Dario Pece - Poesie

In questo dolce nulla

 

Il giorno si schiude tra vecchi rancori sopiti

e la purezza è nei fiori benedetti dall’alba.

Annegano in mare le mie sconfitte

e disinfettate sono le ferite dell’orgoglio

che cerca pace all’ombra di una quercia eterna.

Ascende la vita mentre cade una lacrima

su un foglio sporco di pensieri accesi

e una luce nuova si diffonde nella stanza

colma del nulla e svuotata da me.

La mia presenza infausta è nel silenzio armonioso

che mormora all’anima sogni addormentati.

E in questo dolce nulla dove naufraga la mia mente,

irrompe come un faro nella notte,

dando gioia e potenza,

la mia Fede sotto forma di colomba.


L’ora più triste

 

Ecco l’ora più triste dove tutto giunge a compimento:

il cielo si oscura mostrando il suo dissenso

e il sole non consola la terra tremante per l’abbandono.

Gli amici sono nascosti, chissà dove,

travolti dalla paura e immersi nello sconforto.

La Madre tra le madri, sopraffatta dal dolore,

abbraccia in lacrime il giovane forgiato nella sapienza

che, infuso di coraggio, è ai piedi della croce,

vicino al suo maestro fino all’ultimo, ed oltre:

perché già lo attende trionfante sulla morte.


Nel mondo vedo Te

 

Negli orizzonti dove i monti sposano l’aurora,

nell’infinito in cui il mare bacia il cielo,

nelle cascate che riecheggiano la tua voce

io vedo la tua grandezza, Signore.

 

Nella purezza delle aquile che danzano nell’aria,

nell’innocenza di un fiore che spunta tra fili l’erba,

nello sguardo di un infante che scopre il mondo

io vedo la speranza che tu ci insegni a non perdere.

 

E nei gesti che colmano la solitudine di un vagabondo,

in chi costruisce ponti tra il passato e il futuro

e in ogni carezza data ad un randagio

io vedo il tuo inesauribile amore.


Una margherita

 

Tenevo una margherita

sulla mano, ancora viva:

sbocciava e rifioriva

nuovamente tra le dita.

 

Ritornata al suo terreno

non scordò quel tanto amore

ricevuto nel dolore,

quando tutto venne meno.

 

E capì che nella vita

così come nella morte,

nessuno è solo con la sorte:

nemmeno una margherita.


Fortemente vivevamo

 

E nel cielo volavano

leggerissime speranze

sotto forma di gabbiani,

mentre io sulla spiaggia

accoglievo tra le braccia

il mio cane alla ricerca

di una razione d’affetto.

Noi, anime vagabonde,

fortemente vivevamo

nonostante il dì moriva

ascoltando la solita

canzone del mare.


Du’ nuvole der cielo

 

Si fussimo du’ nuvole der cielo

e ce incontrassimo pe’ caso lassù,

diveremmo ‘na gran favola ner blu,

un miracolo dipinto su un velo.

 

E si poi er cielo divenisse nero

noi due spiccheremmo ancora de più,

gnente a ‘sto monno ce butterebbe giù,

manco l’incubbo più bujo, forte e vero.

 

Puro amore sarebbe quela pioggia

che getteremmo su quest’umanità,

un bacio sarebbe ‘gni santa goccia

 

‘rigalato a tutta la nostra città.

L’acqua che fracicherebbe ‘gni roccia

sarebbe l’incontro tra forza e bertà.


L’amore nun se confonne mai cor male

 

Pò pure succede che l’amore

s’annisconna pe’ un lungo momento

sotto er cielo nero der dolore,

de la rabbia oppure der tormento;

ma nun po’ avecce mai l’indecenza

de scadé ne la peggio violenza:

perché ‘na donna co la su’ bellezza,

che sia dell’anima oppure der viso,

deve ispirà un bacio come un soriso,

mai eppoi mai ‘no schiaffo, ma ‘na carezza.

Perché l’amore nun è banale

e nun se confonne mai cor male.


L’arba romanesca

 

E spunta dar gnente la prima luce,

s’arischiara tutto in un momento,

er sole ar novo dì ce conduce

mentre soffia d’oggi er primo vento.

 

Roma s’ariveste de ‘na purezza

che ce l’hanno oramai poche cose,

arinasce divina la bellezza

e s’ariapreno tutte le rose.

 

E more co’ la notte la follia

che porta a la sola convinzione

che su ‘sto monno, in ogni sua via

ce sia solo violenza e dannazzione.


A Venezia

 

Se ne va zitta zitta ‘na gondola

come un mio caro fuggiasco penziero

che è quello che è, però è sincero

pur si ner cervello par che brontola.

 

E l’anima mia già se dondola

come si fusse ‘n antro vacanziero

che se sente più sereno e più vero

in quanto ner navigà se gongola.

 

Qui ne la laguna, tra li canali,

er monno già me pare meno duro:

sembreno ‘na finteria tutti i mali

 

e anche si nu’ lo so’ me sento puro

come li santi o come l’animali.

Resta solo la paura der futuro!


Er dì tresteverino

 

M’aricordo quell’aria popolana,

er rumore der fiume ner mattino.

La città lemme lemme se svejava,

incominciava un dì tresteverino.

 

Li sampietrini daveno tappeti

ch’accojeveno li furestieri,

mentre le statue de li poveti

ariccontaveno la Roma de jeri.

 

E se sfacchinava, e pure tanto,

ma nun c’ereno facce sconzolate:

le vie s’ariempiveno de canto

e de donne belle come le fate.