Claudio Crupi - Racconti

All’uscita da scuola

Francesca: Non voglio andare a casa, voglio fermarmi a giocare.
Papi: Solo un pochino, siamo in autunno, viene buio presto e il parco chiude.
Francesca: Evviva! Ciao Luca.
Luca: Presto corriamo! Dobbiamo aiutare Filippo e gli altri. Attenzione, arriva Mirco.
Francesca: Scappiamo! Non mi prendi … non mi prendi …
Arianna e Luca: Testa di legno … testa di legno …
Scappano rincorsi da Mirco.
Francesca: Papà aiuto!
Papi: Cosa succede?
Francesca, con aria innocente vicino al padre: Ehm! niente.
Papi: Non correre troppo che sudi e prendi freddo, tra poco andiamo a casa.
Francesca: Va bene!
Filippo: Ho sete.
Francesca: Anch’io.
Arianna: Anch’io, tutti alla fontanella.
Francesca: Ma dai, non mi dare le spinte, sei proprio sciocca.
Papi: Francesca a casa.
Francesca: Arrivo.
Mentre Francesca e il suo papi s’incamminano verso casa.
Francesca: Arianna non deve dare le spinte, vero papi?
Papi: Si è vero, potreste cadere e farvi male.
Bianca, arrivando di corsa: Francesca, si è perso Billo, il cane di Arianna, aiutiamola a cercarlo.
Francesca: Lo cerchiamo, papi?
Papi: Va bene, ma bisogna far presto, perché sta venendo buio. Dividiamoci in due gruppi.
Mamma di Bianca: Restate tutti vicini, è buio e rischiamo di perderci.
Tutti: Billo! Billoo! Billoooo vieni qua!
Una terribile ombra di un albero, che sembra la zampa di un animale feroce. Bianca e Francesca si spaventano.
Arianna: È là, corriamo.
Francesca: Papi è scivolato su una cacca di cane.
Bimbi in coro: Che schifo!
Tutti intorno a guardare Billo.
Luca: Sta scavando una buca.
Bianca: Forse cerca un osso?
Papi: Bene! A casa che è tardi.
Arianna: Oh no! Siamo rimasti chiusi dentro.
Filippo: Chiediamo aiuto.
Tutti: Aiutooo. Aiutoo. Aiutoo!!!
Arriva la nebbia, non si vede nulla, tutti hanno paura: si sente un urlo.
La mamma di Arianna ha in testa un piccolo di pipistrello. I bambini intorno che guardano estasiati: Che bello!
Arrivano i vigili.
Vigile: Non sapete a che ora chiude il giardino?
Papi: Ci scusiamo, avevamo perso Billo, il cane di Arianna.
Vigile: Va bene! Ma che non succeda più, perché la prossima volta vi devo multare.
Papi: Vedi, se si rispettano le regole, si è sempre nel giusto.
Francesca: Ma allora chi aiutava Arianna a trovare Billo?
Papi: Non sempre le regole sono giuste per tutto, bisogna valutarle caso per caso.
Francesca: Non era giusto se ci facevano la multa. Noi, le regole le abbiamo variabili!
Papi: Si! Anzi no! Perché se rispettavamo le regole, io adesso non puzzavo.


BÖLL

Sfinito raggiungo il divano. Tra le riviste sul piccolo tavolo raccolgo un libro.
La parte esterna è di cartone grigio, senza alcuna scritta. Forse possedeva una sovraccoperta di quelle lucide, una prima pelle debole e facilmente asportabile. Non riesco a leggere mi scivola di mano.
Lo guardo è per tipi Einaudi, collana Supercoralli, mi rendo conto di aver dormito. Leggo.
Böll descrive l’inerzia, l’energia statica, prima di consumarsi nell’azione.
Cervelli trasparenti elaborano pensieri che delineano i personaggi.
Si respira in una società corrotta, consumista priva di umanità.
Il maschio intimamente debole è travolto dalle consuetudini sociali.
La femmina è l’unica che sa amare e infondere questo sentimento nel maschio.
È la rigenerazione, la continuità della vita fuori dalla cultura.
Dalla condizione di sofferenza alla lotta per affermare sé stessa, scaturisce la sua mistica forza ma anche la sua sublime fragilità.
Il corrotto appare libero, ma in realtà è anch’egli schiavo degli eventi, solo chi si ribella può conoscere l’amore, dare un senso alla vita.
L’amore è il perno dell’autostima, e per lui tedesco è morto. La sua nazione è stata uccisa dall’orrore nazista e falsamente ricostruita è priva di sentimenti.
Il primo libro che ho condiviso con la donna che amo era suo “Opinioni di un clown”, mi aveva intenerito come Maria lo avrebbe lasciato.
Come dimenticare Katharina redentrice di un mondo maschile bloccato, finito.
Rivedevo quel giorno che tu partivi per un viaggio lungo e lontano che avrebbe messo a dura prova il nostro amore.
Lasciandoti mi affidai a un messaggio, ti regalai “Vai troppo spesso a Heidelberg”.
La foto della copertina, irreale ed estasiante, richiamò la mia attenzione.
Una statua di gesso raffigurante una donna seduta su una sedia di legno nel prato al limitare del bosco, a fianco un uomo con un casco dalla visiera calata, ambivalente figura tra poliziotto e contestatore interscambiabili, sicuramente bisognosi l’uno dell’altro.
Un contrasto stridente tra statua e corpo, gesso e carne, natura e cultura.
Le donavo quel libro per dirle che non eravamo perduti, per ritrovare l’amore in questa casa, in questa terra, e lì sul tavolo, c’era Böll in “Assedio preventivo”.


