Eloisa Rubedo

Poesie


L’apprezzamento di una donna

AMANDA

«Quanto vale una donna?» le chiese sornione, mentre guidava la sua automobile nuova di zecca in direzione di quella baita di montagna, dove finalmente si era deciso a volerla portare, per condividere con lei il “suo” spazio più intimo, «Allora? Quanto vale una donna, secondo te?» «Innanzitutto», cominciò a rispondere, «bisogna stabilire agli occhi di chi». «Che cosa intendi dire?»

Amanda sorrise dentro di sé, e si prese tutto il tempo di un lungo respiro prima di rispondere alla domanda piuttosto scontata di Andrew, respiro che trattenne più nella profondità degli occhi che nei polmoni. Amanda aveva vissuto uno spazio di tempo più che accettabile per capire che il prezzo di una donna è variabile non secondo le leggi economiche di mercato, bensì secondo quelle molto più apparentemente semplici dello sguardo desiderante. Non del desiderio in sé, ma dello sguardo desiderante, e tuttavia era riuscita a superare anche questo di ostacolo, ponendo l’apprezzamento di una donna in un luogo inimmaginabile per i più.

«Posso accendere una sigaretta?» Chiese a Andrew, e, senza attendere risposta, lo fece, così, incurante del fatto che probabilmente a nessun’altra, tranne che a lei, Andrew avrebbe concesso tale privilegio: fumare all’interno di un’automobile appena uscita dal rivenditore? Una follia.

«Vedi Andrew, esistono oggi così tanti codici di comportamento, di gesti, di parole, di sguardi, di silenzi, da rendere tutte queste norme inutili e prive di significato, perché sono troppe ed è oggettivamente impossibile per due che intrattengono una relazione rispettarle tutte: si finisce per non amarsi più, per non sentire più alcun trasporto erotico e sentimentale, perché si sostituisce l’amore con l’attenzione. Ma a parte questo, non desidero affatto eludere la tua domanda, e ti rispondo così:

penso che la domanda ‘quanto vale una donna’ sia oscena, perché presuppone quel che ti ho indicato con lo sguardo. Se è lo sguardo altrui a definire il valore di noi stessi, allora, secondo me, non vi è possibilità di salvezza, perché lo sguardo che desidera è limitato alle regioni dell’apparenza, mentre invece credo che il valore di ciascuno sia definito dal proprio di sguardo, quello interiore, che noi stessi rivolgiamo alla nostra profondità. Perciò, in questo senso, il prezzo di una donna e ciò che lei stessa sente e sa di valere, dopo che si è guardata bene dentro. Tuttavia questo, a mio parere, non basta: può divenire una sorta di trappola per lei, se non riesce a renderlo visibile, e, mi dispiace, ma non lo rende visibile attraverso degli atteggiamenti, o dei comportamenti, o delle reazioni, perché tutte queste cose possono essere il frutto di una formazione che non corrisponde affatto alla sua profondità di essere. La realtà esterna costringe noi tutti a fingere, o comunque a costruire un valore visibile ed accettabile per gli altri. Forse, le uniche cose che definiscono veramente il prezzo di una donna sono le sue mani. Le sue mani che odorano di aglio o di cipolla».

«Ecco», disse Andrew, «siamo arrivati».

 


 

La forma del cuore

ALESSANDRA

La mia prima certezza: amo, ho amato, amerò. Sì lo so, è ridicolo, assurdo forse, ma è così. Eppure sento che non ha senso sottrarmi al mio destino, e che anzi corrergli incontro con forza, convinzione, a braccia aperte è ciò che ogni volta mi salva. Oh, si paga un prezzo, certo, come no. Ma il guadagno è tale che ne vale la pena.

