La tomba e la quiete
Passo dopo passo
cammino lungo i viali delle dimore eterne,
calco l’asfalto e vedo tante lapidi
calpesto l’erba ed ecco altre tombe,
poi mi fermo di colpo,
c’è la quiete e il silenzio
guardo in basso e vedo la Sua foto e la Sua tomba.
È la dimora di Lei, così giovane,
strappata dalla vita con ferocia,
spezzata da quelle mani infami di lui,
maledetto,
che senza pietà affondò quella lama nel petto.
Avevano giurato amore eterno
ma il risultato è stato solo l’inferno;
mentre lui ancora libero e ghigna
perché ha vinto due volte,
lo guardo negli occhi e mi fa ribrezzo,
bastardo, come il destino riservato ai buoni.
Lei era bella era buona,
era giovane era mia cugina!
Lacrime versate come fontane
da chi le vuole bene,
un ricordo indistruttibile
ed il rammarico per non essere stato lì
e non averla potuta salvare,
sentendoci impotenti
di fronte agli eventi.
Non c’è pace nei nostri cuori
non potrà esserci perdono,
non ci sarà giustizia per Lei
non ci sarà vendetta,
non esiste nulla al mondo
che potrà riportarcela indietro.
Mille pensieri volano
e c’è il magone dentro,
mi volto e vado via
lascio la tomba alle spalle,
c’è di nuovo la quiete
e trattengo le lacrime.
Sono già lontano assalendomi la tristezza,
fuori da quelle mura cercando di non pensare
perché la memoria fa male
e il dolore di chi le vuole bene
non potrà cessare mai.
(Poesie d’annate, pag. 64. Pioda editore)
Il giorno del dolore
Siamo qui nel giorno del dolore
dove tutto tace, poche persone
ma che ti volevano bene.
Tutto è cambiato in un attimo,
non sarà più lo stesso
e ci mancherai tantissimo
non so se lo sai, credo di sì,
e io per primo
non potrò mia dimenticarti
e non potrò che volerti bene.
Oggi è il giorno del dolore,
del cordoglio e della consapevolezza
perché non puoi tornare,
non puoi muoverti
e il tuo corpo immobile e freddo
giace per sempre.
Qualche lacrima vola
di noi pochi che ti amavamo
e che oggi siamo riuniti
dandoti un disperato, sofferto
e mai pensato, mai voluto addio
davanti al tuo capezzale mai immaginato.
È il giorno del dolore
e della consapevolezza che
tutto è finito e tu non ci sei più.
Ce ne andiamo lasciando fiori,
non mi do pace
perché non avrei voluto
che finisse così,
ma che tu potessi sorridere ancora,
assieme a noi.
Ce ne andiamo sapendo però
che questo giorno del dolore
lo porteremo per sempre
dentro il nostro cuore.
(Poesie d’annate, pag. 145. Pioda editore)
Non lasciarci tu
Ora tu non sei qui vicino a noi,
ma tu per sempre resterai
nei nostri cuori.
Ti parliamo e non so
se ci stai sentendo,
ma tu sei nel vento
un vento che ci sfiora
e un brivido è in noi,
il tuo ricordo
per sempre nelle nostre teste… va…
Tu sei nel cielo
e quando sarò triste,
nei giorni grigi guarderò in alto
perché tu sei la stella più,
più luminosa che c’è.
Noi ricorderemo
i giorni belli passati con te,
che ci hai lasciato per quel male
che ti ha divorato e che
ti ha portato via da noi.
Ma adesso riposi in pace
in un mondo tutto blu,
un mondo che meriti tu
per quello che hai fatto per noi quaggiù.
E poi,
quando guarderò la tua foto
io non piangerò,
perché lo so che ora sei puro
e senza pensieri ora sei
vicino a Dio.
Tu ci guardi dall’alto,
anche se ti vorremmo ancora tra noi
tu lo sei lo stesso
e vegli su di noi.
Il tuo sorriso rimarrà
a noi impresso nelle menti
e non lo scorderemo,
per sempre sai.
Non lasciarci allora mai… tu…
(Poesie d’amore e di morte, pag. 44. Pioda editore)
Ricordi incancellabili
Il mio pensiero ecco che
come sempre va a finire là,
cerco di sforzarmi a non pensare ma è inutile lo so.
Ripenso ancora a cosa è stato lui per noi,
una ferita che non guarirà in poco tempo.
