Elena Cecconi - Poesie

Poesie dalla Raccolta inedita “ Ironie della sorte, Tempo e Destini” 

 

La resa dell’Eroe  (Ettore)

 

Tu che hai sferrato

l’ultimo attacco

Attore di una storia incompiuta

Come i vinti, con fierezza, consegni la resa, la tua vita;

ma non il tuo nome

Eroe, cammini ed ascolti i tuoi passi

che evocano l’ineluttabile destino;

a testa bassa, la dolce malcelata tristezza

suggella grandiosità e riscatto

 

Guardi la polvere, la testa china, l’eroe della forza col suo corpo invincibile su di te, inconsapevole della sua stessa fine imminente, ignaro delle sue debolezze,  granitico nella sua effimera invulnerabilità. Ma è nel dolore la tua virtù, nello sguardo di tua moglie pregno di sconforto e  fierezza; nello sguardo su di te di una città intiera, ostaggio di un capriccio, alibi scatenante guerra e violenza, conflitti che affondano nelle antiche avversità;

gli dei?

schierati,  vacillano nella loro fredda ostinazione; una città che solo l’inganno astuto poteva espugnare.

Tocchi quella polvere, l’assapori mentre soccombi, la tua terra innocente trasuda dolore, disperazione e grida; la disfatta non cancellerà la fierezza di un popolo


 

Tramonto

Il mare
al tramonto
parla d ‘amore.
Le onde sussurrano
lievi, e ripetono
senza fine
suoni miracolosi.
La luce accarezza
l’acqua segnando
quel moto perpetuo
così come i nostri respiri
scandiscono tutte le vite.
E nella notte senza
luna, nel buio
che acceca l’anima,
si compie il
miracolo del
Silenzio.
Solo il battito
del cuore a
ricordare
l’ esistere



Eravamo noi  (Allegro con moto- Adagio)

 

Il tempo passa, corre e scorre

Travolge e sconvolge

Ci supera e poi ci stupisce

A volte così lento ed altre, 

“finito passato e mai più tornerà!”

Il tempo batte forte alla porta, 

e quando apri, lui non c’è 

Il tempo non esiste

Il Tempo. 

Siamo noi, 

tutti i nostri respiri,

   i nostri battiti, 

le parole

   i suoni

gli sguardi

   i sorrisi 

le lacrime 

 

“Ascoltami, abbracciami, non mi lasciare, sposami; guarda! 

 oh che peccato,  cosa vuol dire? Quando torni? Quanti applausi! 

Che buono…che bello…”

 

Senza fine, 

con tutto l’amore, 

guardando l’orologio per non arrivare tardi

Il Tempo. 

Eravamo noi, sarà qualcun altro.



Fantasia barocca

 

Le ali del
gabbiano
scompigliando
l’aria, aprono il varco
alla luce che
illumina la
polvere dei
pensieri,
Una polvere che aleggia
tra i capelli, come una magia

La scatola
nascosta tra
i libri, rivela
segreti, carte,
note di suggestioni,
appunti, scarabocchi;
capricci che sembrano
suoni barocchi,
gruppetti
e mordenti,
che eludono.

Qualcosa tintinna
Una moneta,
un soldino,
che solitario
accudisce gesti antichi

Dopo i fugaci abbellimenti
utili a scuotere i ricordi,
quel suono metallico
rianima sogni.



Luogo segreto – breve racconto poetico



Mi guardo allo specchio pettinando i miei capelli, con la dolcezza di un gesto consueto, atavico, eppure nuovo ogni volta, come potesse essere occasione per uno sguardo diverso al volto noto di sé stessi

La malinconia, mista ad una inconfessabile ma pur seducente apprensione, si addensa nelle retrovie del cuore come nuvola di tempesta
Bizzarri cieli vermigli
Tuoni lontani che riecheggiano nei fondali di tutte le anime

I rumori, o i silenzi, stordiscono il cuore, e si sporgono tutti dall’antico balcone, a picco sul mare

Fragore delle onde…
mi avvio con inquieta lentezza. Non voglio avere fretta, sebbene sia tardi

Il porto è un limbo, una manciata di respiri sostano sulla banchina ed attendono di salire sull’imbarcazione, pronti ad essere traghettati nel breve tragitto che separa la terraferma dalla piccola isola.

Tracce, indizi, ricordi che bersagliano le emozioni trascinate da un vento caldo, mentre scorgo un orizzonte incerto, curvo, solitario

Pudore o timidezza?
Dolore o struggimento?
Cosa mi appresto a voler guardare ancora? E perché …

Il traghetto ondeggia, con una quiete dolcissima al cuore, mentre sullo sfondo va in scena un albore che capovolge i sensi
Il mare è appena increspato dal vento caldo. Il nastro di seta che avvolge il mio collo si inquieta, così come i miei capelli, che prima sfiorano le mie guance e poi se ne discostano in un ritmo serrato.

