Elena Brilli - Poesie e Racconti

Filastrocca del bimbo a colori

 

C’era una volta, ma dove chissà,

un luogo un pò strano a vederlo da qua.

 

Erano sempre tutti scuri e arrabbiati

e facevan discorsi ben poco sensati.

 

Nere le facce, neri anche i cuori

“Non vogliamo nessuno che porti i colori!”

 

Questo dicevan come pecore in coro

e il buio abitava ogni parte di loro.

 

Poi venne dal mare salvato un bel giorno

un bambino che aveva i colori del mondo.

 

Narrava di terre baciate dal sole

sconfitto da guerre che il cuore non vuole.

 

Narrava di freddo, di fame e di vento,

di lunghi cammini compiuti a stento.

 

Visto aveva il filo spinato

che la libertà gli aveva levato.

 

Poi il mare alla fine lo aveva cullato

ma in una notte d’inverno si era arrabbiato.

 

Solo, impaurito, smarrito e bagnato

finito il viaggio, lì era arrivato.

 

Nel paese sognato degli uomini spenti,

che paura avevano, stretta tra i denti,

 

che il bimbo arrivato dal posto lontano

venisse a prender le cose di mano.

 

Ma il bimbo voleva solo cominciare a sperare

di poter un giorno tornare a giocare.

 

Dal buio informe del coro belante

si alzò improvvisa una voce squillante:

 

“Ma quello è un bimbo come son io,

può essere suo tutto quello che è mio!”

 

“In cambio sapete che cosa farà?

A vivere insieme ci insegnerà!”

 

“E il buio tremendo di sterili cuori

verrà riempito dai suoi bei colori!”

 

Così disse entusiasta quel bimbo sincero

e prese per mano il suo amico straniero.

 

Andarono incontro ad un giorno nascente

che vedrà stare unita tutta la gente.

 

Perchè il diverso è uguale, se visto col cuore,

e insieme inventiamo un nuovo colore.



E’ ora di andare

 

Il peso irrisolto delle tue convinzioni

Scuote i pensieri come fossero tuoni.

Tu vuoi volare ma il mondo ti dice

Che a te un paio d’ali davver non si addice.

Devi star buono a ripeter i tuoi passi

Coi piedi legati a bei grandi sassi.

Li conosci da quando eri ancora fanciullo

Cosa vai a fare nel terreno sì brullo.

 

Ma tu sai che oltre la siepe più fitta

C’è il mare ampio e largo su cui vuoi volare.

La voglia di andare non riesce a star zitta

E spicchi il tuo balzo ché è ora di andare.


 

Gente distratta

 

Va in giro nel mondo la gente distratta

Immersa nei giorni di vita siffatta:

 

Si alza lavora mangia va a letto

Ché sulla testa, dice, ha bisogno di un tetto.

 

Non alza la mente quasi mai per guardare

Il sorger del sole al mattino levare

 

I suoi raggi al di sopra di nubi dubbiose

Se piover miseria o far grandi cose. 

 

Eppure la vita è pur ben altra cosa

Che un mucchio di oggetti su cui l’occhio si posa. 

 

È fatta di sogni di sguardi di suoni e respiri

Che in giro nell’aere fan poi tanti giri

 

Fino a trovar chi viaggia ancor vivo

Di tanta bellezza la speme mai privo.



Gennaio

 

Come la terra, ferma, riposa

aspetta la prima foglia verde il tepore

di nuova primavera a venire.

 

Così sto io.

 

L’anima si mette in attesa

che germogli impazienti emergano

da spessa corazza di silenti timori.

 

Fermento febbrile di cose a venire

sotto spesse coltri di ferite antiche

anela il caldo respiro che le faccia vive.

 

Paziente attende il cuore che arrivi il tempo

di un nuovo sole.


 

Supereroi

 

I veri supereroi non hanno tute sgargianti o poteri strabilianti.

 

I veri supereroi sono donne e uomini che si mantengono in equilibrio sul filo sottile delle loro vite,

sospesi a mezz’aria, tra il mondo dei tanti, e il mondo dei sogni.

 

I veri supereroi camminano sull’orizzonte, coi piedi sul mare delle ombre viventi 

e la testa appesa alla luce delle menti.

 

I veri supereroi non si arrendono al buio dei pensieri comuni ma resistono sul confine 

di chi sceglie di scegliere sempre.



Vento capriccioso

 

Vento capriccioso

In un giorno d’aprile

Punge come coda d’inverno

Odora di primavera

Che tarda a venire.

 

Agita i capelli

Irrita i pensieri

Passa lesto

Tra le fessure

Di un’anima in risveglio.

Fastidioso.

Insolente.

Briccone.

 

Come un bimbo

Nascosto tra le pieghe

Di una gonna di donna

Scova desideri nascosti

Sogni dimenticati ridesta.

 

Mescola le carte

Di una vita che si aggiusta

Con mani di un gioco

Senza fortuna di sorta

Per barare e tornare a burlarsi

Di scelte nuove in giorni persi.

 

Arriva la primavera con pungenti folate di gelo

A ricordar che l’inverno c’è stato

Ma anche stavolta è passato.



La 25° ora

 

Nell’ora inattesa 

tra il giorno ed il sogno 

lo specchio riflette 

contorni sfumati.

 

Viso stanco e ombre di muscoli tesi 

a sorreggere mondi 

di pensieri presenti 

e sogni spenti.

