
«Signor Biondi, lei è in sovrappeso! Se ne rende conto, vero?»
Dalla vergogna mi sarei nascosto sotto il lettino. Poi cercai di dire qualcosa.
«Ne sono consapevole, dottore, ma non mi sono mai considerato obeso nel vero senso del termine. Sono alto 166 cm e peso 76 kg i medici del servizio trasfusionale dove vado a donare sono ben lieti dei miei chili di troppo così possono prelevarmi la massima quantità di sangue.»
«Le devo dare un brutta notizia; lei è a rischio cardiovascolare. Il colesterolo LDL, che provoca la formazione di placche nelle arterie, è troppo alto.»
Inizia la vista. Cardiogramma, eco color doppler cardiaco e dei grossi vasi, misurazione della pressione. Sembrava avesse finito, ma con l’eleganza di un pistolero che estrae la pistola dalla fondina, sfila velocemente da una tasca del camice, un metro a nastro; l’unica cosa modesta di tutto il poliambulatorio, sembrava l’avesse preso dalla scatola del filo della nonna.
«Ora le misuro la circonferenza dell’addome, è un parametro molto importante.
Da questa misurazione si ottiene con una facile formula matematica, la percentuale di rischio di essere colpiti da un ictus o da un infarto cardiaco.»
Per farmi coraggio, ho sparato un battuta.
«Dottore non ho pensato assolutamente che lei volesse prendermi le misure per un vestito.
Conosco questa indagine medica perché viene fatta anche nell’azienda dove lavoro, durante la visita annuale di idoneità al lavoro. Un medico e due infermieri arrivano in un giorno stabilito, con un camper dotato di laboratorio analisi, di una saletta per la visita e un piccolo ufficio.
L’anno scorso, la dottoressa di turno mi rimproverò per la circonferenza addominale, risultata un po’ oltre il limite. Mi disse che comunque ero idoneo alla mia mansione e nel salutarmi mi chiese di fare entrare la persona successiva.
«Dottoressa; il prossimo è Rossi Franco un mio collega, ora gli dico di entrare ma lei si metta comoda, è un ragazzone di 130 kg e potrebbe provocare un brusco movimento dell’automezzo.»
Il cardiologo non era dotato di senso dell’umorismo; non commentò e mi parlò della dieta.
«Signor Biondi, deve assolutamente perdere 10 kg entro i prossimi tre mesi. Pertanto, riduca le porzioni, poca carne rossa, consumi più carni bianche, molto pesce, pasta integrale, legumi, verdura cotta e cruda, niente dolci, niente alcolici.»
«Nemmeno un mezzo bicchierino di limoncello il sabato sera?»
«No, assolutamente no!»
«Il tiramisù non me lo tolga, la prego dottore. Mia moglie lo fa divino! Mi creda!»
«Le ricordo, signor Biondi che il suo colesterolo alto è causato sicuramente dal tiramisù»
«Mi deve spiegare, dottore, perché un alimento così delizioso si trasforma nell’organismo in qualcosa di cattivo.»
«Ora non ho tempo di darle lezioni sul metabolismo dei grassi. Sono cose complicate! Cosa crede!
E poi tra cinque minuti ho un’altra visita. Sono trecento euro.»
«Mi scusi dottore, posso pagare alle sue impiegate? Almeno così mi tiro un po’ su.»
«Riscuoto io, non si preoccupi. Lei pensi a fare la dieta, a seguire la terapia che le ho prescritto e vada a camminare tutti i giorni. Vedrà che il suo assetto lipidico presto tornerà normale.»
Presi alla lettera il consiglio di camminare tutti i giorni. Per la dieta fui meno rigido; dalle passeggiate tornavo a casa sempre affamato. Dopo tre mesi il mio peso rimase pressoché invariato e per non fare altre figuracce, cambiai specialista. Ora il mio cardiologo è un signora di una cinquantina d’anni leggermente cicciottella, molto simpatica e amante della buona cucina. Quando mi ha misurato la circonferenza dell’addome, ha esclamato: “uomo de panza, uomo de sostanza”. Ci siamo scambiati la ricetta del tiramisù. Mi vuole rivedere per il controllo ogni sei mesi ed io faccio di tutto per mantenere la mia cara pancetta.
Mi sono organizzato in modo da creare occasioni per camminare. Vado a piedi da casa mia per andare ad esempio nella farmacia del mio quartiere. Se devo fare commissioni in posti distanti, vado in auto e parcheggio un po’ lontano dalla destinazione. L’altro giorno dovendo ritirare un piccolo ordine in una “pasta fresca” in via Raggi, ho parcheggiato tranquillamente a circa mezzo chilometro di distanza. Giunto davanti al negozio ho trovato quattro persone che a causa di questa pandemia attendevano sul marciapiede. Ho chiesto chi era l’ultimo cliente e un’anziana signora mi ha risposto dicendo che ero io.
«Ha ragione signora, potevo capirlo da solo.»
Mi accorgo di essere osservato dai presenti. Ero senza mascherina! Una sensazione bruttissima.
«Ho lasciato la mascherina in auto!» Ho gridato.
«Il problema è che ho parcheggiato a cinquecento metri di distanza!» Sempre la stessa signora:
«Mi scusi giovanotto; ha visto quanti posti liberi ci sono qui intorno?»
«Si che li ho visti! Sono passato da qui poco fa.»
«Ma mi sta prendendo in giro?»
«Non prendo in giro nessuno, è che il cardiologo mi ha detto che per rimanere in salute devo cogliere ogni occasione per camminare.»
«Poteva anche dirle, compreso nel costo della visita, che deve anche ricordarsi di indossare sempre la mascherina! È obbligatoria! Lo sa?»
«Ma certo che lo so, è che mi sono dimenticato, tutto qui. Comincio ad avere una certa età, e anche se non sono anziano mi capita di avere ogni tanto qualche dimenticanza, tutto qui.»
«Quanti anni ha?»
«Sessantadue compiuti.»
«Io ne ho ottantasei e non mi sono mai dimenticata la mascherina! Dovrebbe, secondo il mio modesto parere, mangiare tanto pesce. A presente gli omega tre, il fosforo?»
«Lo so benissimo perché anche questo me l’ha detto il cardiologo!»
«E quanto le ha fatto spendere?»
«Trecento euro.»
«Ma cos’ha fatto, un abbonamento annuale?»
«Tenga. Gliela regalo io una mascherina.»
Ho continuato a fare le mie belle camminate fino a quando, un bel giorno ho iniziato ad avvertire un dolorino all’anca sinistra. Così per scrupolo sono andato dal medico di famiglia.
«Buongiorno dottoressa!»
«Salve! Cos’è successo?»
«Da un po’ di tempo ho un dolore all’anca sinistra che aumenta mano a mano che cammino.»
«Facciamo subito un radiografia alle anche; sospetto che ci sia un inizio di artrosi. Le faccio l’impegnativa; “si richiede RX coxae per sospetta artrosi”.
Ecco fatto! Non appena avrà il referto torni da me e vedremo se sarà il caso di consultare un ortopedico. La saluto!»
Arriva il giorno per andare a ritirare la lastra. Non resisto; apro la busta e leggo il referto del radiologo; “segni di artrosi con riduzione della cartilagine articolare in entrambe le anche.”
Mi è crollato il mondo addosso. La mia dottoressa mi ha consigliato di consultare, senza perdere tempo, un suo amico ortopedico. Ottengo un appuntamento nel giro di pochi giorni.
«Signor Biondi; avanti!»
«Buongiorno dottore.»
«Mi racconti tutto.»
«Da circa due mesi soffro di dolori all’anca destra, specialmente dopo un po’ che cammino»
«Ha fatto una lastra?»
«Eccola!»
«Quanti anni ha?»
«Sessantadue.»
«Fa attività fisica? Qualche Sport?»
«Certo dottore! Faccio lunghe camminate quotidiane.»
«Molto male! Lei deve andare in bicicletta e camminare solo l’indispensabile!
Pedalare fa molto bene perché permette di fare attività fisica senza caricare troppo le anche. Mi ha capito bene?»
«Ho capito Dottore. Però sono confuso perché il cardiologo mi ha detto di camminare, lei di pedalare, l’urologo dice che la sella della bicicletta può infiammare la prostata. Cosa devo fare?»
«Come in tutte le cose bisogna trovare un equilibrio, tutto qui, non si scoraggi.
Le prescrivo un integratore per cartilagine e delle infiltrazioni di acido ialuronico; una al mese per un anno! Sono trecento euro grazie. La saluto e tanti auguri!»
«La ringrazio dottore! Buona giornata.»

