Note di vita
Quando mi sento sola
Tu
sei il mio conforto.
Quando mi sento nulla
Tu
sei il mio tutto.
Quando sono triste e solitaria
Tu
sei musica e gioia.
Quando mi sento debole
e indifesa
Tu
sei la mia forza
e
io sono qui per amarti.
Notes on life
When I feel alone
You
are my comfort.
When I feel I’m nothing
You
are my all.
When I am sad and lonely
You
are music and joy.
When I feel weak
And defenceless
You
are my strength
and
I’m here for love you.
Radici
Le mie radici
verbo incarnato nella terra.
Quella stessa
che guardavo capovolta.
I piedi nelle nuvole
valicavano le sette leghe
Dall’albero muto
dell’antico noce penzolavo
dai frondosi rami
e mi perdevo nelle sue radici
che si snodavano
in ogni campo.
Nella notte
le donne invocano il tuo nome
Demetra,
inebriate dal fruscio
della luna piena
deliranti, in cerchio
follemente danzano
nel fuoco cosmico
della creazione.
Roots
My roots
Word incarnated in the earth.
The same one
that I looked at upside down.
My feet in the clouds
crossed the seven leagues
From the mute tree
of the ancient walnut I dangled
from the leafy branches
and lost myself in its roots
that wound up
in every field.
In the night
women invoke your name
Demeter,
intoxicated by the rustling
of the full moon
delirious, in a circle
madly they dance
in the cosmic fire
of creation.
Anima
Prigioniera nel corpo
l’anima ansima
dal desiderio di evadere
Soffre la nostalgia
d’infinito immenso
Come la goccia che
cade sull’acqua
lo spirito
disegna cerchi concentrici
e viaggia libero nell’universo
ricamato di galassie
con il suono
dell’eterno mantra
Soul
Prisoner in the body
the soul pants
from the desire to escape
He suffers nostalgia
of immense infinity
Like the drop that
falls on the water
the spirit
draw concentric circles
and travel free in the universe
embroidered with galaxies
with sound
of the eternal mantra
Io e Te
Dicesti di amarmi,
Ne fui sorpresa,
Non eri il mio
Principe azzurro.
Ma anch’io ti amavo,
Non sempre
A volte ti odiavo
Non ti capivo.
Mi arrabbiavo,
Anche tu
Non mi capivi,
Ma non ti arrabbiavi.
Solo una volta,
Mi facesti paura.
Qualche volta ci siamo capiti,
Ma durava poco.
Due mondi diversi,
Vicini e lontani
Due mondi misteriosi.
Elsa Aruna Petrongolo
Ricordo del Maestro
All’improvviso la morte
il corpo senza vita
la cremazione.
Levitante,
circondato da un alone di luce,
come un sogno,
apparivi la domenica per il Darshan.
Dopo una lunga attesa,
anelavo al tuo sorriso intenso e silenzioso
alla tua voce dolce come il miele d’acacia
e vibrante delle melodie profumate
dei fiori di frangipani.
Esultavo d”amore per Te, per la vita!
Ricordo come fosse ora;
la tua dolce e rotonda figura
passeggiare con l’ombrello,
per ripararti dal sole,
nel giardino della tua casa
verdolina di Calcutta.
Mentre io arrampicata sul muro di cinta
sopra una fila di mattoni traballanti
sotto i piedi.
Ti guardavo felice di poterti vedere
anche da una posizione così scomoda.
Ora abiti altri mondi, galassie!!!
Ora, non mi arrampico più
sul muro di cinta,
della tua casa verdolina,
di Calcutta.
Elsa Aruna Petrongolo
Ricordo di lilou
Mi sei apparsa come in un dipinto
di Manet, una chiazza bianca
sopra un prato verde.
La mamma,
gioiva con i suoi piccoli
e festosi cuccioli,
sul prato della casa sul colle.
Eri una palla di neve!
Come un viandante
mi venisti incontro.
Mentre la mia amica
cercava di convincermi ad adottarti,
tu balzasti sul mio petto
scodinzolando, mi annusavi.
Io non ti volevo, mi conquistasti.
Fu amore a prima vista.
Mi facesti battere il cuore!
Diventasti grande e pelosa,
ti mancava solo la parola.
Sei stata la mia maestra!
Elsa Aruna Petrongolo
Sogno
Avevo da poco compiuti cinquant’anni
quando feci un sogno che mi portò
in un mondo fino ad allora sconosciuto.