A volte la notte cammino con la mente nel passato
e tornano gli occhi lucidi,
ripensando a quello che diceva
quando era in mezzo a noi.
Vorrei credere che sei partito per un viaggio
e non vuoi tornare, m’inganno da solo
e questo lo so fin troppo bene.
D’improvviso torna tutto a quel giorno maledetto
quando ti ho visto disteso su quel letto,
come una pugnalata in fondo al mio cuore
questo è l’unico modo per descrivere
quello che ho sentito,
toccando la tua mano immobile
come il tempo fermatosi per un momento.
Vorrei scrivere fiume di parole
come le lacrime che ho dentro,
ma non esce nulla perché non voglio;
ci rimane solo una cosa da fare
ricordare quei natali assieme,
quei giorni che non torneranno mai più.
Non ti ho mai detto quanto ti voglio bene,
ma son sicuro che lo sai
mentre ridi tra gli angeli
quello che eri anche quando stavi in mezzo a noi.
Saranno sempre ricordi incancellabili.
Non scorderò quel giorno nella folla del cordoglio,
sentendo pianti da chi non avrei voluto,
ora lui riposa in pace nel posto che merita,
nell’albo dei giusti.
(Poesie d’amore e di morte, pag. 50. Pioda editore)
Cielo-Negli-Occhi
Passeggerò a piedi nudi
per calpestare la Madre-Terra,
sentirò il suo calore sotto di me
che entrerà dentro
regalandomi quella forza che non trovavo.
Mi tufferò senza respiro nel Lago-Sacro,
privo di ogni veste
sentirò su di me l’energia della natura.
Dall’alto del monte
respirerò aria sconosciuta al mio naso,
odori che non avevo mai pensato;
quasi volerò come lo Spirito-Dell’Aquila.
Il mio cuore sarà libero da ogni cattivo pensiero,
ritroverò me stesso
e la libertà che credevo non esistesse.
Ritroverò l’orgoglio smarrito dal mio animo,
sarò rinato di un Nuovo-Guerriero,
quello che vive dentro me.
Avrò nel viso nuova luce
e urlerò al Mistero-Del-Vento:
il mio nome è Cielo-Negli-Occhi!
(Poesie d’amore e di morte, pag. 70. Pioda editore)
Destino bastardo
E ti vedo mentre te ne vai distratta
fingendo di non vedermi.
Guarderò sparire da lontano
le tue belle guance rosse
riconoscendole anche in mezzo a tante.
Non troverò il coraggio di raggiungerti
perché mi hai tolto le forze ormai da troppo tempo
e farò finta di non essere ancora innamorato.
Tanto è quello che tu di me non sei stata realmente mai,
sapendo fingere bene.
Non sapendo perdonare nessuno degli errori miei,
tu troppo perfetta per uno come me.
Una vita spesa a pensare ancora a te
nonostante tutto,
nonostante il tempo trascorso.
Vorrei ritrovarti, se pur ferita,
che perdona gli sbagli miei
e che questa volta non tradirei più
perché sono innamorato
e devi credermi se ti dico che è vero.
A te è bastato solo un mese per dirmi certe parole,
solo un bacio per confessarmi certi segreti.
I tuoi occhi da lestofante
hanno imbrogliato il mio cuore,
il tuo sembrare indifesa mi ha attratto
ma poi le tue spine mi hanno punto.
Di noi non è rimasta che polvere nell’aria,
penso a ciò che eravamo e tornano gli occhi lucidi,
trattengo le lacrime
sognando che torni di nuovo da me.
Rileggo i tuoi vecchi messaggi ricchi di parole forti,
adesso cancellate dal tempo,
dissolte come il sogno alla luce del primo mattino.
Ho nascosto quegli oggetti che mi ricordano te,
se leggerai queste righe sono sicuro
che ti riconoscerai
e allora perdonami se puoi io ti aspetterò
come non farei con nessuna mai.
Sbrigati prima che l’infinito ci separi,
stavolta per sempre,
prima che qualcuno ci distragga
e che ci porti via
dimenticando chi siamo stati per noi.
Cosa rimane di quello che eravamo
se non mi degni nemmeno più di uno sguardo?
Tu sei l’unica voglia che vorrei!
Mi arrendo però al fato
consapevole che tutto è finito,
inginocchiandomi davanti a questo
destino crudele, destino beffardo, destino bastardo.
