Dora Angela Ruvolo - Poesie

Palermo dei fantasmi

Mi trovavo, invitata, in uno dei circoli della mia città
dove, ad ogni solstizio d’estate, si radunavano personaggi cultori dello spiritismo e di altre stravaganti, per me, pratiche esoteriche.
In realtà, la mia presenza fra quegli accoliti appassionati del cosiddetto soprannaturale, era dovuta al semplice desiderio di scoprirne quelli che consideravo trucchi e fantasie…ne dirò in seguito quanto, invece, fui affascinata da una storia narrata da più voci, simile ad un autentico show da palcoscenico: quattro le voci recitanti, due le donne e due gli uomini che indicherò con l’iniziale dei loro nomi, in osservanza all’anonimato richiesto.

La collana di Aurora

N-
“Non tutti sanno cosa e come avvenne il tanto romanzato sbarco dei Mille nella nostra Isola in quel fatidico anno che segnò la fine del grande e ricchissimo Regno delle due Sicilie.”

T-
“La Storia da sempre l’hanno scritta i vincitori e poiché era indispensabile che si costruisse un alone di eroismo e slancio patriottico per giustificare quell’invasione simil barbarica, si dovette mistificare la nuda verità e fare della figura di un mercenario, Garibaldi ,l’eroe per eccellenza…colui che con soli mille audaci, avrebbe conquistato nientepopodimeno che un Regno!”

E-
“ Grande stupore colse gli abitanti di Marsala e dintorni nel vedere alla fonda una nave battente bandiera di Sua Maestà Britannica e sbarcare da una scialuppa, belli ed infiocchettati di galloni e mostrine, due aitanti giovanotti forniti di baffi biondastri e spadino al fianco.”

R-
“ Poco prima di loro, sbucati da una carretta del mare, una accozzaglia di esaltati in camicia rossa, avevano già espletato le loro funzioni corporee, liquide per grazia di Dio, sulla battigia. Alla testa dello squadrone, eretto come se avesse inghiottito un bastone di scopa, un allampanato di età indefinibile,al grido di “Palermo!Stiamo arrivando!” si era messo a sventolare uno stendardo più per cacciare via le mosche che l’avevano assaltato che per farne mostra ai sbigottiti astanti.”

N-
“ Viva Garibaldi! E Viva Vittorio Emanuele, Re d’Italia” subitamente urlarono gli scalmanati in camicia rossa ma poiché nessuno di coloro che stazionavano già da qualche ora sulla banchina del porto a godersi lo spettacolo, aveva fatto eco ai Viva! e Viva!, i Mille, ingrugnati e offesi, se la batterono in ritirata ed in men che non si dica uscirono dal porto e, così fu riferito, si imbucarono dentro un paio di taverne.
I due Inglesi, con l’atteggiamento dello snobismo più dissacrante che mai si sia visto, essendo nel frattempo arrivata una carrozza col tiro di due magnifici sauri, a passo lento e dinoccolato, vi si accostarono e, prima uno e dopo l’altro, vi entrarono.”

E-
“ A Palermo! comandarono all’unisono e subito il cocchiere schioccando la frusta per aria, spinse i sauri al trotto.”

T-
“Il viaggio sarebbe stato lungo e irto di pericoli. Le montagne brulicavano già di Briganti fin dalle prime voci sull’imminente arrivo di sbirri piemontesi che avrebbero costretto tutti gli uomini di paesi, villaggi e città, ad arruolarsi per sette anni in un esercito non bene definito e comunque non di Francischiello, come era affettuosamente schernito il sovrano Borbone. La maggioranza dei maschi giovani, quindi, aveva scelto di darsi alla macchia per non incappare in quella sorta di galera, lontana da casa e dopo avere abbandonato bestiame e raccolti alla pioggia e al sole. In poche parole, alla rovina.”

R-
“ Tant’è che, alla fine di un viaggio di due giorni e tre notti, spogliati di ogni avere…ma vivi!..e con un solo sauro lasciatogli per carità cristiana, quando infine arrivarono a Palermo, i nostri due gentiluomini inglesi, scendendo dalla carrozza nel bel mezzo di una piazza e di fronte ad una folla impietrita dallo stupore, in perfetto italiano giurarono a gran voce che “alla Sicilia avrebbero preferito la morte”!

N-
“ Ben altra atmosfera aleggiava in quel frangente nel palazzo dei Duchi di C., in contrada Maredolce, luogo preferito dalla nobile famiglia in cui riparare nei mesi del solleone, a causa della verzura rigogliosa che, per centinaia di ettari, si estendeva dalle pendici del monte Cofano sino al mare.
Sulle terrazze era un via vai di camerieri in livrea delle grandi occasioni, intenti a preparare il banchetto per il festeggiamento del sedicesimo compleanno di Aurora, unica figlia ed erede dei Duchi e, al quale avrebbe partecipato tutta la nobiltà palermitana nella segreta speranza degli illustri anfitrioni che, fra i rampolli di quella folla di invitati, Aurora si decidesse ad accettare una fra le numerose proposte di matrimonio che le sarebbero state offerte.”

R-
“ Speranze vane, quelle covate dai suoi genitori!…poiché la deliziosa zitella aveva più volte dichiarato di non avere nessuna intenzione di convolare a nozze! Esperta amazzone e provetta arciere, usava trascorrere le sue giornate in giro per la tenuta e, fatto insolito e discutibile, fermarsi a bere un bicchiere di buon rosso spumeggiante nella casa del guardiano della villa, dopo avere legato ad un albero il cavallo, suo inseparabile compagno di scorribande…anche al di fuori dei confini di quella proprietà.”

T-
“ L’indulgenza dei Duchi nei confronti dei capricci, così usavano definirli, della figlia, era motivata da una serie di lutti per la perdita di tutti i sette nati, maschi…ulteriore disdetta! morti appena ancora in fasce. Aurora, invece, arrivata quando ormai le speranze d’avere eredi si erano affievolite, si era presentata forte e vispa proprio al limite della età fertile della Duchessa. Non sarebbe stato possibile, quindi, non concederle tutto ciò che avrebbe richiesto, a cominciare da una condotta inusitata ed inconcepibile per quei tempi.”

E-
“ Ma torniamo ai due Inglesi momentaneamente lasciati su una piazza della città, in brache di tela,
affamati e con ancora nelle orecchie gli “alt!” urlati da scamiciati Briganti sbucati da grotte ed anfratti di montagne e crocevie di trazzere!
Per loro fortuna, la notizia del loro arrivo a Palermo, era giunta al Duca di C., portata da un suo affannato corriere incaricato di accogliere gli ospiti stranieri ed accompagnarli alla villa…cosa impossibile da eseguire dopo averne constatato le condizioni disperate e del loro aspetto e della carrozza senza più il cocchiere, semi svenuto e riverso a faccia in giù sul selciato. Il pover’uomo, già avanti negli anni, letteralmente terrorizzato dagli agguati subiti e temendo per la sua vita alla vista dei tromboni piantatigli sulla fronte, una volta giunto in salvo, era crollato privo di sensi.”

