Daniela Ricci - Poesie

IL SIPARIO

 

Che quiete.

Poco prima del tramonto,

prima primavera era in disordine.

 

Passata la pioggia elettrica

la luce sembra cornice

ad un dipinto fiammingo

reso moderno:

 

le case, gli oggetti, gli affetti,

un gatto attende al suo fianco

la sua padrona.

Nel silenzio, nell’attesa di niente,

aspetta, sta.

Lei.

 

Nei particolari la stanza è circondata

di quella luce che rende le case e le cose care,

come oro e argento.

 

Per chi è senza terra, tetto, muri,

chi come me non può dire di essere

da qualche parte in particolare,

 

riaffiora non il passato.

Non i ricordi di un quotidiano,

ma ciò che quotidiano è nel cuore.

 

Per un momento

le cose non sembrano destinate a passare

poiché come se fossero sempre state là

dove si manifestano ora,

semplicemente sono fatte per spostarsi.

Migrano e fluttuano e ci richiamano,

tornano a noi.

 

Spiriti.

 

Di memoria in memoria,

nello spazio dei cuori

assumono le pose degli oggetti vivi

come nature morte

erranti, non in fuga.

 

Tutto resta, permanente in un istante.

 

Poi sta calando il sole, e il sentimento di primavera

muore ancora al tramontare.

 

Primavera è viva, ma ci rende caduchi.

Si vive e si muore nello spazio di un attimo.

La vita è così, passa attraverso noi

con le sue

necessarie morti e resurrezioni.

Si trapassa al tramonto del sole,

proiettati nella notte

dove gli spiriti vivi accendono

la loro luce.

 

Anche questo, un aldilà quotidiano,

la danza macabra del divertimento,

della voglia di incontrare, festeggiare,

che siamo un eterno Cosmo,

che tutte le stagioni, vive e morte

altro non sono che immagine di noi,

giorno e notte,

e il tempo meteorologico poi, come somiglia

ai nostri più vividi sentimenti…

 

Notte arriva,

preparo la mia danza,

come ballerina che prova le scarpette

o attrice col suo costume di scena.

 

Si apra il sipario,

sul mondo che incombe,

ancora, su di me!


 

 NESSUN LUOGO

 

Mi è capitato di trovarmi dove non ero,

in un luogo

che non potresti mai definire

né collocare.

Il percorso erano strette ètreintes.

 

Calde ed umide,

su di una via morbida e molle,

che non ti aspetteresti mai

di poterla chiamare una porta animale

che precipita direttamente nelle mani dell’Altissimo!

 

Non parlatemi di spirito

estirpato dai miei mille nervi,

non portatemi a credere

checi sia una divina essenza

senza questa impeccabile lussuria!

 

Io sto nell’immanenza,

e vado e vengo,

e nel venire muoio e non ci sono più.

 

Spiacente al mondo mi sono appena accorta

di non avere la sua nobile e vera rilevanza.

Vado e vengo,

salgo e scendo,

entro ed esco.

 

Muove il vento e culla e si sbilancia e ricompone

l’altalena,

oscilla

e io la lascio andare.

 

Il vivere mi è così a volte apparente.

 

Dove mi trovo?

Da quale parte di questa mistica Bilancia?

 

Oggi dico si.

Altrove potrei negare.

 

E’ dolce e amaro, ahimé,

poter dare il mio saluto

e nel contempo un “arrivederci”.


 

 

Per Amore ad Astra

 

Quando il sole si spegne a mezzogiorno

e quando le mie immagini si aprono

per la prima volta al giorno,

riempiendosi della rugiada

che ha raffredato la natura

e la mia,

io sono costretta.

 

Solitamente il mondo mi parve irrilevante.

Poi le stelle nei loro incommensurabili vortici di calcoli

si infuocarono: l’Amore.

 

Ora l’astro imperioso domina costantemente

ma per Amore ad Astra non mi è più nemico!

 

Poiché mi sto muovendo sulla via.

 

A volte seguo, avvolta affianco il tuo passo,

a volte mi distanzio per vedere se in un ipotetico futuro

le minacce smettano di farmi vivere in allarme.

 

Poi torno da te

e la paura del cammino diventa un’illusione

perché mi hai regalato non già solo il presente

ma la sua Poesia.

 

E così credo che tu sia la stella

che il giorno,

che la notte,

cerca la mia.

 

E questo sia l’Universo.

 

Vivo per il momento in cui la Luna

rischiarererà il tempo di difficoltà.

