Meravigliosamente strega
Dimmi tutti di te, Marylin.
Pur di dir “bellezza leonina”,
gemma in gesta sterili.
Mestra di poesia essa stessa,
principessa in Mitilene suona
accordi in amarene, gelidi.
E’ Rugantino:
dalle osterie gli stornelli,
con snelli polpastrelli
tamburelli su un vecchio violino.
Capelli riflesso di un biancospino,
di timo ruscelli
nel bacio ad acquarelli del nero Arlecchino.
Corvo d’amor cieco
è la ballata di un lamento.
Un sentimento in un lembo argento
che macino lento
in un lento d’archi.
Vogliate scusarmi ma a calmarmi
è l’insinuarmi in armi sotto al vostro grembo.
Color d’amore:
un quadro a fetide tinte.
Vivi in trame da teatro
se adagio elevi le quinte.
Tra il fogliame sei
maestrale da impugnare, ventaglio,
pugnale o fermaglio:
Milady de Winter.
Il mondo cattivo dell’arte
Io sono i sogni in cui vivo,
un mondo d’arte è martirio.
In un mare calmo grido
palpando gocce di sidro.
E’ da un po’
che divido il mio giaciglio con un giglio nero,
è il cattivo,
io il figlio scemo.
Promette che danzeremo
e corre, corre
ma ancora un miglio e tremo.
Io ho un cuore d’oro in un cubo incartato,
fra due labbra rubino,incastrato.
Ingenuo, misero
muoio aggrappato ad un mondo incantato.
Colei Che Fu
Il vento apparve presto
carezzandole le rughe
con dolcezza
a lei, che giovane fù.
Apparve presto il mare
solleticandole i piedi
con baci
a lei, che bella fù.
Venne presto il caldo
per far l’amore
prepotentemente
con lei, che avvenente fù.
La morte apparve presto
guardandola come una figlia
porgendole la mano
a lei, che donna fù.
Concentrazione
Concentrarmi su me
nello sterno, concedermi tarli
commentarli
come tanti falsi
in cerca del vero, di innamorarsi.
Già siamo sazi
di noi, vaghiamo scalzi
se vuoi, mi rialzi anche se è tardi.
Mai stati stanchi
amanti.
Poni avanti cuori che baratti.
Nel barattarli li mangi,
ne piangi nel colorarli.
Addormentarsi
il sonno mi coglie tra i sassi
per concentrarmi su me.
Quel dì di primavera
Otre pieno,
corde di un benjo mi allientan la sera.
D’abiti lercio,
il sudiciume allude al giorno in brughiera.
In quel dì di primavera, dall’afa nera
caraffa dopo caraffa sognai volti Calavera.
Sarà cera a far da lume
luce in una notte di maggio.
Bovini supini su portate al foraggio.
Per me un ortaggio indegno,
sale e qualche pezzo di formaggio.
Forse un assaggio sarebbe gradito
ma non ho nulla da darvi,
posseggo una mezza baracca,
un campanaccio e una casacca.
Dal gregge già ridono
mentre assaggio il bel pianto della risacca,
baritono.
Quel dì presi due muli e partii.
Partii per il mercato
con giare cariche a radiche.
Pratiche a lenir dolori opprimenti alle natiche.
Dal sapor più che eccellente.
Solo sei soldi per un tetto,
un duetto con labbra aride.
Ma l’alba è un fior di campo,
muoion presto i tulipani.
Tra pietanze odor di arance,
qui si lanciano richiami
di massaie masse informi
in uniformi grigie autunnali,
ci si urla di ricchezza tra meschere ai saturnali.
Là conobbi maiali morti, cotti a mestiere,
caporali fuori servizio col vizio di bere.
Occasionali spettatori di uno spettacolo unico:
un cerusico balla con un vecchio orso giocoliere.
Le fiere,
qual rimorso lasciarne i viali
a dorso di mulo.