 


 

Il tronchetto della felicità

Per fortuna non ho avuto infortuni gravi in vita mia. Ma “e mument de pataca” prima o poi arriva e ti lascia ti stucco.
Una bella mattina di qualche giorno fa mentre spostavo un tronchetto della felicità mi sono leggermente ferito ad un occhio, punto da una foglia. Ho avvertito appena appena un solletico, ma il piccolo forellino ha provocato un’emorragia
e il sangue si è raccolto tra la sclera e la congiuntiva. Risultato, non avevo più il bianco dell’occhio, ma il rosso dell’occhio. Patrizia, superato lo spavento ha iniziato a brontolare;
“Quante volte ti ho detto che devi indossare gli occhiali quando fai certi lavoretti! Non potevi stare un po’ più attento! Guarda com’è quell’occhio! E se ti ferivi la cornea?
Dai! Su! Preparati, andiamo al pronto soccorso. Almeno una cosa giusta l’hai fatta; ti sei ferito durante gli orari di apertura del pronto soccorso oculistico”.
Per fortuna sono entrato da solo, lei è rimasta fuori; non l’hanno fatta entrare per il discorso covid. Così come per magia, si è interrotto il suo brontolio che ho dovuto sopportare per tutto il tragitto da casa fino all’ospedale.
L’infermiera molto carina e gentile dopo avermi misurato la pressione oculare con un delicato soffio d’aria compressa sparato da un particolare strumento chiamato tonometro, mi ha accompagnato con un bel sorriso e senza brontolare, dal medico oculista.
“Buongiorno, cos’è successo?”
“Buongiorno dottore! Mi sono punto, credo e spero in modo lieve, con una foglia di un tronchetto dell’amore, detto anche della felicità.”
“Per fortuna! Non oso nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto accadere se si fosse punto con una foglia di una pianta carnivora! Comunque, a parte gli scherzi, l’occhio, pur essendo molto arrossato, non ha subito danni.
L’emorragia verrà riassorbita nel giro di una decina di giorni. Le prescrivo un collirio, metta una goccia tre volte al giorno per una settimana. La saluto e mi raccomando, quando svolge certi lavoretti casalinghi, o di giardinaggio, indossi sempre gli occhiali di protezione. La saluto.”
“Grazie dottore! Buona giornata.”
Prima di uscire dal reparto saluto e ringrazio l’infermiera.
“Allora Claudio? Cosa ha detto l’oculista?”
“Niente di particolare. Ha detto che questo tipo d’infortunio capita ai mariti stressati dalle mogli.”
Le ho dovuto chiedere scusa una ventina di volte, giurarle che era una mia battuta e non dell’oculista. Per fortuna mi ha creduto; ho corso il rischio di tornare a casa a piedi;
Ospedale Morgagni Pierantoni, casa mia, sette chilometri.

 


 

La favola

All’improvviso, con mio stupore,
riprese forza, uno strano vigore.
Ma nulla poteva cambiar la sorte;
era soltanto il miglioramento
prima della morte.
Come un nuvolone nero
lascia spazio al sole per un momento;
un cielo all’improvviso azzurro
a cui non puoi fare affidamento.
Con lo sguardo di chi è tornato
da molto lontano, da chissà dove,
mi disse: «figlio mio, fuori com’è?
C’è il sole, oppure piove?»
«Oggi è come un giorno d’estate,
siamo al due di giugno
e ancora, s’allungano le giornate».
«La luce, il chiarore, il sole;
io non ero qui, ero altrove;
poi, ho sentito le tue parole».
«Se non eri qui, papà, dov’eri?
È da un po’ che sei in ospedale,
ed io ero qui, con te, anche ieri».
«Ero prigioniero di una tormenta,
di notte, in un bosco pieno di neve;
al solo pensiero, quel buio mi spaventa.
Vorrei non esserci mai stato,
stavo per prendere un sentiero
da dove non sarei mai più tornato.
Quel buio mi da un gran tormento,
sono sicuro, verrà a cercarmi
proprio questa notte, lo sento.
Quand’ero bambino
non mi metteva così paura,
avevo la mamma vicino;
mi mettevo sotto le lenzuola,
la candela rimaneva accesa
e lei mi raccontava una favola».
«Quella favola la conosco anch’io,
te la racconterò questa notte,
quant’è vero Iddio!
E se arriverà quel buio
che tu temi tanto…
ascolta la favola, soltanto.»

