A COLEI CHE RENDE UN SOGNO LA MIA VITA
Quegli occhi tuoi che umilian lo smeraldo
splendon quando s’innalzano ai miei
che brucian nel guardarti
e fan pulsar d’amor l’anima mia.
Si stringon fra le mie le tue mani,
piccole stelle brillan nel tuo sguardo
scendono come perle di rugiada,
è la felicità che bagna il tuo bel volto
e imprime sul carminio del tuo labbro
spontaneo lo sbocciar del bel sorriso,
un lungo caldo bacio appassionato
fa le tue labbra schiuder sulle mie.
Lo spirito avrò talmente grande
per contenere il fiume d’emozioni
che quel ciliegio in fiore fai sbocciare
e trabboccar mi fanno il cuor d’amore?
Dipinger è l’idioma da usare,
per dir di te non bastano parole!
I cinque sensi sono i miei colori:
l’aroma che emani il mio respiro,
qual petali di rosa vellutati
è un brivido sfiorare la tua pelle,
nella tua luce si allegra la mia vista,
è armonia che inebria la tua voce,
sapore e gusto sei della mia vita.
Un giorno ti chiamai gentil fanciulla
perché vedevo in te la primavera,
ora l’estate irraggia il tuo sembiante.
Ascolta questa dolce melodia
canta d’amor per te l’anima mia!
AL MIO BORGO
Ogni qualvolta attratto dai ricordi
vaga il pensiero a rimembrar quei tempi…
o borgo Sant’Andrea mi si fè incontro
il mai obliato tuo immutato volto,
e ti rivedo sì com’eri all’ora!…
Ma un sussurrar remoto il viene e dice:
“Solo nei tratti aimè son tale ancora.”
Il dissi alfin: “Se colloquiar gradisci,
alla buon’ora spiegati e chiarisci.”
Rispose: “Era il trecento or che son nato
E da quel tempo tal son sempre stato.
Ma gli anni passan per tutti figlio mio,
il credi, eccome son mutato anch’io!
Tu mi rivedi, nel tuo incantamento,
si’ come gli era allor, com’era un tempo;
col lampionaro a sera e al mattutino
e li calessi e i fiacre al lor tramonto
e ai primi “FIAT” che stavano allo sponto.
Oggi, son più importante e più stimato:
Borgo storico infatti m’han chiamato.
E tu mi dici che son tale all’ora?
Ma vai! Nei tratti solo il sono ancora.
Anche le case, fora son l’istesse,
ma dentro il sappia, l’hanno fatte fesse.
Non ci son più l’allegri focolari
nei rustici camin pregni di fumo
e i fumiganti lumi sull’altane
e i tavolieri ove feceano il pane.
Non s’odon più cantar li grilli al vespro
a dar voce al silenzio della sera.
E delle comari assise a far commenti,
dove sono gli allegri assembramenti!
E tu mi dici che son tale all’ora?
Vieni a trovarmi e il vedi di persona”
“Mio caro”, il dissi, “io ti voglio bene,
ma di venire a te, non mi conviene;
com’eri io ti voglio ricordare,
con le tue case di Via Montefeltro,
quello sciamar festoso di fanciulli
e le sembianze care di quei volti
che del mattin m’illuminar l’aurora
e resero di fiaba i miei verd’anni!
Perciò vilito il credi e in turbamento
Saria venendo a te in cotal momento!”
ALLE SOGLIE DEL FARO INNANZI A TE
Mi seggo alle soglie del faro nei giorni d’inverno
quando insieme a noi c’è solo vento e silenzio
e alcuni solitari pescator di canna
seduti qua e la sulla scogliera;
e ascolto rapito quelle stupende rime
nell’armonia del canto di quei versi
che vanno declamando i tuoi poeti,
che muti ognor fin dalla fondazion del mondo
sempre sublimi o vate, sempre diversi.
Mi seggo alle soglie del faro nei giorni d’inverno
orquando passata la quiete di bonaccia t’ergi irruento
E dopo gli assalti ed i furenti amplessi
Coi ventri lor fecondi a terra mandi
Le furie a partorir la fantasia.
Mi seggo alle soglie del faro nei giorni d’inverno
perchè come in una sala da concerto
soltanto al disparir dei lumi e nel silenzio
diventa sublimazione e incantamento
l’esecuzione di tanta sinfonia.
IL MARE
Un respiro profondo, vibrazioni di luce nell’alba che viene,
nella bruma che s’alza e ti scopre cammino, ti guardo stupito
[poeta
Che mi vuoi raccontare! Sono qua per sentire il tuo canto
Per udir declamare i tuoi versi per gustare sfrenata la tua
[fantasia
Mi inebrio di te, del silenzio col quale mi parli!
La tua voce è un incanto gentile, o sublime poeta, t’ascolto.
Ma che fai! Hai mutato la veste ora è musica non più poesia?
Un’orchestra sinfonica incalza, si scatena la tua sinfonia!
Con gli ottoni infuriano i venti alle brume scogliere,
con i timpani scaraventi schiumanti titaniche ondate,
i tamburi bordate di pioggia, nel fragore si leva l’incanto
d’una vaga gentil melodia che ammansisce il tuo aspetto
[violento,
i violini e le viole ad un tratto fanno largo alla luce del sole
ecco appare splendente un bagliore!
Tu mi guardi gentile istrione per veder sul mio volto ammaliato
Lo stupore di tanta magia.
Una barca si vede lontano,
l’hai portata a dormir sulla spiaggia…
c’è un omino seduto al suo fianco, sono io con tele e pennelli!
