Claudio Di Silvestro - Poesie

A Erato

 

Pur ch’io vivo di stenti e sanza storia

Et vegeto ramingo et abrutito

lungo le vie del mar, mai vera gloria,

lungo le vie del core, sì ferìto,

 

rivolgo a te, gentil pura Donzella,

cotesta prece a forma di sonetto

fin ché mi doni una brillante stella

che guidi lo meo core et intelletto

 

verso lidi sereni, e in cieli tersi,

et la mia Fèra, che dentro mi rovina,

s’addorma in fine, co’ tu’ Versi.

 

Per superarmi e superar l’Oscuro

donami un po’ di te, o mia Divina:

men triste sarà lo mio futuro!


Mi’ vita

 

Che notte! In fuga, al fine di colare

su mi’ vita sigilli et alti lai

trovai per caso il disïato mare

ov’è colei che non mi sogna mai.

 

È lontana mi’ vita da sua luce

tanto che anèlo solo il suo ricordo

di me, che fui compagno e duce

di studi e anche di un accordo

 

di chitarra, dedicato a tutte

quelle in ascolto lì – ammirate – 

ma anche a chi non c’era. 

 

Dolci e care Muse, oggi cullate

chi gelido ricorda le sonate

a honor di donna bella et vera.


Poesia a colori a metrica, rima e formati del tutto variabili

titolo____________________________

Noi”, confessione d’amore leggibile in 8 parti {del tutto reali}

 

 

 

 

1 {reale}

Quando mi hai sorriso 

mi sono fermato, finalmente.

Poi mi sono – insieme – disperato:

 non sai che ti amo da sempre,  e non devi,

ti ‘vedo’ e mi perdo nel Tutto

quel poco che sono, è distrutto.

 

2 {immaginario}

Quando ti bacio

è un possederti tutta, e non posso non devo, 

ma costringo a me i tuoi spaesati, 

irreali … ma dolci … pensieri: 

governo l’incontro di due appena nati, sognanti 

- pieni di nebulose e stelle giganti – 

universi sinceri.

 

3 {immaginario}

Quando ti amo

e ti ripeto t’amo … confusa sorridi …

se penso che ieri, in {reale}, t’ho detto

per errore dei miei errori,

rabbrividisco e torno presto

- mille anni così, di dolori – 

nel mio sogno ad occhi aperti:

per ‘sentirti’ viva e rivederti.

 

4 {reale}

Quando mi parli

e non sai che ti amo, e nessuno deve saperlo

per i tabù dei tòtem, e dei tàm-tàm,

subito nasce un enorme calore:

lo sfrutterò per bruciarmi e rinascer poi

a ritrovare finalmente «noi».

 

5 {immaginario}

Quando ti invio 

più baci e complici parole,

so che mi sto perdendo per due sole

labbra, le tue … che ora 6 {reale!!} sanno‘ di me:

ora nemmeno più guardarle posso, spezzato,

da un abisso-luce di anni tormentato.

 

7 {questo è del tutto immaginario, sai, ma è bello..}

Ricorda che, a volte, labbra e mente 

parlan sempre d’amore, ma in modo differente:

il tuo istinto a cercar di me senza ragione

ma a fuggire poi la tentazione,

l’esser te nei miei pensieri sempre,

metà di me, senza più soluzione.

 

8 {reale & immaginario & futuro}

Quando mi ricorderai, 

offesa e sazia d’altri, saprai

che c’era in te qualcosa di strano, insano.

Ma prima di bruciare a debita distanza

quel poco che mi resta di vita e mente, 

processerò i miei dati su Mondo, Sole e Luna

così da avere un gioco, un impegno, una Fortuna 

da sfidare per riempire ore e minuti con costanza, 

sicuro della tua insana e struggente

lontananza.