Sempre la Musica arriva nella mia mente, o forse voglio solo cambiare argomento, mentre un timore invadente accelera i battiti, ora che intravedo la costa.

All’approdo si perviene ad un luogo ammaliante, bello come tanti, ma segreto per me, dove le memorie, tatuate nell’anima, si ammassano scomposte (accatastate come legna pronta a bruciare) sulla piazza già assolata; ancora desolata

Si accende il dubbio ma non è necessario, le cose ci sono già tutte; si deve solo saperle vedere

E pian piano, ecco, si anima la strada:
voci, timide grida, risate.
Bisbiglii che raccontano sogni o forse eroiche gesta, quelle che sanno essere tali solo nelle capricciose quanto volubili notti d’estate.

Profumo di biscotti, brioches, cappuccini schiumosi che destano sempre emozioni olfattive così preziose ai ricordi;
rumori di passi, di vita, crocevia di parole, di volti, di sguardi, delle tante cose importanti e delle tante cose inutili, le stesse che abitano, invadono, amano, travolgono, sublimano le nostre esistenze tutte.

Si riaffaccia quel timore arrogante e spudorato, comincia a prendersi gioco di me. E allora mi faccio distrarre e travolgere dalle voci, dalle risate stanche, mentre la piazzetta si popola; mi faccio contagiare e mi immergo spensierata e astratta in quella mattina diversa, che si delinea nel suo tempo appena iniziato, un po’ frenetico, e che ancora non fa previsioni del suo stesso, pur imminente, futuro. La mattina è imprudente, non conta le ore, che presto scivoleranno nei colori indefiniti ma inesorabili del pomeriggio; poi velocemente cercheranno la quiete rassegnata della sera, e infine il mistero onirico della notte.

Ma improvvisamente mi sento estranea a tutto. Non sono qui per dimenticare, ma per ricordare: per delineare i contorni, rimasti frastagliati.

Il quadro è senza cornice. La parete ancora da imbiancare.

Mi avvio su, per la stretta impervia stradina, che, incurante, mi porta a quel cancello. Sospingo con sospetto la pesante ferraglia;
varco la soglia.
Ed oltre, come una sorpresa nota, il giardino con gli altissimi alberi, i maestosi e solenni guardiani del tempo, che sorvegliano il mio incedere cauto.
Odo tutti gli scricchiolii della mia inquietudine, che si discioglie su quel terreno costellato di gemme floreali, un tripudio di pennellate di colori disordinati, ma composti poi in un pensiero che sembra dispiegarsi e sussurrare, elargendo trepidazioni e batticuore.

E infine, mi appare, come un incantesimo, la casa, maestosa e solenne! Quasi fosse una madre che aspetta, paziente, immobile. Solo il volto segnato, il corpo provato, ma dentro sempre uguale, sempre lei. Pur senza te, che ancora la cerchi, ne hai bisogno, ma, per l’inevitabile destino, l’hai dovuta lasciare.
Riconosco subito quella grande finestra, come un dipinto di pioggia battente e fragorosa, gocce che sono lacrime del cuore ferito
Da lì un tempo mi affacciavo, nel silenzio dei pomeriggi estivi, quando ancora esistevano le ore, con i loro propri sentimenti
E dopo, sotto la pergola di glicine odoroso, che ora non c’è più, si parlava guardando il mare; ed ogni parola era un mondo, che diveniva ricco di suoni inattesi, potenti, capaci di tracciare mappe

Storie, le vite che si mescolano. Non quelle degli altri, spiate, immaginate, desiderate talvolta; ma la nostre, che sono tante in una.
Un respiro dentro l’altro, come i sogni, o le speranze
A formare canovacci di esistenze trovate e perdute, di trame lontane, ma ancora presenti. Sempre noi protagonisti, noi uguali all’altro di ora
Gli occhi che ci hanno guardato e a volte riconosciuti

E chissà se le labbra sapranno ancora pronunciare i nomi, e se a quei nomi corrisponderà ancora il senso delle cose

Quanti abbracci, quanti baci, e le mani intrecciate, promesse e desideri…sogni, molti realizzati, altri infranti, perduti, disciolti.

Perché il destino, perché quel giorno, perché quella volta e quella parola.

E poi il viaggio, quando sì, siamo tornati, ma non davvero insieme. E quel concerto, dove siamo stati sopraffatti da altri richiami. Non per ambizione, mai. La Musica non è altro che amore puro: lo stesso di cui si parlava e che si viveva, intensamente. Fino a non bastare, perché era troppo.

Nessuna lacrima, solo il tic tac della pendola del cuore.

Il tempo scorre, non torna. Ma c’è stato, ed ha coltivato il terreno, dell’anima e della vita, con tutti i pensieri e i gesti. Dipingendo la nostra tela con colori ad olio, densi e pastosi. Solo alla fine vedremo il copione emergere da quel caos,
e forse capiremo la vera narrazione raccontata.