Camminavo in vetta ad una catena montuosa,
ricca di vegetazione e tanti fiori.
Gioivo, nella bellezza della natura,
in serena contemplazione.
Quando una voragine si aprì
sotto i piedi e caddi giù.
Mi ritrovai in una grande valle
arida e deserta,
dove non c’era stabilità.
Esseri agonizzanti,
gemevano, camminando,
avanti e indietro.
Stavano a piccoli gruppi,
appoggiandosi l’un l’altro o ad un bastone.
Abiti ingialliti dal tempo,
pochi e sottili capelli grigi.
Dappertutto aleggiava
lo spettro della morte.
Fissavo come pietrificata
quel luogo arido e surrealista.
Mi svegliai nel letto madida di sudore.
Dopo quel sogno,
non fui più la stessa.
Elsa Aruna Petrongolo
Time
I wish to scatter to the wind
the ashes of my body
now lifeless into the world
and be reborn in every place.
My soul wanders in tears
in the cruel wind of time,
is lost in the space
of unknown worlds,
fretful, it never rests.
My heart beats in the breast
of the earth
and vibrates with it in the song
of infinite love
Veronica gatta speciale 2011
Non ti ho amata
come avrei voluto amarti
Tante volte ti ho trascurata
Tu sei stata una gatta speciale,
dolce e prolifera.
Con la tua presenza
hai reso lieti i miei giorni,
hai tenuto sgombro
il mio giardino
dai topi e
tante volte hai riscaldato
il mio cuore con la tua
costante presenza.
Elsa Aruna Petrongolo
All’amica scomparsa
Come l’acqua del fiume
ogni cosa si muta e
noi uno ad uno scompariamo
parenti e amici
come un soffio,
uno sbattere d’ali.
Tutto ciò che è bello
trascorre
solo i ricordi
ornano la vita
di chi resta
Elsa Aruna Petrongolo
La Terrazza
Le onde del mare
cullava il sonno delle bambine.
Quando tutte insieme dormivano
sulla terrazza della casa paterna,
nelle calde notti d’estate.
Fissavano quei puntini
luminosi e lontani
nel cielo stellato.
Era di un profondo blu indaco,
la volta del cielo in quelle notti
di veglie stellate.
Quando pigramente indugiavano
perdute in un vago fantasticare
sul loro futuro di donna.
Elsa Aruna Petrongolo
Filippo
Era sulla porta di casa,con un sorriso dolce e incoraggiante indicava una valigia vuota.
Mio padre è morto alla fine degli anni ’50. Mi guardavo nello specchietto retrovisore con maliziosa civetteria. Prima d’allora non ricordo di essermi mai guardata così in uno specchio.
Ero al funerale di mio padre la primavera stava per iniziare. L’ultimo scorcio dell’inverno e la tragedia della morte annunciavano un lungo periodo di tristezza.
Ero strippata in una macchina insieme ad alcune delle mie cinque sorelle e parenti venuti dalla provincia di Chieti, per assistere al funerale di mio padre morto all’età di soli quarantotto anni. Lasciava la moglie e sette figli, quasi tutti piccoli. Una vera tragedia, anche se noi non sapevamo ancora che il nostro futuro sarebbe rimasto segnato da quell’evento.
Mentre gli adulti parlavano fra loro, con voce triste, io, seduta sulle ginocchia di qualcuno sul sedile posteriore della vecchia 1100, giocavo con lo specchietto retrovisore. I miei genitori erano abbruzzesi. Ero nata a Torrevecchia Teatina a due passi dal mare, lì, sulle colline intorno, vivevano tutti i nostri parenti, tanti, perchè i miei genitori provenivano da famiglie numerose. I miei nonni, i genitori di mio padre, vivevano tutti insieme, con fratelli, figli e nipoti; trentacinque persone che possedevano ettari ed ettari di terreni, intere colline. Gli altri nonni erano proprietari di un frantoio. Per un lungo periodo buona parte dell’olio che si produceva sulle colline teatine uscì dal frantoio di Panfilo. Poi, mio padre decise di trasferirsi in Toscana, dopo aver venduto la proprietà, per seguire un amico che l’aveva già fatto e gliene aveva parlato bene.