Claudio Di Silvestro

 

  titolo

Per uno spin-off

 

Istruzioni poetiche del tutto ossessive 

e martellanti, ma in versi sciolti, liquidi, forse leggibili,

da utilizzare, al limite!, per la corretta gestione 

di Amori Impossibili

 

sottotitolo

 

non fate caso alle troppe maiuscole, ai corsivi impropri

alle iperboli quasi inutili: tutto va bene e si accetta

nella ricerca spasmodica dell’Amore che riproduce la specie

 

______________________________________________

titoli delle poesie collegate tra loro con rinvio – spinoff – 

in grassetto all’interno

 

ACCENTI NEL VENTO

UNIVERSI NASCOSTI

DIRITTI E DOVERI

TANTO PREZIOSI

 

 

ACCENTI NEL VENTO

 

 

Se un alito di vento ti spìnge, cerca me

Se una tempesta torménta, cerca me 

Se un soffio tenero ti avvìnce, cerca me

Non altri, che pòssono tradire

Non altri, che torméntano sempre

Non altri, che illùdono sempre

Se ti appàre un attraente sconosciuto

Se ti ammàlia un dipinto senza vita

Se svanìsce un tuo sogno troppo vivo

Cercami, ti porto progètti di stelle

Cercami, con me govèrni il Tempo

Cercami, negli Univèrsi nascosti dai Sogni

Se un alito di vento ti spìnge, sogna me

Se una tempesta torménta, sogna me

Se un soffio tenero ti avvìnce 

ricorda

 

che avrò cura di te perché mi cerchi

 

 

UNIVERSI NASCOSTI

 

 

Se il Tempo geloso ti tormenta, cerca me

Se il Tempo circolare ti stravolge, cerca me 

Se il Tempo verticale ti colpisce, cerca me 

Anche dei sogni, non ti puoi fidare

Anche nei sogni, non devi sognare

Anche nei sogni, tu sai che sei reale

I sogni, come il Tempo geloso

I sogni, non dicono mai il vero

I sogni, nascondono sempre qualcosa

Cercami, ti porto diritti e doveri

Cercami, per amarmi veramente

Cercami, con tutte le tue dolcezze:

Se mi dai i tuoi occhi, sognerò 

Se mi dai i tuoi sogni, rivivrò

Se mi dai un motivo per sognare 

ricorda

 

che avrò cura di te perché mi cerchi

 

 

DIRITTI E DOVERI

 

 

Se un amore non nasce, cerca me

Se un amore svanisce, cerca me 

Se un amore colpisce, cerca me 

Tu non devi mai non amare

Tu non puoi non sapere amare

Tu non sei più nulla oltre te

E mai nessuno ti costringerà

E mai allora tu possederai 

E mai amori tanto preziosi

Cercami, ti riporto entro te

Cercami, per inventare Futuri

Cercami, per costruire un Passato

Se mi fai un cenno, sparirò 

Se mi crei un’attesa, soffrirò

Se mi dai una scusa per sognare 

ricorda

 

che avrò cura di te perché mi cerchi

 

 

TANTO PREZIOSI

 

 

Oggi avverti un alito d’amore, sogna

Oggi che pensi di perdermi, cercami 

Oggi se mi pensi e ti sorprendi, sogna 

Allora vale il legarsi dentro

Allora non vale il darsi via

Allora era solo un nascondersi

Se ti leghi con le tue mani

Avrai trovato qualcuno vero

E mi reinsegnerai a baciare

Cercami, e ti porto via con me

a scrivere insieme nel Vento

storie mie, per far sognare il Mondo  

Se mi fai un cenno, sparirò 

Se mi crei un’attesa, soffrirò

Se mi dai una scusa per amarti 

ricorda

 

che avrò cura di te perché mi cerchi


Quaranta X

 

 

  1. Primi di aprile dell’anno in corso. Ospedale. Settore Radioterapia.

 

Rifletto sulla mia situazione di malato a bordo di un’astronave. Siamo in una sala con bei dipinti, la sala di lancio, per la prova di posizionamento: suoni riconoscibili di condizionatori, ma anche sconosciuti ronzii elettrici. Un acceleratore di fotoni mi girerà intorno, e mi percuoterà cellule e atomi malati.