 


 

La mente copiata

«Dottor Russell! Venga. Ci siamo riusciti!»
«Questo è un evento di straordinaria importanza dottor Smith! Avvisi subito le riviste scientifiche e tutte le principali testate giornalistiche di Los Angeles e del mondo!»
«Mi permetta dottor Russel. Prima dobbiamo verificare se ogni singola sinapsi che collega gli 86 miliardi di neuroni è stata riprodotta fedelmente, se la mente ha mantenuto la coscienza integra e considerare eventuali implicazioni Etiche e deontologiche; il Vaticano ci sta seguendo da anni e presto ci metterà sotto inchiesta.»
«Ha ragione. Per un attimo l’entusiasmo mi ha confuso. D’altronde, trasferire una mente umana in un’ unità di intelligenza artificiale è un evento straordinario, unico al mondo. Ed oggi cinque marzo 2039 si realizza un progetto iniziato dai nostri colleghi quasi settantanni fa.»
«Senza il computer quantistico da lei ideato, progettato e costruito tutto questo non sarebbe stato possibile. Dottor Russell, si renderà conto che ben presto verrà considerato uno degli scienziati più eminenti al mondo.»
«La ringrazio dottor Smith. Ma le ricordo che il suo contributo è stato fondamentale. Senza le sue scoperte straordinarie in questo ultimo decennio nel campo delle neuroscienze, non avremmo mai raggiunto l’obbiettivo. Questa è la prova che la scienza è soprattutto collaborazione e condivisione. Metteremo la nostra scoperta al servizio del mondo intero e se sarà gestita nel modo giusto potremmo presto parlare di immortalità.»
Sono le sette del mattino quando il dottor Smith arriva all’istituto di neuroscienza computazionale e biologia informatica dell’università privata di Los Angeles. All’ingresso lo riceve una guardia della vigilanza interna, di origine italiana.
«Buongiorno dottore!»
«Buongiorno Carmelo, come va?»
«Abbastanza bene grazie. Solo un po’ di mal di testa. Ieri sera abbiamo festeggiato il nostro anniversario di matrimonio e a fine cena Teresa ha aperto il limoncello fatto con i limoni della piana di Catania. Ne ordiniamo una cassa di dieci chilogrammi ogni anno. Lo fa proprio lei seguendo un’antica ricetta Catanese. Devo averne bevuto un bicchierino di troppo. Mi consiglia di prendere un analgesico?»
«Conosco molto bene l’encefalo sia dal punto funzionale che quello strutturale. Ti consiglio però di andare nella farmacia qui vicino. Lo sai come tratto i cervelli; li faccio a fettine sottili sottili, le coloro con ematossilina – eosina e infine le osservo al microscopio.»
«Lei dottore è sempre in vena di scherzare! Ha superato il riconoscimento dell’iride. Può entrare; buon lavoro!»
«Buon lavoro anche a te Carmelo e tanti auguri!»
Poco dopo entra nel laboratorio più importante di tutto l’istituto; dove si è giunti, dopo tanti anni di studi molto complessi, ad una fase decisiva. Il computer quantistico realizzato dal dottor Russel, mediante una scansione estremamente accurata, ha riprodotto attraverso un modello computazionale una mente umana, ed oggi, 5 marzo, si tenterà di trasferirla in una particolare unità di memoria.
La mente riprodotta verrà successivamente “risvegliata” e analizzata.Venti giorni prima è stato reclutato un volontario. Un uomo di 56 anni colpito da una gravissima malattia virale che gli ha compromesso in modo irreversibile l’apparato respiratorio e circolatorio. Destinato a morte certa e non avendo più nulla da perdere ha accettato con molto piacere di sottoporsi a questa sorta di trasferimento della mente.
Alla moglie Susy e ai figli Peter e Molly è stato consentito di sperare di poter continuare a comunicare con David anche dopo la suo morte fisica, recandosi all’istituto, come in una sorta di visita parenti. La famiglia è molto scettica, soprattutto dopo il funerale. Per la legge degli Stati Uniti d’America lui risulta deceduto. Infatti la mente, ha subito il sofisticato trattamento subito dopo la cessazione dell’attività cardiaca, in quel lasso di tempo chiamato “tempo di nessuno.” Quel periodo che va dalla cessazione della circolazione del sangue, fino alla morte delle cellule nervose. Approssimativamente va da tre a cinque minuti al massimo perché dipende dalla saturazione di ossigeno nel sangue. È detto “tempo di nessuno” perché non appartiene più alla vita in quanto non c’è più circolazione, ma non appartiene nemmeno alla morte, perché il cervello è ancora vivo grazie a quel po’ di ossigeno rimasto.
La famiglia di David è distrutta da dolore. Ogni giorno Susy con i figli si recano al cimitero a deporre fiori freschi sulla tomba del loro caro. Soprattutto rose; i fiori che lui preferiva in assoluto. Ma che in vita non aveva mai ricevuto ma sempre donato all’amata moglie. Ogni occasione era adatta; il compleanno, l’anniversario, San Valentino e la festa della donna. A volte aggiungeva al mazzo di rose rosse una busta con una poesia molto semplice ma scritta con il cuore. (Amore, nel nostro giardino non mancheranno mai le rose, profumate e meravigliose. Se dovessero un giorno scomparire, non ti preoccupare. In una notte d’estate dal cielo più che terso, raccoglierò per te le stelle più luminose dell’universo). Susy, con gli occhi lucidi gli diceva; «amore ti amo e la poesia è bellissima; ma dovresti leggerla con più calma, senza fretta.»
«Ma io ho tanta fretta amore; di abbracciarti.»
Sono le ore 15 del 5 marzo 2039. Tutto è pronto, ancora una mezz’ora per portare a termine le ultime verifiche.
I due responsabili dell’esperimento dirigono con grande abilità le varie procedure.
Viene avviata la complessa sequenza che porterà alla riattivazione della mente di David.
«Mi sente? Sono il dottor Russel, qui con me c’è il dottor Smith.»
Passano una trentina di secondi e poi… «Si la sento bene; ma dove mi trovo?»
«Tempo fa le abbiamo spiegato la procedura che avrebbe permesso alla sua mente di continuare a vivere all’interno di un sofisticato computer dopo la sua morte fisica.»
«Adesso ricordo tutto anche perché mi sento molto bene e lucido come non lo sono mai stato. Posso dire che sono felice perché immagino che il mio corpo sia ormai al cimitero. Devo ammettere che tutto mi sembra molto strano, come in un sogno. Mi diceste: in seguito alla sua dichiarazione di accettazione, la sottoporremo ad un processo in cui la sua mente verrà caricata, come se fosse un programma, in un particolare computer.» (mind ouploading).
«Perfetto. Siamo felicissimi! Si sentirà intrappolato, ma le assicuriamo che tra non molto la sua vita mentale verrà integrata in un robot in modo che possa muoversi liberamente e fare molte attività, come camminare, leggere e tanto altro.»
«La sua voce è artificiale ma in futuro riusciremo a sintetizzarne una molto simile alla sua naturale, le fa piacere?»
«La pazienza mi ha seguito in questa avventura; sono sereno, e vorrei incontrare i miei cari.»
Il giorno dopo, alla famiglia di David viene concesso il permesso di entrare nella sala principale dell’immenso laboratorio. Inizia un amorevole dialogo. La moglie ed i figli ben presto si rendono conto che dietro a quella voce sintetica c’è proprio lui, David; amorevole e delicato come lo è sempre stato.
Tornati a casa, Susy, Molly e Peter non parlano e nemmeno si guardano in faccia. Pensano e ripensano a questa situazione che sembra surreale. Ad un certo punto Molly scoppia a piangere.
E dice. «Non so se riuscirò a farcela. Sono confusa. Ieri ho pianto sulla tomba di mio papà in un luogo dove regna la pace, colorato dai fiori; ed oggi gli ho parlato in un freddo laboratorio dove gli unici colori sono le sfumature del grigio e del nero. Mamma… io lo sento molto più vicino al mio cuore quando sono con lui al cimitero.»