Brutta

Questa è la storia…
Oh! Dimenticavo, io sono Francesca, lui è Papi, il mio papà, che non sapendo più cosa inventare per farmi giocare ha detto: «Costruiamo il teatro dei burattini!»
Io sono stata due volte a vedere i burattini. Figure di legno e stoffa, con un corpo piccolo e la testa grossa. C’erano Sganapino, Fagiolino e il dottore, un certo Balanzone, forse perché gli ballava il pancione.
«Ti ricordi la canzone papi? 44 gatti in fila per sei col resto di due.»
«Si, la ricordo.»
Quando finiva lo spettacolo, si cantava, insieme agli altri bambini una canzone; e questa mi divertiva tanto.
Comunque mi erano piaciuti, quindi dissi di si.
Ma costruirsi il teatrino non era facile. Siamo andati dal lattaio sotto casa e gli abbiamo chiesto se aveva una scatola grande di cartone da regalarci. Perché il bello di questo gioco è usare materiali che si buttano, e così noi li facciamo sentire ancora utili, anzi li facciamo divertire perché giocano con noi.
«Franci! prendi la matita e il metro. Ecco, disegniamo su un lato l’apertura del palcoscenico per la scena, poi ci metteremo due tende per il sipario. Ora apriamo il retro della scatola per poterci muovere dentro.»
«Papi, posso tagliare io?»
«No, è troppo pericoloso, potresti tagliarti. Tu tieni ferma la scatola. Bene! Ora ci occorrono dei sostegni per impedire al cartone di piegarsi; andrebbero bene dei listelli di legno.»
«Ma dove li troviamo?»
Il papi, sorridendo, tutto contento disse di andare in cantina. Si perché lui in cantina tiene tanti oggetti che io ancora non conosco, attrezzi per lavorare il legno e altri materiali. A lui piace molto fare lavoretti, come riparare mobili, e così era felice di portarmi a vedere il suo laboratorio.
«Eccoli papi, questi bastoni li prendiamo?»
«Certo, ma prima dobbiamo tagliarli a misura.»
Prese il metro e una sega da legno: io tenevo fermi i legni e lui li tagliava.
«Ecco fatto, possiamo andare, anzi un momento, dobbiamo prendere i chiodi e il martello.»
«Che bello posso inchiodarli io?»
«Si, proviamo»
Eh, sì! Piantare dei chiodi è proprio difficile: bisogna tenerne fermo uno tra le dita di una mano e con l’altra impugnare il martello e colpire la testa del chiodo. Sarà stata la paura, ma il chiodo non stava fermo e allora ho colpito le dita, non vi dico il male che ho provato.
Papi allora ha preso le mie mani nelle sue, e guidava i miei movimenti per piantare il chiodo, in questo modo sono riuscita ad imparare. Ho unito i legni al cartone ed il teatro era montato, pareva una casa con una grande finestra per guardarci dentro.
Poi è venuto il momento di colorarlo. Con le tempere ad acqua ho dipinto il cielo, con il sole e dei nuvoloni bianchi che lo attraversavano. Alla base un prato con fiori coloratissimi, alberi e tanti animali, alcuni fantastici, ma tutti bellissimi.
Papi: «Ora serve qualcosa per fare il sipario.»
«Cos’è il sipario?»
«È una tenda colorata che nasconde il palcoscenico, e si apre quando inizia lo spettacolo.»
Siccome non sapevamo con cosa farlo, decisi di chiedere alla mamma. Con aria dolce e sicura mi allungò subito un vecchio asciugapiatti colorato a fiori bianchi e blu. Tutta contenta tornai in laboratorio, la mia camera, dove papi aveva sistemato un bastoncino di bambù sopra l’apertura della scena, così con delle anelle appendemmo l’asciugapiatti trasformandolo in sipario.
Con grande soddisfazione iniziammo una recita.
Mentre frugavo nel cesto dei giochi, mi trovai fra le mani il burattino di una scimmia tutto malconcio a causa dell’età. Dovete sapere che era il burattino con cui giocava da piccola la mia mamma, e che aveva conservato per regalarlo a sua figlia, cioè a me.
Abbiamo giocato fino a sera recitando tutte le favole che conoscevamo, poi mentre mettevamo in ordine prima di andare a cena, ho desiderato anch’io conservare al meglio quella scimmia per i miei futuri figli. Siccome era un po’ malconcia la chiamai Brutta, e non so perché quel nome mi sembrava tanto dolce.


Dafne e l’orso Bruno

Dafne si sedette a terra e sbuffò: Uffa, la mamma, non può giocare con me.
Guardò Bruno il suo orso preferito e gli parlò.
Vieni nella mia casa di legno povero orsetto che ha perso la sua mamma.
Ti ho preparato una bellissima merenda.
Giochiamo e balliamo!
Bruno sei triste, stai pensando alla mamma, allora andiamo a cercarla.
Rifaremo la strada che hai fatto per venire da me.
Siamo arrivati alle cascate, guarda laggiù! Mamma orsa è in mezzo al fiume.
Con le sue enormi zampe cacciava magnifici pesci che saltavano fuori dall’acqua.
Si corsero incontro, furono baci e abbracci.
Ci salutammo e Bruno promise di essermi amico per sempre e che sarebbe venuto a trovarmi per giocare con me.
La mamma di Dafne: Non ti sentivo, mi ero quasi preoccupata.
Dafne: Ciao mamma ho inventato una storia bellissima che appena arriva papà vi voglio raccontare.
Saremo ben lieti di ascoltarla, e si abbracciarono come si fossero appena trovate.