N-
“ A mezzanotte in punto di quella difficile giornata, i due Inglesi fecero il loro ingresso trionfale nel bel mezzo della festa: agghindati di dovere e ripuliti, furono accolti da esclamazioni di benvenuto da tutti i nobili ospiti, entusiasti della loro presenza…fatto non raro nella società palermitana, da sempre onorata nel ricevere le visite di forestieri cui mostrare quanta e quale raffinatezza e splendore d’arte e gastronomia la loro città sa offrire al mondo.
Aurora, bellissima ed originale come di consueto, abbigliata all’orientale e, con al collo, una favolosa collana di smeraldi in perfetta sintonia col colore dei suoi occhi, aveva intanto avvistato al primo sguardo, l’aitante figura di uno dei due Inglesi, lord Andrew per l’esattezza, un gran bel giovane biondo… ammiratissimo sin dal suo ingresso dalle signore e signorine di quello straordinario consesso di femmine annoiate a morte e stufe di dovere sopportare la vicinanza- si fa per dire- di impalati manichini privi di charme ”

E-
“ Aurora non perse tempo: subito gli si avvicinò ed in perfetto inglese, lo invitò a seguirla, per una passeggiata, in giardino.
Quello che i due, o meglio, lei, si dissero non risulta nella cronaca che poi si fece dei fatti, tuttavia il senso della loro chiacchierata, appare nel seguito della storia, laddove, rientrati dal giardino in tempo per il brindisi finale del ricevimento, risultò udibile nonchè incomprensibile il battibecco esploso fra Andrew e il suo compagno di viaggio, l’altro Inglese, più bruttino in verità, ma più gradito ai signori uomini forse in allarme per la presenza del giovanottone mangiato con gli occhi dalle signore mogli e figlie.
Cosa si erano detti i due compari britannici?”

T-
“ Di sicuro, il primo, che come un allocco era rimasto solo, cioè in mezzo alla canea dei buffet, nel tentativo disperato di acciuffare almeno un cannolo, terrorizzato al pensiero d’essere coinvolto in un regolamento di conti in difesa dell’onore della fanciulla rapita in giardino da quell’incosciente del suo amico…ebbene, nel rivederlo riemergere dalle fresche frasche, gli avevo ruggito un perentorio:
“ Guai a te, imbecille! Qui non si scherza…l’hai dimenticato?” Al che, l’altro, ormai bollito, gli aveva tuonato fra i denti: “Fatti i fattacci tuoi!”.

R-
“Sorgeva la luna e, come comandava il regolamento della ritirata, prima che l’astro splendente toccasse l’apice del suo insediamento, gli invitati saltarono sulle loro carrozze dopo una serie infinita di “grazie! …è stato un sogno, come sempre!” in fila indiana, come ad un funerale, scomparvero nel semi chiarore lunare del viale d’ingresso. Ma non sapevano che dopo sole poche ore, affranti meno, curiosi molto di più, sarebbero tornati indietro…”

T-
“La camera da letto di Aurora all’ultimo piano, il terzo per l’esattezza, godeva della prossimità di una enorme quercia secolare risalente addirittura all’epoca del Viceré spagnolo Maqueda; i rami frondosi, negli anni si erano inerpicati fino quasi ad entrare nel vano dell’ampia finestra e non era raro che qualche muso di scoiattolo curioso apparisse di tanto in tanto, sbirciando dietro la tenda di velo trasparente per scapparsene via se Aurora tentava di acciuffarlo.
Quella notte di plenilunio, la stanza era illuminata a giorno, il che non aveva impedito a due amanti…superfluo svelare chi fossero…di esibirsi in acrobazie amorose, nudi e ansimanti,davanti la finestra aperta dapprima e, in seguito, fra le cortine del letto, piccolo e verginale, colpito in pieno dai raggi della luna.”

R-
“L’agente segreto di Sua Maestà Britannica, tale era in realtà il bell’Andrew, spedito a controllare la spedizione dell’eroe dei due mondi voluta esattamente dal Primo Ministro di cotanta monarchia, pur non essendo digiuno di pratiche amatorie, si era comunque trovato di fronte ad un surplus di lavoro per lui totalmente nuovo, per la qual ragione, ad un certo momento, al limite della spossatezza, era sprofondato di botto in un sonno profondo lasciando di stucco l’instancabile fanciulla dei suoi sogni. Al piano di sotto, in una camera da letto riservata agli ospiti e che la Duchessa aveva voluta addobbata come quella dell’Imperatore della Cina, tanto esigente era la sua passione per le mode dell’ultim’ora, l’altro spione inglese si stava strappando i capelli, codino compreso, in preda alla disperazione.”

“N-
“ Sullo stesso piano, poco distante dalla sua, c’era infatti la suite padronale e il russare dei due insigni genitori di quella pazza di Aurora, si diceva fra gemiti e pugni al cranio, quel russare di tanto in tanto si interrompeva, segnale inequivocabile che i coniugi non erano affatto in sonno profondo.
E se il Duca avesse voluto assicurarsi che l’adorata figlia stesse dormendo, ben coperta e con la finestra chiusa, ora che il fresco della notte si faceva sentire?…ed entrando nella sua stanza, anche se mezzo orbo di un occhio, avesse visto quello che non era assolutamente da vedere?…e, con la calma e la signorilità di cui era indiscussamente rivestito, estratta dalla tasca della vestaglia con lo stemma del casato, l’arma che portava sempre con sé, avesse fatto fuoco sulle cervella di Andrew e poi, per pareggiare la cortesia, anche sulle sue?”

E-
“ Intanto che il povero britannico si contorceva le budella dal terrore, qualcosa di più atroce- ma non per lui- stava per accadere al terzo piano.
Veloce come un fulmine, un’ombra dapprima e immediatamente dopo ben visibile, saltando dalla finestra e subito, lesto, tentando di infilarsi dentro al letto, un ragazzo, scalzo e brunito dal sole, spingendo il corpo di quello che dormiva e che nella fretta e nella semi oscurità non aveva visto, lo svegliò.”

T-
“Fu questione di pochi attimi: balzato fuori dal letto e preso lo spadino che era a portata di mano, Andrew, l’Inglese del diavolo, con un solo fendente al cuore, atterrò, morto, l’intruso…e mentre Aurora, paralizzata dall’orrore, non avendo fatto in tempo a fermarlo, urlava di disperazione, l’assassino si sbarazzava del corpo buttandolo giù dalla finestra. “Maledetto! Hai ucciso il mio amore! L’amore di tutta la mia vita!”: queste parole, urlate a squarciagola, svegliarono la casa…tutte le finestre si illuminarono e su per le scale si riversò la servitù al completo e insieme ai Duchi e all’altro Inglese, pallido come un morto, tentarono tutti di penetrare nella stanza di Aurora…inutilmente, poiché chiusa a doppia mandata dall’interno.
Quello che accadde nelle ore seguenti a quelle grida disperate è presto detto:l’Inglese, dopo una brevissima e concitata spiegazione ad Aurora nella quale le comunicò il da farsi per evitare uno scandalo dalle conseguenze nefaste che la povera ragazza in stato di shock fu costretta ad accettare, rivestito dei suoi panni, aprì la porta e, imperturbabile in perfetto stile britannico, annunciò alla folla che assiepava il ballatoio: “Un criminale, di certo un sicario del partito borbonico, questa notte ha osato introdursi in questa casa per effettuare la sua vendetta a danno degli illustrissimi qui presenti Duchi di C.. Richiamato dalle grida di sua eccellenza, la duchessina Aurora, in un battibaleno sono corso in suo aiuto. Il giovinastro, intenzionato a rubare le gioie dal cofanetto in cui sono esposte prima di passare ad introdursi nel letto della loro proprietaria, adesso giace, morto, per mia mano, giù, in giardino. Il mio intervento ha salvato l’onore della nobilissima Aurora evitando che fosse stato stato fatto orribile affronto alla sua casta persona.”