 


 

Occhi verdi

Sono appena le sei del mattino quando il dottor Elia Rametti a bordo della sua auto di grossa cilindrata, esce dal cancello della villa per essere alle sei e trenta in ospedale. Una mezz’ora per vestirsi e sterilizzarsi, poi entra in azione. Con la mascherina e la tuta è irriconoscibile. Elia è un giovane medico di trentadue anni di bell’aspetto. Alto un metro e ottanta, occhi e capelli neri, in perfetta forma fisica.
É specializzato in immunologia clinica, una scienza che lo affascina da quando era giovanissimo. Si è laureato in medicina e chirurgia nel giugno del 2014 con il massimo dei voti, discutendo la tesi: “il potenziale ruolo delle malattie virali nelle patologie polmonari infiammatorie”.
Dalla fine del 2014 fino a maggio del 2018 presta la sua opera come medico di medicina generale, in un prestigioso ambulatorio di Bologna. Contemporaneamente frequenta
la scuola di specializzazione in allergologia e immunologia.
Nell’ottobre del 2018 partecipa ad un concorso per titoli ed esami per la copertura di tre posti di dirigente medico presso il reparto di immunologia del “Maggiore”. Su trecentotrenta candidati, tra i nomi dei vincitori c’è anche il suo. Si era preparato molto bene e poi tutti quei trenta e lode ricevuti nei numerosi esami sostenuti durante il corso di laurea e poi nella specializzazione, avevano fatto il resto.
Dal gennaio del 2020 causa la pandemia da Covid, lavora nel pronto soccorso dello stesso ospedale avendo dimostrato attitudine nella medicina d’urgenza.
Ha scelto la propria strada da quando si è iscritto al liceo scientifico“Enrico Fermi”.
Suo padre, un noto imprenditore industriale, considerato tra i più ricchi d’Italia, il Conte Edgardo Rametti, fu molto chiaro:
«Elia, ascoltami molto bene. Nella mia grande azienda, avrò bisogno di te. Ma sarai tu a decidere del tuo futuro; io non l’ho potuto fare perché tuo nonno mi obbligò ha seguire la tradizione di famiglia mentre io avrei voluto fare altro. Ci sei tu e la mamma e questa è la cosa più importante.»
Vive con i suoi genitori in una bellissima villa alle porte di Bologna circondata da un parco di cinquanta ettari ricco di alberi, come il cedro del Libano, il platano comune, la quercia, il ginkgo e tanti altri. Una serie di sentieri permette di fare bellissime passeggiate immersi nella natura e un labirinto di grandi dimensioni costruito nel milleottocentonovanta conferisce alla grande tenuta un’atmosfera misteriosa e romantica, quasi d’altri tempi.
Incontra il collega del turno precedente e dopo aver ricevuto le consegne lo saluta, ed entra nell’ambulatorio numero tre.
«Buongiorno dottor Rametti!»
«Buongiorno Giovanna! Ma lei non è Giovanna!»
«Permetta che mi presenti; sono Aurora la sostituta; è risultata positiva, ed ora è in quarantena. Ma non si preoccupi, non è sintomatica.»
Elia incontra lo sguardo di Aurora e per qualche istante rimane senza parole per quegli occhi così particolari, messi in risalto dall’abbigliamento che non lascia vedere altro.
Con disinvoltura entrambi superano l’imbarazzo ed iniziano ad organizzarsi per accogliere il primo paziente. L’altoparlante annuncia l’arrivo di un codice giallo, ambulatorio tre; uomo di settant’anni positivo al Covid, insufficienza respiratoria e febbre alta. Prontamente Elia visita il paziente che si dimostra lucido e collaborante. La percussione del torace evidenzia un edema polmonare di media gravità. Il ritmo cardiaco è accelerato ma libero da soffi e aritmie. Nel frattempo Aurora inserisce il catetere venoso nel braccio del paziente, preleva il sangue per le analisi, misura la pressione arteriosa e attende istruzioni per la somministrazione di farmaci. «Aurora; somministriamo Cortisone 20 mg, Tachipirina 1000 mg e supporto respiratorio.»
Finito di compilare la cartella clinica, il paziente viene inviato per il ricoverato nel reparto Covid.
Arriva il momento di staccare per la pausa pranzo, e prima di tornare in prima linea…
«Aurora, ti offro un caffè.» «Grazie mille! Lo accetto volentieri»
«Aurora, volevo dirti che sono felice di conoscerti.» «Se lo dici tu! Ti ricordo che questa mattina quando ci siamo presentati sei rimasto impietrito.»
«Si è vero, scusa. I tuoi occhi verdi mi hanno sconvolto.»
«Mi devo preoccupare? Ma tu non sei un oculista; devo farmi vedere da qualcuno?»
Dopo una bella risata si preparano per tornare al lavoro. Il pomeriggio, tra un paziente e l’altro, passa in fretta e arriva la fine del turno di lavoro.
Elia arriva negli spogliatoi; a destra per il personale femminile, a sinistra per quello maschile. Lei è già sotto la doccia, si sente bene il rumore dell’acqua che s’infrange sulla ceramica, sono soli. Lui si sente come un’ adolescente ai tempi del liceo. È pronto per andar via, ma perde tempo; vuole uscire con lei dall’ospedale. Se la trova di fronte alla distanza di due metri nel corridoio ed ora non vede solo gli occhi. Il viso gli ricorda quello delle principesse delle favole e la bocca perfetta sembra fatta per essere baciata. Indossa dei jeans attillati, una maglietta ed una giacca semplice, ma molto elegante. È senza trucco; d’altronde un volto così, può benissimo farne a meno.
È sicuro di non aver mai visto una donna così bella. Capelli biondi lunghissimi e ancora quegli occhi verdi rimasti per sempre impressi nella sua memoria e poi la voce, il sorriso, il profumo, lo stile e la grazia. È la donna che ha sempre sognato, ora ne ha la certezza. Indossano le mascherine ed escono insieme. Arrivano nel parcheggio sotterraneo. «Aurora, dove abiti?»
««A Casalecchio di Reno, allora ci vediamo domani.»
« Aspetta! Ti accompagno alla tua auto, questa sera c’è poca illuminazione, dove hai parcheggiato?»
«Non ti preoccupare Elia, la mia Panda è proprio lì.»
«Ti lascio il mio numero, puoi chiamarmi quando vuoi; se ti capita d’aver bisogno di uno strappo sono di strada! Abito vicino al tuo paese.»
