Davide Superbo - Poesie

Alla mia donna

Ricordo ancora, o donna mia
Il tempo dolce dell’infanzia mia
Quando ogni solerte settimana
Io venivo nella tua calda scuola
Ove passavi i tuoi giorni tristi
E con immenso piacer
Io rallegravo un poco i momenti
Della giornata che trascorrevi
Immobile, distesa, a dormir.
Già allor tu non parlavi
Ed i miei orecchi giammai udirono
Cantar la tua voce soave;
E già allor si vedeva che soffrivi;
Eppur, con le mie dolci parole
E i miei massaggi lenti
Tu un poco ti ristabilivi
E in cor ti rasserenavi
E un poco il tuo corpo muovevi;
Sentivo in te la forza della vita
E il piacer che ti faceva
Ricevere il mio tenero affetto.

Un brutto male ti colpì
E prima che il tempo di gioventù
Potesse entrare nelle tue membra
Tu questo nostro inferno salutasti;
E non ti diede il grigio fato
Le gioie della giovinezza
Né l’amor né altra pienezza.
Quanto a me, la vita pur vivendo
Il destino mi negò le gioie
Di gioventù e gli amori e i fasti
E mai non vissi alcun piacer
Che non fosse affanno.

Perché, natura, perché?
Perché ingannare chi tu stessa creasti?
Perché non rispetti ciò che hai promesso?
Forse tu gli uomini non creasti
Per renderli felici?
Forse tu nemmeno sai
Che sia il soffrir o il suo opposto.
Tu non sai quanto lei soffrì
Quando il soffio caldo della vita
Le batteva forte in seno
E al contempo ignori
Che lei giace in una tomba nuda
In cui presto io la raggiungerò
Quando mi coglierà la fredda morte.
Visito quei luoghi solitari
Ove trovasti infelice la morte
O, forse, una nuova vita
Lontana dai malanni del mondo;
all’ esterno della fabbrica viva
ove lavora moltissima gioventù
di te non rimane traccia, né ricordo;
nulla che rimembri quell’ immane tragedia.
Chissà se invece dentro quelle buie mura
C’è chi ancora ti rammenta
c’è chi ti pensa
c’è chi ti ha amata e chi ti ama
per l’amore e la dolcezza
che emanano i tuoi occhi lucenti
per l’ardor e l’accuratezza
che di certo mettevi nel lavorar;
chissà se qualcuno di te
si ricorda ancora nella tua città
a distanza di oltre dieci anni
a parte la tua famiglia e me;
chissà se qualcuno ti dedica mai
opere o pensieri
e se nei suoi sentieri
incontra persone uguali a te;
questa mia umile poesia
non ti riporterà di certo in vita
ma ricorderà la tua dolce fatica
che mettevi nel vivere e nell’ amare;
morivi quando compivi la mia età
e si spegneva in te ogni vitalità
e io, giovane e sconosciuto poeta,
vorrei ora parlarti e chiederti scusa
perché,
come tanti altri,
nulla ho fatto davvero per amarti;
e ti direi: “Scusa, scusami davvero
per la mia insensibilità,
per il mio distacco,
per la mia indifferenza
dimostrata in quegl’anni”.
Vorrei tu mi dicessi: “Perdono,
ti perdono e così perdonai
colui che fu il mio aguzzino;
egli m’uccise; ma non uccise mai
la luce che emanano i miei occhi,
la luce della vita e dell’amore,
che ancor risplende, forte e lucente
nel cuore mio e tra la gente”.

 


 

Nel silenzio

Nel silenzio di una notte nuova
Che fiera si erge
Dinnanzi ai miei occhi
Ascolto il rumore del vuoto
E mi immergo nelle sue acque
Gelide e accoglienti
Nella solitudine che si respira
Quando al mio paese natio
Scendono le luci dell’imbrunire.

E quando si spegne finalmente
Anche nella piazza l’ultima luce
E pare che una lieta
Oscurità scenda sui bianchi tetti
Il mio pensiero fa ritorno
A colei che nel mio cuore ha dimora.