Il Drago Lino

Era l’antro più buio che avessero mai visto, quando Leo, fratello di Geo, accese la torcia e apparve Lino, il Drago. Enorme con la squama del petto rosso sangue, incastonato in un corpo blu notte. Laura, su un giaciglio di paglia sotto l’ala destra, si svegliò.
Un momento.
Non dovrebbe iniziare così.
Salve, io sono Francesca, ho otto anni e una storia da raccontarvi. Al giorno d’oggi nascere è sempre più difficile perché non basta avere una mamma e un papà, bisogna che si incontrino e si amino, questa è la storia del loro incontro.
Ora si può continuare.
Lino sollevò la testa col lungo collo, il petto irraggiò la caverna di luce e lo sguardo affilato si pose sui fratelli.
Infuriato, deglutiva più in fretta per sputare lingue di fuoco.
Leo: – Dividiamoci –
Geo estrasse la sua fionda e con un tiro centrò la narice destra del Drago. La biglia di zolfo entrò e rimbalzò nella gola dove incontrò le fiamme che salivano per essere vomitate all’esterno. L’incontro tra lo zolfo e il fuoco creò un fumo acre e denso che costrinse il drago a tossire e ricacciare indietro le fiamme. Leo aveva fatto segno a Laura di seguirlo e, mentre correva per trovare un rifugio, tra il tesoro del Drago raccolse una spada e una picca.
Geo: – Dobbiamo ucciderlo? –
Leo: – È infuriato, sicuramente se esce non oso immaginare le stragi e distruzioni che farà … – prese fiato – Bisogna ucciderlo – aggiunse asciutto.
Geo: – Allora accerchiamolo e a turno convergiamo al centro per colpirlo al cuore –
Il Drago riuscì ad evitare il colpo che Leo aveva sferrato alla zampa destra, mentre Geo gli conficcò la spada nel basso ventre. Un grido lancinante riempì la grotta e un fiotto di sangue inondò il terreno. Geo vi scivolò sopra e, mentre cadeva a terra, una violenta zampata lo scaraventò contro la roccia. Il Drago stava per balzare su di lui per ucciderlo, ma Leo lo colpì al cuore con la picca e lesto si avventò sul fratello per trascinarlo al riparo. Il Drago crollò a terra, l’impatto al suolo generò un tale scossone che pareva crollasse tutto.
Geo: – Grazie, mi hai salvato la vita, devo avere un braccio rotto… – d’un tratto si fece scuro in viso – Ma dov’è Laura? – chiese allarmato.
Leo: – Le avevo detto di uscire appena fosse stato possibile, se l’ha fatto è salva. –
Geo: – Speriamo. –
Laura, fuori dalla grotta, si chiedeva cosa fosse successo, soprattutto dopo il terremoto che aveva sentito. Avrebbe voluto chiamarli ma sapeva che era pericoloso, quindi aspettava nascosta il loro arrivo.
– Laura! – gridarono Leo e Geo uscendo.
Eh sì, si salvarono tutti, uccisero il Drago, ma la cosa più bella è stata che Geo passò la convalescenza per la rottura del braccio a casa di Laura, si innamorarono e si sposarono. E così nacqui io, Francesca, che sto raccontando questa storia, e quando sarete grandi e avrete dei figli, potrete raccontarla a loro magari cambiando i nomi, usando i vostri, ve la presto volentieri, perché le storie se sono di tutti probabilmente sono vere e se sono vere sono importanti per noi che cresciamo. A presto, ciao.

P.S.
La vera storia non è proprio così ma non potrei raccontarla perché è segreta. Se promettete di mantenere il segreto anche voi la racconterò.
Tutto cominciò una domenica di aprile sulla scogliera adriatica nelle terre del Montefeltro.
Leo: – Ho preso qualcosa. –
Geo: – Un pesce? –
Leo: – No! Una bottiglia, contiene qualcosa: un messaggio. –
Geo: – Leggilo. –
Leo: – Aiuto, chiedo aiuto a chiunque trovi questo messaggio, sono stata rapita dal Drago Lino, mi trovo in una grotta nei pressi di Aberfeldy in Scozia. Fate presto, ne va della mia vita. Laura. –
Leo e Geo come avrete intuito sono cacciatori di Draghi, partirono subito per la Scozia, ma riprendiamo il racconto dal punto in cui cambia la storia.
Sollevò la testa col lungo collo, il petto irraggiò la caverna di luce, e lo sguardo affilato si pose sui fratelli.
Leo: – Presto il talismano, sta per sputare fuoco. –
Geo estrasse il medaglione e, tenendolo appeso per la sua catena, lo fece roteare e subito un raggio di luce dorato squarciò il buio. Il Drago fermò il suo attacco e sputò un po’ di fuoco che gli era rimasto in gola.
– Chi siete? Chi vi ha dato il medaglione dell’Alleanza? Fatevi riconoscere, non vi farò alcun male. – disse il Drago.
– Siamo agenti dell’Alleanza, il medaglione lo dimostra, siamo qui per liberare la ragazza e proteggerti. –
Il Drago: – Il mio nome è Lino, quali sono i vostri? La ragazza è colpevole di aver tradito il segreto della mia dimora e del furto del mio oro. Se mi verrà restituito la ragazza sarà libera, altrimenti morirà. –
Geo: – Il mio nome è Geo e quello di mio fratello Leo. Lino, tu non rispetti i patti, lasciala libera e noi troveremo il tuo tesoro, l’Alleanza ne sarà garante e tu riavrai ciò che è stato rubato. –
Lino: – E sia, rispetterò l’Alleanza, ma avrete sette giorni per trovarmi una dimora segreta e riportarmi l’oro. –
Geo: – Bene, raccontaci come è successo, ci sarà utile per trovare quei maledetti cacciatori di tesori. –
Lino raccontò come era avvenuto il furto, e i fratelli trovarono presto tracce e indizi sufficienti per capire chi era stato: Antonio La Volpe, cacciatore di tesori dei Draghi. Grazie al centro operativo satellitare dell’Alleanza e all’aiuto dei Draghi recuperarono l’oro e misero in carcere Antonio la Volpe.
Loro sono discendenti di San Giorgio e non tutti sanno che i cacciatori di Draghi non sono ammazza Draghi, il loro compito era quello di trattare con loro affinché divenissero amici dell’uomo, per evitare la guerra che aveva prodotto solo case bruciate, raccolti distrutti, morte e paura. Raggiunsero un onorevole accordo. Il Drago ama gli oggetti luccicanti e il profumo dell’oro, ma non ruba mai nulla, recupera solo tesori abbandonati. Rispetta i proprietari dell’oro perché sa cosa significa essere derubato. Accumula oro e ci dorme sopra. Uno studioso di Draghi scoprì che l’oro ha un effetto benefico sulla loro circolazione sanguigna, fluidificandola.
I Draghi sono animali a sangue misto metà freddo e metà caldo. Quello caldo è vicino alla ghiandola del fuoco dietro i polmoni, quello freddo negli arti. Basandosi su questi studi scoprirono il loro punto debole, che ovviamente non rivelano a nessuno. Purtroppo esiste l’organizzazione dei Cacciatori di tesori dei Draghi, e vuole carpire i segreti dell’Alleanza: il punto debole e l’indirizzo delle dimore dei Draghi.
Questo è tutto, e come avete potuto capire non sempre quel che raccontano è vero, come non è oro tutto quel che luccica. Occhi aperti, orecchie dritte.
A presto Francesca.


