Federico Bocchini - Poesie

A COLEI CHE RENDE UN SOGNO LA MIA VITA

 

Quegli occhi tuoi che umilian lo smeraldo

splendon quando s’innalzano ai miei

che brucian nel guardarti

e fan pulsar d’amor l’anima mia.

Si stringon fra le mie le tue mani,

piccole stelle brillan nel tuo sguardo

scendono come perle di rugiada,

è la felicità che bagna il tuo bel volto

e imprime sul carminio del tuo labbro

spontaneo lo sbocciar del bel sorriso,

un lungo caldo bacio appassionato

fa le tue labbra schiuder sulle mie.

Lo spirito avrò talmente grande

per contenere il fiume d’emozioni

che quel ciliegio in fiore fai sbocciare

e trabboccar mi fanno il cuor d’amore?

Dipinger è l’idioma da usare,

per dir di te non bastano parole!

I cinque sensi sono i miei colori:

l’aroma che emani il mio respiro,

qual petali di rosa vellutati

è un brivido sfiorare la tua pelle,

nella tua luce si allegra la mia vista,

è armonia che inebria la tua voce,

sapore e gusto sei della mia vita.

Un giorno ti chiamai gentil fanciulla

perché vedevo in te la primavera,

ora l’estate irraggia il tuo sembiante.

Ascolta questa dolce melodia

canta d’amor per te l’anima mia!


 

AL MIO BORGO

 

Ogni qualvolta attratto dai ricordi

vaga il pensiero a rimembrar quei tempi…

o borgo Sant’Andrea mi si fè incontro

il mai obliato tuo immutato volto,

e ti rivedo sì com’eri all’ora!…

Ma un sussurrar remoto il viene e dice:

“Solo nei tratti aimè son tale ancora.”

Il dissi alfin: “Se colloquiar gradisci,

alla buon’ora spiegati e chiarisci.”

Rispose: “Era il trecento or che son nato

E da quel tempo tal son sempre stato.

Ma gli anni passan per tutti figlio mio,

il credi, eccome son mutato anch’io!

Tu mi rivedi, nel tuo incantamento,

si’ come gli era allor, com’era un tempo;

col lampionaro a sera e al mattutino

e li calessi e i fiacre al lor tramonto

e ai primi “FIAT” che stavano allo sponto.

Oggi, son più importante e più stimato:

Borgo storico infatti m’han chiamato.

E tu mi dici che son tale all’ora?

Ma vai! Nei tratti solo il sono ancora.

Anche le case, fora son l’istesse,

ma dentro il sappia, l’hanno fatte fesse.

Non ci son più l’allegri focolari

nei rustici camin pregni di fumo

e i fumiganti lumi sull’altane

e i tavolieri ove feceano il pane.

Non s’odon più cantar li grilli al vespro

a dar voce al silenzio della sera.

E delle comari assise a far commenti,

dove sono gli allegri assembramenti!

E tu mi dici che son tale all’ora?

Vieni a trovarmi e il vedi di persona”

“Mio caro”, il dissi, “io ti voglio bene,

ma di venire a te, non mi conviene;

com’eri io ti voglio ricordare,

con le tue case di Via Montefeltro,

quello sciamar festoso di fanciulli

e le sembianze care di quei volti

che del mattin m’illuminar l’aurora

e resero di fiaba i miei verd’anni!

Perciò vilito il credi e in turbamento

Saria venendo a te in cotal momento!”


 

ALLE SOGLIE DEL FARO INNANZI A TE

 

Mi seggo alle soglie del faro nei giorni d’inverno

quando insieme a noi c’è solo vento e silenzio

e alcuni solitari pescator di canna

seduti qua e la sulla scogliera;

e ascolto rapito quelle stupende rime

nell’armonia del canto di quei versi

che vanno declamando i tuoi poeti,

che muti ognor fin dalla fondazion del mondo

sempre sublimi o vate, sempre diversi.

Mi seggo alle soglie del faro nei giorni d’inverno

orquando passata la quiete di bonaccia t’ergi irruento

E dopo gli assalti ed i furenti amplessi

Coi ventri lor fecondi a terra mandi

Le furie a partorir la fantasia.

Mi seggo alle soglie del faro nei giorni d’inverno

perchè come in una sala da concerto

soltanto al disparir dei lumi e nel silenzio

diventa sublimazione e incantamento

l’esecuzione di tanta sinfonia.


 

IL MARE

 

Un respiro profondo, vibrazioni di luce nell’alba che viene,

nella bruma che s’alza e ti scopre cammino, ti guardo stupito

[poeta

Che mi vuoi raccontare! Sono qua per sentire il tuo canto

Per udir declamare i tuoi versi per gustare sfrenata la tua

[fantasia

Mi inebrio di te, del silenzio col quale mi parli!

La tua voce è un incanto gentile, o sublime poeta, t’ascolto.

Ma che fai! Hai mutato la veste ora è musica non più poesia?

Un’orchestra sinfonica incalza, si scatena la tua sinfonia!

Con gli ottoni infuriano i venti alle brume scogliere,

con i timpani scaraventi schiumanti titaniche ondate,

i tamburi bordate di pioggia, nel fragore si leva l’incanto

d’una vaga gentil melodia che ammansisce il tuo aspetto

[violento,

i violini e le viole ad un tratto fanno largo alla luce del sole

ecco appare splendente un bagliore!

Tu mi guardi gentile istrione per veder sul mio volto ammaliato

Lo stupore di tanta magia.

Una barca si vede lontano,

l’hai portata a dormir sulla spiaggia…

c’è un omino seduto al suo fianco, sono io con tele e pennelli!