(Poesie d’amore e di morte, pag. 155. Pioda editore)
L’amore del soldato
Questo pensarti fa male
come la scheggia finita nel petto,
l’inquietudine e il sapere che non potrò averti.
Un amore, il mio, che fa tristezza
sentendomi come un soldato ferito e sconfitto
che si china supino su una branda,
privo di forze e ormai disarmato.
Con la divisa a brandelli e la pelle sporca,
il viso sudicio di mesi di guerra e sofferenze,
ben sapendo che non potrò conquistare
il tuo cuore difeso come una fortezza.
Incontri di sfuggita i nostri,
salutandomi quasi distratta
e te ne vai in una meta sconosciuta
mentre anch’io proseguo il cammino,
zuppo di pioggia,
sempre di corsa come un bravo bersagliere;
e tu che non ti volti mai ormai sparita all’orizzonte
e io solo oramai consapevole che non potrò averti,
con lo sguardo in giù quasi rassegnato ad un nemico che si nasconde nel buio,
che spara da lontano
e di lui conosco soltanto la schiena.
Mentre i soldati nemici avanzano,
e senz’armi mi devo arrendere,
questo amore non avrà speranza
come una guerra persa.
Non ti vedrò se non da lontano mentre ridi con qualcuno che non sarò io,
o te ne vai in solitudine senza poterti più sfiorare.
Io sarò condotto a morte perché perdente,
come questo cuore che non avrà mai te,
come questa bocca che non ti potrà baciare più,
come queste mie mani legate
che non potranno toccarti.
Provo sconforto sentendomi ormai sconfitto
come la patria venduta al nemico.
Cade il mio corpo morente,
cede questo amore improbabile
e brucerò dentro come colpito alla schiena
da un proiettile.
Penserò al passato che mi scotta dentro
e vivrò sapendo che non potrò averti più,
mi arrendo alla sorte
e perisco davanti alla morte.
(Poesie d’amore e di morte, pag. 198. Pioda editore)
Il doppio
“Da quando sono bambino ho l’impressione che qualcuno mi perseguiti. I grandi mi davano colpe che non avevo, dicevano che avevo rotto specchi, oggetti, altro. Ma non ero stato io. Forse mi crederete semplicemente pazzo. Mi trovo in un cella, quindi avrete dei pregiudizi su di me. Vorrei soltanto che voi mi ascoltaste, per anni il mio persecutore non si era fatto più vedere fino a qualche tempo fa.
Una notte mi svegliai di scatto, avevo l’impressione che in casa ci fosse qualcuno. Un ladro forse? Premetto che vivo solo e non ho animali. Andai in soggiorno e non vidi nessuno, poi in cucina e mi accorsi di una sedia spostata. Ricordo bene che dopo cena l’avevo rimessa a posto, sono un abitudinario e maniaco dell’ordine. C’era stato qualcuno! La mattina andai al lavoro e il capo mi disse che ero licenziato. Avevo scarabocchiato delle pratiche importanti, diceva che potevo essere stato solo io perché la chiave del cassetto dei documenti ce l’abbiamo solo in tre: Io, lui e un altro che da giorni era partito in vacanza in Nuova Zelanda e non era ancora tornato. Rimasi così senza lavoro. La depressione stava prendendo il sopravvento, una notte trovai altri oggetti spostati. Il persecutore era tornato e questa volta più feroce e spietato di prima. Ne parlai con uno psicologo e mi somministrò delle pillole, forse soffrivo di sonnambulismo ed ero io a spostare gli oggetti nella notte e a non ricordarmelo più. Ma che sciocchezza! Le medicine non le presi mai.