Quante volte aveva ripetuto nella mente queste parole Alessandra, donna bambina, prima di andare a dormire, oppure svegliandosi all’improvviso in piena notte, o ancora, camminando sulla spiaggia o per un sentiero di montagna. Ma gli istanti in cui tale certezza le appariva più chiara e trasparente erano quando si ritrovava a compiere le azioni più ordinarie e banali come pulire casa, andare al lavoro, scambiare due chiacchiere con l’anziana vicina di casa o intrattenere una difficile discussione di carattere semifilosofico con ombre del web. Sì, le considerava ombre, perché, a meno che non le avesse conosciute bene di persona, secondo lei quanti e quante impiegavano i social per esprimere sé stessi potevano mentire, anche sugli argomenti più sacri. Figuriamoci con i sentimenti.

Ciò che importa è che io non abbia mentito a me stessa, questo è il guadagno, e non è un guadagno che tutti possono amministrare, perché richiede il possesso di un contenitore che sia più sicuro di una cassaforte, ed è il cuore. Ora, tutti abbiamo un cuore, tutti amiamo, è vero, anche i peggio delinquenti e assassini, i mostri della Storia: allora qual è la differenza? Forse è accettare il fatto in sé di amare e dunque di agire di conseguenza. I delinquenti e gli assassini dimenticano di avere il cuore, perché ogniqualvolta si trovano di fronte alla scelta fra amare o possedere, scelgono la seconda. E’ più facile, costa meno, anzi, tentano di giustificare la scelta del possesso attraverso l’amore. “Ma io l’amo, per questo l’ho uccisa”. Dimostrano così di avere il cuore a forma di arma: coltello, pistola, fucile, telefonino, non importa. Sempre di un’arma di tratta.

Il cuore è una picca rovesciata e priva del gancio: quello lo metti tu, con le parole e i sentimenti. Se lo volgi diviene picca. Tutto qui. No, non è tutto qui.

 


 

Nostos

PENELOPE

«Devi tornare ad essere come eri». Glielo disse al telefonino, con un tono di voce rassegnato, apologetico quasi, come se le stesse dicendo ‘E’ tutta colpa mia, e desidero rimediare’. «Tu sei innocente. Hai un telefono mobile?» «Sì.» «Hai un telefono mobile?» «Sì ì», rispose Penelope ridendo. «Dimmi il numero». Il primo telefono mobile della sua vita, un piccolo Nokia, e lui era stato il primo cui aveva telefonato, dopo dodici anni. Tanta acqua era passata: era accaduto tutto quel che aveva detto lui. Lasciata in balia dell’abbandono amoroso.

Diventare un amore a parte … che disgrazia!

Non lo indebolire, non fargli capire che hai paura. Lui lo sa.

L’odore più buono che si possa sentire entrando in casa è quello del pane fresco appena sfornato, quello impastato con le proprie mani. Spezzarlo ancora caldo e odorarne il vapore, sono atti che riescono a donare un istante di benessere e felicità, qualunque sia il tuo stato d’animo di quel momento. Così anche ascoltare il cinguettio di qualche uccellino in un freddo pomeriggio di fine febbraio. Osservare le cime di alti alberi muoversi al vento e porsi in ascolto del fruscio delle loro chiome.

Questa era l’unica cura che Penelope aveva trovato dopo tanti anni di solitudine: godere di queste cose solo per sé stessa, sentendo il desiderio di condividerle con un altro essere umano, ma aveva finalmente compreso che per prima doveva goderne lei, da sola, senza chiamare nessuno. La cura era diventata in sostanza il riuscire a dare forma al silenzio che rumoreggiava incessante dentro di lei. Ancora riusciva a rammentare la sua voce, i suoi rari scoppi di risa, così spontanei, proprio perché rari.

