Emanuele Trifelli - Poesie

Meravigliosamente strega

 

Dimmi tutti di te, Marylin.

Pur di dir “bellezza leonina”,

gemma in gesta sterili.

Mestra di poesia essa stessa,

principessa in Mitilene suona

accordi in amarene, gelidi.

E’ Rugantino:

dalle osterie gli stornelli,

con snelli polpastrelli

tamburelli su un vecchio violino.

Capelli riflesso di un biancospino,

di timo ruscelli

nel bacio ad acquarelli del nero Arlecchino.

Corvo d’amor cieco

è la ballata di un lamento.

Un sentimento in un lembo argento

che macino lento

in un lento d’archi.

Vogliate scusarmi ma a calmarmi

è l’insinuarmi in armi sotto al vostro grembo.

Color d’amore:

un quadro a fetide tinte.

Vivi in trame da teatro

se adagio elevi le quinte.

Tra il fogliame sei

maestrale da impugnare, ventaglio,

pugnale o fermaglio:

Milady de Winter.


 

Il mondo cattivo dell’arte

 

Io sono i sogni in cui vivo,

un mondo d’arte è martirio.

In un mare calmo grido

palpando gocce di sidro.

E’ da un po’

che divido il mio giaciglio con un giglio nero,

è il cattivo,

io il figlio scemo.

Promette che danzeremo

e corre, corre

ma ancora un miglio e tremo.

Io ho un cuore d’oro in un cubo incartato,

fra due labbra rubino,incastrato.

Ingenuo, misero

muoio aggrappato ad un mondo incantato.



Colei Che Fu

 

Il vento apparve presto

carezzandole le rughe

con dolcezza

a lei, che giovane fù.

Apparve presto il mare

solleticandole i piedi

con baci

a lei, che bella fù.

Venne presto il caldo

per far l’amore

prepotentemente

con lei, che avvenente fù.

La morte apparve presto

guardandola come una figlia

porgendole la mano

a lei, che donna fù.


 

Concentrazione

 

Concentrarmi su me

nello sterno, concedermi tarli

commentarli

come tanti falsi

in cerca del vero, di innamorarsi.

Già siamo sazi

di noi, vaghiamo scalzi

se vuoi, mi rialzi anche se è tardi.

Mai stati stanchi

amanti.

Poni avanti cuori che baratti.

Nel barattarli li mangi,

ne piangi nel colorarli.

Addormentarsi

il sonno mi coglie tra i sassi

per concentrarmi su me.


 

Quel dì di primavera

 

Otre pieno,

corde di un benjo mi allientan la sera.

D’abiti lercio,

il sudiciume allude al giorno in brughiera.

In quel dì di primavera, dall’afa nera

caraffa dopo caraffa sognai volti Calavera.

Sarà cera a far da lume

luce in una notte di maggio.

Bovini supini su portate al foraggio.

Per me un ortaggio indegno,

sale e qualche pezzo di formaggio.

Forse un assaggio sarebbe gradito

ma non ho nulla da darvi,

posseggo una mezza baracca,

un campanaccio e una casacca.

Dal gregge già ridono

mentre assaggio il bel pianto della risacca,

baritono.

 

Quel dì presi due muli e partii.

 

Partii per il mercato

con giare cariche a radiche.

Pratiche a lenir dolori opprimenti alle natiche.

Dal sapor più che eccellente.

Solo sei soldi per un tetto,

un duetto con labbra aride.

Ma l’alba è un fior di campo,

muoion presto i tulipani.

Tra pietanze odor di arance,

qui si lanciano richiami

di massaie masse informi

in uniformi grigie autunnali,

ci si urla di ricchezza tra meschere ai saturnali.

Là conobbi maiali morti, cotti a mestiere,

caporali fuori servizio col vizio di bere.

Occasionali spettatori di uno spettacolo unico:

un cerusico balla con un vecchio orso giocoliere.

 

Le fiere,

qual rimorso lasciarne i viali

a dorso di mulo.