«Okay, grazie. Allora ciao, a domani.»
«A domani!»
A causa della pandemia i giorni passano veloci, quasi tutti uguali, ed Elia non trova l’occasione per conoscere meglio la bella infermiera. Ma fortunatamente la situazione lentamente migliora. La vaccinazione di massa riduce drasticamente i contagi e il numero dei decessi e l’attività degli ospedali torna alla normalità. Elia si decide; vuole far conoscere i propri sentimenti ad Aurora. Troppe sono le notti trascorse ad occhi aperti a guardare nel buio quel viso che non lo fa dormire.
Durante la pausa pranzo Elia le propone di andare a fare uno spuntino nel bar all’ottavo piano. Si siedono vicino alla grande finestra per stare un po’ isolati, lontani da eventuali ficcanaso. Il panorama è a dir poco stupefacente, è una splendida giornata di sole e le colline bolognesi sembra di poterle toccare. Il bar è abbastanza affollato ed è presente un certo rumore di sottofondo.
«Sei bella da morire!»
«Devi partire? Dove devi andare? Non sento, c’è troppo rumore!»
«Ma cosa hai capito! Ho detto che sei bella da morire!» Elia lo grida, e proprio in quel momento tutti i presenti si ammutoliscono e si girano verso di loro. Lui diventa rosso come un peperone, el’imbarazzo è tale che vorrebbe nascondersi sotto il tavolo. Aurora scoppia a ridere come non ha mai riso in vita sua.
«Dottor Rametti, non la credevo cosi imbranato. É forse impazzito?»
«Si Aurora, sono impazzito, impazzito per te. Ed ora ascoltami, ti prego. Ricordi quando ti dissi che i tuoi occhi verdi mi avevano sconvolto?»
«Si, lo ricordo molto bene! Ricordo anche le belle risate che ci siamo fatti!»
«Quel mattino mi hai veramente sconvolto, credimi.»
«Sei un bel ragazzo; chissà quanti occhi avrai già visto, quanti sguardi avrai già incrociato; quante volte ti sarai innamorato. Siamo colleghi affiatati e buoni amici; direi di non andare oltre.»
«Ora che ti guardo sono sicuro di non essermi mai davvero innamorato in passato. Non avevo mai provato con nessuna quello che provo per te. È stato subito amore a prima vista; sei il pensiero più bello quando mi sveglio. Credo proprio di essere completamente fuori di senno. Sono qui a parlarti d’amore senza conoscerti veramente; se ami qualcun altro, com’è la tua vita al di fuori dell’ospedale. Vorrei tanto che diventassi l’ultima persona che vedo alla sera, e la prima che vedo al mattino. Sei generosa e splendi come il sole che dona la vita e illumina quelle colline; ti amo, ti amo. Aurora, vuoi essere la mia ragazza?»
Aurora non sa cosa dire, è senza parole. Il colore verde dei suoi occhi ora è brillante, luccicante.
Sono le lacrime che piano piano scendono in piccoli rivoli sul suo bel viso. Elia con un fazzoletto si avvicina e con estrema tenerezza, come un dolce sposo, le asciuga il volto, rigato da un dolce pianto silenzioso.
Aurora se lo stringe a se con tutta la forza, il loro cuori si incontrano e si ascoltano; nasce un bacio,
che pare non debba mai finire, nasce un amore che non avrà mai fine.
Il silenzio viene interrotto dall’applauso di tutti gli avventori e delle ragazze che ora piangono dietro al bancone. Durante il pomeriggio telefona a casa, risponde sua mamma Norina.
«Ciao mamma! Tutto bene?»
«Si tutto bene, come al solito tuo padre è molto preso dal lavoro, comunque mi ha promesso che rientrerà in tempo per la cena.»
«A proposito di cena. Ti volevo avvisare che questa sera uscirò con un collega di lavoro. Rincaserò tardi, non mi aspettare.»
«D’accordo. Buona serata figliolo.»
«Anche a te Mamma!»
A fine turno Aurora lo invita a casa sua.
«Dai, sali con me!» Esclama Elia con ironia. «Con la Panda arriverai tardi a casa; ci rimarrà poco tempo per noi; ti passerò a prendere domani per tornare al lavoro.»
«Ma che auto è?» Grida Aurora.
«È un Maserati Levante, ma posso spiegarti. In teoria io sono molto ricco. Mio padre è un famoso industriale, ma io vivo del mio stipendio. Con i miei genitori ho un ottimo rapporto. Questo giocattolo me lo hanno regalato per il mio compleanno, non potevo rifiutarlo. Non è colpa mia se la mia famiglia è ricca. Sia chiaro, io risulto nulla tenente, non ho nulla di intestato, nemmeno la villa dove sono nato.» «Quale villa?» «La villa di famiglia, presto la vedrai.»
Dopo un ventina di minuti arrivano nel paese. «Gira a destra, sempre dritto; quel condominio sulla sinistra, abito lì, al secondo piano.»
È un piccolo appartamento, arredato con personalità; Elia si trova subito a suo agio.
«Aurora. Forse sto vivendo in un sogno, sono innamoratissimo di una donna straordinaria. Sta accadendo proprio a me?» «Dammi solo dieci minuti e ti dimostrerò che è tutto reale.»
Poco dopo ritorna vestita solo con una camicetta da notte. È bellissima ed Elia per superare l’imbarazzo si stropiccia gli occhi. Finiscono sul letto ricoperto da una preziosa coperta fatta all’uncinetto. Elia è scatenato. «Aspetta!» Urla Aurora. «Devo togliere la coperta, se salta un filo è un casino. È un ricordo di mia mamma.» Elia tenta di calmarsi e l’aiuta a piegarla. Iniziano i baci, sempre più arditi; fanno l’amore, sempre più appassionato.
Mentre insieme raggiungono il massimo del piacere, si promettono amore eterno.
«Mi è venuta una fame! Ci facciamo una bella pizza? Cosa ne pensi Elia?»
«Adoro la pizza! Ce la facciamo consegnare; conosco una pizzeria d’asporto proprio qui a Casalecchio, il titolare è stato mio paziente quando mi occupavo di medicina di base. Però se vuoi contattare la tua pizzeria preferita, sei tu la padrona di casa.»
«Non fare l’asino! E non perdere tempo, ti ho detto che ho fame.»
«Pronto? “Pizzeria la Dolce Vita?” Salve, sono il dottor Rametti, vorrei parlare con Giuseppe.
«Buonasera dottore, glielo chiamo subito»