E-
“Un fragoroso applauso da parte della servitù seguì a queste parole pronunciate in pessimo accento italiano ma tuttavia abbastanza chiare da non correre il rischio di fraintendimenti. Dopo di che l’attenzione dell’uditorio si spostò sulla Duchessa,
accasciatasi svenuta sulle braccia del marito, in procinto, lui, di essere colpito da un colpo apoplettico, per cui fu necessario trasportarli d’urgenza nel loro letto, mansione questa affidata ad un paio di robusti camerieri. Il grosso della servitù, allora, capeggiato dal Monsù, primo cuoco della casa, si precipitò in giardino alla ricerca del morto. Nuove grida, ma di stupore, si levarono nella notte: il sicario-ladro e potenziale stupratore, riverso sull’erba sotto la quercia in un lago di sangue, altro non era che Ciro, il figlio primogenito del guardiano della villa!”

N-
“Un paio d’ore più tardi la notizia dell’accaduto volava già di bocca in bocca in tutta la città, costringendo gli invitati al ricevimento della sera precedente ad uscire dai loro letti, fra improperi d’ogni tipo e maledizioni ai Santi del Paradiso per l’ora scandalosa che li stava obbligando a rifare il tragitto dalle lenzuola alla tenuta dei duchi di C.
Né avrebbero potuto esimersi dal presentare alle loro Signorie illustrissime nonché potentissime, la loro solidarietà di appartenenti alla medesima casta oltre che il compiacimento per lo scampato pericolo. La lunga teoria di carrozze, nuovamente in fila indiana, alle prime luci dell’alba fu quindi rivista transitare sotto gli alti alberi del viale d’ingresso, con i cocchieri a cassetta che reggevano a stento l’anima coi denti, ubriachi com’erano dopo le bevute offerte di soppiatto anche a loro mentre stazionavano in attesa che il festino finalmente finisse.
E i due compari inglesi, che ne era di loro in quel nuovo raduno fuori orario di tutta la nobiltà palermitana?”

R-
“ Intenzionati a squagliarsela al più presto adducendo la scusa di dovere raggiungere senza indugio alcuno il paese di Calatafimi dove era in corso d’opera il putiferio scoppiato fra i Mille e la popolazione locale, si erano accomiatati dai padroni di casa, dopo accorati ringraziamenti ed auguri di un meritato successo dei loro impagabili aiuti alla causa del rinnovamento politico in atto,stavano per salire in una carrozza messa a loro disposizione, quando, da una finestra del terzo piano, li colse un lancio puzzolente di un liquido dall’odore inequivocabile di urina. Un intero contenitore di quella sostanza era stato scaricato da mano ignota, ritiratasi subito indietro dal vano della finestra. Era ormai chiaro anche ai due imbranati di Albione che la loro presenza in quel di Maredolce, estrema periferia ad ovest di Palermo, fosse in pericolo di chissà che altri lanci dalle finestre…per cui, grondanti di piscio, si affrettarono ad entrare in carrozza per sparire,- for ever- dalla circolazione.”

T-
“ Quando Garibaldi entrò in Palermo, nonostante gli fosse stato profetizzato un trionfo di popolo, da ogni vicolo fu accolto da una gragniuolata di colpi di moschetto, condita da sonore pernacchie e da lanci di oggetti di tutti i tipi : il popolo basso, legato alla casa regnante dei Borboni, non avrebbe potuto accettare di farsi servo d’altri padroni, per altro dalla fama di estortori delle risorse economiche e finanziare del Regno e conclamati ladri delle fabbriche e delle officine sparse in tutto il sud, da Napoli alla Sicilia.
Quelli che invece lo accolsero da trionfatore, ringalluzziti dalla promessa di titoli da senatori del Regno da aggiungere a quelli già esistenti, furono i nobili, complici sin da tempi immemorabili, della rovina e della svendita della loro terra e del suo popolo .Invitato nei salotti dell’alta società nonostante le maniere da bifolco arricchitosi, il nostro eroe si sarebbe volentieri attardato nel proseguire la sua rivoluzione da burla in quel contesto di ruffiani e belle dame, senonché come da contratto, la sua partita sarebbe dovuta concludersi altrove e, per lo scherno del popolo in quel luogo che nella parlata dialettale risuonava col ridicolo nome di “tiano” ovverossia di “tegame”!

N-
“ Ma adesso fermiamoci e lasciamo che il tempo passi…
Erano trascorsi dieci anni da quel tragico episodio avvenuto la notte dei festeggiamenti in onore del sedicesimo compleanno di Aurora: lei, da allora, non si era più mossa da quella casa ed inutili erano stati tutti i tentativi dei suoi genitori per convincerla a tornare a vivere in città. In compagnia di una sola fidata cameriera, senza più neanche la servitù, obbligata ad allontanarsi per seguire i Duchi nel palazzo di Palermo, trascorreva quasi tutte le ore del giorno rinchiusa nella sua camera da letto e solo la notte ne usciva per girovagare in giardino, incurante della pioggia, se era inverno o seduta ai piedi della grande quercia al chiaro di luna, se si era nella bella stagione. Nè, dopo una serie di implorazioni ed anche di minacce da parte dei due disperati Duchi di C., né durante la malattia della madre, costretta ormai sulla sedia a rotelle o di fronte alla sopravvenuta totale cecità del padre, aveva desistito dal progetto di rimanere isolata in quel recesso inespugnabile.
Di tutti i suoi gioielli, cercati affannosamente quella mattina di dieci anni prima, l’unico che non si era più trovato era la splendida collana di smeraldi, indossata quella sera fatale. E dire che la casa tutta era stata messa a soqquadro per più giorni…niente! La collana era scomparsa! Anche le tasche delle brache del povero Ciro erano state rivoltate prima che lo seppellissero, ma neanche in quegli stracci si era trovato nulla.”

R-
“ Accadde però, che allo scoccare del suo ventiseiesimo compleanno, Aurora annunziasse all’improvviso, di volersi sposare e al più presto possibile! La notizia piombò come un fulmine su tutta la città: su di lei, infatti, anche fra la gente del popolo,si era a conoscenza del suo ritiro dal mondo e, com’era prevedibile, un vero terremoto fu scatenato nei palazzi dell’alta società non appena si vociferò del desiderio di Aurora di prendere finalmente marito!A chi sarebbe toccata la fortuna di imparentarsi con la famiglia dei ricchissimi Duchi di C.? L’impazienza di sapere il nome di quel vincitore, per alcuni giorni riempì i botteghini del Lotto e le stamberghe delle cartomanti in voga in quei giorni: centinaia di nomi e numeri furono messi a confronto con quelli dell’età e del rango più papabili di altri a scalare il soglio maritale…

E-
Intanto che la frenesia dell’eccitazione montava fra la nobiltà, i due increduli genitori, trasportati subitamente nella tenuta di Maredolce da una folla di camerieri ed amici, dopo essersi sciolti in lacrime nel riabbracciare la figlia “rinsavita” , senza por tempo in mezzo, ripreso il comando della casa, avevano iniziato ad organizzare la gran festa della riconciliazione di Arianna col resto del mondo!
Sarebbe stata, quella, l’occasione in cui, si supponeva, scelto il pretendente al ruolo di sposo fra le decine di richieste arrivate a loro, Duchi di C. e depositari del diritto di accettazione, il fidanzamento sarebbe stato ufficialmente dichiarato e presentato in società.

