Eligio Ermeti

Poesie


XAVIER

(testo letto da Giancarlo Giannini durante il Concerto di Natale in Vaticano 2000 dedicato a San Francesco Saverio)

Il suo nome era Francisco de Jassu y Xavier.
La sua famiglia: tra le più nobili della Navarra.
La città dei suoi desideri: Parigi, la Sorbonne, le compagnie brillanti, i sogni ambiziosi, la frenesia di sapere, il piacere di vivere, il gusto di emergere, il bisogno di pensare, ma anche il timore della vacuità.

Uno strano personaggio si aggira per i vicoli di Montmartre. E’ basco di Loyola, ha dentro il fuoco di Dio e il chiodo fisso della sua gloria. Ha il fascino e l’inquietudine dei condottieri. Si chiama Ignazio. Vuole portare Dio nel cuore degli uomini e costruire una comunità che abiti i confini della terra: la Compagnia di Gesù.
Francisco è conquistato.
Nella chiesetta di Montmartre finisce la bohème, inizia la Missione.

Mozambico, India, Malesia, Giappone. Francisco parla alla gente: poveri, carcerati, lebbrosi, pescatori di perle, monaci buddisti; cammina a piedi per giorni e giorni o sfida i mari su giunche malsicure; rischia di incontrare pirati e briganti; soffre la fame, la sete, la solitudine.
Ma un sogno gli urge dentro, grande e impossibile: la Cina, lo sterminato impero del cielo.
Come può la misteriosa terra dell’arte, della scienza e della saggezza rimanere impenetrabile al Vangelo?
Ma la Cina è il sogno che lo uccide.
Ne scorge confusa la sagoma dall’isoletta di Sanciàn, al largo di Canton, mentre si spegne in una capanna recitando il Miserere.
E’ il 3 dicembre 1552.

 


 

Sguardo

Lei leva gli occhi con malizia e timore
io li ricordo pieni di dolcezza per lui
di fanciullesca euforia
come di bimba che diviene donna
traendo dal limpido cuore
la vergine festa
di abbandonati sorrisi, di imbronciata tenerezza,
di allusivi silenzi,
di accordi appesi alle ciglia. Per me pietà,
nient’altro, e la carezza incerta
è un’elemosina per il barbone ferito.
Lei leva gli occhi e dubita
io penso genesi e morte, il forse la speranza il mistero
il domani i progetti l’attesa il ritorno
la felicità l’impossibile il malessere
la sconfitta
e che la vita è tanto vicina alla morte
e basta una lacrima a mescolarle.

 


 

Preghiera

Ho quasi ottant’anni.
A chi può interessare
la mia vita di pensieri
che non danno denaro?
A chi importa quello che so, a che servo,
chi amo e cosa sogno?
Sono già un pugno di terra.
E allora prendi questa terra, Signore,
soffiale ancora dentro la tua ruah
come hai fatto il primo di tutti i giorni.
Se vuoi che viva
e la vita sia vita
e non l’attesa vana
di un futuro che non verrà.
Hai detto: “chiedete e vi sarà dato,
bussate e vi sarà aperto”,
ma non per me,
che grido: Elì Elì
e ricomincio ogni giorno la mia crocifissione
di povero cristo dimenticato dal Padre.

 


 

Mare nero

Qui dove l’albatro torna
non torni tu
ed è autunno.

Lusinghe i sorrisi,
di amari addii è il tempo
di solitarie partenze
l’artiglio della notte
l’uno all’altra ci ruba
inconclusi.

 


 

A mia sorella che se n’è andata

L’occhio perduto, mi guardava
la tua straziata faccia di luna
sorpresa che il miracolo non accadesse,
come una bimba delusa,
e la notte ti rodeva le membra
e le certezze.
Sedevi sulla tua carrozzina
come una regina su un trono beffardo
frugavi con gli occhi l’orizzonte troppo breve
delle tue speranze
che si chiudevano come imposte davanti a te.
Anche una regina ha paura del buio,
tu che regina ti eri sempre mostrata
orgogliosa del tuo mondo
la famiglia, la reputazione, il lavoro,
il tuo immaginario di cose buone e giuste,
la tua fede semplice e perplessa
il tuo amore gratuito
come quello delle mamme d’una volta
com’era stata la tua.
S’è tutto consumato così in fretta
senza lasciarti finire di giocare le tue carte
e tu hai abbandonato il campo
inconclusa e offesa.
Non crucciarti troppo di questo destino
che ha sottratto alle ingiurie degli anni
il tuo amore giovane
perché giovane rimarrà in chi ti ha amato.