Federica Ficola

Racconti


Le cose belle che volevo dirti

Alle quattordici in punto l’ampio salone della mia casa di adolescente diventava il cocchio di Cenerentola ed io ci salivo trattenendo il respiro.. le grandi finestre che davano proprio sulla strada principale del mio paese diventavano il mio regno:aspettavo che tutti in casa avessero qualcosa da fare e che soprattutto mi lasciassero da sola per avvicinarmi alle serrande semiabbassate;con passo deciso scomparivo dietro le pesanti tende di lino bianco e con movimenti delicati,per non suscitare rumore, giravo la maniglia di una finestra e subito,appoggiati i gomiti al davanzale di marmo,arrivavo ad appiccicare il naso e la fronte in corrispondenza di una fessura della serranda di legno,così da ficcare lo sguardo fuori a cercare immediatamente dei punti di riferimento:la strada sottostante,le macchine di passaggio,i passanti indolenti,il bar che per qualche sconosciuto progetto divino,avevano aperto proprio di fronte alla mia abitazione.Mi vantavo di avere gli occhi verde chiaro brillante che in quel momento del mio pomeriggio mi servivano come un raggio laser per illuminare il percorso del mio desiderio di arrivare a te,che,come d’abitudine,a quell’ora passavi con il tuo motorino per la sosta con gli amici al bar;riuscivo a registrare velocemente una sequenza interminabile di immagini:uno zoom che scattava in sintonia con i miei battiti di innamorata mi portava a scrutare te,magari di spalle o di profilo, ma già solo intravedere la tua sagoma era per me una vertigine.. tu eri lì,a pochi metri,ignaro di tutto quell’amore che correva giù insieme ai granelli di polvere che mi arrossavano gli occhi; mi stordivo di felicità:era curioso vederti a strisce,ma i miei occhi ormai “a mandorla”,seguivano solo la linea orizzontale delle fessure lignee e riuscivano a carpire ogni tuo particolare.Con qualunque condizione atmosferica mi scontrassi,la mia finestra dalla serranda abbassata ed impolverata,era sempre aperta sul tuo viso chiaro incorniciato dai capelli ribelli,sul tuo sorriso che tradiva un incisivo storto che per me era una imperfezione adorabile.Questo spiarti è il ricordo più bello ed indistruttibile dei miei quindici anni.Non si è mai aperta,per noi,la finestra del mio salone stile inglese,è rimasta chiusa a rendere impermeabili le mie lacrime ed a frenare la mia corsa:ti ho aspettato tanto lì dietro,in silenzio;quell’avvolgibile di tek non si è mai incendiato con i nostri baci.Ho atteso nella speranza di un tuo pur minimo segnale,un cenno del tuo capo profumato,un sorriso che sbandasse sul tuo dente storto per arrivare fino a me, una curva delle tue bellissime braccia a circondare la mia solitudine. Conoscerti poi,ascoltarti,parlarti scomparendo nel turchese dei tuoi occhi,stringerti le mani,scriverti pensieri delicati ,non mi ha riconsegnato te ,come la penombra del lino bianco delle tende profumate di bucato. Non mi hai mai cercata,né voluta ..ti ho avuto per soltanto chiuso nei mie occhi a mandorla pizzicati dal sole,dal vento delle stagioni.Per sempre mi è rimasto un curioso riflesso incondizionato;ogni volta ancora adesso che il calendario sottolinea i miei quarantadue anni,quando mi trovo a passare vicino alla finestra del salotto antico,con la mano scosto la tenda e guardo fuori.. la stessa strada,gli stessi scorci di cielo, gli stessi passanti frettolosi che portano sulle spalle le proprie storie,i propri sogni; anch’io viaggio con loro e se mai nel cammino il mio sguardo ti incontrasse ancora, ti dimostrerebbe ovunque riconoscenza per essere stato l’artefice involontario del mio transito da bambina ad adolescente con gli occhi a mandorla. Non c’è più la serranda dal tek scolorito a dividermi dal resto del mondo e dalla vita, l’ho sollevata con la forza dei ricordi; tutto è stato trasportato da me al sicuro.. il mio sguardo è libero e l’amore mi è accanto.