E-
La sera del genetliaco della Duchessina, il bel palazzo di Maredolce, illuminato dalla luce di centinaia di candele e lanterne, si riaprì alla nobiltà della città in seno alla quale figuravano ormai alcuni nomi altisonanti con corollario di titoli quali “gran Senatore del Regno d’Italia” e, addirittura, “Nobilissima Dama di compagnia di Sua Maestà la Regina”. Costoro, scaricati in mattinata dal postale proveniente da Napoli dopo avere abbandonato in fretta e furia le loro nuove dimore nella capitale del Regno, provocarono grande entusiasmo fra quelli che erano rimasti in Sicilia,- rosi dall’invidia fino ad augurare loro le peggiori disgrazie,- per l’esibizione di abbigliamenti della nuova moda parigina non ancora pervenuta a Palermo.
C’è da aggiungere a tale quadro delle novità della serata, l’affissione sulle pareti del salone delle feste, dei ritratti del Re d’Italia, di Garibaldi a cavallo, del conte di Cavour e, dipinto in modo piuttosto artigianale, del fatidico incontro a Teano fra i due responsabili della fine dei Borboni.”

N-
“La festa era già in pieno svolgimento fra musiche, balli e svuotamento di calici di champagne, quando Aurora, finalmente, comparve sullo scalone d’ingresso al salone, pieno come un uovo di invitati.
Il silenzio, piombato improvvisamente nel bel mezzo del frastuono di centinaia di voci e di musica,dopo qualche secondo, fu seguito da un’esplosione di incredulo stupore: al collo di Arianna, illuminata da folgoranti bagliori, la collana di smeraldi data ormai per scomparsa, era lì…proprio come si era vista dieci anni prima…la notte di quell’ indimenticabile sedicesimo compleanno!
Com’era possibile che dopo tutte le ricerche effettuate a vuoto per trovarla, fosse ricomparsa senza che del suo ritrovamento se ne fosse avuta notizia alcuna?
Il Duca di C. nonché padre della neo fidanzata, volle subito accertarsi che si trattasse proprio dell’originale e, cieco come era ormai da anni, si fece trasportare, sollevato di peso dalle braccia di due robusti camerieri, in cima allo scalone accanto alla figlia che da quella posizione non si era ancora decisa a smontare.”

T-
“ E’ proprio lei, l’originale! – gridò da lassù dopo averla ispezionata col fiuto dei non vedenti- Lei! quella confezionata a Napoli dall’allora gioielliere di corte! ereditata dalla prozia di mia madre!- continuava a strillare in un delirio di gioia cui facevano eco altre grida di sorpresa dalla platea del pianterreno.
Immobile come una statua, con addosso un paio di pantaloni da stalliere ed una consunta casacca da aiutante giardiniere, scalza…nel trattenuto raccapriccio dei presenti ormai definitivamente stravolti dal susseguirsi delle sorprese…la bellissima promessa sposa, non si era ancora degnata di fornire la spiegazione né del ritrovamento della collana, né del suo spaventoso abbigliamento, alle richieste che avevano cominciato a caderle addosso.
L’unico a non essersi scomposto nel putiferio scoppiato ma che con malcelata goduria aveva continuato ad ingozzarsi di dolciumi e champagne, era stato l’anziano Barone di T., ovvero il felicissimo futuro marito di Aurora…notoriamente ridotto in miseria a causa del suo ostinato vizio alle scommesse sulle corse dei cavalli ed alle perdite sui tavoli da gioco nei casinò di mezz’Europa.”

R-
“ Che non si pensi, amici carissimi, che l’arcano sia stato svelato! L’impenetrabile Aurora, una volta decisasi a mettere fine alla gazzarra suscitata, avendo con un cenno imperioso ordinato ai musicanti di ricominciare a suonare, con passo leggero fu vista raggiungere il Barone di T., suo fidanzato, e, presolo per un braccio, trascinarlo in una indiavolata polka…
Nè quella sera, né mai più per il resto degli anni, il segreto di quella incredibile messinscena uscì dalla sua bocca; gli sponsali avvennero, come previsto, una settimana dopo i festeggiamenti di quella serata e furono seguiti dalla nascita di tutti i figli che il Barone di T. fu in grado di permettersi fino al giorno della sua dolorosa scomparsa, avvenuta al rientro in Palermo da una corvée nei Casinò di mezz’Europa.”

⁃ “…ma allora? …comu finiu?…nenti sinni sapiu ddu mistiero dda collana?” ( ma allora? Come finì? Non se ne seppe più nulla del mistero della collana?) una voce dal fondo sala si era improvvisamente intromessa fra una pausa e l’altra nell’avvicendamento fra le voci recitanti. Le rispose un’altra, proveniente dalla prima fila di sedie: “Col permesso di questi eccezionali fini dicitori, la racconto io la fine di quella strabiliante vicenda… nessuno, qui, dei presenti mi conosce: mi chiamo Aurora e sono la pronipote di Aurora…grazie per gli applausi!…proprio quella, la protagonista della storia qui narrata! Sono appena rientrata in Sicilia da Parigi, dove risiedo, per il desiderio di rivedere la terra dei miei antenati e, giuntami alle orecchie che in serata presso questo illustre circolo si sarebbe parlato di fatti che appartengono ai ricordi delle mie famiglie d’origine, mi sono precipitata, con l’aiuto di un caro amico, vostro socio, ad assistere a questo meraviglioso salto nel tempo andato.”

⁃ Ero stupefatta ormai da ore dall’atmosfera creatasi dal racconto delle quattro voci, eppure continuavo a chiedermi cosa c’entrassero i fantasmi in tutta quella serie di episodi; fu il seguito della narrazione che ne fece la giovane Aurora, invitata a gran voce a parlare, a catapultarmi letteralmente in uno scenario di magia quale è l’invisibile, ai nostri occhi di scettici materialisti, l’universo delle Anime degli scomparsi dal mondo .Ovvero, come vengono ancora chiamati, dei Fantasmi!-