“Non c’è artista che possa copiarmi lascia stare!!!”

M’è parso sentire.

“Accontentati, ammira e guarda!”

Me l’hai detto con aria beffarda.


 

IL SUONO GUTTURALE

 

Ti guarda da ‘sto suono gutturale

da sempre ritenuto antisociale;

lui vocalizza solo verso l’alto,

disdegna chi si umilia uscendo in basso.

D’esser fetente nauseabondo e altero

viene tacciato a nord dell’emisfero.

Universal, famoso in tutto il mondo

è in oriente altresì assai stimato

se all’ottoman che in casa l’ha invitato

un ospite ignorante e scostumato

dopo d’aver mangiato e ben bevuto

non gli riversa un rutto sulla faccia,

piange, si incazza, urla si dispera

con tutto la famiglia imbestialita;

rutti il meschin, oppur per lui è finita!

Alloggia misterioso in ogni luogo,

come il gelato ha vari e tanti gusti,

suoi prediletti: l’aglio e la cipolla,

li trovi sempre dopo il dì di festa

quando sei chiuso dentro a un ascensore.

Se i piani sono pochi, puoi sperare,

ma se tu devi all’attico arrivare,

rassegnati, ti tocca vomitare.


 

LA GOCCIA

 

Timida goccia, che in un pudico riserbo

tremula il volto mostri al nudo stelo

modesta e pura nel virginal sembiante.

Tremando quasi pare di vergogna

da in alto su quel ramo a ciondoloni

a un tratto fuggi fuggi disperata

a rompicollo verso la libertà sognata.

Timida gocciolina appena nata,

un palpito di gioia è la tua vita,

un palpito di libertà….

Ed è finita.


LA PERNACCHIA

 

Basta il suo nome e sei di buon umore,

non ha diplomazia, solare e fiera

vien dirompente e neutro è il suo fragore!

Di solito l’autore, un dilettante,

è colto quasi sempre alla sprovvista.

Lei si scatena al party, alle riunioni;

a differenza di sorella loffa,

ha come meta d’essere ascoltata.

Non aggredisce vie respiratorie

ma immette a tonnellate adrenalina

nel misero che resta senza fiato!

Non gli da scampo, non si può salvare,

stringe le chiappe, non sa cos’altro fare

se non sperar che cul sia stato un altro.

Ma tutto il party oppur la riunione,

con gli occhi che s’incrocian roteanti,

gli tolgon tosto e senza compassione

la speme che sia stata un’illusione.


 

LA RUSPA

 

Quel pino, lo vedo da anni,

che dico da che ero ragazzo la dalla Via Cassia

sul ciglio del colle lassù solitario

senza che attorno vi sia alcunchè di sipario.

Sin dall’ora lo guardo da basso ogni volta che passo

E quando mi appare siccome a voler salutare

da sempre la chioma inclinata dal vento gli veggo ondeggiare

lassù solitario senza che attorno il sia alcunchè di sipario.

Ma l’ultima volta uno strano cocciuto pensare s’insinua e mi

[dice:

chissà se ti stà ad aspettare…

Una ruspa ho visto al suo posto!

Mi sono fermato, incredulo, indignato…

Digrignando i denti l’infame mi guardava

E come a sfottere si prosternava!


 

L’ALITATA

 

La soppressata, specialità del Sannio,

è un insaccato che si degusta in loco,

squisita e delicata alla papilla

da essa prende il nome, l’alitata!

Non puoi saper se pria non l’hai provata,

qul cosa sia, è dura ed aspra e forte

il praticar codesta selva oscura

se toccati passar per st’avventura.

Le viscere urlanti, acceso il volto,

ti si avvicina inesorabilmente

fino a ridosso a un palmo dal tuo naso:

tu ti ritrai straziati i tratti in volto

da lagrime grondanti a profusione,

lui non capisce lo strazio tuo profondo,

non sa che dopo il muro non hai scampo!

Tenti l’apnea, vedi in vision Maiorca,

ne invidi la capienza polmonare,

qual doglia ahimè ti tocca di passare!

Intanto il tempo passa e l’alitata

senza pietà ti si riversa in volto,

è l’enfisema ormai da soppressata,

questo è il final cui porta l’alitata.


 

SARDEGNA

 

Raccontarti è un gran cimento sol con una penna,

lo è altrettanto grande coi pennelli,

anche la musica, cosa mai può fare?

L’Eden è solamente da guardare!

Vorrei dire di te ciò che abbiam provato,

mostrar di quelle piaghe

che l’alma, il cor, lo spirito han ferito,

e non si sono più rimarginate.

Quei palpiti di luce che splendore!

In te tutto è un prodigio di bellezza

Così intensa ed aspra, e i tuoi colori!

Dall’indaco al carminio allo smeraldo,

L’ETERNO i suoi pennelli ha adoperato,

Lui sol potea dipingerti in quel modo.

Ad ogni curva è uno sbalordimento,

infondo a ogni sentiero, una visione.

Ricordi che ci hai fatto quella sera?

Col Camper ci menasti a mulattiera,

parea che ci dicessi: forza andate,

qualche scossone in più, vale la pena,

vedrete in fondo, non vi rammaricate.

Quello splendor ci abbaglia ancora gli occhi!

Era il meriggio d’un bel dì d’estate…

In quel selvaggio ambiente primordiale

Al sibilar del vento nel silenzio,

il sole all’orizzonte tramontava,

il mare sanguinava di scarlatto,

dall’alto allo strapiombo… che visione!

Tanta beltà non la si può scordare

E ancor nel rimembrar ci fa sognare.