Noi bambini ci eravamo adattati subito al nuovo ambiente, anche se molto diverso da dove eravamo nati. La pianura pisana mi appariva triste e desolata, rispetto alla sinuosità delle colline, che a est confinava con il mare e ad ovest con il Gran Sasso.
La primavera, al mio piccolo paese, era unica, con le colline ricoperte di mandorli in fiore. E quando, nelle notti d’estate, potevo dormire sulla terrazza della nostra casa, con le mie sorelle più grandi e mio fratello, sotto la luna e le stelle, era estasiante. La mattina potevo godermi lo spettacolo dell’alba. Il sole veniva su dal mare, una palla di luce che si levava da un letto d’acqua. Uno spettacolo unico che la natura rinnovava ogni giorno. Andavo in samadhi dalla felicità. Restavo estasiata da tanta bellezza. Mi sentivo come un piccolo Buddha e fu quello l’unico periodo della mia vita in cui sono stata totalmente felice.
L’unione e l’affetto familiare, il contatto con la natura, avevano fatto di me una bambina ridente.
Avevo due fratelli, ma uno era morto in un incidente stradale, Claudio,quando io ero appena nata. Da mia madre, con il latte, ho succhiato il dolore per la morte del suo primogenito.
All’epoca, io ero l’ultima di sette figli, poi era nata un’altra bambina alla quale fu dato lo stesso nome di mio fratello morto.
Ora, a distanza di pochi anni, la morte si portava via anche nostro padre.
Eravamo rimaste tutte donne, sette,e l’unico maschio era un ragazzo di salute gracile.
Non riuscivo a capire l’allontanamento precoce. Anche i miei nonni se n’erano andati,ma loro erano anziani e quella, secondo il mio giudizio di bambina, era una morte naturale. Mio padre doveva ancora occuparsi di noi, avevamo ancora bisogno di lui.
Era un uomo buono e giusto e non aveva mai fatto del male a nessuno. Aveva fondato una cooperativa agricola, dove tutti i coltivatori del posto potevano vendere i loro raccolti. Fu la prima cooperativa agricola ad essere fondata da quelle parti. Mio padre mi ha insegnato il valore della vita, della solidarietà e della giustizia. Ripeteva di avere sempre un saluto e un sorriso per tutti.
Era un uomo pacifico, con uno spirito sociale evoluto rispetto al periodo di cui sto parlando.
Amava la vita e amava la sua famiglia e ci intratteneva sempre con favole e racconti di esperienze
da lui vissute. Seduti intorno al caminetto acceso, nella grande cucina,trascorrevamo le serate d’inverno ascoltando i suoi racconti fantastici. L’ascoltavamo, tutti, con molta attenzione e a bocca aperta per lo stupore. Quando lui ad un certo punto esclamava, “bambini tutti a letto” la storia s’interrompeva nel momento più intenso, più bello e riprendeva la sera dopo. Attraeva completamente la nostra attenzione. I suoi racconti era la nostra fiction serale fatta in casa.
D’estate con la scusa di prendere la sabbia per i lavori di restauro della nostra casa, ci portava al mare, tutta la tribù, tralasciando i suoi impegni.
Ci caricava su un carro trainato dai buoi e via giù per la collina, un coro d’urli e gridolini di paura
e di gioia, per l’emozione del piccolo viaggio avventuroso.
I miei genitori, persone semplici e intelligenti, possedevano una piccola fattoria con tanti animali
e coltivavano cereali, frutta e verdure e c’era sempre lavoro per tutti, dai più grandi ai più piccoli, e avevamo anche dei lavoratori stagionali. Mio padre era un uomo presente nella vita di tutti noi, ci educava alla tradizione cristiana e agli ideali socialisti. Insieme, dovevamo contribuire al buon funzionamento della nostra famiglia e aiutare anche gli altri; assegnava ad ognuno di noi un compito giornaliero e guai a non eseguirlo. Mi ricordo che all’età di cinque anni andavo all’asilo dalle suore, prima di uscire di casa dovevo dare l’acqua al nostro cane. Ero molto felice di quel dovere, mi sentivo importante. Prima d’ogni pasto, facevamo tutti insieme una preghiera, e poi nostro padre ci serviva una porzione adeguata all’età, senza mai eccedere. La sua filosofia era: “meglio restare con un po’ di fame che fare una scorpacciata”. Questo ci permetteva di vivere in salute con le guanciotte bianche e rosse. Nostro padre ci controllava tutti; non so come facesse a portare avanti la sua vita, il suo lavoro, la sua attività sociale e a non perdere di vista tutti noi.