Dunque, devo tornare ad essere come ero. Ma come ero? Timida. Sì, ero così timida da sembrare scostante, fredda e razionale. Invece, non facevo altro che mantenere IL contegno. Sì: non ‘un contegno’, ma proprio IL contegno, perché dinnanzi al progressivo declino di ogni valore, di ogni forma di rispetto verso ogni altro essere vivente e non, persino, l’unico atto economico, politico e sociale che poteva avere una qualche utilità era di riuscire a mantenere vivo un modo di camminare attento, uno sguardo discreto, un modo di ascoltare e di parlare riservato ed educato, un vestire sobrio, e soprattutto un impegno costante. Non avevo tempo per soffermarmi sulle chiacchiere, le maldicenze, le prese in giro, che pure mi ferivano, ma che senso aveva porgere l’orecchio a tutto ciò, quando dovevo occuparmi anzitutto di me stessa, del mio corpo, della mia mente e del mio spirito, per poter poi un giorno non vivere come un’idiota.

Costruivo e potenziavo già allora quello che oggi è il mio cuore sidereo.

 


 

Amare controvoglia

MELISSA

Si era innamorata una sola volta in tutta la sua vita. E lui lo stesso, ma, a differenza di lei, lui l’amava senza volerlo. Non si trattava pertanto, come tutti i rispettivi amici e conoscenti pensavano, di un banale amore non corrisposto, bensì di un qualcosa difficile da decifrare, perché ciò che mancava era il codice di riferimento. Ora, tutti sappiamo che cosa sia un amore non corrisposto: l’abbiamo provato tutti almeno una volta nella vita, e sappiamo che il tempo in questo caso compie effettivamente il suo dovere. Chi ama senza essere a sua volta amato, dopo un po’ smette di amare: prevalgono tutte quelle cose che conosciamo. La distanza, soprattutto, che non è solo un fatto fisico, di spazio, ma soprattutto di tempo. E si risolve. Da solo.

Nel caso di Melissa e Costante, invece, nulla di fisico era riuscito a separarli: potremmo dire che l’amore li aveva presi, colpiti, catturati entrambi e non li abbandonava. Ci stava bene con loro due, si divertiva a farli stare insieme a soffrire per lo più, ma anche a godere, quando, sfiniti dalla fatica di non volere, si decidevano ognuno per sé, nella propria vita quotidiana fatta di lavoro, famiglie, amicizie separate e aventi vita propria, a lasciarsi andare a quel sentimento che rimaneva comunque inspiegabile per loro. Allora vivevano un attimo di sollievo. Ma poi, la tensione cambiava di nuovo, repentinamente, il suo verso e dunque si apriva di nuovo un periodo di sofferenza puntellato dalla consapevolezza che non poteva essere diverso che così. Certo, all’inizio fu difficile comprendere il gioco, ma più che il gioco, si trattava proprio di un divertimento di amore, che aveva scelto proprio loro due come anime da unire per l’eternità e dimostrare ancora una volta il proprio potere universale. Sembrava che quel bimbo, guardandoli, dicesse “Lo so che non volete: ma proprio perché non lo volete, io vi tengo uniti”.

Chi aveva iniziato? Lui, Costante, era rimasto affascinato da Melissa e volle conoscerla: quello fu il primo di due soli atti di consapevolezza da parte sua. Non l’aveva quindi sedotta, come tutti gli amici di Melissa avevano creduto e pensato con rabbia, maledicendolo, e pregando Melissa di lasciarlo subito, senza indugio. Aveva soltanto desiderato conoscerla, come aveva fatto tante altre volte con diverse ragazze che avevano attirato la sua attenzione, e, una volta conosciutala, se ne era innamorato all’istante. L’amava? SI’! Melissa, invece, non si era innamorata all’istante: piuttosto si era incuriosita, perché al solo stargli seduta vicino, senza nemmeno sapere il suo nome, aveva cominciato a vibrare, come una tenera fogliolina mossa da una leggera brezza primaverile, e non riusciva a comprendere che cosa le stesse succedendo. Volle pertanto capire, ma più che capire, volle provare. Che cosa?