 


 

Confetti e gazzosa

C’era un periodo dell’anno che attendevo con trepidazione, finite le ore di scuola:sapeva che più volte sarebbe potuta andare a dormire a casa della nonna materna. Non solo,poteva con lei trascorrere anche parecchie ore del dopo cena,in un luogo che considerava fatato. Si dava il caso che una cugina della nonna avesse un negozio di gioielleria,articoli da regalo e bomboniere.Con la stagione estiva sempre più numerose erano le cerimonie: Battesimi , Comunioni e Matrimoni,quindi il negozio lavorava moltissimo e tantissime erano le commissioni per il confezionamento soprattutto delle bomboniere.La serata più bella che potesse aspettare iniziava infatti con il trasferimento a casa della nonna solitamente a cena avvenuta, poi aspettavano che arrivasse il marito della cugina di nonna che con una vecchia auto,veramente un po’ sgangherata,veniva a prenderle portandole proprio al centro del paese davanti alla bellissima fontana, dove già si intravedeva una serranda non ben abbassata da cui filtrava la luce del negozio. Quindi dopo i saluti di rito, i baci e gli abbracci di benvenuto,entravano in una stanzetta che era strapiena di cose: scaffali che contenevano piccoli oggetti ornamentali dalle forgie più svariate,scatoloni di cartone colmi di centrini di tulle di varie dimensioni e colori, cassettiere con nastri di vari colori e tessuti.Al centro della stanza l’imponenza di un lunghissimo tavolo coperto da tovaglie di lino bianco: era il tavolo da lavoro. Ciò che colpiva di più in questa atmosfera da città dei balocchi , era il profumo vanigliato dei confetti che erano già aperti, lasciati nelle loro scatole , al centro del tavolo,per sprigionare al massimo il loro profumo e per non rovinarli. Ci si metteva subito all’opera. Ovviamente a loro spettava fare i passaggi più delicati del confezionamento.Di solito si partiva proprio dal sacchetto contenente i confetti: un doppio centrino di tulle, quasi sempre di colore bianco,veniva ben steso sul tavolo: al centro veniva posto il cartoncino con il nome degli sposi e la data del matrimonio o con il nome del bambino o bambina da battezzare e sopra venivano posti i confetti in due file in numero di cinque; con un gesto veloce si richiudeva il sacchetto con il nastro , al di sopra dei confetti,facendo attenzione a non farli scivolare l’uno sull’altro. Dei fiorellini in tessuto venivano posti poi al centro del sacchetto e con una lama di forbice si dovevano arricciare poi le piccole code del nastro di chiusura. Poi il sacchetto andava legato all’oggetto scelto come bomboniera che poteva essere un vasetto di porcellana, un fiore d’argento o una campanella di vetro.. una marea di monili che sembravano tutti bellissimi. Si terminava ponendo il tutto in una scatola damascata, chiusa anch’essa da un nastrino di raso ed un bel fiocco il cui nodo doveva essere coperto con l’etichetta del negozio. Poteva solo mettere in ordine le scatole già finite , arricciare i nastrini delle scatole con le forbici , contare le bomboniere o preparare i fiorellini da inserire all’interno del sacchetto e doveva necessariamente avere le mani pulitissime che sapevano di candeggina. La zia Liliana ,era molto generosa e durante queste ore , siccome la vedeva attratta dai dolci e golosissima,le faceva mangiare tutti i confetti che voleva e c’era anche la possibilità di dissetarsi a volontà con una fresca gazzosa servita in bottiglie di vetro trasparente e cannucce.Sentiva la nonna e la zia chiacchierare di tutto,scambiarsi opinioni e consigli e non mancava nemmeno qualche pettegolezzo di paese.Attorno alla mezzanotte,si faceva rientro alla casa della
nonna con la rombante Simca dello zio. Era felicissima di queste serate e di più di andare a dormire con la nonna Gina. La sua stanza sapeva di bucato; le lenzuola di lino del suo letto erano così pulite e così profumate ed anche così ruvide al tatto che non ne aveva mai più viste di simili. Mentre cercava di prendere sonno , si ricordava di questa signora di una certa età dalle mani scarne con grandi nocche, che invece rimaneva per tanto tempo seduta sul letto con in grembo il suo libro di preghiere e che non si addormentava finché non le aveva dette tutte e per tutti. Più di una volta le raccontava poi , finito di pregare ,una favola incredibile di una principessa disobbediente che per non ascoltare la sua mamma si era recata a prendere l’acqua alla fonte senza dirglielo e per questo aveva subìto un incantesimo malvagio che le aveva fatto crescere una coda di cavallo sulla fronte.Che fosse poi giunta l’ora in cui si doveva dormire definitivamente,lo scopriva dal rumore che faceva sempre una specie di “ piccola pera”di plastica , che era il pulsante di accensione e spegnimento della luce del lampadario a gocce di cristallo della stanza, che preso delicatamente in mano dalla nonna , finiva poi sempre con lo sbattere sulla testiera di legno di mogano del letto.