«Elia! Che bella sorpresa! Come stai?» « Mai stato meglio, credimi Giuseppe. E tu?» «Tutto a posto, grazie. Da quando mi hai prescritto il Bifril 50 mg sono in forma splendida. Da quel giorno la pressione è perfetta: centoventi su ottanta, mia moglie dice che per colpa tua camperò cent’anni.»
«Giuseppe, questa è un’emergenza, mi dovresti far consegnare due pizze il più presto possibile in via Bellini al numero diciannove.»
«Il tempo di farle poi in pochi minuti il ragazzo sarà da te»
«Scusa Elia, ma cosa ci fai in via Bellini?»
«Ho una paziente molto affamata.»
«Capisco. Che pizze ti preparo?»
«Per me la solita quattro stagioni, e per la paziente… aspetta!!!»
«Amore che pizza vuoi?»
«Una contadina con l’uovo crudo al centro. Se avevo la Panda ero già tornata con le pizze!»
«Giuseppe; una contadina con l’uovo al centro, proprio al centro!»
«Nessun problema Elia, il Pizzaiolo ha il diploma di geometra»
«Allora una quattro stagioni e una contadina; e una birra grande che ve la offro io. Facciamo veloci,
vedrai Elia, a presto.»
«Ciao Giuseppe e grazie!»
Dopo aver divorato le pizze si sistemano comodi sul divano in pelle. Ed iniziano a conversare.
«Mi pare di capire che vivi sola, i tuoi genitori?»
«Sono rimasta orfana all’età di undici anni e per tanti anni ho vissuto con una zia zitella, Maria. Mi ha voluto tanto bene; mi ha fatto studiare fino alla laurea triennale in scienze infermieristiche. Avrei voluto fare anch’io medicina, ma ci voleva troppo tempo, ho preferito iniziare a lavorare.
«Sei rimasta orfana?»
«Un incidente. Un maledetto incidente. Un pazzo che guidava ubriaco, in un sorpasso, me li ha portati via.»
Rimangono abbracciati, in silenzio e poco dopo lei si addormenta. Con una delicatezza infinita la bacia sulla bocca, per svegliarla. Lei apre gli occhi che s’illuminano con quel po’ di luce che c’è nella stanza. In quegli occhi ci Elia, vede il mare al mattino, quando sorge il sole.
«Aurora, devo andare. Passo domani a prenderti.»
«Non andare amore! Rimani con me, ti prego!»
«Avremo tanto tempo per noi; ci prenderemo le ferie arretrate e staremo sempre insieme, te lo prometto. »
Elia dopo qualche giorno organizza un pranzo per far conoscere Aurora ai suoi genitori.
È una bellissima domenica di sole e intorno alle undici del mattino si avvia per andare a casa di Aurora. La trova già pronta per uscire. Indossa una camicia verde, gonna e giacca di colore nero,
scarpe nere, con un tacco altissimo. Nonostante i tacchi altissimi lei cammina come la più sexy delle modelle più famose. È sbalordito da tanta bellezza ed eleganza.
«Aurora, sono solo le undici e dieci, torniamo in casa?»
«Ci ho impiegato due ore a sistemarmi così: il trucco, i capelli, il vestito. È meglio che andiamo, non voglio fare aspettare i tuoi genitori.» Lui un po’ deluso ubbidisce.
La Maserati si ferma proprio davanti all’entrata principale della villa dove due enormi scalinate
partono distanti per poi incontrarsi al centro, all’altezza del primo piano, in mezzo a statue ed enormi piante grasse. Aurora è leggermente stordita dalla maestosità della villa che le ricorda quelle dei film americani. Tenendole la mano l’accompagna nell’ampio salone dove sua mamma li accoglie. Norina è una perfetta padrona di casa e in poco tempo fa sentire a proprio agio Aurora. E mentre Elia va nelle cantine della tenuta per scegliere i vini, le due donne rimangono sole e così iniziano a conoscersi meglio.
«E così fa l’infermiera. É una nobile professione Aurora; la stimo tanto, mi creda. Poi con la terribile pandemia appena finita, chissà quali sacrifici avrà dovuto fare, quante difficoltà avrà dovuto affrontare.»
«Ha detto bene signora Rametti.»
«Mi chiami Norina, la prego. Anzi, chiamami Norina; diamoci del “tu”.»
«Ti ringrazio tanto. Il mio lavoro è per metà professione e per metà vocazione e la stessa cosa vale per suo figlio; l’ho visto salvare molte persone.»
Arriva Edgardo tutto trafelato.
«Scusate il ritardo ma ho avuto una lunga conversazione con un mio cliente australiano. Domani parte il suo ordine e abbiamo controllato gli ultimi dettagli. Duecento tonnellate di acciaio di prima qualità. Ma ora sono con voi. Signorina, permetta che mi presenti. Conte Rametti Edgardo, felice di fare la sua conoscenza.
«Sono Aurora, collega di lavoro di Elia.» «So già tutto Aurora. Diamoci del tu e benvenuta in famiglia!»
Ritorna Elia con tre bottiglie di vino, due rossi e un bianco: una di Lambrusco, una di Longanese (Burson) e una di Pignoletto dei colli bolognesi.
Il pranzo procede senza problemi, il cibo è ottimo e ben cucinato. Aurora è felice perché si sente in famiglia. Una sensazione che non provava da molti anni.
Nel pomeriggio Elia le propone una passeggiata nel parco, ma quelle scarpe con il tacco
alto non sembrano proprio adatte. Interviene in loro aiuto Norina con un modello comodo.
«Sono convinta che calziamo lo stesso numero!» «Sono perfette Norina, Grazie!»
I due ragazzi si inoltrano a piedi nel parco. Sono felici, spensierati. Assaporano ogni istante di di questa straordinaria domenica di fine aprile, trascorsa in un posto da favola. Tenendola per mano la porta con se nel labirinto.
«Lì non ci posso entrare, credimi. Da bambina mi ci sono persa ed ho vissuto momenti di vero terrore, è accaduto nel Labirinto Borges nell’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia .»
«Dev’essere stato terribile. Ma ora sei con me e devi solo pensare a divertirti. Tranquilla.»
Aurora entra nel labirinto con Elia, ma all’improvviso viene colta da un attacco di panico.
«Aurora! Guardami! Respira lentamente, con calma, con calma! Tra poco passerà, vedrai.»
Aurora, riprende colorito e ritorna di buonumore.
«Per un attimo ho avuto la sensazione di morire. Poi le tue parole mi hanno liberata da qualcosa di angosciante.»
Riprendono con gioia a divertirsi in questo posto da favola. La giornata finisce e arriva il momento di ritornare alla vita di sempre e l’accompagna a casa.
