PREGHIERA D’INIZIO
Non ho più cuore
per amarti,
pochi colori, però,
per dipingerti
sullo sfondo
di un mare silenzioso,
un solo pensiero
per dirti
che mi sei più intimo
di me stesso,
o volto chinato
sui morenti.
Quando ti ammiro
più libero del vento,
o intento
a ricamare trine,
o a degustare
tutti i sapori della vita,
io muoio
nei tuoi occhi veri,
sul tuo petto squarciato,
quasi a dirmi
che di là posso risalire
al delirio del tuo cuore
in fiamme,
alle tue labbra
screpolate
dall’arsura meridiana,
dal tuo silente morire.
FRANCESCO CHE COSA TI GONFIA IL CUORE
(dedicata a Papa Francesco)
Ampliare gli spazi
perchè il gregge
trovi il suo posto
nello spazio
esatto del recinto,
ove,
anche un belato
sofferente,
allarma
il cuore
del suo pastore.
TRADITO
Perché tu, mio padre,
mi hai tradito
nel mio sbocciare,
nei miei sogni,
nel costruirmi
attore della vita.
Mi hai regalato
una vita senza vita.
Perché tu, mia madre,
mi hai generato gracile
ansimante di respiri,
e non mi hai allattato
al petto turgido di Maria,
lasciandomi un corpo
senza latte
e un petto senza amore?
Tu sognatrice si felicità
hai tarpato le ali
al mio futuro,
immolandomi ai tuoi idoli.
Perché voi che detenete
i destini della storia
vi siete inventati cattedre
Grondanti inganni,
sevizie e corruzioni,
deponendo le armi
della giustizia e della pace?
Vi accuso di essere i lestofanti
della vita anche della mia.
Ora son solo.
La paura non è la migliore
delle mie socie
in questo tetro scorcio di tempo:
ha deviato gli strali contro di me.
Nei paraggi del silenzio,
degli incontri
e dei pacifici conviti,
da voi sequestrati
e offerti ad ignote forze,
tentiamo, ahimé, senza di voi,
di costruirci un volto,
che ci restituisce
quanto voi tutti
avete occultato
al mio vivo desiderio
di vivere più oltre.
E son felice
di poter riprendere il cammino.
Non voglio da oggi,
costruire polli per le mense
ma aquile reali
per tenerle, ad ali spiegate,
a protezione dei miei sogni.
SUPPLICA ALL’INCALDANA
Ti sono vicina come non mai.
Passo la mia mano leggera
sulle tue guance matide e ti sento
tremare come un passero
dentro la tempesta
e come uno che si è lanciato
alla negazione della vita
e non ti accorgi
della mia mano materna.
Ma ci sono. Eccome.
Non avrei voluto scriverti così
come purtroppo sto facendo.
Avrei voluto da vicino ascoltare
la tua voce rotta in pianto,
le tue mani tremanti,
i tuoi pensieri persi nel vuoto,
il tuo ansimare.
Avrei voluto abbracciarti
come questo bambino,
che stringo tra le braccia.
Ma vedo che sei altrove,
prigioniero dello smarrimento.
In fuga da te stesso.
Avrei voluto consegnarti
alla mano imperiosa di mio Figlio
e tenerti sotto il manto che mai
rifiuta la paura di qualcuno.
Ma dove sei tu, ragazzo, pure incolpevole,
perché non hai ricevuto dai tuoi cari
l’annuncio che Io, l’Incaldana,
sono la custode della tua vita.
Dove sei tu, mamma, che ogni giorno
scegli strade, opposte alle mie,
e credi di trovar che cosa?
Solo bagliori e non la “Via lucis”.
Dove sei tu, papà, a cui, nel tempo,
ho dato ampie dimostrazioni
di starti accanto nelle mille calamità vissute
e non ti ho abbandonato
quando tutto andava alla deriva.
Dove sei tu, adolescente e giovane,
che hai ceduto alla seduzione
di un paradiso artificiale e non mi cerchi,
e, son costretta a raccoglierti
più volte con una siringa infilzata nelle vene.
E così siamo in due ad essere infelici:
Io, perché vivo, una malinconica solitudine
e non trovo più il volto, gli occhi,
le guance dei miei figli, di te, per abbracciarti.
Ti dico la verità: mi sento sola.
Mi sento messa da parte, inutile.