 

La cantina del drago

A Leonardo piaceva andare in cantina quelle volte che il padre glielo chiedeva, per allungare in casa una bottiglia di vino. Poteva essere giorno o imbrunire.
Gli piaceva perché era una sfida con la paura, una prova di coraggio che lo faceva sentire adulto. Sentiva il mondo degli adulti più vicino, più alla sua portata perché era autonomo; era un’azione indipendente senza aiuto di nessuno, utile e non priva di rischi. La sua autostima era alle stelle.
Faceva le scale di corsa sia a scendere che a salire, per cronometrare il tempo e valutare l’efficienza dell’azione, c’era differenza emotiva tra l’andata e il ritorno.
Un brivido leggero e latente che percorre la schiena, andando veloce rimane indietro, come se la paura si stacca dal tuo pensiero e dal tuo corpo perché più lento, non corre come te. L’udito è al massimo della tensione per cogliere il minimo rumore e lo sguardo rapace che si distende sui corridoi appena premi il pulsante che fa scattare la luce a tempo. Luce che ti impone i suoi ritmi. Nella fase più delicata il cuore che batte un po’ troppo e disturba il tuo ascoltare. Finalmente il lucchetto che chiude la porta della cantina, infilare la chiave, farlo scattare, levarlo dai ganci, aprire la porta accendere la luce, controllare che non ci sia nessuno, come i feroci topi di fogna.
Cercare nella mensola la giusta bottiglia di vino, bianco o rosso, e via ripetere al contrario le azioni compiute. Il ritorno sembra meno intenso dell’andata ma bisogna stare attenti a non fare danni perché correndo si può inciampare in un gradino, rompere la bottiglia e ancor peggio ferirsi.
La prova verrebbe invalidata e non sarebbe superata.
A volte il temporizzatore della luce è più veloce di te e l’ultima parte di risalita avviene al buio.
Quando arrivo a un punto preciso della scala, so che da lì in poi sono al sicuro e che ho superato la prova, posso rilassarmi e non sono più in azione i brividi lungo la schiena che allertano tutti i sensi. Non bisogna abbassare la guardia totalmente fino a che la bottiglia non sia al sicuro sul tavolo, come un trofeo in bella mostra. Può sembrare semplice ma io ero l’unico che ci andava, i miei fratelli avevano paura.
Un giorno entrato in cantina sentii uno strano rumore, un rumore nascosto.
Immediatamente rimasi immobile in ascolto come un radar. Nulla, solo il mio cuore e il brivido nella schiena che mi spinsero a scappar via.


 

Lei

La rincontrai una domenica pomeriggio d’autunno, uscendo dalla casa dei miei genitori, ubicata all’interno di un grande fabbricato con vari numeri civici, che si affacciano su una galleria che lo attraversa a metà unendo due strade.
La galleria, la sera e i giorni festivi, chiude i grandi cancelli bloccando l’accesso agli estranei.
Varcata la soglia del portone, fatto eccezionale, i cancelli erano completamente aperti, al centro riluceva una croce di metallo, torreggiava su una macchina nera lucida con il portellone posteriore alzato, pareva una vela. Intorno persone in divisa che attendevano, scivola da una porta una bara portata a spalle. Tutto sembrava un sogno, il rito per l’altro mondo che non conoscevo.
Sfilai come un’ombra lontano da lì, lontano da lei.


 

Pago e Leo

Leo ha domandato in regalo alla mamma un piccolo pappagallo, perché voleva un compagno fidato a cui confidare i suoi segreti.
Un giorno arriva un magnifico pappagallino giallo con una chiazza arancione sopra il becco.
Leo: – Ti chiamerò Pago.
– Ci cirrici, ci – rispose il pappagallo.
Tutti i giorni Leo fa uscire Pago dalla gabbia per giocare, addestrarlo e parlare con lui.
Un pomeriggio appena aperta la gabbia, Pago spicca il volo verso la finestra rimasta senza tende, urta violentemente il vetro e cade svenuto.
Leo piangendo raccoglie Pago e delicatamente cerca di rianimarlo.
Pago: – Perché piangi Leo?
– Ma tu parli. – Rispose Leo meravigliato.
– Sarà stata la botta in testa.
– Scusami non succederà più.
– Oh! Non preoccuparti non mi fa male, volevo chiederti qualcosa di più importante: perché mi tieni prigioniero in gabbia?
Leo: – Credevo fosse la tua casa, un luogo comodo e sicuro per te, e poi non voglio perderti ti voglio bene.
Pago: – Anch’io ti voglio bene e non ho mai detto che ti voglio lasciare: ma io non sto bene in gabbia!
Leo: – Hai ragione troverò il modo di farti uscire te lo prometto.
Pago: – Grazie, cirrici ci ci cirrici.
Leo: – Non parli più, …. o sono io a non capirti più?
Leo comprò un bel trespolo con tutti gli accessori, compresa una cassetta per i rifiuti da mettere in terra per non sporcare.
Da allora Pago si posa sempre sulla spalla di Leo, insieme escono per la città e scoprono tante cose nuove.
Leo: – Pago ora capisco perché sei un inseparabile: sei un vero amico!
– Ci ci ci cir cirri cirrici.