Forse ti guariscono, che ne dici? 

 

Intanto, progetto un’altra vita dopo la cura. Frammenti futuri di una breve vita da guarito, pochi anni, data la mia età! Certo, prolungo un percorso limitato. Se guarisco, esulto.

Ma come hai potuto tralasciare il problema della morte? Ti sei trovato spiazzato, dopo la diagnosi, e non ti senti in colpa per questo? Perché accidenti ti credevi immortale?!

 

Qui, da adesso per quaranta volte, maneggerò le carte taroccate dei rimpianti. In questo gioco d’azzardo sono bravo a colpirmi duro. Intanto cominciano a sistemarmi sulla tolda di comando, mi aggiustano la posizione rispetto all’astronave, sono disteso in qualcosa che si alza, pronto ad essere lanciato.

“Sento pensieri inappropriati rispetto ai miei lamenti interiori guardando la macchina … chi sei, tu dentro di me? Io sono Carlo”

Sono solo due assistenti di radioterapia che ti distendono su di un lettino poi elevato al centro ottico del sistema, per la prova di allineamento. So chi sei. Io non ho bisogno di presentarmi.

 

Ma se la stessa energia delle stelle mi colpirà, non potrei a fine cura trasformarmi in una stella e diventare immortale? Qualcuno ha detto che siamo fatti della stessa materia delle stelle. 

“Devo fare finta di non sentirti? ma dimmelo chi diavolo sei!”

Perché, scusa, le stelle sono immortali? Hanno lunga vita, però non sono immortali. Non ti dico chi sono, dovresti immaginarlo.

 

Tutto congiura affinché siamo fatti soprattutto di carbonio, e di acqua, disposti in trame discrete di spaziotempo, e il tempo non esiste mai da solo ma sa contare questi fotoni che mi spareranno addosso dal prossimo 5 aprile, per dieci minuti. 

Il tempo è un artificio mentale utile solo ad addolorarsi, lo dico a te, sconosciuto entro di me”

Ma si, non sentirai nulla! E non sfuggire alla domanda di prima: perché hai creduto di essere immortale?

 

La prima seduta, sotto c’è Inverno, una cover di De André cantata da Battiato, copre i primi 3 minuti e 19 secondi. Non sento effettivamente nulla, mi hanno tatuato per sempre un punto nero appena sopra il pube, per centrare meglio. Il flusso di fotoni dura dieci minuti esatti. L’astronave si muove intorno a me, in modo circolare, con rumore tenue, a scatti morbidi, sempre con il ronzio elettrico fotonico. Tengo gli occhi chiusi. Naturalmente ho paura di tutto. 

Tranquillo, non ti dirò chi sono, e sono qui per una sola ragione: mi devi dire perché ti credevi immortale, nei primi giorni di un ottobre pieno di sole e di illusioni. Stavi per partire per Capri.

 

 

 

  1. Radioterapia avviata. Sistematicità e massima efficienza, controlli medici e analisi, anche visite dallo psicologo. Il ronzio dell’astronave è variabile, le Assistenti intorno gentili e rapide a cercare su youtube le varie musiche che chiedo. Mi fanno venire dal lunedi al venerdi. Non di sabato, domenica e festivi. 

 

La seconda seduta, sotto la Canzone di Marinella cantata da Fabrizio De André, 3 minuti e 12 secondi. Ho dieci anni, quinta elementare, gioco con la Singer a pedale di mamma, pedalo forte e disegno con i buchi poligoni irregolari muovendo un foglio di carta sotto l’ago. Mi infilo l’ago nel pollice sinistro, blocco subito il pedale; non mi fa male, mi spavento lo stesso in silenzio, sangue non esce, solo dopo. I miei non si accorgono di nulla. Già litigavano su tutto, su dove abitare e sui soldi che mai bastavano, su mia sorella che volevo tanto per giocare, e che non poteva più nascere. Erano stati sposi di guerra per procura nel 1942 … figuriamoci se dicevo della Singer. Occhi sempre chiusi, mani sul petto. Navigo con l’Astronave nel mio iperspazio personale. 