«È stato bellissimo Elia. Mi sono divertita come una bambina; a parte l’attacco di panico, naturalmente.»
«Mi sono divertito anch’io, mi sembrava di vivere in un sogno meraviglioso. «Aurora… sei la mia vita, non potrei vivere senza te; Vuoi sposarmi?»
«Credo proprio che sarà il nostro destino vivere insieme, ne sono sicura. Lasciamo solo passare qualche settimana, soprattutto per Edgardo e Norina. Diamogli il tempo di metabolizzare la nostra relazione. Ti amo Elia.»
«Aurora, è stato bello fare l’amore nel labirinto anche se ho ancora dolore ad un ginocchio. A proposito,
hai tolto la coperta fatta all’uncinetto?»
«Questa volta lo faremo sulle lenzuola, se mi darai il tempo.»
Elia torna a casa più o meno alle ore ventidue, è ancora domenica, ma inizia a pensare al lunedì. Trova suo padre ad aspettarlo.
«Ciao Papà!» «Elia devo parlarti.»
«Che intenzioni hai con quella ragazza?»
«L’amo con tutto me stesso e presto ci sposeremo»
«Mi deludi profondamente. Ma come ti permetti di voler interrompere la tradizione della nostra nobile famiglia. Non devi e non puoi dimenticare le tue origini. Sei un nobile!
Con tutte le ragazze che conosci nel nostro ambiente ti sei innamorato di una qualunque.»
«Aurora non è una qualunque!»
«Te lo impedirò con tutte le mie forze. E non cercare di coinvolgere tua madre in questa storia; è una questione tra me e te.»
Elia, da un sogno meraviglioso, sprofonda in un terribile incubo. Va subito a letto, è distrutto da quell’incontro con suo padre. Quando suona la sveglia, non ha la forza di alzarsi, chiama l’ospedale per comunicare che non si recherà al lavoro.
«Elia! Cosa succede? Non stai bene?» Le chiede la mamma.
«Non mi sento bene, preferisco rimanere a casa. Al lavoro ho già avvisato, però stai tranquilla non è nulla di grave.»
Aurora durante la pausa caffè lo chiama per avere sue notizie.
«Dimmi che non mi devo preoccupare Elia. Quando uscirò dal lavoro passo da te.»
«No Aurora, è meglio che non vieni da me, almeno per qualche giorno; potrei avere qualcosa di contagioso.»
«Mi chiedi di fare un enorme sacrificio, ma rispetto la tua scelta.»
Verso mezzogiorno Edgardo è al telefono nel suo studio.
«Allora signor Beghelli, mi conferma che non ha nulla da aggiungere alle informazioni che mi ha dato domenica all’ora di pranzo. Ricapitoliamo: Aurora Bianchi via Vincenzo Bellini, 19 Casalecchio di Reno, infermiera a tempo pieno presso l’ospedale Maggiore di Bologna.»
«Esatto signor Rametti e le ricordo che tutte le sere rincasa intorno alle ore diciotto.»
«La ringrazio signor Beghelli. La sua agenzia di investigazioni mi ha sempre servito in modo eccellente. La saluto.»
La sera stessa Edgardo si reca all’indirizzo che si è annotato. E quando lei arriva, la ferma con poca gentilezza.
«Ma chi è lei? Cosa vuole da me? Edgardo! Non ti avevo riconosciuto!»
«Aurora, sarò brevissimo. Sono qui per chiederti di non vedere più Elia. Appartieni ad una classe sociale non compatibile con la nostra famiglia. Mio figlio è un Conte! Stai alla larga da lui o te ne pentirai.» Aurora rimane come una statua, non sa cosa dire, non crede alle proprie orecchie.
«Elia non mi ha fatto mai pesare il fatto che fosse ricco e nobile. Mi ama e basta!»
«Spero di essere stato chiaro! Addio!»
Nel giro di qualche giorno le condizioni di Elia peggiorano in modo preoccupante a tal punto da chiedere l’intervento del medico di famiglia. Il dottor Ballanzoni dopo averlo scrupolosamente visitato si rivolge con un’espressione molto preoccupata a Norina e suo marito.
«Signori; Elia ha una gravissima forma di depressione esogena.»
«Cosa significa dottore?» Chiede Edgardo. «Significa che la depressione di vostro figlio è stata causata da fattori esterni, come ad esempio un lutto, un divorzio inatteso; insomma, da un grande dispiacere. Al contrario, la depressione endogena è causata da disordini dell’equilibrio biochimico del sistema nervoso centrale. Devo dirvi che vostro figlio rischia seriamente di non riprendere più la sua vita di sempre.»
Edgardo si siede. La mamma disperata corre da Elia e in lacrime lo abbraccia.
«Cosa possiamo fare, dottore.»
«In molti casi è sufficiente rimuovere la causa. Ma non sempre è possibile, come nel caso di una grave perdita. In altri, si programmano sedute di psicoterapia che coinvolgono anche i famigliari. Se entro due giorni non si osservano significativi miglioramenti dovrò pianificare
un ricovero nel reparto di malattie psichiatriche dell’ospedale Pizzardi.» Norina impallidisce e poi sviene cadendo malamente sul pavimento. Dopo diversi minuti riprende conoscenza. Edgardo, tormentato dai sensi di colpa, contatta poco dopo l’ospedale Maggiore.
«Buongiorno. Sono il padre del dottor Rametti, mi passi per favore il pronto soccorso, devo parlare subito con l’infermiera Aurora Bianchi; è un’emergenza. »
«Pronto. Sono Aurora, chi parla?» «Sono Edgardo. Ti prego! Ascoltami! Elia sta molto male! Vieni subito qui alla villa, ti prego!»
Aurora è in una condizione che non le permette di mettersi al volante. Avvisa il responsabile medico di quello che sta accadendo e si precipita vestita così com’è fuori dall’ospedale alla ricerca di un taxi. Lo trova, e chiede di andare il più velocemente possibile alla villa dell’industriale Rametti.
Dopo una mezz’ora circa sale di corsa le scale della villa; si trova di fronte Edgardo che vorrebbe parlarle. Ma lei non lo vede nemmeno. Arriva da Elia.
«Elia! Come stai?» Lui non risponde, è confuso e pronuncia frasi incomprensibili. Se lo stringe a se come fece quel giorno nel bar dell’ospedale. È presente il dottor Ballanzoni che intuisce tutto e poi bisbiglia nell’orecchio di Aurora: «Signorina, io potevo fare ben poco. Lei invece lo salverà.»
Dopo una settimana, Norina ed Edgardo sistemano le piante nel grande giardino ormai completamente fiorito; ridono e scherzano e poi con tenerezza guardano Aurora ed Elia entrare, mano nella mano nel grande labirinto.

