Davide Avolio - Poesie

XXXII. Felide

E mentre tu non odi
dai semi accesi
del tuo migrare
il rantolo continuo
che sof oca il tuo Amore,
io ho provato invece
ad addomesticarlo
a vincerlo, e con catene
fermarlo,
egli comunque ha battuto
ogni mia difesa
il mio Amore è un felino
insaziabile, indomabile
e mi sbrana
il petto, la faccia
gli occhi, il cuore
e si nutre della tua
anima.


 

IX. La mia croce

Sempre nel tuo nome
incrocio braccia e speranza,

mi tocco la fronte,
lo stomaco,
le spalle,
e come il più fervido
credente, dentro m’accende
la fede del tuo amore.


Musica lontana

Suona la chitarra
suona la tua sinfonia
mio spettro,
forse ti ricopre l’Inverno
ma dentro ti giace
l’Estate
con le sue corde sottili
di spensieratezza
Suona la chitarra
simulacro dell’evasione
trasportami dove l’Anima
possa cantare
libera.


XVIII. Bohemian Rhapsody

Come un anelito indolente
dondolo, un po’ su
un po’ giù
e comunque tiri il vento
non importa più
per me.
Mamma
oggi ho sof ocato una luce
un alito sulla fiamma
un fremito finale, ora è buio.
Mamma
la vita era iniziata da poco
ora non mi resta
che vederla andare via.
Mamma, mi manca l’aria
terra, ho freddo
non volevo farti piangere,
se non vedrai tu
i miei occhi ancora
va’ avanti, non fermarti,
come se non ne conoscessi
il colore.

Troppo tardi:
è giunto il tempo
il mio, ora
trasalo, patisco
i denti scheggiati
dal dibatterli
urlo vita alla luce
costretto, vado via
mi volto per l’ultima volta
a guardarvi in faccia
il senso dell’addio.
Mamma, nei tuoi specchi
ammiro solo il coraggio
dell’abbandono
non voglio morire,
non vorrei mai aver
desiderato
di non essere
nato,
tira avanti.
Padre, mi guarderai infine
penzolare come un incubo
al Sole, bocca aperta
e conoscerai il colore dei miei occhi
bianchi,
smosso da quel vento
di cui ancora m’importa poco.


 

XXIV. Threnos per l’Arte

Non c’è posto per me
non c’è più spazio
per noi, che viviamo di Arte
non c’è sogno per noi
che ci nutriamo di versi
né tempo, per noi
sostenuti da applausi,
realizzati negli inchini
vivi nelle conferme del lettore.
Non rientra più
nel cuore del mondo
il sussulto di un’anima poetica
logorata dalla pretesa
della materialità
a cui non ha deciso di prestarsi
una banconota molesta.


 

XXV. Fiore d’Amore

Ti ho posato nell’abbraccio
caldo della terra,
t’ho donato l’acqua
linfa del mio amore.
T’ho regalato il Sole
la forza del mio Amore.
Poi ho legato il tuo stelo a una
bacchetta, perché non ti fosse
di peso il vento del dolore,
le mie braccia.
T’ho curato, protetto
e quando infine
sei diventato il fiore più bello
m’hanno punto le tue
spine, e ingrato
ora ti lasci appassire
nelle mie mani.


 

II. Le stesse cose

Avevi promesso,
ma le promesse appassiscono
come rose soggette all’incuria
del tempo,
e dal marcio dei miei sentimenti
s’è erto un appello disperato
alla Vita.


XLIX. Dalle dita di rosa

Destati.
Il giorno ti invoca
al tuo sorriso: il tuo dovere.
Osserva quest’umano creare
la tavola imbandire
il sesso consumarsi acerbo
l’ora perire
il tuo compito è
slanciare il tuo spirito
conoscere, toccare
parlare d’Amore
e di vita
mentre l’oro avvizzisce superbo
e nella tua luce risplendi
magnifica.


 

The prestige

Ti chiesi d’amarmi
non con parole, gesti
fiori o promesse
io ti chiedevo d’amarmi
in silenzio, privatamente
chiedevo anche solo
un’illusione
per lenirmi il cuore
e sguazzare in un vivere
leggero, un posto dove
tu sei meno vera
e sai quindi
amarmi di più.


 

L’infinito ( e Oltre )

Sempre cara
mi fu questa panchina e
quel recinto, dove oltre
il Sole si sapura
e lo sguardo non osa spingersi
ma silenzio
nel mio crudo conoscermi
sovrumana quiete
implacabili spazi
oltre
io, dentro me immagino
e mentre vago in ataviche
domande, l’Eterno mi accompagna
cullandomi, naufrago
in un mare di dolci

tempeste.

( riscrittura dell’Infinito di Leopardi)