Aurora-
“Aurora, la mia bisnonna, campò quasi cent’anni, rimanendo però fino all’ultimo, nel pieno potere della sua mente. Quando mia madre andò a trovarla per comunicarle le sue imminenti nozze che sarebbero state ufficiate a Parigi, città di mio padre, lei si era ritirata nella tenuta di campagna ormai da molti anni. Non poteva più camminare ma il suo spirito battagliero era rimasto intatto motivo per cui volle accogliere la nipote in giardino dove, in suo onore, aveva fatto preparare un rinfresco imbandito lussuosamente ai piedi della grande quercia, luogo da sempre il suo preferito per accogliere le visite della sua numerosa famiglia, figli, nipoti ed i loro amici.
Fu in quell’occasione, sentendosi prossima alla fine della sua vita, che nel donare a mia madre il suo regalo per le nozze, la meravigliosa collana di smeraldi, si aprì a confidarle ciò che non aveva mai rivelato a nessuno.
Devi sapere, nipote mia,- iniziò a dire- che nella mia lunga vita ho avuto un solo amore.
Si chiamava Ciro e i suoi occhi splendevano come gli smeraldi di questa collana. Ci eravamo amati fin da quando io avevo dieci anni e lui quasi quattordici. Ciro mi aveva insegnato ad usare l’arco con le frecce, a montare a cavallo, a nuotare nel mare che puoi vedere uscendo da qui, proprio al di fuori di questa tenuta…Era bello e ardimentoso, non temeva niente e nessuno e man mano che andava crescendo divenne la creatura più seducente che abbia mai visto. La prima volta che mi dichiarò il suo amore, ci giurammo di non separarci mai; io ero ormai donna già a tredici anni, con tutti gli slanci della febbre d’amore, tant’è che in quello stesso giorno, prima su di un prato, poi, la notte, nel mio letto, volli tutto di lui, mi capisci? Da allora, per tutto il tempo in cui rimasi alla villa,- era l’inizio dell’estate- non passò notte che lui, arrampicandosi sulla quercia ed entrando dalla finestra, non trascorresse nel mio letto le ore del buio…per andarsene, lesto come uno scoiattolo, alle prime luci dell’alba.
Non avrei potuto sopportare che, tornando in città, dovessimo separarci…per cui escogitai uno stratagemma per evitare di trascorrere l’inverno senza di lui…finsi, allora, di soffrire di una tosse che mi passava solo respirando l’aria fresca ed ossigenata di Maredolce! Non avrei potuto inventare una scusa più brillante di quella! I miei genitori, infatti, dopo avere consultato il loro medico di fiducia, decisero che, ogni venerdì, ultimate le lezioni cui ero obbligata a presenziare sia in casa che, per alcune discipline, nel vicino convento delle Domenicane, accompagnata da due fidate cameriere, andassi a trascorrere nella tenuta di Maredolce, fino al lunedì sera, la provvidenziale pausa dal tormento che mi affliggeva!
Figuriamoci, quindi, se mi fosse mai passato per la testa l’idea di matrimonio! E poiché non avrei potuto sposare Ciro, il figlio del guardiano della tenuta, sarei rimasta a vita, nubile.
Quando in Sicilia accadde quel che accadde, mi riferisco all’invasione,- l’ennesima in questo territorio da sempre soggetto a mutamenti che ne hanno cambiato leggi e fortune, – con la calata disastrosa dei Savoia, insieme ai Mille di Garibaldi si precipitarono in Sicilia i veri organizzatori della spedizione, gli Inglesi, inviando in mutuo appoggio e controllo, navi e agenti segreti.
Due di questa genia di spioni, così si era concordato, sarebbero dovuti intervenire al ricevimento organizzato per festeggiare il mio sedicesimo compleanno…per tastare il polso della nobiltà palermitana che, in quell’occasione, si sarebbe presentata a Maredolce al gran completo!
E così fu fatto!
Uno dei due, non mi vergogno a dirlo, un gran bel pezzo d’uomo, quella sera maledetta, mi fece dimenticare il mio consueto appuntamento notturno con Ciro! Sarà stata la sbronza causatami dallo champagne…oppure il gusto, che mi è sempre appartenuto della trasgressione, il fatto è che non esitai ad accettare le sue avances e, da incosciente, lo invitai a trascorrere la notte nella mia camera da letto. Era una notte di plenilunio…per godercela tutta lasciai la finestra aperta…il seguito di quel che accadde lo conosci anche tu, nipote mia…tu e tutta la gente di questa città. Se ne parlò per anni…ma io ormai mi ero fatta sorda alle chiacchiere che si imbastirono su quella vicenda: non tornai più in città…avrebbero dovuto incatenarmi e portarmici di peso e mille volte sarei fuggita.
In quella stanza, cosa credi?…che restassi sola e per dieci anni?Per dieci anni, nelle notti di luna, Ciro venne sempre a trovarmi…compariva dal vano della finestra e fluttuando leggero si avvicinava al mio letto per stendersi accanto a me. Non potevamo toccarci…sai…lui era di una materia impalpabile…chiara e luminosa…ma a me bastava sapere che fosse lì, con me…che i suoi occhi mi guardassero…che mi trasmettesse, senza parlare, parole d’amore.
Quando la luna tramontava dietro le montagne, dal lato di ponente, era come se un leggero turbine dell’aria lo risucchiasse…scompariva…ed io mi accorgevo che al suo posto rimaneva, sempre, un petalo di rosa.
Poi, una notte, erano trascorsi dieci anni, mi comunicò che non avrebbe più potuto comparirmi ma, nel dirmelo con quel suo potere di parlare senza parole, ecco cosa mi comunicò: “Presto dovrai sposarti. Lo vorrai. La sera del fidanzamento indosserai la collana di smeraldi che troverai accanto a te appena io me ne andrò. L’Inglese che mi uccise l’aveva lanciata dalla finestra per fare credere che l’avessi rubata io…ma la collana non arrivò a terra accanto al mio corpo…rimase impigliata sul ramo più alto della quercia, nascosta dalle foglie. Nella stalla, nascosti, troverai gli indumenti che indossavo quella notte…ce li aveva messi lì mio padre…lì da allora sono rimasti…lui è morto poco dopo ucciso dal dolore e dalla vergogna. Indossali la sera del tuo compleanno insieme alla collana. Mi sentirai accanto a te.
Capii che stava per svanire alla mia vista e, disperata, gli gridai “Non andartene! Non voglio sposarmi! Non lasciarmi!”
Riuscii a malapena a sentire mentre il turbine lo risucchiava…”sposerai l’unico uomo che non si è venduto al nuovo Re…”.
Quando, pochi giorni dopo, venni a conoscenza che il Barone di T. aveva deciso di uccidere Garibaldi, appostandosi, armato, al passaggio
del corteo trionfale dopo la caduta di Palermo, corteo che all’ultimo momento fu deviato su un altro percorso per suggerimento di due agenti segreti britannici!…comunicai ai miei genitori la mia volontà di sposarmi e con lui!”

Il silenzio più assoluto calò sulla sala del circolo non appena la giovane Aurora tacque. Eravamo tutti sopraffatti dalla commozione: il suo racconto ci aveva proiettati indietro nel tempo…Ciro, il suo fantasma, la passione dei due sfortunati amanti, l’immagine della collana sul cuscino del letto di Aurora, il brivido che sicuramente lei dovette provare nel ritrovarsela accanto a sé…ci avevano ammutoliti.
Tornata a casa, stentai quella notte a prender sonno. Alla televisione, su tutti i canali che intercettai a casaccio in quell’ora tarda, tra ondate di pubblicità, si proiettavano i soliti filmacci americani a base di assassinii senza alcun costrutto. Roba da barbari…e già, allora pensai…ecco l’ennesima invasione!…ce ne libereremmo mai?