Aveva una grande personalità, una grande energia e io pensavo che fosse invincibile come Attila e immortale come Shiva.
E poi, invece la sua vita si è spezzata, è morto e io non riuscivo a crederci, ad accettarlo. La vita a volte è proprio crudele.
In quel triste pomeriggio di marzo, la mia mente si alternava, dai ricordi della prima infanzia felice
al gioco con lo specchietto retrovisore.
Rifiutavo la morte, la odiavo.
Giocavo per difendermi dal dolore, non avrei voluto giocare con lo specchietto, ero al funerale di mio padre, ma il dondolio dell’auto lo stimolava.
Quel gioco mi faceva sentire strana, scissa, cattiva. C’era qualcosa di sconosciuto che percepivo in me. Da una parte mi sentivo quella di sempre, una bambina gioviale e solare che amava e soffriva per la morte di suo padre. L’altra, invece, era molto arrabbiata e confusa e provava sentimenti non familiari e si sentiva in colpa.
Dopo qualche giorno mi venne la febbre molto alta e il dottore non riuscì a capire la causa. Nel giro di pochi giorni guarii, ma non ero più la stessa bambina, tutto era cambiato dentro e fuori di me.
Ho sognato mio padre. Mi trovavo al mare con Claudia e Caterina, la prima notte che abbiamo dormito insieme nella casa all’Elba l’ho sognato.
Era sulla porta di casa, con un sorriso dolce e incoraggiante indicava una valigia vuota.
Ciao Filippo.
Gioco di parole
La poesia ha
svegliato in me
l’amore per le parole.
Ora le parole
si scompongono
in leggere
giocose castagnole.
Provo a catturarle
ma scivolano via
di fra le dita
guacamole.
Si ricompongono
in magiche scatole
di favole.
Le parole volano
via, di qua e di là.
Sono farfalle
sotto il sole.
Sorelle
Sola nel caldo tramonto.
Ombre
Rosse nel vento
E stelle cadenti
Lontane,
Luminose meteore
Emozioni
Maree
Vado a nuotare
nell’acqua increspata
del mare
nel vento
dei miei pensieri
schiumosi e leggeri.
Rema lontano
il mio sguardo,
sull’acqua del mare.
Nell’infinito orizzonte
dove il sole tramonta.
Mente
Serpente colorato
gira indisturbato.
Con la lingua velenosa
striscia acquattato
lungo il tronco sospeso,
sull’acqua del ruscello.
Pollock
Il buddha
in meditazione
era nei pensieri
di Pollock
gettati
nelle allucinazioni
creative.
Rondini ferite
schiacciate nel freddo
metallico
asfalto.
Strada senza uscita.
Libertà
La libertà è
un abile pifferaio,
fa uscire allo scoperto
anche i serpenti
più velenosi.
La dolce melodia
della libertà
tramortisce le coscienze
che si lasciano imprigionare
in guerre fratricide.
La libertà
è una fragilità
nella ricerca dell’immortalità,
ambigua scusa
per soppravvivere.
La libertà
vibra
nel vento,
come stendardo
di un ideale
irraggiungibile.
Sole di notte
Raggi di luce
filtrano le ombre
sottili del mio cuore.
Campi di stelle,
girandole di colore,
bisbigli
incomprensibili.
Brusii di silenzi
risplendono
nella magia
della notte.
Sulla nera collina
Scavo tunnel e gallerie
nell’inconscio dell’anima
alla ricerca del
loto del Buddha
che giace dormiente
sulla nera collina.
Sulla nera collina
nel coltivato
la talpa raspa
la terra a mappa.
Ma il villano
l’acchiappa
e l’attacca al ramo.
L’amore per i fiori
mi porta dentro il sole,
nei campi di girasoli.
Passa un trattore
che taglia i girasoli,
con tanto dolore
per il mio cuore
che ama i fiori.
Cuore
Da sempre ti ho ignorato
Ora sei il mio tormento
Batti sempre
Provo un sentimento,
Devo chiamarlo amore?
Il dubbio mi tormenta.
Colori
Le matite vivono
nella fantasia
di chi gli dà forma
e colore,
nuvole bianche
riflessi di mare.
Alberi giganti
boschi verdi
gialli, marroni
di foglie disegnate
sulla carta
che calpesto
con i miei pensieri.