Bianche vele ripercorrono a ritroso canali,

il mio mulo è nervoso.

 

Così

quel dì di primavera puntai la fronte altrove,

alla brughiera

dove un otre mi allieta la sera.

laddove

un bovino quieto bruca e smuove viole

lanciandole all’ultimo vento dell’ovest.

 

Così

quel dì di primavera puntai la fronte altrove

alla brughiera

dove un benjo mi allieta la sera.

Laddove

un grifone inquieto si nutre di rose

mirandone i petali, seta di sospiri dall’ovest.



Atarassia

 

E’ l’urlo tuo che mi ridesta dai fascicoli,

cercati, cercami, sono ancora qui

in cerca di solitudine,

è un’incudine di suppliche.

La beatitudine da gonadi presenta spigoli.

Sono giorni morti in unicorni rossi

come mostri dal bianco vuoto se ruoto in un cubo.

L’incubo del nulla è una landa brulla, vi scorgo morsi

di un amore che bussa ma è frusta in chiodi e velluto.

Mi inchiodi muto, perfino a parlar tremo,

un passero solitario sul binario dello scemo.

D’immaginario osceno mi immagino la scena:

io che, impavido, di schiena fisso il vuoto in cui cadremo.

Sembro nero

in un cerbero cielo in cui ci assembleremo.

Il tuo urlo nel vetro, sereno, ci deterge il pelo

ma remo

perso all’ombra di un sombrero

per lasciarti sorridere accovacciata sul ramo di un melo.



Il Sogno nel Sentiero del Cipresso

 

Shhh…

Non mi si disturbi

che tra lacrime e pagine cerco universi ricurvi

su loro stessi

come cipressi persi in amplessi

che sfiorando terra e sterpi si credon furbi.

Fra alberi e stelle

focalizzo un punto fisso e fisso

castelli di perle.

Nel reame boscoso a dar sfogo ai sensi

e perdermi

fra gli oleandri nel verde.

E’ un jazz:

lieto giunco caduco che danzi,

l’ondeggiar t’è dolce sulla ghiaia.

Chiedo aiuto ad uno specchio in lamine di vetro,

lacrime di gelo di una piccola fiammiferaia.

All’ombra mia riposi

gagliardo

che risposi al tuo sguardo guardandoti.

Inondandomi di odori

dal tuo manto di fiori

che dipingono i tuoi cuori in un giglio di alabastro.

Solo muoio nella solitudine di rigide mattine

in cui scorgo mesi.

Dolce stelo

sorreggi nuda chioma,

la luna suona arpeggi,vedi?

E’ buona.

Buona la bruma che sorseggi

dai versi regi dei tuoi immensi fregi bruni

come bruna è la laguna in cui galleggi.

Distante leggi

di stanze splendenti, di grandi danze.

Io che oramai sono

l’ultimo cipresso secco

nei candidi giardini di Pi ramses.



Frammenti

 

Ora guardami.

Sono tutto nuovo

in apparenza.

Vesto gli stessi sbagli

con più prudenza.

Ma sono io

nuovo o vecchio

che piango lacrime di carta ancora:

frammenti di me,

frammenti di specchio.



Se Camminando Scrivo

 

Cammini lento

io,tu,

bambini dentro.

Pupille indaco

colgono ciò che è male

ma il cuore d’oro semina grani

li fa germogliare.

 

Cammini lento

io,tu,

voci che non sento.

Mare bianco

salva ciò che anneghi.

Con una mano tiri in basso

mentre con l’altra preghi.

 

Cammini lento

io,tu,

sguardi in annichilimento.

Urla scarlatte

infrangono il mio petto

che brucia e brucia.

Voglio il gelo, è un mese che aspetto.



Non piangere

 

Lacrime sul viso

chiamale rughe,

chiamale piaghe,

chiamalo sorriso.

Lacrime sul viso

chiamali spartiti,

chiamali ruscelli,

chiamalo sorriso, amico.