Una sera, in un locale, incontrai una mia ex collega. Parlammo un po’, anche lei come me era in cerca dell’anima gemella. Certo un pub non è il posto più indicato, ma a volte nella vita bisogna arrangiarsi. C’incontrammo per diverse volte, una sera m’invitò a casa sua e passammo insieme una notte di sesso sfrenato e acrobatico. La mattina dopo la mia fidanzata andò al lavoro, io rimasi a letto. Purtroppo non avevo ancora trovato un’occupazione fissa. La stessa mattinata sentii dei rumori, chiamai per nome la mia ex collega, ma nessuna risposta. Cercai per casa qualcuno o “qualcosa”. Poi sentii chiamare il mio nome più volte: “David! David!”. Improvvisamente dallo specchio del bagno vidi un riflesso che mi pietrificò, ma non c’era soltanto la mia immagine ma anche quella di un altro uomo. Può sembrare pazzesco ma egli era identico a me, sì era la figura del mio persecutore che si faceva finalmente vedere. Forse lo specchio è l’unico modo per vederlo. Era il mio doppio! Mi voltai, era sparito. In quel momento capii finalmente la causa di tutte le colpe che mi erano state attribuite negli anni. Ero sicuro di non essere stato io infatti a compiere certi gesti, ma Lui, l’altro me stesso. Ma adesso l’avrei combattuto con tutte le forze, ora che ero innamorato.
Passarono dei giorni, la bella Giada, questo il nome della mia fidanzata, non si faceva più sentire. Un giorno allora le telefonai e mi disse che non voleva più vedermi dopo che l’ultima volta l’avevo picchiata. Cercai di spiegarle che quello non ero io ma il mio doppio. Mi disse che ero pazzo e mi chiuse il telefono in faccia. Maledetto doppio, stava rovinando la mia vita! Trovai un nuovo lavoro come commesso in un supermercato vicino casa di Giada. Ogni tanto la incontravo ma non mi rivolse mai la parola. Dovevo farle capire che non ero pazzo, ma come avrei potuto fare? Una sera andai al cinema, da solo, e nei bagni incrociai nello specchio il mio doppio. <<Lasciami stare>>, gli urlai, <<prima o poi troverò il modo di farla finita con te!>>. <<Io me ne andai>>, mi rispose, <<perché ti eri dimenticato di me, David. Ma adesso resteremo insieme per sempre…>>. Mi voltai di scatto per strangolarlo, ma era già scomparso. Come avrei potuto uccidere una creatura demoniaca come quella?
Una mattina la polizia suonò alla mia porta, mi arrestò accusandomi dell’omicidio di Giada. C’erano le mie impronte, spiegai loro che era stato il mio doppio. Naturalmente nessuno mi credette. Ora sono qui, in prigione per colpa sua. C’era allora soltanto un modo per ucciderlo, ero pronto a questo sacrificio”.
Qualche ora dopo una delle guardie carcerarie entra nella cella dell’uomo per portargli da mangiare e lo trova con dei nodi al collo improvvisati con i suoi vestiti, appeso alle sbarre della finestra. David aveva un gemello quando era in stato embrionale, non si sa come ma lo divorò. Che lo spettro del suo gemello si fosse insediato nel suo corpo? O magari era soltanto pazzo? Questo non lo sapremo mai.
(Il libro degli spettri, pag. 342. Pioda edizioni)
La donna del treno
È buio, piove a dirotto. Come ogni sera la signorina Alessia si reca alla stazione ferroviaria per prendere il treno che la riporta a casa, tornando stanca dal lavoro. Ma per la poveretta quella sera si trasformò in un incubo senza ritorno. Indossando il suo solito giaccone e reggendo in mano l’ombrello, la giovane si sedette su una panchina della stazione e aspettò il treno. <<Sta sera>>, si disse, <<ho ritardato di cinque minuti, il capo mi ha trattenuto per invitarmi a cena. Oggi sono così stanca, infatti gli ho chiesto se potevamo fare domani sera. Non vedo l’ora e non nascondo che mi piace. Speriamo che il treno non sia già passato però, altrimenti avrei fatto meglio ad accettare l’invito>>.