 


 

 

L’Ultima Tonnara

Prima ,…c’è sempre stato un “prima che” in Sicilia, prima che tutto cambiasse e … per l’ennesima volta, anche Palermo aveva la sua tonnara, una fra quelle dei paesi sulla costa occidentale dell’Isola e, nelle Egadi, a Favignana.
L’edificio dall’aspetto di un castello a mare, che durante la II guerra mondiale, ritenuto un fortino tedesco, venne bombardato ed ancora oggi se ne possono vedere le rovine, apparteneva ad una delle numerose famiglie della nobiltà cittadina che, come voleva la moda di quel tempo, usava dividersi a seconda degli umori e delle stagioni, fra le tenute dei feudi nelle campagne, le dimore di città e, più di rado, nelle stanze del castello non adibite alla lavorazione del tonno. Ciò avveniva proprio nel periodo in cui i tonni si avvicinavano alla costa per l’annuale rito dell’accoppiamento dando il via alla loro sanguinolenta cattura, fra le grida dei tonnaroli e gli spruzzi di sangue provocati dagli arpioni fin sulle facce dei presenti attorno a quella spaventosamente definita “camera della morte”.
In occasione di un viaggio “nel continente”, come veniva definito il resto dell’Italia, alla partenza dei genitori, il loro bambino di cinque anni, era stato affidato alla famiglia del Rais, il capo della squadra dei tonnaroti o tonnaroli, che abitava nei pressi del castello a mare, nella borgata della I. delle F., a quel tempo non ancora inglobata nella città.
La moglie di Saro, il Rais, donna Concetta, era stata la balia del piccolo rampollo, unico figlio della nobile coppia, nato sordo muto a causa del matrimonio fra cugini dei suoi genitori e non era la prima volta che Manfredino veniva lasciato alle cure della donna, sempre felice di averlo con sé ed anche il bambino ogni volta, con salti di gioia manifestava la sua contentezza nel tornare fra le braccia di lei.
Si era alla fine della primavera, tempo in cui la pesca del tonno portava al castello a mare un grande movimento di uomini e donne, quest’ultime addette alla pulizia dei locali siti al pianterreno.
Lavoravano tutti senza concedersi pause spesso fino alle ore notturne e donna Concetta, anche lei impiegata nella tonnara, per non lasciare Manfredino affidato alle figlie, Marianna e Ninfa di soli dodici anni, se lo portava con sé non mancando di accudirlo ed avendo organizzato per farlo dormire un giaciglio di fortuna in un angolo dell’enorme stanza in cui le donne si davano da fare a ripulire tavoloni e pavimento dal sangue dei tonni pescati.
Accadde che, una notte in cui donna Concetta si era momentaneamente allontanata in gabinetto per un urgente bisogno corporale dopo avere controllato che Manfredino stesse dormendo, rientrando si accorgesse del giaciglio disfatto e della mancanza del piccolo. Immediatamente, dato l’allarme, tutte le operaie si precipitarono a cercarlo tra le grida disperate della balia in preda al terrore…conscia del fatto che, sordo e muto, il bambino non avrebbe potuto udire le voci che lo chiamavano.
Intanto, nel frattempo che le donne mettevano a soqquadro ogni recesso del castello a mare, frugando sotto i tavoloni, su per le scale che portavano agli appartamenti privati dei proprietari, dappertutto pure nelle loro camere da letto e nei saloni di rappresentanza, appropinquandosi il sorgere del sole, l’imbarcazione del Rais si allontanava dirigendosi verso le altre barche appostate attorno alla camera della morte. Quella mattina ci si aspettava una mattanza straordinaria, avendo avvistato già alla luce delle lampare, una numerosa quantità di tonni in avvicinamento.
Purtroppo del bambino si erano perse le tracce nonostante non ci fosse pertugio che non fosse stato esplorato. Donna Concetta, al limite della pazzia, si era pure buttata in mare, tutta vestita e se non fossero intervenute un paio di forzute operaie riuscendo a ripescarla con l’aiuto di due lunghi arpioni mentre quella affondava, trascinata a fondo dai vestiti, sarebbe annegata a due bracciate di distanza dalla costa.

Quella fu l’ultima tonnara in quel luogo la cui fama di “maledetto” tenne lontana per sempre la gente della borgata: l’edificio, abbandonato sin dal loro rientro dal viaggio dai due infelici genitori del loro Manfredino misteriosamente scomparso nonostante le settimane di ricerca in mare, nei vicini paesi, nelle campagne limitrofe, in breve tempo divenne tana per topi e, sulle terrazze, approdo per gabbiani e nido per ogni sorta di altri volatili.
Sulla famiglia del Rais caddero le accuse più infamanti: che si fossero sbarazzati del bambino, vendendolo ad una compagnia di circensi che in quei giorni era transitata nei paraggi della borgata; che il Rais in persona se l’era caricato sulla sua imbarcazione per farlo assistere alla mattanza durante la quale, il piccolo, impressionato dallo spettacolo, volendo tornare a terra, si era buttato dalla barca e, una volta ripescato ormai morto, era stato occultato lanciandolo lontano, in mare aperto. La povera donna Concetta, oppressa dal dolore e dal rimorso, dopo giorni di vera e propria follia, fuggì con le figlie nottetempo e con l’aiuto di un parente, raggiunse il suo paese d’origine, all’estrema punta meridionale della Sicilia, per morirvi un paio d’anni più tardi, di un’epidemia di malaria.

All’inizio della II guerra mondiale, ed esattamente un anno prima che gli Americani sbarcassero sull’Isola, in effetti un manipolo di militari tedeschi si era acquartierato nel castello, avendo ritenuta la sua posizione di fronte alle coste settentrionali, ideale per gli avvistamenti di navi nemiche in avvicinamento.
Accadde che una notte, la sentinella di guardia su una delle due terrazze, notasse sul mare prossimo alla costa un oggetto non identificabile. Era una notte senza luna, immersa in un’oscurità impenetrabile, per cui il soldato volendo accertarsi che non si trattasse di un siluro lanciato da nave nemica, si affrettò a piantare sull’oggetto la luce di un potente faro…
Ciò che i suoi occhi videro appartiene, da allora, alla leggenda del “Pinocchio della tonnara”!
A cavalcioni ad un grosso tonno, un bambino dell’apparente età di cinque anni e dall’espressione del viso di chi, felice, sta facendo un giro sulla giostra, solcava la superficie del mare, liscia e lucida come quella di un carosello in un Luna Park.
In preda a quella che credette essere un’allucinazione, il militare urlando a squarciagola nella sua lingua “Chi sei?”, puntò il fucile sulla visione intimando l’Alt!ma giusto in quel momento,
tonno e cavaliere, si dissolsero come nebbia soffiata via dal vento.
Convinto, allora, che il vino bevuto poche ore prima di montare di guardia gli avesse provocato danni al cervello, volle liberarsene e ficcandosi due dita in gola sporgendosi sul vuoto, vomitò…sul comandante, che nella terrazza sottostante, stava godendosi il fresco della notte!
Dopo tre giorni di punizione in cella, al buio, esonerato dal turno di guardia, fu sostituito da un altro commilitone, tale Heinrich, ritenuto affidabile poiché astemio!
Purtroppo, il biondo e sobrio Heinrich, a coraggio non era quel che si può dire un ardimentoso eroe e già tremava al pensiero di dovere, solo e nella più oscura delle notti, servire da bersaglio ad un paventato attacco del nemico dal cielo.
Sul far della mezzanotte, all’improvviso, uno sciabordio dell’acqua del mare, vicinissimo alla costa, lo mise in allarme: chi si stava avvicinando a nuoto nel buio? di certo un sabotatore carico di esplosivo…ancora pochi minuti e si sarebbe saltati in aria, tutti, castello compreso!
Rapido e terrorizzato, il biondo e sobrio Heinrich, lanciò un razzo illuminante in direzione del nemico, urlando a sua volta “Ti ho scoperto, vigliacco” e, senza neanche guardare, sparò una sventagliata di colpi dalla carabina con le mani che traballavano come quelle di un epilettico in piena crisi.
La luce sparsa dal razzo, illuminò a giorno il mare fino all’orizzonte e agli occhi del pallido tedesco apparve infine l’entità del supposto sabotatore: un grosso tonno con sul groppone un bambino dell’apparente età di cinque anni, stava placidamente navigando a pelo d’acqua, per niente turbato dalla sparatoria e dalle grida dell’uomo.
La mattina seguente, non essendosi presentato all’appello nel salone, ex laboratorio della tonnara, Heinrich fu trovato svenuto, riverso sul parapetto della terrazza…con i pantaloni dell’uniforme militare, ancora grondanti di piscio!
A questo punto, il Comandante della truppa, pur non essendo dotato di capacità divinatorie, volle accettarsi delle cause che avevano ridotto in condizioni inspiegabili le sue sentinelle mandate sulla terrazza, ambedue evidentemente colpite da qualcosa o qualcuno di oscura provenienza, forse addirittura da un’arma a lui sconosciuta.
“Assurdo e impossibile!” aveva tuonato il Comandante, dopo avere udito il racconto che i due sottoposti gli avevano fatto… “che porcherie avevato ingerito?” aveva sibilato ad un passo dalle loro facce…ma, quella stessa notte, fu lui a salire di guardia sulla terrazza, armato fino ai denti e deciso a mettere fine alla fantasiosa diceria, per altro screditante della dignità del suo battaglione, ridotto ad annoverare nelle sue fila visionari di fantasmi alla stregua di vecchi ciarlatani mestieranti dell’occulto.
A mezzanotte in punto come d’incanto tonno e bambino comparvero, fermi però, al limite della battigia. Il Comandante, dopo un attimo di smarrimento, riuscendo a controllare lo stupore che l’avrebbe fatto fuggire a gambe levate, riuscì a modulare la voce in modo accattivante: “Chi sei? Qual’è il tuo nome?”chiese al bambino. Quello, con un gesto della manina sulla bocca e sulle orecchie, fece intendere di essere sordo e muto…ma una voce, come se sospinta da una folata di vento, appena udibile, rispose…e il Comandante comprese: “ Lui è Manfredino e vuole che ve ne andiate via da casa sua subito, prima che sia troppo tardi!”
All’alba, il battaglione tedesco era già in marcia verso destinazione ignota ma non tanto lontano da non udire il lancio delle bombe che rasero al suolo la tonnara e parte delle case della borgata.

