Filastrocca del bimbo a colori
C’era una volta, ma dove chissà,
un luogo un pò strano a vederlo da qua.
Erano sempre tutti scuri e arrabbiati
e facevan discorsi ben poco sensati.
Nere le facce, neri anche i cuori
“Non vogliamo nessuno che porti i colori!”
Questo dicevan come pecore in coro
e il buio abitava ogni parte di loro.
Poi venne dal mare salvato un bel giorno
un bambino che aveva i colori del mondo.
Narrava di terre baciate dal sole
sconfitto da guerre che il cuore non vuole.
Narrava di freddo, di fame e di vento,
di lunghi cammini compiuti a stento.
Visto aveva il filo spinato
che la libertà gli aveva levato.
Poi il mare alla fine lo aveva cullato
ma in una notte d’inverno si era arrabbiato.
Solo, impaurito, smarrito e bagnato
finito il viaggio, lì era arrivato.
Nel paese sognato degli uomini spenti,
che paura avevano, stretta tra i denti,
che il bimbo arrivato dal posto lontano
venisse a prender le cose di mano.
Ma il bimbo voleva solo cominciare a sperare
di poter un giorno tornare a giocare.
Dal buio informe del coro belante
si alzò improvvisa una voce squillante:
“Ma quello è un bimbo come son io,
può essere suo tutto quello che è mio!”
“In cambio sapete che cosa farà?
A vivere insieme ci insegnerà!”
“E il buio tremendo di sterili cuori
verrà riempito dai suoi bei colori!”
Così disse entusiasta quel bimbo sincero
e prese per mano il suo amico straniero.
Andarono incontro ad un giorno nascente
che vedrà stare unita tutta la gente.
Perchè il diverso è uguale, se visto col cuore,
e insieme inventiamo un nuovo colore.
E’ ora di andare
Il peso irrisolto delle tue convinzioni
Scuote i pensieri come fossero tuoni.
Tu vuoi volare ma il mondo ti dice
Che a te un paio d’ali davver non si addice.
Devi star buono a ripeter i tuoi passi
Coi piedi legati a bei grandi sassi.
Li conosci da quando eri ancora fanciullo
Cosa vai a fare nel terreno sì brullo.
Ma tu sai che oltre la siepe più fitta
C’è il mare ampio e largo su cui vuoi volare.
La voglia di andare non riesce a star zitta
E spicchi il tuo balzo ché è ora di andare.
Gente distratta
Va in giro nel mondo la gente distratta
Immersa nei giorni di vita siffatta:
Si alza lavora mangia va a letto
Ché sulla testa, dice, ha bisogno di un tetto.
Non alza la mente quasi mai per guardare
Il sorger del sole al mattino levare
I suoi raggi al di sopra di nubi dubbiose
Se piover miseria o far grandi cose.
Eppure la vita è pur ben altra cosa
Che un mucchio di oggetti su cui l’occhio si posa.
È fatta di sogni di sguardi di suoni e respiri
Che in giro nell’aere fan poi tanti giri
Fino a trovar chi viaggia ancor vivo
Di tanta bellezza la speme mai privo.
Gennaio
Come la terra, ferma, riposa
aspetta la prima foglia verde il tepore
di nuova primavera a venire.
Così sto io.
L’anima si mette in attesa
che germogli impazienti emergano
da spessa corazza di silenti timori.
Fermento febbrile di cose a venire
sotto spesse coltri di ferite antiche
anela il caldo respiro che le faccia vive.
Paziente attende il cuore che arrivi il tempo
di un nuovo sole.
Supereroi
I veri supereroi non hanno tute sgargianti o poteri strabilianti.
I veri supereroi sono donne e uomini che si mantengono in equilibrio sul filo sottile delle loro vite,
sospesi a mezz’aria, tra il mondo dei tanti, e il mondo dei sogni.
I veri supereroi camminano sull’orizzonte, coi piedi sul mare delle ombre viventi
e la testa appesa alla luce delle menti.
I veri supereroi non si arrendono al buio dei pensieri comuni ma resistono sul confine
di chi sceglie di scegliere sempre.
Vento capriccioso
Vento capriccioso
In un giorno d’aprile
Punge come coda d’inverno
Odora di primavera
Che tarda a venire.
Agita i capelli
Irrita i pensieri
Passa lesto
Tra le fessure
Di un’anima in risveglio.
Fastidioso.
Insolente.
Briccone.
Come un bimbo
Nascosto tra le pieghe
Di una gonna di donna
Scova desideri nascosti
Sogni dimenticati ridesta.
Mescola le carte
Di una vita che si aggiusta
Con mani di un gioco
Senza fortuna di sorta
Per barare e tornare a burlarsi
Di scelte nuove in giorni persi.
Arriva la primavera con pungenti folate di gelo
A ricordar che l’inverno c’è stato
Ma anche stavolta è passato.
La 25° ora
Nell’ora inattesa
tra il giorno ed il sogno
lo specchio riflette
contorni sfumati.
Viso stanco e ombre di muscoli tesi
a sorreggere mondi
di pensieri presenti
e sogni spenti.
Luce e ombra
si sfiorano lievi
come un bacio
tra vita usata
e desideri attesi.