Poco dopo ne passò uno; si fermò, la ragazza salì a bordo e ripartì. <<È diverso dalle altre volte>>, pensò Alessia guardandosi intorno, <<sembra uno di quelli per i viaggi lunghi. Del resto deve essere per forza il mio>>. In uno dei vagoni senza cuccette, Ale vide due uomini seduti vicini e una donna poco più distante. Preso un posto chiuse gli occhi e si addormentò. Di sobbalzo, un po’ di tempo dopo, si risvegliò mentre il treno continuava inarrestabile la sua corsa. <<Ma quanto ho dormito?>>, pensò la ragazza guardando il suo orologio, <<si è fermato! Speriamo non aver perso la fermata>>. Si alzò e, avvicinandosi all’altra passeggera, le chiese: <<Mi scusi è già passata la stazione di Orte?>>. La donna non rispose subito, con gli occhi persi nel vuoto; poi guardò la giovane e disse sorridendo: <Certamente!>>. <<Oh, no!>>, esclamò Ale, <<e adesso? È lontana la prossima fermata? Prenderò un taxi anche se mi costerà un “botto”>>. <<La prossima fermata? Oh, chi lo sa, era da molto che il treno non si fermava. L’ha fatto evidentemente per lei. È così tanto che sono qui, non so quando salirà qualcun altro ma poco importa>>, <<cosa significa? Io devo tornare a casa!>>, <<ci farai l’abitudine>>. <<Questa>>, esclamò Ale allontanandosi, <<è fuori di testa!>>. Non credendo certo alle folli parole della donna, si avvicinò ai due uomini seduti l’uno accanto all’altro. <<Scusatemi>>, chiese loro, <<sapete quando si ferma il treno?>>. <<La risposta>>, fece uno dei due, <<l’avete già avuta>>; <<infatti>>, proseguì l’altro, <<sedetevi e state tranquilla>>. La giovane ebbe un istante di stupore: <<!?>>, poi aggiunse: <<Anche voi con questa storia, ma cosa siete tutti pazzi? Voglio tornare a casa, fermate questo maledetto treno!>>. Ma non ebbe risposta. Uscì allora dal vagone e si recò allo sportello principale della discesa, stava per aprirlo quando, improvvisamente, una voce la fermò: <<Signorina cosa state facendo?>>. La giovane si voltò. <<Controllore!>>, esclamò alla sua vista, <<meno male che è qui>>. <<Certo, non sa che non si devono aprire le porte quando il treno è in movimento?>>, <<ha ragione. Ho bisogno di un’informazione>>, <<bene, seguitemi>>.
Il duo tornò nel vagone, dunque il controllore salutò i tre passeggeri: <<Salve, come va il viaggio?>>. <<Comodo>>, rispose la donna; <<all’inizio era strano>>, rispose uno dei due uomini, <<ora è tutto normale>>. <<Lo dica anche alla signorina>>, proseguì il terzo passeggero. <<Qualcosa non va?>>, chiese il controllore ad Alessia; <<tutto non va>>, rispose la ragazza, <<devo andare ad Orte e loro mi stanno dicendo che invece…>>. <<Il viaggio non finirà mai? Hanno ragione. Faccia buon viaggio, ci vediamo presto>>. E se ne andò. <<Sto impazzendo>>, esclamò la giovane, <<ma dove sono capitata? Voi chi siete?>>. <<Non lo sappiamo più>>, rispose uno dei due uomini; <<fra poco>>, proseguì l’altro, <<non lo saprà nemmeno più lei, signorina>>. <<Si sieda>>, la invitò la donna, <<e si lasci trasportare>>. <<Non è possibile!>>, disse Ale, <<forse, forse sto sognando>>; <<in certi giorni di pioggia questo treno si porta via le persone sole, come lei… come noi>>, <<basta, basta! Voglio uscire di qui!>>.
Presa dal panico, Alessia raggiunse un altro vagone e vide altra gente, altri passeggeri seduti al proprio posto, con lo sguardo perso nel vuoto. <<Non può essere>>, pensò allibita, <<non è reale. C’è qualcosa che non va, sono tutti pazzi, tutti! Non ho altra scelta!>>. Presa dall’angoscia aprì lo sportellone del treno in corsa e, senza esitare, si tuffò nel vuoto. Il controllore subito dopo entrò in scena, chiuse lo sportellone e disse: <<Hai fatto la tua scelta ma non avresti dovuto. Era meglio qui nel tuo incubo che laggiù dove adesso ti trovi, una realtà peggiore di qualsiasi incubo>>.
E infatti l’uomo non aveva tutti i torti, la bella Alessia si risvegliò legata ad un letto in una stanza completamente bianca, con le pareti di gomma. <<Dove sono>>, gridò, <<perché sono legata, perché? Un altro incubo, voglio andare a casa!>>. Intanto le si avvicinavano quattro persone non altri che i passeggeri del treno e il controllore. <<Ancora voi!>>, urlò Alessia, <<cosa volete, portatemi a casa!>>. <<Calmati Alessia hai avuto un incubo>>, disse quello che doveva essere il controllore ma in realtà era un medico che dirigeva un manicomio, accompagnato da tre infermieri, i passeggeri del treno. <<Il treno, il treno che fa un viaggio infinito>>, <<ogni volta fai questi strani sogni, come il battello a vapore perso nel tempo o l’aereo senza meta>>, <<non era un sogno! Voglio solo tornare a casa>>. <<Ci tornerai a casa>>, concluse il dottore, <<un giorno…>>. E tra le urla della paziente, gl’infermieri le iniettarono del sedativo per calmarla, preda dei suoi assurdi sogni o precisamente dei suoi incubi folli.