Finita la guerra, tornato sano e salvo in Germania, l’ex Comandante grato per essere stato avvisato del pericolo incombente, ma ancora incredulo di ciò che aveva visto ed udito quella notte, volle sincerarsi che si fosse davvero trattato di un’apparizione di fantasmi e non di una sua allucinazione, peraltro salvifica.
In compagnia di una medium, profumatamente pagata, in veste da turista tornò a Palermo.
La donna parlava l’italiano ed apparteneva ad una congrega di spiritisti divenuta famosa per i suoi contatti con le anime dei defunti, per lo più giovanissimi soldati uccisi in guerra.
Per alcune notti, i due, si appostarono fra le macerie del castello ex tonnara nella speranza che si ripetesse quella straordinaria, incredibile, apparizione. Invano attesero fino al sorgere del sole: nessun tonno con in groppa un bambino, solcando a pelo d’acqua il mare, comparvero alla loro vista, né ai binocoli puntati in direzione dell’orizzonte.
Tuttavia, da chiacchiere udite da gente della borgata, seppero di una leggenda che circolava da sempre in quei paraggi, della quale si tramandava da generazioni l’appellativo di “ Pinocchio della Tonnara”! Quindi, chissà quante altre persone, negli anni, erano state testimoni di quel fenomeno!, pensò l’ex Comandante, più che mai determinato a volerne sapere di più, per cui, rientrato in Germania, senza aspettare neanche ventiquattro ore, chiese e ottenne dalla medium, di partecipare ad una seduta spiritica.
Questa, fu finalmente la volta buona!
E questo, il resoconto che la medium tradusse dall’italiano…ai numerosi presenti- la notizia del Pinocchio sul tonno, aveva fatto il giro fra i conoscenti dell’ex Comandante!- non appena riavutasi dalla trance:
“ Mi chiamo Manfredino. Ho cinque anni. Tutti mi vogliono bene e io voglio bene a tutti. Non mi piace vedere uccidere. Questa notte mi sono nascosto nella barca di Saro. Lui non se n’è accorto. Ho fatto un buco con un suo coltello nella rete della camera della morte. Il mio amico tonno mi ha spinto con sé lontano. Sono annegato. Nessuno se ne è accorto. Il sangue degli altri tonni mi ha nascosto. Uccidere è un peccato mortale. Chi salva un amico salverà se stesso dalla morte e vivrà in eterno.”

 


 

 