Amore era lì, girava loro intorno, li osservava e rideva con dolcezza, come un bambino. ‘Mi passi il libro, per favore?’, non l’aveva neanche pronunciate queste parole, si era semplicemente avvicinato a lei con la parte superiore del corpo e lo sguardo fisso sull’oggetto, e lei ‘Sì certo, guarda.’, ma nemmeno lei aveva proferito verbo: dialogavano già nella mente. E lui aveva posto quella domanda, perché non solo voleva vedere che libro fosse, ma soprattutto perché anche lui non riusciva a controllare completamente i brividi del corpo: si muoveva, non riusciva a trovare una posizione, benché fosse seduto e la sedia fosse molto comoda. Poi, al momento della pausa, quel dialogo nel silenzio continuò: ‘Usciamo a fumare, vieni?’, ‘Sì certo.’ Lui rimase in silenzio a ammirarla, mentre tutti gli altri si presentavano, e anche lei parlava e sentiva che lui le stava dicendo qualcosa, ma non riusciva a sentire che cosa, perché era impegnata nella conversazione. Allora lui si fece coraggio e le disse ‘Vorrei fare l’amore con te, adesso’ ma quelle parole furono un gesto unico semplice e preciso: le tolse dall’occhio un singolo capello rimasto impigliato fra le ciglia. Melissa spezzò il dialogo nel silenzio, rivolgendosi a lui, come se intorno non ci fosse più nessun altro al mondo e disse “GRAZIE!”, aspettandosi che lui rispondesse “PREGO.”, ma mantenne il silenzio, nemmeno sorrise, se non impercettibilmente, fece un leggerissimo cenno di assenso con il capo, inspirando ed espirando profondamente. Rientrati, lui era calmo, Melissa invece cominciò a comprendere e ad amare.

 


 

Verginità

CANDIDA

«Se vuoi essere il primo, preparati a ricevere una quantità di corna, che nemmeno un branco di cervi …» gliel’aveva sussurrato all’orecchio mentre stava ancora dormendo. L’aveva inteso? Mah, chissà che cosa intende la mente nel sonno. O forse, come spesso lui le dava a intendere, Tiziano stava facendo finta di dormire. «Credimi … è molto meglio essere l’ultimo». Candida era così: quando le veniva in mente qualcosa da dire, che fosse una specie di sentenza, non riusciva a trattenersi: glielo doveva dire e basta. Succedesse poi qualunque cosa. Le prime volte in cui Candida aveva sparato le sue frasi famose, Tiziano assumeva la posizione di uno che si mette al coperto dal lancio di un qualche oggetto, fosse una freccia, un proiettile, una granata: sì, incassava la testa fra le spalle e si abbassava. Poi la guardava sgranando gli occhi, apriva la bocca per rispondere qualcosa, ma non ci riusciva, o meglio, si bloccava e stava zitto: accendeva una sigaretta e metteva da parte. Candida lo guardava e vedendo che non reagiva, subito pensava di averla sparata veramente grossa e provava un improvviso senso di inadeguatezza di fronte a lui, dettato dall’idea che, forse, nel proprio modo di pensare ci fosse qualcosa che non andava.

Quella volta però non era una di quelle prime volte, e Tiziano aveva cambiato strategia: fingeva di dormire. Quindi, aveva sentito molto bene e, finalmente, decise che era ora di rispondere subito, non di sottoporre la frase in questione a una lunga ed estenuante analisi semantico-metafisica. Disse subito: «hai ragione.» «Lo so», rispose lei, «comunque apprezzo il fatto che finalmente riconosci che ho ragione.» «Sai, Candida», disse Tiziano alzandosi dal letto, «mi fai desiderare di tornare ad essere di nuovo vergine …» Candida scoppiò a ridere e Tiziano la seguì all’istante. «Eh, verginità: questa sconosciuta! A volte penso che non esista più. O forse non è mai esistita, nel senso che una volta usciti dal corpo materno, è quello l’istante in cui veramente perdiamo la verginità.»

«E l’atto sessuale è il tentativo di riconquistarla.».