(Il libro degli spettri, pag. 329. Pioda edizioni)
Il naufrago
Sono sveglio, ne sono sicuro… sì, sono sveglio! Ho ancora gli occhi chiusi e li sento pesanti un macigno, non voglio alzarmi subito. Poi mi sembra di ricordare, un sogno forse… no anzi un incubo! Ma non ne sono assolutamente certo, è accaduto sul serio o forse no? Eppure è tutto così reale! Ho paura ad aprire gli occhi, allora… ve lo voglio raccontare, sì forse è meglio, almeno voi mi direte se sono pazzo oppure no. È cominciato tutto da quel giorno, quando decisi di partire per una vacanza, una crociera per l’esattezza! Sarebbe durata un mese, avremmo visitato le isole sperdute (ma non troppo) dell’Oceano Pacifico. La nave era immensa, tra equipaggio e passeggeri c’erano almeno mille persone a bordo. Non mancava nulla tra piscine, tavoli da gioco, sale da ballo e quant’altro. Il tepore dei primi caldi era piacevole, ammirando il mare la sera dal ponte della nave. Nella mia cabina ero solo, premetto che non sono sposato, mi sono lasciato con la mia fidanzata circa sei mesi fa. Anzi lei mi ha lasciato per un altro uomo. Ma non voglio parlare di lei, preferisco ricordare il piacere iniziale della crociera.
Una sera, durante una festa, conobbi una delle ballerine di bordo, credo fosse ecuadoriana. La sua pelle semi scura mi faceva impazzire, era bellissima e sensuale, oltre allo spagnolo parlava benissimo anche l’inglese e mi fu più semplice quindi dialogare con lei. Scusate la dimenticanza, il mio nome è Giulio Pillon, sono di Gorizia e nella vita faccio il geometra. Ho solo 35 anni e devo confessarvi che mi sento ancora un ragazzino… ma vi stavo parlando della splendida ecuadoregna. Bevemmo champagne a sazietà e, come logico, finimmo per passare la notte nello stesso letto; ammetto che dormimmo veramente poco… non avevo mai passato una note di sesso sfrenato e selvaggio come quel giorno. Fu bellissimo, un piacere immenso che non ho parole per descriverlo perché per capirlo bisogna provarlo sulla propria pelle, ma con Lei, solo con lei, assaporando la sua pelle deliziosa, soffice e irresistibile. Mi svegliai la mattina e lei già non c’era più. La sera successiva l’aspettai sul ponte come mi aveva promesso ma non si presentò, la cercai allora in lungo e in largo ma ogni tentativo fu vano. Dove poteva essere? Mi venne in mente di chiedere ad uno dell’equipaggio se l’aveva vista, ma mi fermai di scatto con un gesto di stizza… non sapevo come si chiamasse! Sembrerà assurdo forse, io le avevo raccontato tutta la mia vita, c’ero andato a letto passando la notte più bella della mia vita ma non le avevo chiesto il suo nome. Deluso e arrabbiato con me stesso tornai nella mia cabina, mi sdraiai sul letto e mi addormentai. Non ricordo bene poi cosa successe, sentii allarmi suonare, gente gridare a squarciagola e poi… poi il silenzio… e quando mi svegliai mi ritrovai in un comodo letto e di fronte a me c’era Lei, la bellissima ecuadoriana che tanto ho atteso, che tanto avrei voluto stringere forte a me come quella notte. <<Finalmente ti sei svegliato>, mi disse con la sua voce soave, <<ora cerca di riprendere le forze, poi ti spiegherò>>. Detto questo se ne andò, lasciandomi lì da solo assorto da mille pensieri, mille dubbi e mille domande. Nel frattempo mi guardavo meglio attorno, ancora intontito, e mi resi conto di trovarmi in un vero e proprio palazzo reale. Da solo non trovavo le risposte ai miei innumerevoli punti interrogativi.