 

PARADISO TERRESTRE

Un lieve pallore rettangolare, sulla mia destra, illuminava la stanza, le pareti a tenuta molecolare e un collettore per l’energia radioattiva residua. La musica penetrava dolcemente e lentamente la mente abbandonava il corpo, quando un’esplosione di luce colse integralmente la mia attenzione: la percezione del terzo occhio era nettissima, vidi lo spazio attraverso una membrana trasparente.
Il mio corpo fisico non c’era più!
– La seduta è finita. –
Sentii premermi leggermente le tempie, aprii gli occhi ed esclamai:
– Ho dormito? –
– Sicuramente! La prima seduta succede a tutti, ma ti sei comportato bene, la cosa ti piace. –
– Si, è vero, ma quando ho visto che il mio corpo non c’era più è stato sconvolgente –
– Attento all’enfasi mentale. Il tuo corpo non era sparito, era lì, semplicemente non era più condensato allo stato attuale di materia. Tramite la reazione a catena e il conseguente spostamento vibratorio delle molecole, la tua mente e la tua energia vitale erano in diretto contatto col corpo astrale; che è un passaggio intermedio per lo stato di puro spirito.
La prima seduta è importantissima perché imprime alla memoria cellulare e alla mente il metodo, la capacità di evolvere il proprio corpo a uno stadio superiore, per uscire dal mondo della materia ed entrare nella quarta dimensione. Se non ti fossi addormentato avresti veduto cose meravigliose, in spazi incommensurabili. Nella quarta dimensione ci sono metodi e regole di vita come qui, solo di natura differente. Ad esempio, la possibilità di muoversi nello spazio e nel tempo col solo pensiero. Il rischio è di perdere la coscienza di sé, l’unica guida è lo spirito puro, per questo meditare è essenziale: per trovare questa guida. L’assenza totale dell’interazione fisica con la mente porta alla coscienza dell’aldilà, del nuovo mondo, delle sue leggi. Nella seconda seduta riuscirai a percepire tutto questo; ma ricorda di non lasciarti trasportare, potresti perderti. L’importante è capire che questo sforzo evolutivo non è una conquista individuale, ma di tutta la specie. L’esodo sancirà questo passaggio. Tutto è pronto, tu fai parte dell’ultimo gruppo, poi l’infinito. –
Scivolai fuori dallo studio con ancora l’eco delle sue parole.
A casa rinunciai alla cena, mi diressi immediatamente nella zona di meditazione. Rivolto ad Est praticai gli esercizi di energizzazione.
Respiravo con regolarità, l’aria fluiva dal plesso ai canali nasali come un filo elastico che si tende e rilascia senza mai spezzarsi. Il plesso solare si alzava e abbassava ad un ritmo regolare, in un immenso flusso che si allargava nello spazio.
Il maestro aveva ragione: attraverso la morte si può essere consapevoli dell’esistente e avvicinarsi alla legge dell’universo. La distanza tra le cose scompare, annullata dalla velocità del pensiero.
Qui il nulla è assente.
– Ehi! –
– Chi sei? Non è possibile comunicare a voce. –
– Ascoltami: non voglio farti del male, io sono … –
– Ah! –
Vibrai come un cristallo pronto a frantumarsi in mille briciole, la paura mi spinse a fuggire, distanziai quell’entità; con sollievo osservavo l’ambiente circostante cercando di capire dove fosse.
Solo! Ero solo in un mondo sconosciuto dove un’entità cercava di avvicinarmi, e non sapevo se le sue intenzioni fossero buone o cattive.
Una profonda solitudine mi portava al massimo di all’erta e di coscienza di me.
L’impossibilità di contare su qualcuno, in special modo la Guida, è un passo che non avrei mai pensato di provare; si, ero stato avvisato di ciò, ma tutti gli insegnamenti contano per quello che valgono solo quando contano nella pratica.
– Un giorno sarete soli e quando lo capirete scoprirete di esserlo sempre stati, e solo allora percepirete voi stessi come una unità, totalmente liberi da qualsiasi legame che non sia l’essenza della vostra vita. –
– Non esisteranno più altri compagni e neanche più lei o lui? –
– Si, ma finalmente comprenderete l’importanza degli altri e saprete percepirli come esseri unitari, sentirete di essere una sola unità. –
Passai due giorni di relativa tranquillità, ma la mattina del terzo incontrai per la seconda volta l’entità che spaziava nella quarta dimensione e che mi aveva tanto spaventato al nostro primo incontro. Mi sorprese mentre osservavo l’acqua.
– Finalmente! La gioia di non sentirmi più solo alleggerisce l’angoscia di questa vita: dall’orrore di un passato che neanche la morte può liberare. Perdona la mia irruenza, io ero e sono John Martin!
Nel mio bunker atomico dopo aver lanciato le bombe, in meno di cinque minuti, il monitor che indicava il mondo si era spento … poi il buio e un immenso fascio di luce è entrato nel mio corpo e l’ha trasformato in pura energia. Sembrava il tocco di Dio, il suo indice che mi toccava, che distruggeva e puniva tutti, me compreso. Ora pago le mie colpe in questo orribile purgatorio, dove ho potuto vedere tutte le nefandezze che ho fatto; ma ora tutto è migliorato e forse Dio mi prenderà con sé.
Ora la terra è quasi sana, anche se non c’è più traccia di uomini … oh Dio, DIO … che cosa ho mai fatto!!!! per quale patria ho rovinato me stesso, per quale menzogna la mia ragione! Non ho compreso e con me l’umanità.