“Non credere che non mi costi qualcosa mostrarmi fragile: sono, ero un maschio alfa. Mi sto abituando a te.“

Ma dai, ritira questa autodefinizione squallida da ex macho. Hai seguito le elementari al San Filippo Neri, dai Salesiani, nel 1950. Lo sai che potresti ora ricordare tutto il tuo passato, con un’app speciale in Rete? Lo sai che non mi vuoi rispondere sul problema della tua morte di uomo?

 

La terza seduta, sotto La Barcarola di Offenbach: le prime note da un violoncello forse troppo cupo; poi, dal ventesimo secondo un dominante flauto traverso induce a galleggiare sognando nell’atmo-sfera, per 5 minuti e 41 secondi. Sorprendo un coetaneo con cui giocavo spesso, a rubare dei soldi in casa mia, ma quanti ce ne potevano essere: mi sfugge per le scale. Lo cerco il giorno dopo, lo aggredisco. E’ più alto ma si prende un mio pugno sul naso, sanguina, tanti “non è vero”, ci dividono, non lo vedrò più in zona, forse distrutto dal mio odio. Poi, per fortuna, andammo via da quei buchi di case in periferia, per abitare vicino a San Pietro. Dal terrazzo di casa vedevo il Cupolone, e poi una collina profumatissima di prati e di siepi, che saliva biancheggiando di fiori verso le mura irregolari del Gianicolo: il colle del cannone che annuncia il mezzogiorno a Roma.

“Continuo a sentirti presente, mentre mi si affollano a ogni seduta i ricordi da bambino … sei un mio doppio? Sei un gemello non nato, sei il gemello cattivo?“

Hai paura di tutto, dalla biopsia in poi: è ovvio e umano. Sei fragilissimo, prima delle Rx chiedi abbracci a colleghi e amici, oltre che ai tuoi figli; racconti a tutti, proprio a tutti, come stai male. La parallela cura ormonale ti induce squilibri emotivi estremi, esternazioni autolesive, ossessioni e paranoie con danni relazionali irrecuperabili, amici increduli e purtroppo persi.

 

La quarta seduta, sotto Lascia ch’io pianga cantata dal controtenore Philippe Jaroussky. Comincio a sentire lo scorrere del tempo cosmico. Raggi cosmici curano la parte di me sincronica al mondo. Ma tutti sono capaci di comporre pieghe diacroniche, tante quanta più forza di fantasia hanno. Io ho sempre coltivato la voglia di scrivere storie di futuro, ma prima devo ricostruirmi il passato.

 “Lo sai, tu dentro di me, che faccio l’astrofisico ancora: anche dopo il pensionamento da Roma1 La Sapienza, qualcuno mi chiama ancora per un’idea di tesi, come per il bosone di Higgs del 2013. Qualche convegno e lezioni in Facoltà, amici giornalisti che non sanno cos’è un muone o un quark. Beh! non ho una risposta alla tua domanda. Sembra che io ti stia accettando, dopotutto. Condividi con me questo bellissimo canto sulle immortali note di Händel, dal Rinaldo.”

Come sarebbe a dire?! Non puoi fare così: prima lo rimembri, il passato, poi lo accetti … magari sognalo, mitizzalo, come ti pare … ma non modificarlo mai! Condivido, Philippe canta Händel da brivido.

 

La quinta seduta, chiesto ancora Jaroussky da youtube, è troppo bello questo Händel, fin dal 1711. Io non sono stato fortunato con me stesso: un bel po’ assente e non incisivo nei momenti topici della mia vita. Riesco a scrivere solo adesso, nell’anno di questa radioterapia. Sarà stata la magia del perdono? O la speranza di guarire? 