 


 

La felpa appesa

Scorgo lesto sotto casa tua
La tua vecchia felpa appesa
Ultimo segno rimasto ormai
Di una casa che vita
Non ne ha più e più ne avrà;
Scorgo mesto quel che sarà
Del luogo vivo che quel tetto fu,
Ma quando volto la mia testa in su
Nulla i miei occhi posson mirar
Se non tristezza e desolazione;
Solo il mio cuore afflitto ormai
Può tentar la vana rivoluzione
Che solo ai ricordi è concessa;
E da quella infinita solitudine
Che quella felpa rimembra ogni istante
Io rimembro il dolce tempo distante
In cui in quella casa c’eri tu,
Con la tua famiglia, le tue auto,
I fiori e i profumi tenui del giardino
Che abbiamo tanto amato in gioventù.
Ormai tutto questo non c’è più,
Di essi rimangono solo dolci ricordi
E una felpa appesa e già consunta
Cui un cane latra ogni giorno
Con nel cuor l’infinita tristezza
Di chi ha perso ormai la sua giovinezza.

 


 

Poesia per lei

Tu, solamente tu
Soltanto con la tua presenza
Con i tuoi occhi, la tua essenza
Nel rapido fiorire
D’un refolo di vento
Riesci a far tramontare
Dietro quei lontani monti
Insieme a questo sole pallido
Che ci illumina freddamente la vita
La mia costante voglia di morire
E ridarmi vita alla vita
Come miele sulle ferite del male
Una vita che ancora una volta
Vincerà la tanto temuta morte
Una morte che tu sola allontani
Con il tuo dolce sorriso,
Sebbene il mio cuore in passato
L’abbia più volte agognata,
Desiderata, voluta, pregata,
Finanche addirittura amata,
Ma poi, in fondo, odiata
Per il suo mai arrivar davvero.

Ora ci sei tu, nella mia inquieta vita…
Chi può mai ora desiderar la morte?
Fors’altri che non hanno il destino
Benigno di averti accanto,
Non più io, non che io senta
D’aver ormai questo tacito desio
Nei remoti anfratti del mio cuor,
Grazie a te che, ogni dì, con sommo gaudio,
Dai ancora luce alla mia lugubre vita.

 


 

L’unica cosa che conta

L’unica cosa che conta
Adesso, in questo effimero istante
Già passato ancor prima
Di potersi rendere davvero conto
Di averlo vissuto appieno
È questo immenso tramonto
In mezzo alle fronde settembrine
E par che dica alle umane genti
Con la pazienza tenera d’un vecchio saggio:
La stagione della beata allegria vien meno.
Oh, all’allegra stagione
Farà seguito quella della malinconia
E del pensiero latente
Come le foglie gialle e rosse
Degli alberi non sempreverdi
Per lasciar spazio infine
Alla morta stagione bianca
Ove tutto è freddo e noia.
Ricomincerà poi la primavera
In un ciclo che si ripete
Sempre uguale a se stesso
Ove fiori fioriscono in un inganno
Di cui presto sapranno la morte
Come i miliardi di individui nel mondo.

Tornerà infine l’estate, con essa la finta
Allegria di una calda e gioiosa stagione:
Ma tutto è ancora inganno e illusione
Come inganno e illusione pare che sia
Questa nostra miserrima vita
Con tanto troppo buio
E così poca luce attorno
E dentro di noi…

Passato è il tramonto, ora tutto è oscuro:
L’unica cosa che conta ora
È stare con te:
Promettimi di non essere anche tu
Una delle tante illusioni di vita,
Ma giurami di essere davvero
L’unica stella che sempre brillerà
Attorno e dentro di me.