La sera la bellissima ecuadoregna tornò nella stanza dove ero stato accolto e curato, si sedette sul letto accanto a me, carezzandomi il viso. Il profumo che emanava, anche se ero ancora a pezzi, mi eccitò. Poi mi disse: <<La nave su cui eravamo è affondata>>. In quell’istante ebbi un attimo di spavento ma presto mi tranquillizzai sentendomi sul viso le sue dolcissime mani. Bella e misteriosa, chi era e cosa ci faceva qui? Non dissi nulla ma la lasciai proseguire nel suo discorso. <<È stato il destino a farci incontrare, ora sei nel mio regno… domani capirai>>. Non le chiesi nulla, mi sentivo ancora stordito e le sue parole erano come sonnifero. Mi baciò sulla bocca con le sue dolci labbra, intensamente e con estrema dolcezza e mi addormentai di nuovo come plagiato.
Venne mattina, mi alzai dal morbido letto, coperto da lenzuola di seta, uscii dalla porta e davanti a me scorreva un maestoso corridoio, da un lato c’erano delle grandissime finestre, dall’altro le altre stanze. Percorsi vari metri, trovai delle scale, scesi e mi ritrovai di fronte al grande portone del palazzo reale. Uscii fuori e rimasi stupefatto, ma dove mi trovavo? Era un luogo bellissimo, montagne, prati verdi e fioriti e poi la cosa più assurda il cielo… non era il cielo che conoscevo, no, era il mare! Una sorta di incomprensibile serra naturale nelle profondità marine, un’oasi incantevole che sembrava un sogno. <<Un sogno>>, ripetei a voce alta come un babbeo, <<è un sogno o forse sono…>>, ma venni interrotto dalle parole della ragazza misteriosa: <<Non è un sogno, questo è il mio regno. Io sono la regina del mondo subacqueo>>. A quelle parole diventai rigido come un tronco. Esclamai: <<Non è possibile… tu saresti…>>; <<sì>>, mi rispose, <<se tu vuoi regnerai con me su questa oasi della Terra, io e te insieme>>. Dolcemente mi carezzò il viso, mi guardò con quegli occhi neri, grandi e dolcissimi e poi… ci baciammo… un impulso incontrollabile ci colse, ci spogliammo e lì in mezzo alla natura, noi due soli, facemmo l’amore.
Per giorni e giorni durò questa storia stupenda. Ogni stanza del palazzo, cucina o bagno, ogni angolo del regno, sotto gli alberi di fico o sui prati fioriti era il posto adatto per soddisfare i nostri impulsi irrefrenabili, per dirci ti amo. Ma ogni giorno però mi sentivo sempre più debole, più affaticato. Non so spiegarmi come potesse accadere, lei non mi volle dare spiegazioni, fino a un giorno. Ero a pezzi, la pelle stava invecchiando, ero disteso sul mio letto, lei venne da me e mi disse: <<Non mi servi più, grazie comunque>>; <<chi sei in realtà?>>, le chiesi, <<perché mi hai fatto questo, Astrid?>>. Era questo il suo nome. <<Per vivere>>, rispose, <<mi nutro della vita degli esseri umani, degli uomini per esattezza e per farlo devo fare una cosa semplicissima…>>; <<sesso!>>, proseguii. <<Bravo ora l’hai capito. A proposito, devo cercarne altri come te adesso>>, <<sei tu che affondi le navi dunque, maledetta!>>, <<voi uccidete gli animali per campare, io uccido voi. Siete così sciocchi, voi mortali. Addio amore mio…>>. Le forze poi vennero a mancare e mi addormentai fino ad ora che sto parlando con voi. Era un sogno oppure no?
Apro gli occhi e mi alzo? Devo farlo prima o poi! E così apro gli occhi, tossisco, sono accucciato e, lentamente, mi alzo da terra; mi guardo intorno ancora intontito e mi rendo conto di essere in una cella. Mi guardo le mani, sono vecchie… anche io lo sono… allora non era un sogno è la realtà! Accucciati al muro poco distanti da me ci sono altre persone, altri vecchi come me vittime della magia della strega del mare. Mi rattristo e capisco che, come loro, rimarrò nella cella finché spirerò, fino a quando l’ultimo alito d’aria entrerà nei miei polmoni malati.
(Il libro degli spettri, pag. 337. Pioda edizioni)