No! Non così! Perdonami, ho bisogno di parlare, per trovare conforto. Sarà meglio che ti racconti tutto dal principio.
Cominciò nell’anno 2029, la situazione economica-politica della Terra era entrata in crisi irreversibile, iniziata negli anni 2000, dovuta all’introduzione massiccia su tutto il globo dell’automazione, nella tipica forma di una industria alimentata ad energia atomica e diretta da un esiguo numero di tecnici, che organizzavano e controllavano la produzione, sotto la direzione di una oligarchia familiare. Le famiglie controllavano l’organizzazione politica dell’emisfero occidentale, il governo e le sue scelte produttive.
A quel tempo la terra era palesemente divisa in due blocchi politici: le Nazioni Unite Occidentali e le Nazioni Unite Orientali, che governavano e amministravano, in maniera diversa le loro terre e i loro popoli.
Noi occidentali nello spirito delle libertà democratiche, loro nel più bieco autoritarismo; ma non voglio descriverti il loro modo di vita, che a dire il vero non conosco e non ha più importanza di fatto ci hanno fregato.
Ebbene nel 2010, nonostante lo sforzo del nostro governo di reinserire nel mondo del lavoro migliaia di disoccupati, scoppiò il malcontento.
A dire il vero non dovevano certamente stare male: il programma di divertimento e tempo libero era al massimo della sua efficienza. Si pensò subito a una infiltrazione di spie orientali, non era la prima volta nella nostra storia, che creavano scompiglio e agitazione nel nostro paese, per distogliere l’attenzione del governo e costringerci a cedere qualcosa sul mercato industriale. Riuscirono a coinvolgere tantissime persone, tutte disoccupate, ed erano arrivate al punto di assaltare i punti di distribuzione dei beni di consumo ed assalire case private, instaurando nuove leggi dopo che avevano sopraffatto le forze dell’ordine. La situazione andò peggiorando, si intervenne con l’esercito e ci fu una vera e propria guerra civile. Durò più di un mese e fece migliaia di vittime, ma infine il governo e l’esercito riuscirono a normalizzare la situazione e si tornò alla vita di prima, come se nulla fosse successo.
Ricordo una discussione tra i miei colleghi, c’era chi sosteneva che si era fatto uso di armi atomiche a corto raggio e chimiche, per domare la rivolta.
Il governo creò un “gabinetto speciale” di ricerca economica per far fronte alla crisi. Arrivò alla conclusione che bisognava allargare il mercato e siccome sulla terra non era possibile, si rilanciò l’iniziativa della colonizzazione dello spazio, in anni precedenti abbandonata. In pratica non c’era mai stato un programma civile spaziale, era tutto da inventare, e loro l’inventarono. Studiarono come portare milioni di persone nello spazio su pianeti di lontane galassie, dove l’ambiente fosse simile alla terra, costruire insediamenti e alleggerire il problema della sovrappopolazione.
Ebbene era un programma geniale, noi occidentali ne eravamo entusiasti. In un anno partirono avventurieri in cerca di fortuna. Dopo tre anni erano partiti sette milioni di cittadini occidentali. Sembrava di essere in Paradiso, l’eccitazione per questa avventura era corroborata da un miglioramento della crisi interna nonostante i grossi costi del programma.
Purtroppo le comunicazioni spaziali erano difficili, e a tre anni di distanza dalla partenza del primo convoglio non si erano avute notizie dei coloni spaziali. I familiari sulla terra, nonostante ricevessero delle somme di denaro da parte dei coloni, cominciarono a lamentarsi e preoccuparsi; fecero richieste al capo del governo, all’agenzia di viaggio, ma non ebbero risposte, con la scusa che non era possibile comunicare, poi diedero delle spiegazioni apparentemente fantastiche:
– Le colonie si sono perse nello spazio, supponiamo siano state assorbite nella quarta dimensione e per il momento non sappiamo come entrarci. –
Intervennero le migliori teste d’uovo della fisica per spiegare che la quarta dimensione esisteva, e che ha le stesse caratteristiche della nostra; come se ci fosse un altro mondo dietro lo specchio. Molti piansero credendoli morti, ma poi si rassicurarono e pensarono che i loro famigliari fossero i precursori di una nuova evoluzione dell’umanità; convinti che gli “sperduti” stessero in ottima salute e sicuramente felici.
Si formulò l’ipotesi che là c’era anche Dio e nacquero dei nuovi culti.
Per precauzione, il governo sospese le spedizioni e destinò i fondi per la ricerca degli sperduti e le eventuali possibilità di mettersi in contatto.
Un anno dopo riprese la crisi e ritornava urgente il problema delle spedizioni nello spazio. I miei concittadini di fronte alla penuria di denaro e beni materiali, fecero richiesta di partire a loro rischio e pericolo.
A queste condizioni il governo ripristinò il progetto spaziale.