 

Luce e ombra

si sfiorano lievi 

come un bacio 

tra vita usata 

e desideri attesi.

 

Si accenna un sorriso 

pago di quello che è stato

curioso di quel che sarà.

 

Attende la vita 

che il sogno scavalchi 

lo spazio del buio

per nascer di nuovo domani,

infilarsi nel mondo

e spegnersi nel tempo di un giorno.

 

La notte, ogni notte 

nuova linfa darà 

al sogno che sogna 

diventare 

finalmente

realtà.


 

 

Lucciole per Lanterne

 

Piccole lucciole in lanterne accese

Illuminano notti d’amor sì prese

Che il buio si infiamma come sole che sale

Su due anime in viaggio che si tengono per mano

Per veder sotto i passi il terreno che vale

E render ogni giorno il cammino mai vano.

L’amore che fanno trascende i mortali

Perché al posto del cuore ormai han le ali.


Roghi

(in ricordo del 10 maggio 1933, quando avvenne il rogo in cui i nazisti bruciarono circa 25.000 libri ritenuti ‘pericolosi’)

 

Phileîn e Sophía dormivano placidi, nel loro mondo ceruleo e lontano, più o meno nel punto in cui le stelle incontrano il manto del cielo setoso e ne rimangono avvolte. Era una tiepida notte di maggio.

Si divertivano spesso, dal loro punto privilegiato di osservazione, a guardar giù, nel mondo misero degli uomini. C’erano stati tempi in cui gli uomini avevano lasciato che la luce della conoscenza penetrasse le loro menti e forgiasse i loro pensieri in modo da trascinare avanti le culture dei popoli, come altri ne avevan visti di buio e brutture, in cui quegli uomini eppure capaci di tanta bellezza si eran fatti di nuovo simili a bestie, cedendo il passo all’inferno delle ignoranze.

Ma era bello il genere umano, dicevano spesso Phileîn e Sophía, proprio per le contraddizioni che vedeva gli uomini raggiungere nella loro ricerca della conoscenza vette pari solo a quelle degli dei e baratri tanto profondi da annegare col buio persino tutta la luce del sole.

Passavano, in quel tempo, anni non proprio limpidi per le sorti di quegli uomini laggiù. Invece di lavorare insieme alla crescita e alla costruzione delle coscienze avevan cominciato a mettersi gli uni contro gli altri, accampando, i più forti tra essi, assurde rivendicazioni di superiorità, sintomo e piaga purulenta di profonda incoscienza e stupidità.

Dormivano dunque quella sera, Phileîn e Sophía, cullati dalla brezza tiepida della tarda primavera, e d’improvviso udirono grida e urla strepitanti provenire dal basso mondo del genere umano laggiù. 

Bruciava qualcosa.

Il bagliore feroce di alte lingue di fuoco fendeva il buio e inondava di fumo denso la profumata notte stellata.

“Phileîn cosa succede mai nelle terre degli uomini? Perchè tanto chiasso e fuoco nefasto a interrompere lo scorrere lento dei sogni?”

“Sophía, gli uomini bruciano qualcosa… Sono libri, bruciano i libri in altissime pire inermi e incolpevoli di parole e pensieri e conoscenza e bellezza! Bruciano i libri Sophía, bruciano i libri!”

Sophía  raggiunse Phileîn sul bordo della terrazza lassù da cui osservavano le cose del mondo.

E videro, oltre il fumo e le fiamme, uomini in divisa col pesante fardello dei loro fucili e folla urlante che gettava nel rogo i libri rinunciando con essi alla propria storia, alla propria crescita, ai propri pensieri alla luce delle proprie menti.

“Bruciano i libri…” ripeterono increduli Phileîn e Sophía, in un sussurro bagnato di lacrime.

Dal cordone di folla che applaudiva stolta al rogo della propria essenza di uomini, un bambino in calzoncini corti fuggì tra le gambe di uomini, donne e soldati. 

In uno scatto felino raggiunse la base del fuoco, chinò il braccino a terra e agguantò tra le manine la costola di un libro che ancora sfuggiva alla radice delle fiamme.

Se lo portò al petto chiudendolo a sè con le braccia, come si fa quando si protegge, nel posto più vicino possibile al cuore, la cosa più preziosa che abbiamo.

Un soldato lo vide, gli urlò ingiurie e ordini perentori e gli strappò di mano il libro che quel cucciolo coraggioso aveva strappato alle fiamme. In un volo parabolico con la sua triste discesa, il libro raggiunse gli altri nel rogo.

“Perchè bruciate i libri? Perchè bruciate i libri?” Continuava a urlare il bambino, piangendo, mentre il soldato lo scacciava lontano perchè tornasse tra gli stolti adulti plaudenti allo scempio.

“Perchè bruciate i libri?” Urlava e piangeva, il bimbo, nella sua preghiera sommersa dal fragore della notte fonda del pensiero.

Phileîn e Sophía si unirono alla gracile voce urlante del cucciolo d’uomo che provava a salvare il mondo… “Perchè bruciate i libri? Perchè?”

Un tuono fragorosissimo squarciò improvviso il cielo sereno.

Ma le stolte bestie laggiù non si accorsero del cielo che urlava il suo dissenso.

Il fuoco che illuminava i loro sguardi abbacinati, spenti e ormai privi di ogni coscienza, disegnava sulle linee dei  volti le facce sgorbie di mostri.