“I genî, i vincenti, sono quelli che riescono invece a concentrarsi sull’essenziale quando vogliono? La domanda la sto facendo a te, sconosciuto, che sembri onniscente, aiutami a capire!“

Non ci credo! Stai provando ad adularmi, caro Carlo Ruffini, professore di astrofisica in pensione. Certo che so tutto, esaudisco i tuoi desideri, miglioro i tuoi progetti, ti corredo di memoria infinita e capacità algoritmiche incredibili. Chiamami, se vuoi, Digitego, almeno quando ci incrociamo durante le sedute di Rx. Lo so che hai perdonato tua madre perché ti ha trascurato. Hai fatto bene, ne hai tratto energia vitale illimitata.

 

La sesta seduta, sotto Les Jeux d’Eau à la Villa d’Este, di Liszt. Il grande compositore romantico visse mesi di vacanza a Villa d’Este, dal 1865 in poi. Ascolto il brano per pianoforte, mentre l’astronave viaggia in circolo. Dalle prese d’acqua dell’Aniene, il fiume di Tivoli, è una musica piena di cascate, da condotte e canali inclinati che hanno alimentato anche sogni di potenza a Ippolito II d’Este, Cardinale figlio di Lucrezia Borgia e quasi Papa, morto nel 1572. Mi sembra quasi di essere lì, di ingigantirmi per essere alto quanto la facciata dell’antica Villa rinascimentale. E guardare poi dominante dall’alto la piccola e antichissima città e i declivi dolci verso Roma, che vedo sparsa dovunque nella sua immensa pianura. 

“Tu nasci dai miei dubbi, sconosciuto che vieni da chissà dove? Ovvero nasci dal mio intelletto? Magari vieni in pacchetti digitali dalla macchina che io chiamo astronave?“

Non sono qui per risolvere i tuoi evidenti disturbi filosofici, caro professore, sono qui per confortarti durante la cura.

 

 

  1. Verso la fine della cura, primi di giugno. Danni collaterali.

 

La trentanovesima seduta. Sono steso sul lettino, amorevolmente guidato da due incantevoli assistenti, e scattano i dieci minuti. Sta per finire questa cura, e mi permetto di sperare nella guarigione. 

“Sei assente, oggi? Non ti avverto ancora, ma ho capito che non sei un doppio di natura maligna. Mi hai convinto. Ma la scoperta della mia mortalità ha lasciato ferite permanenti dentro di me. Ti rispondo, quindi, alla fine: mi sono illuso in questa hybris, arroganza di vita, e mi pento di averlo fatto, ho sfiorato la catastrofe nella mia personale tragedia. Cercherò cento diverse ceneri con cui cospargermi la fronte guarita per ognuno dei prossimi cento giorni.” 

Non sento risposta, strano, mai mancata fino a ieri: sento solo il ronzio avvolgente dell’astronave che viaggia verso la luce in fondo al tunnel, accompagnata dal piano concerto n.23 di Mozart K488, un adagio di 6 minuti e 16 secondi. È musica malinconica, ma suggerisce un senso colorato di vita, e risuona e conforta dentro molto, dopo essere finita.

 

La quarantesima seduta. Per l’ultima X ho chiesto ancora Händel interpretato da Jaroussky. Dopo l’illusione di poter vivere in modo indefinito, mi sono convinto che la nostra specie è forte proprio perché seleziona, muta e cambia i suoi membri. Non si può vivere oltre quello che dice il corpo. 

Quando in un futuro lontanissimo sarà il momento, la mia anima sentimentale non dovrà amare più, e il mio disordinato e agitato intelletto smetterà di essere tale. Farò i conti della mia vita con il mio Dio. Cercherò conforto anche dal mio sito collegato live a tantissimi parenti e amici in pena, e circondato dai miei libri di carta, e immerso 3d via web nella mia soggettiva preferita a pelo dei quadri, nel museo di Van Gogh di Amsterdam, e anche ascoltando in sottofondo Händel per i miei ultimi 4 minuti e 36 secondi: < Lascia ch’io pianga, mia triste sorte, e che sospiri la libertà >.