L’Allegra Fortuna

Sicuro! La Fortuna con la F maiuscola è un’allegra benefattrice, come dirne il contrario?
Ne erano convinti tutti, nella famiglia dell’avvocato G.
In quella casa, non era necessario scomodarsi ad aprirle, le porte! Si aprivano da sole…un invisibile maggiordomo si impegnava a spalancarle al passaggio dei componenti di quella numerosa famiglia, composta da un padre, una madre, due belle ragazzone, alte ed eleganti, un giovinotto di belle speranze ed una vecchia zia, vedova e senza prole.
Ma non è tutto: bigliettoni da mille lire non mancavano mai, ad ogni risveglio del mattiniero avvocato, sul comodino accanto al letto, fra la lampada da notte e la fotografia dei suoi defunti genitori.
E’ superfluo aggiungere quanto benessere godessero i fortunati inquilini di quella casa, neanche di loro proprietà ma presa in affitto dall’allora giovane avvocato, in concomitanza del suo matrimonio con la bellissima ed altissima appartenente ad una famiglia del ramo cadetto dei Duchi di M.
La “stangona”, come si direbbe oggi, alta un metro e ottanta e passa, con l’aggiunta delle torrette dei suoi chignon e cappelli, arrivava a superare il metro e novanta centimetri, cosa eccezionale per una donna nata non in Svezia ma in Sicilia. I suoi occhi di un celeste pallido non sprizzavano affatto di particolare vivacità come, del resto, le sue capacità mentali, il che non induceva a pensare di lei che non fosse intelligente, qualità di nessuna importanza specialmente in quei giorni degli anni ’30, in cui a una donna bastava e tanto, possedere un bell’aspetto fisico e una condotta morigerata per accreditarsi il titolo di “Signora per bene”. In realtà, per dirla tutta, la consorte dell’avvocato era proprio cretina oltre che ignorante anche se quest’ultimo attributo veniva condiviso dalla maggior parte delle donne, il cui compito e destino consistevano nell’appiopparsi al più presto un marito e non un diploma di Laurea.
E’ necessario, tuttavia, specificare che la straordinarietà di ciò che accadeva in quella casa, veniva a diminuire se la signora gigantesca se ne allontanava tutte le volte che si recava nella vicina località balneare, ospite di una delle sue sorelle per trascorrervi una breve vacanza al mare, fornita dell’immancabile permesso del marito e di una serie di travestimenti da bagnante, pantaloni e cuffietta d’alta moda.
In quei casi, l’invisibile maggiordomo dimenticava spesso e volentieri di aprire le porte e le lire sul comodino dell’avvocato si riducevano a pochi spiccioli. La vecchia zia vedova, ospite, sembrava essere l’unica persona ad accorgersene, nonostante l’età molto avanzata che la costringeva ad uscire di rado dalla sua stanza da letto; bofonchiando tra sé e sé, si proclamava convinta che quei fantasmi tanto generosi e servizievoli fossero di genere maschile ed innamorati folli della nipote…gelosi e infastiditi nel non vederla circolare per casa…motivo per cui, assente lei, assenti o quasi, loro.
Di loro, cioè dei fantasmi , meglio chiamati “spiriti”, in dialetto palermitano “spirdi”, si sapeva che fosse proibito parlarne dentro casa, pena la loro sparizione; infatti, l’argomento era tabu assoluto per tutti i loro coinquilini, salvo a spifferarne qualcosa in gran segretezza a parenti e amici di provata “bocca chiusa”…
Purtroppo, nel ’42, con l’inizio dei bombardamenti su Palermo, anche la famiglia dell’avvocato G., fu costretta ad abbandonare la città per trovare riparo presso parenti acquisiti- una delle ragazze si era sposata-in una villa, nella campagna limitrofa alla periferia sud dell’abitato cittadino.
Si installarono, quindi, in uno degli appartamenti della grande proprietà dei suoceri della figlia fresca di nozze; poi, un giorno, essendosi accorto di avere dimenticato, nel frettoloso trasloco, gli occhiali da presbite ed una carpetta che conteneva importanti documenti, l’avvocato tornò in città, nella casa appena svuotata, alla loro ricerca. Andò da solo. Ma sua moglie, adducendo la scusa di non volere stare in pensiero sapendolo giusto in una delle zone più a rischio di bombardamenti, lo raggiunse, facendosi accompagnare dal genero con il suo calesse.
Era appena entrata in casa nell’oscurità più totale che, d’improvviso si accesero le luci di tutte le lampade e lampadari, ma lei, per niente stupita, come era sua abitudine il non chiedersi mai il perché delle cose, si addentrò nelle varie stanze dell’appartamento chiamando a gran voce il marito. Di lui, in casa, non c’era traccia…ed anche della sua assenza, ancora una volta, la gigantessa, non provò stupore; al contrario, contenta di trovarsi fra quelle pareti, ormai disadorne- ne erano stati tolti specchi, quadri e tendaggi,- si attardò per qualche minuto prima di decidersi ad andar via.
Un’altra, al posto suo, si sarebbe almeno chiesto come mai il marito non fosse lì e, nel chiederselo, si sarebbe preoccupata; ma non lei, incapace di formulare due pensieri per volta, perennemente adagiata nella quiete dell’attimo presente, fiduciosa ed affidata al vuoto della sua mente.
Stava per suonare il mezzogiorno dall’orologio a cuculo, l’unico rimasto attaccato alle pareti, quando il cielo di Palermo si oscurò improvvisamente: una flotta di bombardieri americani- centinaia, poi si raccontò- coprirono i tre quarti della città a partire dall’area portuale fino a sfiorare la cima del monte Cuccio, a sud-ovest, seminando fuoco e distruzione. E’ superfluo, a questo punto, soffermarsi sui dettagli di quella che fu un’autentica strage di persone e animali, divorati dalle fiamme e schiacciati sotto i crolli delle case, tuttavia non si può tacere ciò che accadde all’improvvido avvocato, sorpreso dal diluvio di bombe ansimante sul groppone di una certa Rosuccia, una prostituta che esercitava il suo mestiere nella sua catapecchia adiacente al porticciolo della Cala.
Nudo come un verme, non curandosi neanche di occultare il corpo del reato, scoperchiatosi il tetto della stanza in cui i due cosiddetti amanti si producevano in sbuffi e contorsioni, l’illustre Avvocato, con quattro salti, sbucò a razzo fuori, per strada, fra una folla urlante in fuga disordinata alla ricerca di un Rifugio sotterraneo.
Non svelta come lui, fu invece la povera Rosuccia, trovata stecchita sotto un polverone di calcinacci, ancora prona su quello che era rimasto del letto, praticamente appiattito sul pavimento, con l’immagine di Santa Rosalia che dal capezzale polverizzato totalmente, era planata sul deretano della sfortunata puttana.
Non sappiamo come abbia fatto l’Avvocato a raggiungere un vicino Rifugio anti bombe senza essere coperto da insulti e minacce…fatto sta che, incolume in tutti i sensi, ad allarme finito, fu visto da alcuni suoi conoscenti, percorrere la strada di casa, ricoperto da un cartone da imballaggio, indossato a mo’ di saio francescano! Grande sarà però stato il suo stupore nel trovare, unico integro in mezzo alla totale rovina, il palazzo di casa sua…e non solo! Le finestre del piano della sua abitazione erano illuminate dall’interno come se vi si stesse svolgendo, in tutta la casa, una gran festa!
Ed in effetti, un sontuoso ricevimento, con tanto di buffet apparecchiato con ogni ben di Dio, lo accolse non appena varcò la porta d’ingresso, peraltro semi aperta. Sua moglie, radiosa più che mai, gli venne subito incontro…niente affatto sorpresa nel vederlo in quelle condizioni…ma anzi, col suo usuale modo di accoglierlo, premuroso ed affabile, gli si rivolse subito, dicendo: “Tesoro, sarai affamato a quest’ora. Mangia qualcosa…guarda…ci sono i cannoli che ti piacciono tanto, quelli col pistacchio!”

Quando gli Americani entrarono in Palermo fra orde di popolo in delirio per il lancio di dolciumi e sigarette dalle loro camionette,- pochi e subito soffocati gli insulti e gli sputi agli Yenkies da parte di coloro che avevano perso tutto, familiari e case-nessuno della famiglia dell’Avvocato assistette al Trionfo dei Liberatori, un trionfo tale, da offuscare la memoria di quello di Giulio Cesare di ritorno dalla Gallia!
Erano rimasti tutti rintanati nella villa, nella costernazione più totale: la notte precedente al giorno dell’arrivo degli Americani, la signora moglie dell’Avvocato, era sparita nel nulla…solo una sua breve comunicazione, elegantemente scritta su un foglio profumato alla lavanda, era stata rinvenuta dentro la tasca della sua vestaglia, lasciata appesa nell’armadio insieme a tutti i suoi vestiti.
A trovarla era stata la vecchia zia vedova, l’unica persona a mantenere la calma nel parapiglia generale…e che, a colpo sicuro, senza cercare altrove, alla tasca della vestaglia si era diretta, a passo lento e bofonchiando fra sé e sé…

“Miei amatissimi,
dopo una lunga attesa durata reincarnazioni su reincarnazioni, sono stata informata che, finalmente, è arrivato il giorno del mio ricongiungimento con colui che non ha mai smesso di aspettarmi.
La notizia me l’ha fornita una certa Rosuccia che, marito mio, ti ricorda di non averle retribuito la somma concordata di Lire 45.
Vi abbraccio.”

Non si seppe mai il nome dello sconosciuto che, da un ritorno dagli USA, giurò di avere visto la gigantessa a spasso a Central Park, a braccetto con un distinto, altissimo, Ufficiale della Marina degli States, indicatogli da una passante cui aveva chiesto chi fosse costui… “ Oh, yes! I know him…this lady’s husband…they live close to my house. What a nice couple!”