Bianche vele ripercorrono a ritroso canali,
il mio mulo è nervoso.
Così
quel dì di primavera puntai la fronte altrove,
alla brughiera
dove un otre mi allieta la sera.
laddove
un bovino quieto bruca e smuove viole
lanciandole all’ultimo vento dell’ovest.
Così
quel dì di primavera puntai la fronte altrove
alla brughiera
dove un benjo mi allieta la sera.
Laddove
un grifone inquieto si nutre di rose
mirandone i petali, seta di sospiri dall’ovest.
Atarassia
E’ l’urlo tuo che mi ridesta dai fascicoli,
cercati, cercami, sono ancora qui
in cerca di solitudine,
è un’incudine di suppliche.
La beatitudine da gonadi presenta spigoli.
Sono giorni morti in unicorni rossi
come mostri dal bianco vuoto se ruoto in un cubo.
L’incubo del nulla è una landa brulla, vi scorgo morsi
di un amore che bussa ma è frusta in chiodi e velluto.
Mi inchiodi muto, perfino a parlar tremo,
un passero solitario sul binario dello scemo.
D’immaginario osceno mi immagino la scena:
io che, impavido, di schiena fisso il vuoto in cui cadremo.
Sembro nero
in un cerbero cielo in cui ci assembleremo.
Il tuo urlo nel vetro, sereno, ci deterge il pelo
ma remo
perso all’ombra di un sombrero
per lasciarti sorridere accovacciata sul ramo di un melo.
Il Sogno nel Sentiero del Cipresso
Shhh…
Non mi si disturbi
che tra lacrime e pagine cerco universi ricurvi
su loro stessi
come cipressi persi in amplessi
che sfiorando terra e sterpi si credon furbi.
Fra alberi e stelle
focalizzo un punto fisso e fisso
castelli di perle.
Nel reame boscoso a dar sfogo ai sensi
e perdermi
fra gli oleandri nel verde.
E’ un jazz:
lieto giunco caduco che danzi,
l’ondeggiar t’è dolce sulla ghiaia.
Chiedo aiuto ad uno specchio in lamine di vetro,
lacrime di gelo di una piccola fiammiferaia.
All’ombra mia riposi
gagliardo
che risposi al tuo sguardo guardandoti.
Inondandomi di odori
dal tuo manto di fiori
che dipingono i tuoi cuori in un giglio di alabastro.
Solo muoio nella solitudine di rigide mattine
in cui scorgo mesi.
Dolce stelo
sorreggi nuda chioma,
la luna suona arpeggi,vedi?
E’ buona.
Buona la bruma che sorseggi
dai versi regi dei tuoi immensi fregi bruni
come bruna è la laguna in cui galleggi.
Distante leggi
di stanze splendenti, di grandi danze.
Io che oramai sono
l’ultimo cipresso secco
nei candidi giardini di Pi ramses.
Frammenti
Ora guardami.
Sono tutto nuovo
in apparenza.
Vesto gli stessi sbagli
con più prudenza.
Ma sono io
nuovo o vecchio
che piango lacrime di carta ancora:
frammenti di me,
frammenti di specchio.
Se Camminando Scrivo
Cammini lento
io,tu,
bambini dentro.
Pupille indaco
colgono ciò che è male
ma il cuore d’oro semina grani
li fa germogliare.
Cammini lento
io,tu,
voci che non sento.
Mare bianco
salva ciò che anneghi.
Con una mano tiri in basso
mentre con l’altra preghi.
Cammini lento
io,tu,
sguardi in annichilimento.
Urla scarlatte
infrangono il mio petto
che brucia e brucia.
Voglio il gelo, è un mese che aspetto.
Non piangere
Lacrime sul viso
chiamale rughe,
chiamale piaghe,
chiamalo sorriso.
Lacrime sul viso
chiamali spartiti,
chiamali ruscelli,
chiamalo sorriso, amico.