 


 

Sguardi di fanciulli

Cammino le mie giornate infinite
Tra i perduti sguardi
Di donne e uomini persi
E mi sovvien l’eterna canzone
D’un grande cantautore romano
Che molti anni or sono ne parlò,
Senz’altro meglio di me;
Tra dolori oscuri e lancinanti
Nel fisico e nella mente
Vago sempre più stancamente
Tra file di corpi inermi
Senza vita che traspaia giammai
Nel volteggiar dei loro inutili passi;
Mi guardo intorno, deluso ormai
Di quanta poca vita sia nel mondo;
Solo gli sguardi dei fanciulli,
I dolci, teneri, esili fanciulli,
Mi danno la forza di continuare
Il mio irto e lungo cammino
Con nel cuor la speranza
E nel viso gli occhi di un bambino.

 


 

Ad un cane

Amico mio, quanto tempo passa
Tra i nostri incontri rapidi,
Sguardi di un attimo
O coccole dolci e continue
Fin dai lontani tempi
In cui eravamo in tre
A passar le infinite giornate
Che il destin ci poneva dinnanzi;
Il nostro amico non c’è più;
Quell’amico dolce d’infanzia,
Ormai perduta per sempre,
È partito, verso nuovi lidi
E mai più farà ritorno;
Rimaniamo noi e i nostri sguardi,
Il mio di uomo triste,
Il tuo di vecchio cane,
Stanchi forse entrambi della vita
E certo un po’ più soli;
Tu con i peli bianchi
Sul viso tuo canino
A segnarti la fatica d’anni
Spesi ad aspettar un ritorno
Di tempi che non verranno più
Ad allietar le dure giornate;
O amico mio, quanto vorrei
Che i peli del tuo viso
Di cane dolce e affettuoso
Tornassero neri come un tempo!
Quanto vorrei che quell’amico
Nostro tornasse al suo tetro ovile!
Questo non vuol la Natura
Disonesta, quel potere corrotto
Che non ferma il tempo
E fa passar rapidi come saette
I tempi lieti che vorremmo
Non passassero mai.
Natura, vorrei solo implorarti
Di farmi vivere per sempre
Ciò che di bello c’è nella vita,
Ma la mia preghiera sarebbe vana
E non te la farò: vivrò
Ogni singolo istante
Con il battito costante
Di chi vuole vivere fino in fondo
E serbare poi nel cuore
Un dolce ricordo struggente.

 


 

Ed io ti penserò

Ed io ti penserò
Durante i miei viaggi
Durante i pellegrinaggi
In giro per il mondo
Il mio pensier andrà spesso
A colei che il mio giovane cuore
Un passato dì ha stregato
Senza che nemmeno io stesso
Sia pur in grado sommamente
Di comprenderne il perché.
Eppur ormai continuamente
Non posso che pensare a te,
Dolce e giovane fanciulla
Che ricorda i miei tempi lontani
Dove una gioventù ancor acerba
Calcava le mie giovani membra,
Ancor non così stanche del vivere
Che in triste destin mi fu dato
E ancor desideroso e passionale
Mi sentivo ed ero,
Ben più dell’oggi in cui
Di quella passata giovinezza
Altro non resta che l’acerbo ricordo
Confuso e frammentario
Ma comunque all’anima gioioso
Che tante cose dalla mente
Ha escluso ciecamente
E solo il dolore lancinante
Della tetra malinconia
Di essa ha preso il posto
E mai lo lascerà
Fino a quando, per me
In questa astrusa vita
Ancor posto ci sarà.

 


 

Lo spazzolino

Che differenza c’è tra me
E un banale scialbo oggetto
Che s’usa in casa tutti i giorni?
Come, che so, uno spazzolino?
Che tu usi fintanto che ti è utile
E poi getti via nel cestino
Quando si siano ben bene rovinate
Tutte le setole incrociate?
Ecco, io mi sento proprio
Come quello spazzolino
Gettato dal mio vicino
Quando perdo d’utilità;
Non c’è amore né affetto
Nei gesti dell’umanità;
Non c’è cuore né solidarietà
Ma solo una squallida utilità
Che io chiamo egoismo.