Il tuo Astro possa accogliermi

e la mia Venere renderti felicità.


 

La culla di Narciso

 

Soffro una parte che si nomina debole,

meglio la soffrono come ricettività.

Soffro, una parte debole,

che si nomina femminilità.

 

Ed un soffrire atavico.

Nella mia bocca e sul mio corpo

si dividono ancora cielo e terra.

Ne porto ancora le ferite, divisioni.

 

Su di una mi puoi baciare

dopo che qualcosa di me io ti abbia svelato.

Attraverso l’altra puoi entrare

e nel mio invito accompagnarmi alle stelle,

dove il cosmo è una bambola che culla,

dove mi perdo,

dove perdo te

e la sofferenza dello stesso femminile,

che vuole il fiore di Narciso

per poter addobbarsi ad invitante figura,

ma che lo accarezza intimimanente per portarne un petalo,

non meno che all’Immortale!

 

In questa lotta, in questo vezzo,

in questo enigma,

soffro la mia femminilità.

 

Né disfatta né vittoria,

non se ne può niente ottenere.

 

Dunque fammi, te ne prego,

un complimento,

esaudisci il mio vizio e prendimi per mano,

il viaggio è lungo e la sua corteccia è spessa e secolare

ma saranno i minuti che si rincorrono ad avere importanza

nell’ora!

 

Questo è il momento ed è il perché.

 

Benvenuto, te ne prego, in questo soffrire.


 

Sinfonia

 

Passa il vento a Primavera.

Non passa il tempo in questa Sinfonia.

Non passa il vento a Primavera

ma invade,

la casa,

quella astrale,

la mia,

questo piccolo mondo chiuso

tra le reti congetturali di me che non so vivere.

 

Ma il me ha superato la gabbia,

il corpo emoziona,

sono le mie capacità che sono cinque

ad introdurmi nella sesta di questa Era,

che passa silente e profumata a sconvolgere

le certezze della città intera.

 

E io vorrei introdurmi

in una sola immagine

di questa luce accecante.

 

Ora come mai,

amore e vita.

 

Ed io, a spaventarmi per amore del bello

che in forma di tormenta o voragine di armonia

quando il suono torna a rendersi dissonante al cuore.

Il suo palpito vuole rimanere costante,

ma l’accelerazione mi lascia al confine

e chiedo liberazione e libertà,

come se dovesse morirmi,

il Cuore.

 

Come se la macchina dovesse seguire l’ingranaggio!

 

Mistica apparenza ci rendi nobili e impotenti.

Hai scelto sonde per scuotere,

sentori per innamorare.

 

E il vento non passa a Primavera,

semplicemente diviene reale.

 

Anima,

segui le trame della Rivoluzione,

e gioca e godi il Mondo!


 

Domenica di Settembre/Nicchia Alcoolica

 

Il passo incerto del risveglio

che già traballa per inconfidenza al mondo.

 

Si tuffa la mia incredulità

in un brindisi al destino

e chiede all’eterno presente,

il presente,

o ciò che si presenti!

 

In me,

gradazione alterata delle corde animistiche e animali,

oppure semplice quiete per il piccolo essere

che non ha carezze per gridare al cielo:

“io sono”.

 

Sono soffusa come una lampada a petrolio.

Penombra artificiale che rende onore al sogno.

 

Non so cosa altri bevano dalla bottiglia,

io ne distillo l’onirico futile “essere”,

una malia che duri qualche ora o un giorno,

e da ciascun bicchiere una preghiera.e

 

Al Profondissimo,

il cammino in me

il cammino intra- mundi,

destino troppo forte

al di là della finestra.

 

Dietro il vetro nel corpo del cielo e dell’aria che respirava il mondo visibile,

sentivo, incontravo Dio.

Ha lasciato forse il suo amore ed è volato via?

 

Come aquila sulle sue ali trasvolando altrove i sentimenti?

Anima….

Anima mia!

 

Così bevo,

al di qua del mondo,

al di là del giorno solare,

le sue immaginifiche leggi,

la sua verità supposta.

 

E così vivo, nella penombra divina

di questa nicchia alcoolica

entrando nel buio del giorno

a intonare alterazioni gravi

e alti canti alla mia acre anima,

il sapore del troppo vino sulle labbra,

nel sangue.


 

 

La guerra e l’esistenza

 

Non mai ho sentito pace,

se pace era,

in duplice guerra,

del cuore e della mente.

 

E ciò che anela il cuore

osserva la mente,

e la osserva talmente che

il cuore ne adduce le ragioni.

