In questo dolce nulla
Il giorno si schiude tra vecchi rancori sopiti
e la purezza è nei fiori benedetti dall’alba.
Annegano in mare le mie sconfitte
e disinfettate sono le ferite dell’orgoglio
che cerca pace all’ombra di una quercia eterna.
Ascende la vita mentre cade una lacrima
su un foglio sporco di pensieri accesi
e una luce nuova si diffonde nella stanza
colma del nulla e svuotata da me.
La mia presenza infausta è nel silenzio armonioso
che mormora all’anima sogni addormentati.
E in questo dolce nulla dove naufraga la mia mente,
irrompe come un faro nella notte,
dando gioia e potenza,
la mia Fede sotto forma di colomba.
L’ora più triste
Ecco l’ora più triste dove tutto giunge a compimento:
il cielo si oscura mostrando il suo dissenso
e il sole non consola la terra tremante per l’abbandono.
Gli amici sono nascosti, chissà dove,
travolti dalla paura e immersi nello sconforto.
La Madre tra le madri, sopraffatta dal dolore,
abbraccia in lacrime il giovane forgiato nella sapienza
che, infuso di coraggio, è ai piedi della croce,
vicino al suo maestro fino all’ultimo, ed oltre:
perché già lo attende trionfante sulla morte.
Nel mondo vedo Te
Negli orizzonti dove i monti sposano l’aurora,
nell’infinito in cui il mare bacia il cielo,
nelle cascate che riecheggiano la tua voce
io vedo la tua grandezza, Signore.
Nella purezza delle aquile che danzano nell’aria,
nell’innocenza di un fiore che spunta tra fili l’erba,
nello sguardo di un infante che scopre il mondo
io vedo la speranza che tu ci insegni a non perdere.
E nei gesti che colmano la solitudine di un vagabondo,
in chi costruisce ponti tra il passato e il futuro
e in ogni carezza data ad un randagio
io vedo il tuo inesauribile amore.
Una margherita
Tenevo una margherita
sulla mano, ancora viva:
sbocciava e rifioriva
nuovamente tra le dita.
Ritornata al suo terreno
non scordò quel tanto amore
ricevuto nel dolore,
quando tutto venne meno.
E capì che nella vita
così come nella morte,
nessuno è solo con la sorte:
nemmeno una margherita.
Fortemente vivevamo
E nel cielo volavano
leggerissime speranze
sotto forma di gabbiani,
mentre io sulla spiaggia
accoglievo tra le braccia
il mio cane alla ricerca
di una razione d’affetto.
Noi, anime vagabonde,
fortemente vivevamo
nonostante il dì moriva
ascoltando la solita
canzone del mare.
Du’ nuvole der cielo
Si fussimo du’ nuvole der cielo
e ce incontrassimo pe’ caso lassù,
diveremmo ‘na gran favola ner blu,
un miracolo dipinto su un velo.
E si poi er cielo divenisse nero
noi due spiccheremmo ancora de più,
gnente a ‘sto monno ce butterebbe giù,
manco l’incubbo più bujo, forte e vero.
Puro amore sarebbe quela pioggia
che getteremmo su quest’umanità,
un bacio sarebbe ‘gni santa goccia
‘rigalato a tutta la nostra città.
L’acqua che fracicherebbe ‘gni roccia
sarebbe l’incontro tra forza e bertà.
L’amore nun se confonne mai cor male
Pò pure succede che l’amore
s’annisconna pe’ un lungo momento
sotto er cielo nero der dolore,
de la rabbia oppure der tormento;
ma nun po’ avecce mai l’indecenza
de scadé ne la peggio violenza:
perché ‘na donna co la su’ bellezza,
che sia dell’anima oppure der viso,
deve ispirà un bacio come un soriso,
mai eppoi mai ‘no schiaffo, ma ‘na carezza.
Perché l’amore nun è banale
e nun se confonne mai cor male.
L’arba romanesca
E spunta dar gnente la prima luce,
s’arischiara tutto in un momento,
er sole ar novo dì ce conduce
mentre soffia d’oggi er primo vento.
Roma s’ariveste de ‘na purezza
che ce l’hanno oramai poche cose,
arinasce divina la bellezza
e s’ariapreno tutte le rose.
E more co’ la notte la follia
che porta a la sola convinzione
che su ‘sto monno, in ogni sua via
ce sia solo violenza e dannazzione.
A Venezia
Se ne va zitta zitta ‘na gondola
come un mio caro fuggiasco penziero
che è quello che è, però è sincero
pur si ner cervello par che brontola.
E l’anima mia già se dondola
come si fusse ‘n antro vacanziero
che se sente più sereno e più vero
in quanto ner navigà se gongola.
Qui ne la laguna, tra li canali,
er monno già me pare meno duro:
sembreno ‘na finteria tutti i mali
e anche si nu’ lo so’ me sento puro
come li santi o come l’animali.
Resta solo la paura der futuro!
Er dì tresteverino
M’aricordo quell’aria popolana,
er rumore der fiume ner mattino.
La città lemme lemme se svejava,
incominciava un dì tresteverino.
Li sampietrini daveno tappeti
ch’accojeveno li furestieri,
mentre le statue de li poveti
ariccontaveno la Roma de jeri.
E se sfacchinava, e pure tanto,
ma nun c’ereno facce sconzolate:
le vie s’ariempiveno de canto
e de donne belle come le fate.