Teorie

 

Aula, lezione: lògoi di Teorie sull’uomo. 

Sei lì, coi tuoi occhi brillanti,

d’un tratto malinconici, si perdono! tremanti:

nel mio mondo così! mi esplodi dentro:

nemmeno un secondo ho aspettato per amarti,

per pensare di baciarli quegli occhi, poi adorarti.

 

Poi m’illudo: se insieme, siamo veri, sinceri.

Ti stringo all’improvviso, sei dolce e sento

che cedi; avrò cura di te, contro ogni vento.

Ma tra noi abisso luce d’anni, mia follia: 

malato da sogni gelosi, millenni d’esperienza,

ho trovato intera cura nella sola tua esistenza.

 

La vita poi continua: creo maschere, teatri, 

Teorie d’amanti, metafisica aurora,

Gestae sublimi, pur di sognarti ancora. 

Perché ti vedo, oggi? Cerco Teorie sul fato, 

sul qualcosa di strano che ci lega. Per cui,

metto in memoria la tua grazia, per i miei anni bui.

 

Per le Teorie sul tempo, ti eviterò nel mondo: 

pur lontano, stai certa che ti amo 

perché non ti posso dimenticare, 

ma ti dimenticherò, perché ti amo.

 


 

 Meglio la notte

 

 

Di giorno, due passi, riva di mare, 

trascorro lento nel tempo;

lungo le vie d’una vita

brandeggio pensieri vari.

Senza freni m’illudo e creo

privo di te; mi leggi, esisti!

È dolente nel mio universo

questo amore contro corrente.

 

Il giorno di sera si tira da parte:

si nasconde nel mare,

poi spenge il tramonto

e accende due lucciole ansiose 

e, non sempre, il lume lunare. 

Coltivo per te in sogni veri

le tue antiche, acerbe mimose.

Nell’attesa del buio,

 

io sono sospeso nel vento

ma riesco a disperdere rose

sui tuoi futuri sentieri.

Per un istante fuso nel fuoco, ieri,

ti ho amato e poi liberato.

E per questo m’annego, 

affinché la notte dorma in pace,

nel mare dei miei misteri.

 


 

 Amore perduto

 

 

Sopravvivo a una stella cadente

che lenta scompare alla vista,

costretta nel breve orizzonte

in rapida foto d’artista.

 

Lontàno l’amore perduto

in una città scintillante:

un sogno fin troppo vissuto

ove regna lei dominante.

 

Col velo strappato rinnego

una stella d’amore da poco.

Ma pur sì deciso non spiego

 

la vita, in un attimo un grumo.

Attivo il mio flash, per gioco,

e ricordo il suo denso profumo.


Scrivere di lei

 

 

La pagina vuota, piena

d’intenti e di tensione,

è virtuale o certa pena

alla mia insana passione.

 

La pagina piena, vuota

di senso e d’avventura,

è certa o virtuale nota

alla mia geniale tortura.

 

La pagina bianca, buttata

con gesto schizzato nel vento,

registra una vita stoppata

 

nel giorno di quell’amore:

un sicuro caldo tormento,

un freddo che scende nel cuore.

 


 

Finalmente

 

 

Guarda nella mia realtà

sono la vernice con cui àltero le speranze, 

sono coperta malmessa su mie voci vane,

sono un incarto ambiguo, una triste latta

sono una plastica che diafana e irreale

corregge il bel colore di un’arancia.

 

Portami nuove conoscenze

sono pronto a trasferire dati e mente 

sotto un ponte oscuro di città, ma so

che soffrirò, se il fiume sotto scorre.

Dismorfi specchi di piombo i miei occhi:

creami giusta luce, mi vedrò felice.

 

Addorméntami come umano: 

ma cùllami come mito, io forse futura fenice. 

Dormendo il mondo, in sogno amando 

chi non doveva saper di quell’amore,

reinvento stupìto il colore blu di cielo e mare.

Finalmente nel sonno sorrìdo, finalmente.