Mi sento una madre orfana: senza di te
non sono più madre!
Ti prego, vieni a togliermi
dalla mia nostalgìa lacerante.
Ho bisogno di te. Solamente di te.
Di te, ad ogni costo;
tu, che vuoi evadere dal mio cuore
per trovar che cosa? La solitudine,
che ha invaso la tua vita e non la puoi
allontanare con le evasioni di gruppo,
con l’inconsistenza dei non formati,
con volti e cose patinate: la superficialità.
Ti prego, ritorna al mio cuore.
Insieme andremo da mio Figlio e gli diremo:
“no ti importa che noi moriamo?
O sotto la croce per ascoltare
Il grido straziante: “ho sete!”
Una goccia di quell’acqua sei tu! Ti attendo.
Sono qui, nella dimora, che da secoli,
mi sono scelta a Mondragone.
E ti prego, ancora, non negarmi
Il tuo abbraccio caloroso:
Io sono l’Incaldana!
Posso riscaldarti il cuore per ripartire insieme.
Così, semplicemente. E credici sempre:
domani è già primavera,
perché avrai scelto di essere nuova creatura!
CHI COME DIO
Dove ascendeva
l’ingegnoso Icaro
per sloggiare Dio
dal suo trono!
E Prometeo
che dell’Olimpo
voleva occupare
lo scranno più alto!
Diocleziano, più infame,
progettava di estirpare
la progenie del buon Dio!
Giuliano adirato
col suo giavellotto
anelava a conficcarlo
una seconda volta
nel petto del nazareno!
Enrico re, falso penitente,
mirava, strisciando
tra le siepi di Matilde
ad assoggettar la sposa altrui
e dilaniarne, poi, le carni!
Il còrso imperatore,
allungando la mano,
sul nocchiero della barca
mirava a superarne il peso!
I gerarchi del secolo corto
svolgevano lo stesso tema,
lastricando la terra di cadaveri
e tenendo i destini
dentro un nugolo di voci!
E Xigiping al colmo
di ogni falso sillogismo
dichiara oggi essere lui
un gradino al di sopra
dei celesti imperi!
E quanti con forze liberali
hanno depistato
le verdi ricchezze della terra,
preparano le mense
per pochi commensali!
Voi tutti nominati
e quanti a voi s’accodano,
emulando imprese e gesti,
siete nani al cospetto del covid,
che sardonico abbatte
le vostre sicumère.
Arrendetevi,
voi non siete Dio!
Consentitegli almeno,
l’esercizio del perdono!
Sarà l’altra faccia della luna,
che domani andremo,
veritando, a costruire.
SALI PIU’ IN ALTO
Se t’inerpichi per brumastre zolle
di pallidi pensieri
tra braccia estranee,
che issano al vento il nulla:
ti prego, sali più in alto!
Se non trovi l’uomo di Cirene
a solidali concorsi d’intese,
quando più forte risuona
lo straziato Elhì e crolla
Il respiro sul tuo muro di pietra:
ti prego, sali più in alto!
Se Veronica non ricama un lino
per l’ora che passa accanto a te
il moribondo rantolo
e le mani perdono la presa
nel disperato dolore
di raccordarsi a Lui:
ti prego, sali più in alto!
Se le donne di Sion
bruciano ugole e voci in urli
a denunziar che l’innocenza
è stritolata nelle fauci del leone
in un’agonìa senza tempo:
ti prego, sali più in alto!
Se t’accade di fissare in Maria,
paralizzata nei figli,
un cielo, che versa lacrime
e traduce in musica
gli urli solcati da note inconsolate:
allora stai arrivando!
Se lo adori morente,
mentre inabissa la tua morte:
sei finalmente giunto!
L’OFFERTA DI TE
In quella curva del lago
non troveresti umane logiche
per spiegare il cullarsi
di due cuori sull’onda placida,
che assecondò altri amorosi incontri,
dove l’unica vittoria è il darsi.
Dove la mente non conosce paure
e il dono è libero;
dove il mondo non è stato spezzato
entro anguste mura domestiche;
dove la parola sgorga pura
come da sorgente alpina;
dove lo sforzo incessante
tende le braccia verso la perfezione;
dove il limpido fiume della regione
non ha smarrito la vita
nell’arida sabbia del deserto
del dato, del logico;
dove tu, eletto al convito dell’Amore,
guidi innanzi la ragione
verso pensieri e azioni più alte:
in quel cielo di libertà,
costituito sentinella di un’ora greve,
potrai costruire spazi più ampi
ai pellegrini della gioia
e un anfratto sicuro a coloro che
han perso il gusto del vero cibo.