“Non c’è artista che possa copiarmi lascia stare!!!”
M’è parso sentire.
“Accontentati, ammira e guarda!”
Me l’hai detto con aria beffarda.
IL SUONO GUTTURALE
Ti guarda da ‘sto suono gutturale
da sempre ritenuto antisociale;
lui vocalizza solo verso l’alto,
disdegna chi si umilia uscendo in basso.
D’esser fetente nauseabondo e altero
viene tacciato a nord dell’emisfero.
Universal, famoso in tutto il mondo
è in oriente altresì assai stimato
se all’ottoman che in casa l’ha invitato
un ospite ignorante e scostumato
dopo d’aver mangiato e ben bevuto
non gli riversa un rutto sulla faccia,
piange, si incazza, urla si dispera
con tutto la famiglia imbestialita;
rutti il meschin, oppur per lui è finita!
Alloggia misterioso in ogni luogo,
come il gelato ha vari e tanti gusti,
suoi prediletti: l’aglio e la cipolla,
li trovi sempre dopo il dì di festa
quando sei chiuso dentro a un ascensore.
Se i piani sono pochi, puoi sperare,
ma se tu devi all’attico arrivare,
rassegnati, ti tocca vomitare.
LA GOCCIA
Timida goccia, che in un pudico riserbo
tremula il volto mostri al nudo stelo
modesta e pura nel virginal sembiante.
Tremando quasi pare di vergogna
da in alto su quel ramo a ciondoloni
a un tratto fuggi fuggi disperata
a rompicollo verso la libertà sognata.
Timida gocciolina appena nata,
un palpito di gioia è la tua vita,
un palpito di libertà….
Ed è finita.
LA PERNACCHIA
Basta il suo nome e sei di buon umore,
non ha diplomazia, solare e fiera
vien dirompente e neutro è il suo fragore!
Di solito l’autore, un dilettante,
è colto quasi sempre alla sprovvista.
Lei si scatena al party, alle riunioni;
a differenza di sorella loffa,
ha come meta d’essere ascoltata.
Non aggredisce vie respiratorie
ma immette a tonnellate adrenalina
nel misero che resta senza fiato!
Non gli da scampo, non si può salvare,
stringe le chiappe, non sa cos’altro fare
se non sperar che cul sia stato un altro.
Ma tutto il party oppur la riunione,
con gli occhi che s’incrocian roteanti,
gli tolgon tosto e senza compassione
la speme che sia stata un’illusione.
LA RUSPA
Quel pino, lo vedo da anni,
che dico da che ero ragazzo la dalla Via Cassia
sul ciglio del colle lassù solitario
senza che attorno vi sia alcunchè di sipario.
Sin dall’ora lo guardo da basso ogni volta che passo
E quando mi appare siccome a voler salutare
da sempre la chioma inclinata dal vento gli veggo ondeggiare
lassù solitario senza che attorno il sia alcunchè di sipario.
Ma l’ultima volta uno strano cocciuto pensare s’insinua e mi
[dice:
chissà se ti stà ad aspettare…
Una ruspa ho visto al suo posto!
Mi sono fermato, incredulo, indignato…
Digrignando i denti l’infame mi guardava
E come a sfottere si prosternava!
L’ALITATA
La soppressata, specialità del Sannio,
è un insaccato che si degusta in loco,
squisita e delicata alla papilla
da essa prende il nome, l’alitata!
Non puoi saper se pria non l’hai provata,
qul cosa sia, è dura ed aspra e forte
il praticar codesta selva oscura
se toccati passar per st’avventura.
Le viscere urlanti, acceso il volto,
ti si avvicina inesorabilmente
fino a ridosso a un palmo dal tuo naso:
tu ti ritrai straziati i tratti in volto
da lagrime grondanti a profusione,
lui non capisce lo strazio tuo profondo,
non sa che dopo il muro non hai scampo!
Tenti l’apnea, vedi in vision Maiorca,
ne invidi la capienza polmonare,
qual doglia ahimè ti tocca di passare!
Intanto il tempo passa e l’alitata
senza pietà ti si riversa in volto,
è l’enfisema ormai da soppressata,
questo è il final cui porta l’alitata.
SARDEGNA
Raccontarti è un gran cimento sol con una penna,
lo è altrettanto grande coi pennelli,
anche la musica, cosa mai può fare?
L’Eden è solamente da guardare!
Vorrei dire di te ciò che abbiam provato,
mostrar di quelle piaghe
che l’alma, il cor, lo spirito han ferito,
e non si sono più rimarginate.
Quei palpiti di luce che splendore!
In te tutto è un prodigio di bellezza
Così intensa ed aspra, e i tuoi colori!
Dall’indaco al carminio allo smeraldo,
L’ETERNO i suoi pennelli ha adoperato,
Lui sol potea dipingerti in quel modo.
Ad ogni curva è uno sbalordimento,
infondo a ogni sentiero, una visione.
Ricordi che ci hai fatto quella sera?
Col Camper ci menasti a mulattiera,
parea che ci dicessi: forza andate,
qualche scossone in più, vale la pena,
vedrete in fondo, non vi rammaricate.
Quello splendor ci abbaglia ancora gli occhi!
Era il meriggio d’un bel dì d’estate…
In quel selvaggio ambiente primordiale
Al sibilar del vento nel silenzio,
il sole all’orizzonte tramontava,
il mare sanguinava di scarlatto,
dall’alto allo strapiombo… che visione!
Tanta beltà non la si può scordare
E ancor nel rimembrar ci fa sognare.