 

Ma non è forse in questa lotta

che si complica la vita?

Vita di “ forse”,

di “ e se fosse”,

che si distanzia dalla sua stessa natura.

 

E io dovrei sentirmi vicina al cielo

o a tutte le cose soprastanti, sovrastanti?

 

Mi muovo come belva,

belva senza il suo stupendo istinto,

mi muovo come cosa a sé stante,

senza se stessa come fossi macchina.

 

E cerco Natura

nella confusione degli impossibili

di impossibilità, pensieri.

 

E avrei voglia di abbracciarti,

in ricerca del te che mi dai ragione del :

“non è vero,

la vita non si svolge in dramma!”

 

Come già ti ho sentito cantare

non il dramma ma l’ardore.

 

Del Tutto e del Niente.

 

Non saprei scegliere.

Umanamente.

Non conosco.

Disconosco.

Io pensando.

Io amando.

Io vivendo:

“ non so… farlo!”


 

Delle caleidoscopiche stagioni

Così volo,

prendo il sole meridiano e le sue nuvole

ed esco.

 

Trattengo in me le stagioni trascorse.

Un ricordo spezzato, infranto e frantumato:

i visibili frammenti di un’ immagine interiore

ormai distante.

 

Volo e sogno,

trafugando nelle mie sensazioni trafugate.

E’ l’attesa della rinascita;

 

la luce acceca,

il vento porta essenze.

 

Sono oltre il tempo meteorologico

e Primavera è già nella mia casa.

 

Spettri mi percuotono, destabilizzano

ma la mia mente si rende cieca

al dolore e si eleva altrove.

 

Dove il sogno mi libera le ali

mi forza alla vita pura

e il mio inganno diventa

potente potere.

 

Sono io la padrona del gioco,

mi rendo artefice

delle sue mosse come movenze

e dei suoi colori

in un rocambolesco caleidoscopico

Vedere.

 

Poi, al crocevia, finalmente incontro Te.


 

Emoglobina

 

“E’ dolce e amaro, ahimé,

poter dare il mio saluto e nel contempo un arrivederci”

 

Presente arretro,

sono stata in ogni accento del sangue.

Ogni globulo impazzito mi ha insegnato

a miscelare in me la stessa gioia,

la stessa violenza del carattere del Cuore.

 

Intenta ora a non dividere il rosso dal bianco,

il rosso dal nero,

mi lascio scorrere e sanguino all’interno,

per generare altrove.

 

Sono stata non vista,

non nascosta,

ma silente;

e taccio ciò che è tacito

senza una lacrima

perché una lacrima è un ruscello che scorre pura acqua

a rivelare la saggezza della felicità.

 

Dietro un velo di stella

sorrido ora con l’innocente malizia di chi ne è cosciente.

 

Sembro, fingo la scomparsa.

Per riapparire nella forma molteplice,

la mia moltitudine amata.

 

Nel buio del silenzio accendo la miccia

per la futura esplosione della festa.

 

Sotto di me scorre un fiume di serpente d’acqua,

giovane rivolo scivola e sguizza fresco e guizza,

mentre io muoio nel mio sogno,

come nel sonno muore chi osserva il sottostare la sua mente espansa.

 

Muore il passato.

Mi accorgo della mia morte,

rinasco e tendo la mia piccola mano.


 

Salute a Voi

 

Eccomi,

stò roteando!

 

Faccio capriole, evoluzioni

come un infante per imparare a camminare!

 

Scivolo e facco girare il corpo- satellite e gli elementi tutti.

Lo metto alla prova come una danza.

 

Devo arrivare,

 

spingere dall’interno all’esterno

quello che porto ancora segreto,

e desiderare,

desiderarmi e desiderarlo.

 

Rido, viaggio ore in una sola movenza.

 

In un gesto tutte le nuove intenzioni,

 

Ti vedo, ma dove vivi?

Dove sei perso, dove sei persa, anche tu?

Nei tuoi occhi, un infinito

dove mi mascheravo anch’io.

 

Ho tracciato tutti i cerchi per arrivare, a voi.

 

Mi alzo, guarda,

mi pongo in una nobile verticalità, la tua,

e verticale lo sguardo , era troppo segreto, vero?

 

“prendo il sole meridiano”

e le vostre nuvole e volo

fondendomi in un abbraccio che sia vasto

almento quanto

l’alto azzurro,

gridando “Gioia”!

 

Salute a tutto e a tutti!

Salute a Voi!