QUANTO VALE
Quanto vale
Il calore di un abbraccio,
la rigenerante energia di un sorriso,
il suono dolce delle tue parole,
sedere insieme dentro un convito,
l’ascolto dell’aèdo,
il tocco di classe di un pallone,
la corsa senza freno alla spiaggia,
il far volare insieme un aquilone?
Ieri, proprio niente,
poiché tutto questo ti sfiorava solo
con un prezzo irrisorio,
tanto che, blasfemando, hai detto,
ripetendo il tuo dramma:
“tutto mi annoia”.
E via di lì a ritirarti moribondo
sulle piazze vischiose degli spacci!
Or che questo a te è sottratto,
non aveva forse un peso?
Domani, imparerai a regalar sorrisi,
di quelli che ristorano la vita,
a stringere con mano calorosa
altre mani interpellanti,
a regalare un fiore che nobilita.
Tutto avrà nuovo sapore
e nuovi orizzonti alla portata,
perché avrai incominciato a capire
che nei piccoli segni,
dimora la fonte stessa della gioia,
che rischia ancora un disinnesco
se anche del silenzio forzato
non farai una maestra saggia,
le risposte giuste alle attese
della vita.
CAMBIERA’ QUALCOSA
Cambierà qualcosa,
dopo l’alieno?
Tutto deve cambiare.
Se quanto sepolto ancor vivrà,
sotto le ceneri,
dei riti celebrati
nelle false cattedrali,
e le “feries Augusti”
avranno saziato le fauci,
che han più fame che pria,
sarà ancora agonìa.
Quando, invece, avrai smesso
d’assaltare il cielo,
credendolo tua dimora
e non di Altri;
ed Eva non si volgerà
all’albero di vita
ma coglierà i frutti
alla sua portata.
Quando Napoleone avrà smesso
di calpestare le nazioni
con Hitler, Stalin e Mao
e di battere suoli altri
con la forza delirante
di re blasfemi.
Quando gli spiccioli di vita,
consumati ingordamente,
sulle are pagane
in ogni latitudine,
ti restituiranno il fervore
di svolazzare sui prati in fiore.
Quando una mente libera,
annullerà i contratti
già segnati sull’agenda
con i signori delle piazze,
e dirà che la vita ti appartiene
e ogni pensiero e ogni membra
non sarà preda del piacere.
Quando nella tempesta placata
di questi giorni, senza sorrisi,
ti ritornerà il sapore
del petto di tua madre,
dello sguardo interpellante
del fratello,
della fibra forte di tuo padre,
del sapore genuino delle cose,
della nostalgìa della casa comune,
del desiderio genuino
di godere di ogni dono di natura.
Quando ai tuoi conviti
non mancherà nemmeno
l’ultima bocca e l’ultimo cuore
non batterà all’unisono con gli altri,
un altro balordo
potrebbe guastare la festa della vita:
finalmente si è fatto giorno,
finalmente è Pasqua.
PARTENDO
Per la mia festa invitate i giovani
d’ogni sentiero
che han tessuto le tele
del mio tormento
e le mie estasi.
Giovane sia il canto
che scava senza sosta e resa
nuovi spazi amicali
e sia così la voce
che mi annunzierà all’eterno.
Ditemi parole giovani
di quelle che preannunciano
l’avverarsi di un sogno atteso
e invocano il delirio dell’amore
tra la noia dei ristagni.
Voglio solo sguardi giovani
che solcano le vette dei sogni
e violano le barriere
dell’impossibile.
Se pure una lacrima
vorrà passare
voglio che sia giovane
come smagliante è la perla offerta alla luce.
E quando il sole mi desterà all’altra sponda
in fondo all’abisso dello sguardo
perduto come in un trionfo di luci
scrivete a chiare lettere:
«c’è una festa per voi giovani».
Sarò giovane compagno di una stella
che già spenta rinnova il suo dono
per ciò che ogni giorno ricomincia.
Vi invito alla marina
ove si scioglie la vela della vita
di chi, per gratuità,
lasciò mutarsi in offertorio.