Gli Stati Uniti d’Oriente si opposero e diffusero delle informazioni calunniose e false, affermando che gli sperduti erano stati deliberatamente e premeditatamente uccisi. Queste calunnie non furono subito formalizzate in accuse, ma vennero diffuse come opinioni da parte di alcuni membri del governo d’oriente. La loro manovra era quella di intimorire il governo occidentale e fargli interrompere i viaggi spaziali. Il nostro governo le respinse fermamente e lì accusò di violare i principi di non interferenza, a scopo di creare una tensione interna al paese per destabilizzare il governo democratico. Iniziò un conflitto diplomatico che si protrasse per sei mesi.
I governi si accusavano a vicenda e i mezzi di comunicazione cercavano di dare scarso rilievo a tutto ciò. I viaggi erano stati sospesi e le fughe di notizie aumentarono a tal punto, che i mezzi di informazione ufficiali furono costretti a trasmettere senza censura.
L’opinione dei paesi d’oriente cominciò a fare presa sul popolo, che organizzò comitati che chiedevano al governo precise spiegazioni. Ci fu un preallarme atomico. Nel contempo il governo d’oriente formalizzava le sue accuse e diramarono uno scandaloso dossier sulle missioni spaziali dove accusavano il governo d’occidente di: – genocidio di massa, allo scopo di eliminare la classe dei disoccupati, ormai inutile per i suoi progetti economici. Così la nuova casta borghese per la sua cupidigia e sete di potere, risolve i suoi problemi interni. Invitiamo i veri democratici a ribellarsi per fermare questo orrore e impedire una guerra atomica, perché i paesi d’oriente fedeli ai loro principi non sopporteranno più in silenzio questo olocausto. –
Ricomparve l’ombra della guerra civile e il governo ormai compromesso scelse l’eventualità dell’autodistruzione, iniziando il conflitto. Partendo dal presupposto che l’oligarchia si sarebbe salvata e avrebbe continuato a dominare attraverso i suoi rifugi sotterranei. Vere città sommerse, costruite con tale perizia e mezzi da essere autosufficienti e confortevoli: le stesse da cui tu provieni.
Oggi che posso realmente vedere so che avevamo torto e che abbiamo commesso tutti quei crimini, compreso il disastro finale; ma io, come gli altri, ero succube dell’ideologia imperante, fedele alla mia patria e mascherato dietro il senso del dovere, mi autoassolvevo dietro l’ignobile concetto dell’”io eseguo solo gli ordini” annullando la mia coscienza per diventare un utile servo, senza rendermi conto che non partecipavo più alle scelte e all’organizzazione di un mondo in rapporto paritetico, ma ero parte dell’automazione.
Così premetti i bottoni, così fui colpito, così colpii e distrussi cose che non mi appartenevano come uomo.
Nessuno schermo difensivo resistette e tutto diventò deserto. Solo le città sommerse sopravvissero sia ad Est che ad Ovest, ma io non posso entrarci, e niente mi conferma che anche lì ci sia ancora la vita o solo illusione.
Vago nel mio supplizio come un’ombra, ma adesso che ci sei tu forse posso salvarmi e rimediare in qualche modo al male fatto. Liberando la mia coscienza da questo incredibile peso; “di non essere più l’unico a sapere”, e sperare che tu possa usarlo a fin di bene e trovare il modo di dare fine ai miei giorni per liberarmi da questa prigionia dell’anima.
Vedo che anche tu sei ombra e non una mia illusione, ma ora dimmi chi sei?
In laboratorio!
– Mi sembri turbato, qualcosa non va? –
– No è solo che vedere è strabiliante, rimango incredulo quando il nuovo mi assale. –
– Bene, ti ci abituerai. –
– Salutai e rapidamente uscii. –
Quello che ho visto e sentito, non so perché mette in crisi il progetto dell’esodo. E’ giusto abbandonare il corpo? E se fosse un errore di previsione! E se invece dell’eternità si andasse incontro alla morte e fosse un nuovo progetto per eliminarci? No! Questo no, le Guide sono sincere; questa storia deve aver contaminato la mia mente e avermi legato al passato. Non posso provarne la veridicità se non attraverso la sua sofferenza: come aiutarlo?
La grande piazza era già piena, non ero in ritardo ma sicuramente fra gli ultimi.
– Ero preoccupata, pensavo non arrivassi più. –
– È difficile spiegarlo, ma sento che il mio posto non è qui. Sono combattuto e infelice per questo dubbio. Qualcuno mi chiama, chiedendomi di rimanere. –
– Lo so anch’io mi sento così da quando mi hai raccontato tutto. Ora comprendo la prudenza di non parlarne a nessuno. Avremmo contagiato anche loro. –
La guida parlò.
– Oggi saremo liberi! Uniamo le nostre volontà nell’ultimo sforzo che ci porterà oltre il legame del corpo.-
Una concentrazione fortissima avvolgeva la piazza, ognuno di noi era unito all’altro. Un’unica energia ci legava e ci spingeva nella quarta dimensione. Uno spettacolo imponente si apriva ai nostri occhi.
Qualcosa si era rotto dentro di me. Una forza mi tratteneva. Non avevo paura ma feci un gesto, un’azione, che non si era mai pensato di fare. Allungai la mano e dolcemente la sovrapposi a quella della mia compagna.
La strinse e in quel momento capii che era giusto. Non ero più solo e un chiaro significato disperse le nubi del mio pensiero.
Un fragoroso boato squarciò il silenzio nella piazza.
In quel varco si entrò nella quarta dimensione.
Noi no! Io e lei eravamo nello spazio dell’uomo che avevo incontrato.
– Benvenuti sulla Terra! Posso sapere i vostri nomi?
– Adamo. –
– Eva. –