Si accenna un sorriso
pago di quello che è stato
curioso di quel che sarà.
Attende la vita
che il sogno scavalchi
lo spazio del buio
per nascer di nuovo domani,
infilarsi nel mondo
e spegnersi nel tempo di un giorno.
La notte, ogni notte
nuova linfa darà
al sogno che sogna
diventare
finalmente
realtà.
Lucciole per Lanterne
Piccole lucciole in lanterne accese
Illuminano notti d’amor sì prese
Che il buio si infiamma come sole che sale
Su due anime in viaggio che si tengono per mano
Per veder sotto i passi il terreno che vale
E render ogni giorno il cammino mai vano.
L’amore che fanno trascende i mortali
Perché al posto del cuore ormai han le ali.
Roghi
(in ricordo del 10 maggio 1933, quando avvenne il rogo in cui i nazisti bruciarono circa 25.000 libri ritenuti ‘pericolosi’)
Phileîn e Sophía dormivano placidi, nel loro mondo ceruleo e lontano, più o meno nel punto in cui le stelle incontrano il manto del cielo setoso e ne rimangono avvolte. Era una tiepida notte di maggio.
Si divertivano spesso, dal loro punto privilegiato di osservazione, a guardar giù, nel mondo misero degli uomini. C’erano stati tempi in cui gli uomini avevano lasciato che la luce della conoscenza penetrasse le loro menti e forgiasse i loro pensieri in modo da trascinare avanti le culture dei popoli, come altri ne avevan visti di buio e brutture, in cui quegli uomini eppure capaci di tanta bellezza si eran fatti di nuovo simili a bestie, cedendo il passo all’inferno delle ignoranze.
Ma era bello il genere umano, dicevano spesso Phileîn e Sophía, proprio per le contraddizioni che vedeva gli uomini raggiungere nella loro ricerca della conoscenza vette pari solo a quelle degli dei e baratri tanto profondi da annegare col buio persino tutta la luce del sole.
Passavano, in quel tempo, anni non proprio limpidi per le sorti di quegli uomini laggiù. Invece di lavorare insieme alla crescita e alla costruzione delle coscienze avevan cominciato a mettersi gli uni contro gli altri, accampando, i più forti tra essi, assurde rivendicazioni di superiorità, sintomo e piaga purulenta di profonda incoscienza e stupidità.
Dormivano dunque quella sera, Phileîn e Sophía, cullati dalla brezza tiepida della tarda primavera, e d’improvviso udirono grida e urla strepitanti provenire dal basso mondo del genere umano laggiù.
Bruciava qualcosa.
Il bagliore feroce di alte lingue di fuoco fendeva il buio e inondava di fumo denso la profumata notte stellata.
“Phileîn cosa succede mai nelle terre degli uomini? Perchè tanto chiasso e fuoco nefasto a interrompere lo scorrere lento dei sogni?”
“Sophía, gli uomini bruciano qualcosa… Sono libri, bruciano i libri in altissime pire inermi e incolpevoli di parole e pensieri e conoscenza e bellezza! Bruciano i libri Sophía, bruciano i libri!”
Sophía raggiunse Phileîn sul bordo della terrazza lassù da cui osservavano le cose del mondo.
E videro, oltre il fumo e le fiamme, uomini in divisa col pesante fardello dei loro fucili e folla urlante che gettava nel rogo i libri rinunciando con essi alla propria storia, alla propria crescita, ai propri pensieri alla luce delle proprie menti.
“Bruciano i libri…” ripeterono increduli Phileîn e Sophía, in un sussurro bagnato di lacrime.
Dal cordone di folla che applaudiva stolta al rogo della propria essenza di uomini, un bambino in calzoncini corti fuggì tra le gambe di uomini, donne e soldati.
In uno scatto felino raggiunse la base del fuoco, chinò il braccino a terra e agguantò tra le manine la costola di un libro che ancora sfuggiva alla radice delle fiamme.
Se lo portò al petto chiudendolo a sè con le braccia, come si fa quando si protegge, nel posto più vicino possibile al cuore, la cosa più preziosa che abbiamo.
Un soldato lo vide, gli urlò ingiurie e ordini perentori e gli strappò di mano il libro che quel cucciolo coraggioso aveva strappato alle fiamme. In un volo parabolico con la sua triste discesa, il libro raggiunse gli altri nel rogo.
“Perchè bruciate i libri? Perchè bruciate i libri?” Continuava a urlare il bambino, piangendo, mentre il soldato lo scacciava lontano perchè tornasse tra gli stolti adulti plaudenti allo scempio.
“Perchè bruciate i libri?” Urlava e piangeva, il bimbo, nella sua preghiera sommersa dal fragore della notte fonda del pensiero.
Phileîn e Sophía si unirono alla gracile voce urlante del cucciolo d’uomo che provava a salvare il mondo… “Perchè bruciate i libri? Perchè?”
Un tuono fragorosissimo squarciò improvviso il cielo sereno.
Ma le stolte bestie laggiù non si accorsero del cielo che urlava il suo dissenso.
Il fuoco che illuminava i loro sguardi abbacinati, spenti e ormai privi di ogni coscienza, disegnava sulle linee dei volti le facce sgorbie di mostri.