 


 

La solitudine

Sono solo,
la solitudine se n’ è accorta
e in questa sera d’inverno
bussa alla mia porta.
Insiste e bussa ancora,
chiede di entrare
dice che è giunta l’ora.
Le dico di andar via,
non ho bisogno
della sua compagnia.

«Sei nella tua casa vuota
solo con le tue letture
ma presto arriveranno
le ombre e le paure».

«A me basta di pensare
a lei che farà ritorno
per colmare il vuoto
che tu vedi intorno».

Ma è una lunga attesa
e la campagna intorno, tace
al suo ritorno ritroverò
serenità e pace.
La luce rimarrà accesa
fino a quando il buio
tornerà ad essermi amico;
fino a quando
le ombre e le paure
tutte spariranno.
Senza di lei
non sarei quel che sono
lo sento
e tutto ai miei occhi
sarebbe spento.

 


 

Con mia nonna

Ricordo quella serata
con mia nonna, in cammino
per andare a prendere
il latte del contadino.
Al ritorno avevo paura
perché la sera
era diventata scura.
Mi sentivo tanto piccino,
stringevo la sua gonna
per starle più vicino.
La finestra illuminata
della nostra casetta
era un buon riferimento
e poi c’era la luna
e le stelle del firmamento.
Ricordo il suo viso
sempre pronto
a regalarmi un sorriso,
poi le lucciole
e il canto dei grilli
ora vicino, ora lontano;
i campi intorno
senza più il grano.
Rientrammo felici
ma poco dopo
mi sentii un po’ triste.
Era rimasta là fuori
la mia bella serata
con le lucciole, la luna
e tutte le stelle.
Erano rimasti là fuori
anche quei campi
ormai senza grano;
come me consolati
dal canto dei grilli…
ora vicino, ora lontano.

 


 

Figlia mia 14/09/2014

Amata e sfortunata figlia mia,
troppo presto ti sei incamminata
lungo la buia e angusta via.
Giunta a destinazione
ti accoglieranno i nostri cari,
avrai così consolazione.
Abbracciali da parte mia
sono sempre nei miei pensieri,
li rivedrò un giorno… così sia.
Sii gentile e paziente
disturbali solo un poco,
il necessario solamente.
Ti aiuteranno a preparare
un comodo giaciglio,
dove anche tu potrai riposare.
La notte lì non sarà scura,
perché io pregherò per te…
non devi aver paura.

Figlia mia 01/09/2020

Mentre dormivo, all’improvviso
ho visto bene quel sentiero,
una luce fioca e il tuo viso.
Sfortunata figlia mia,
ora anch’io mi incammino
lungo la buia e angusta via.
Giungerò presto a destinazione
e rivedere te e i nostri cari
mi darà tanta consolazione.
Mi aiuterete a preparare
un comodo giaciglio
dove anch’io potrò riposare.
La notte lì non sarà scura,
pregheremo tutti insieme
e non avremo mai paura.
Ci coglierà di tanto in tanto
inaspettato, un pianto.
Non sarà di dolore
ma un pianto d’amore,
per noi liberatorio,
un pianto buono, consolatorio.
Dopo ci sentiremo bene,
allevierà le nostre pene.

 


 

Con le spalle dritte

Come in un cielo terso
passa un nuvolone nero,
nella mia mente è apparso
fugace, un triste pensiero;
rimanere per giorni e giorni
nel letto di una stanza
senza più vita vera
senza più speranza.
Fino alla fine
voglio aver la forza
di vivere, di amare,
di andare con te
in riva al mare.
Mai e poi mai
serate senza tramonti
e senza luna,
notti senza sogni
e senza stelle.
E poi
che la morte arrivi pure,
ma con passo lesto,
mi troverà senza paure
ma soprattutto ben desto.
L’accoglierò in piedi
con le spalle dritte
e le scarpe allacciate,
quando il sole
dietro ai monti scompare,
quando la luna piena
sorge imponente laggiù
dove c’è il mare.

 


 

A Castiglioncello

Di notte
il silenzio si sposa
con il volto della luna
con il canto dell’assiolo.
All’alba,
il silenzio si sposa
con il canto del fringuello
e del cardellino.
Si sposa con il mio respiro
e quello della mia sposa
che ancora riposa.
Ma che io guardo
perché presto incontrerò
in questo nuovo giorno,
il suo primo sguardo.