TROGIR

T.B.T. Tourist Biro Theatre 11/7/90

Domenica.
E scrivere, scrivere un romanzo? L’unica possibilità di rappresentazione è la finzione, parlare di un altro, di un viaggio in terra straniera, di una cultura diversa per ripresentare sé stessi.
Quel piatto di pesce misto con al centro una coppa di riso e scampi, era esemplare.
Scivolati in piazza, Francesca insegue un bambino, mentre incredulo non riesco a cambiare Travel in Marchi con la relativa moneta. Una taurina signora con passione poliziesca nasconde il suo sopruso: niente Marchi in Yugoslavia.
L’opera ha mantenuto un’essenza formale, una caricatura dai contorni alla Grosz dove il potere in eccesso rigonfia la carne.
Forse mi soccorre Azdak, mentre la pace prandiale vela la mente e libera il corpo per concludere un ciclo: dormire!
Lunedì.
Il mare. Sotto una meravigliosa brezza incessante, prospera l’integralismo solare, con creme olezzanti, orari da fabbrica e pausa pranzo forzatamente saltata per acquistare beltà. Corre beata, Francesca, sospinta dal vento. Laura impreca per il fisico che cede.
Latte fresco! Introvabile intruglio del quale ogni bimbo non può fare a meno, dovutamente razziato entro le dieci, diventa merce rara e la sua ricerca un’ottima scusa per ritirarsi in casa con più birre che latte. Quando il pupo non dorme annulla il tempo e istilla cattiveria.
Ma ciò che nesso ha con l’opera? Il ménage che sia a due, a tre, a quattro non interessa più di tanto, o si descrive il sesso o meglio non parlarne.
Non c’è avventura né avventuriero, che sulla pacificante noia solare, non tenga in conto la finzione, per liberare il segno dalla triplice unità (tempo, luogo, azione).
Re Ubu è sfilato per mare.
Martedì.
Cinque anni sono passati dalla tua morte, Alberto, e come allora sono in terra slava. Per riempire quel vuoto ricordavo le tue gesta, che hanno segnato il mio cuore in sicuri sentieri di vita.
Allora anno 1986 scrutavo la morte, che dolcemente si faceva osservare e toccare, per placare paure e lenire ferite sociali che non hanno rimedi.
Spalato, traghetto per Kwar, un passeggero attira la mia attenzione per una corona di fiori, che trasportava a braccia con lui.
Il delicato equilibrio tra i fiori ed il verde ne faceva una corona di alloro, ma dalla sua dimensione era inevitabile non pensare ad un lutto.
Strano lutto, forse non prematuro, dolcemente arrivato a colmare un’epica vita.
Malinconicamente saluto la mia compagna di viaggio. Dove andrà? Come elaborerà la morte? Sarà una corona formale o una corona di spine?
Mercoledì.
Tourist-biro. Un confortevole appartamento, con vista sul mare.
La vita è dolce, tenera e appassionante.
Le spiagge sono sempre a metà tra una buona organizzazione e un discreto abbandono, per scarsa manutenzione e un’utenza le cui lacune civiche sono lampanti.
Uno degli oggetti più presenti sulle rive slave, è il vetro di bottiglietta frantumato, in una atmosfera malinconica, triste e finale. Ma la tranquillità è il convenuto compenso.
L’ultimo avventuriero, capitano di lungo corso, è morto in un volgare incidente stradale inseguito da sibilanti sirene.
Hood di tutte le terre: non c’è speranza per i sogni ad occhi aperti.
Nessuno racconterà le tue gesta, a nessuno importerà ascoltarle: ma tu eri senza macchia. Non avevi le nostre leggi, non eri colto, solo spinto dal vento e quando cessa tutto si paga.
Venerdì.
È incredibile come in vacanza si osservi la fase lunare.
Anche oggi è sorto il sole. Nessuna azione scomposta si è compiuta, tutto procede come prima: ammazza e sbaffa.
Sicuramente avevi un cuore, ma senza speranza d’amore. Scienziato-stregone hai trovato la morte, e nell’immortalità del sogno sei andato lontano da quello sbaglio della tua vita, incredulo per quell’errore impossibile. Tu, Leonardo per desiderio e povero di tutto per inganno della sorte, hai continuato ad essere quello che eri: un indesiderabile calcolatore di nulla.
Con te, ma già da un pezzo di tempo, se n’è andata una parte di Base. Mitico luogo d’incontro di un folto gruppo di uomini.
Una microesperienza sociale con la sua ingenuità di amici-nemici e nemici-amici, dove nessuno poteva fare a meno dell’altro e dove c’era un ruolo per tutti.
La strada da via S. Felice a Saragozza era lunga, ma percorrere i viali era una passeggiata con dolci soste ai chioschi dei gelati per sgranocchiare qualcosa, ma cosa? I soldi erano pochi, decidemmo per i lupini. Camminavamo conversando e mangiando, io gettavo le bucce, lui no!
– Anche le bucce sono buone quando saranno finiti i semi. Se le hai tenute, è come se avessi due bustine. –
Nella sua risposta non c’era soltanto la miseria, come constatazione alla Pinocchio, lui pensava sempre a come fregarla, aggirarla, vincerla.
Per lui era evidente che il mondo si divideva in persone che potevano tutto, dove tutto era facile, ed altre che faticavano tanto per potere poco.
Lui voleva surrettiziamente far parte della prima categoria fregandoli senza vergognarsene.
Un vero figlio di nessuno, venuto su dal nulla per giocare alla truffa, a quella moralità del furfante galantuomo. Balordi miti romantici, Lupin, Fantomas, Diabolik, Satanik, Papillon.
La miseria è vicino al cuore, come si può crescere così e non averne? Aggirandosi per i sotterranei dell’ex manifattura tabacchi, pericolosi come i Piombi, si può trovare della muffa e gridare: – PENICILLINA! –
Era bello vederlo salire come un ragno ed espugnare il palazzetto dello sport e con tenacia fare da ponte rischiando di cadere, per far balzare sopra di lui i compagni.
La sua casa era popolare andante, sua madre era sola e soffriva di cuore, ma aveva una grande compagna: la fantasia.
Uno splendido monello, costretto anzitempo ad essere grande, per avere una infanzia sognata più che vissuta.
Quanto bene ci ha fatto l’ironia del Barba, per lui santa verità. Eravamo filosofi di questa vita dove nessuna verità ci è stata preclusa, ci siamo lasciati così, separati dal vento, in strade segnate.
Uniti in una sola follia, quella di capire, per rendere piene ore di vita senza lavoro, per sapere insieme cosa di buono o cattivo avevamo intorno e dentro di noi.
Sabato.
La fine della materia. Si vuole a tutti i costi eliminare il corpo. La libertà è un sogno tra l’assenza corporea e la presenza del pensiero.
Martedì.
Orizzonte: mare e isole.
A sinistra: asciugamani, stuoie, brandine, nessun ombrellone. Tre italiani su un grosso materassino circolare prendono il sole in acqua.
Tedesca tipo mannequin, recita come si prende il sole quando si è qualcuno. Giovane amante della mannequin appostato a distanza, tiene le dovute posture sociali onde evitare di asfissiarsi; lei può far mostra di sé: civettare. Noccioli, fazzoletti, vetri e tappi.
Dopo i vetri, mozziconi e filtri di sigarette, regnano sulla sabbia.
A destra: bambini, ombrelloni e cotillon.
Venerdì.
La fotografia non è la “realtà”, non è la “verità” e Barthes aveva problemi di comunicazione, parlava sempre di segni e linguaggio, voleva essere il “Verbo”: – All’inizio era il verbo … –
Immedesimazione e dominio del cosmo attraverso un mezzo di comprensione: il linguaggio segnico.
Domenica.
Piccole strade convergono in grandi piazze, con ristoranti a buon prezzo e cibi freschi. Stomaci passeggianti in locali digestivi aspettano il chilo: non si divertono. Non si può essere allegri e digerire.
È il rito del pasto, sottile piacere del culto libertario.
Lunedì.
Il luogo, spazio d’azione dove è possibile agire recitando.
Si nasce dal Kaos, ma solo se si è Re: altrimenti è Kaos.
Non si può essere semplici comprimari, si deve essere o tendere al Re.
Per questo ognuno di noi è Budda, per questo ognuno di noi è Stato.
Si dice che quello che ognuno di noi è in origine, è un fine a cui tendere.
Ma quanta gente non può essere Re, potrà mai esserlo?
Quanta fatica ci passa accanto e sofferenza non vista ci chiede ascolto.
In nessun luogo è possibile recitare la vita se non a teatro, in nessuna vita è possibile agire recitando.
Quale sguardo ho sul futuro, quale potere d’azione, nessuno è Re se non è figlio di Re.
Buona fortuna!
Martedì.
Il night è pieno di gente scacciata dalla spiaggia a causa del buio, che come falene hanno bisogno di luce per mettersi in mostra.
Tintarelle di Luna con sorrisi perfetti, audace il linguista che conquista, ma il vero anfitrione è il “corpo bello”.
Si scriva per odio e per amore.
La voce fine del Kaos.