Scelgo la cornice, quella giusta; ed appendo il quadro alla parete bianca, liscia.

Il sentiero, tornando, aggira ostacoli di siepi aromatiche, virtù occulte di un giardino fatato; come il ricordo, appeso ora a un destino lontano

Attraverso la piazzetta e cammino lungo la darsena, disperdendo nel mare tutti i miei pensieri.

È tempo. La piccola nave si allontana dal porto, nel pomeriggio ancora ridondante.

              Echi di voci e ricordi

E dopo, l’attracco è pacato mentre le luci si accendono una ad una, come fossero lucciole di un pensiero che non si arrende e cerca il riscatto mentre cala la notte.

Vedo solo le stelle, mentre cammino verso una stanza, già estranea. Domani, come spesso accade, si parte.


 

Sovrumana Bellezza

Nei vicoli dimenticati
di questa isola ventosa,
bianchi muri assetati
di calda luce.
Lontano, un sommesso
profumo di mare.

Mi aggiro con passo felpato,
appagata da un silenzio
che  è presagio di mistero.

Beatamente, con trasognata solerzia,
lecco la felina zampa
e affilo l’unghia predatrice.
Prima del balzo.

Quando ero umana, nulla bastava;
l’amore stordiva, e poi svaniva.
Il tempo, era spesso incostante;
presuntuoso.
Abitato da inutili gesti
di mortale vanagloria.

Rinata gatta,
ho memoria
di quell’umano sentire.

Ora attraverso liberi spazi.
Con sinuose curve,
attendo carezze,
mi fregio dei baci appassionati
dell’amato sole.
E la notte, raccolgo lunari segreti.

Percorro la vita
col mio solo sguardo;
e con la mia
Sovrumana Bellezza.


 

 

Poesie dalla raccolta  “Inquietudini fra Musica e silenzio”  Aracne editrice- collana Ragnatele 

 

Mappe

 

Qualcosa cambia, qua e là. 

Inaccessibili caotiche intonazioni dell’eterno 

Luoghi e città, persone e voci, da dimenticare, da cancellare, come gessetto che sulla lavagna ha tratteggiato inconsistenti forme, rappresentanti illusori vuoti.

Nessun vincitore, e dei vinti si tace 

Le storie tutte imbrattate da versioni alterate o edulcorate

E la Storia immobile e spietata, che imperturbabile replica sé stessa 

La Storia che sé stessa smentisce

 

Sulla tela colano, imprevisti, arcobaleni di luce, spremuti dai tubetti degli ultimi colori,  i più vivi e brillanti, densi di oli e variegate sfumature.

Reticolati, tracce, visioni

La mano impazzita disegna mappe, dipinge respiri

Mentre la voce accenna cromatiche allusioni 



La scelta

 

 

Venezia appoggia il suo canto sull’acqua e modella, sull’acqua, l’incanto; col  riflesso di tutti gli amori

Venezia si lascia baciare da passi segreti e con baci melliflui respira

Venezia si appanna con nebbie gelate

 

Ed io cammino…

Impercettibile rumore, l’acqua appena si muove; 

il suono dei passi,  riconosco quell’ombra lontana; 

un mantello dissimula, ma è solo una maschera

 e non basta per mentire.

 

La notte curva accenna, avviluppa e bisbiglia. 

Mi affretto, cambio il passo. E non mi volto



Riflessi

 

È stato un bizzarro riflesso, 

un barbaglio mosso da un vento leggero, 

che scoteva un foglietto di carta imbronciato; 

è stato il rumore di passi lenti, 

tracciati sul selciato impervio, 

acciottolato dell’anima inquieta, 

che raccontava di storie perdute; 

è stato l’odore intenso e pungente di sandalo e mirra, 

inebriante i sensi, 

io con la faccia girata in su, verso un cielo pittato di rosso 

e macchiato da nuvole dense;

 è stato quel suono, seducente, 

di voce come vestita di lino bianco, 

e del profumo della mano che cercava, 

e dell’acuto pensiero, che trovava il pertugio.

 Ed oltre, e dopo, il respiro.



La flûte

 

 

Nel respiro la fiaba si svela, 

come fosse nastro di seta: 

liscio, impalpabile, variopinto, ma ineffabile.

 

Si schiude sospinta dall’aria 

che risuona come mistero svelato

 

 Si annoda, poi si snoda e si distende, quel nastro:

compatto, lento e flessuoso, ricco di  cangianti riflessi. 

 

Casuali ispirazioni incrociano meditati accordi

 

Fra le pieghe di quello stupore, per l’inatteso suono, 

si inarcano, arditi, i pensieri 

 

Le labbra vibrano in astratta emozione, 

le mani  corrono veloci e schiette.

Il cuore ascolta, impavido,  

ogni suo battito