Fillyanna L.j. - Poesie e Racconti

Il folletto della fortuna

 

Mi chiamo Serena, da bambina mi raccontavano spesso storie surreali e la mia bisnonna Carmela, un giorno mi raccontò la storia del “folletto della fortuna”, di questi piccoli esseri di un mondo magico, che difficilmente si lasciavano vedere dall’uomo. Ero una bambina curiosa, vivace e fantasiosa, volevo incontrarne uno a tutti i costi.

Una sera, era inverno, andammo a trovare nonna Carmela, una donna all’antica, forte e temeraria,

il duro lavoro nei campi, per crescere i suoi sei figli, non la spaventava affatto…  Quando ci riunivamo in casa sua,era sempre l’occasione del ritrovo di una grande famiglia. C’era questa grande casa in campagna, in una vallata, dove intorno si estendevano i loro terreni e da dove si scorgeva un bosco che apparteneva alla famiglia e da dietro casa si inerpicava un sentiero sterrato, circondato da alberi di ghiande e pini, fino a raggiungere un abbeveratoi, in cima alla collina, con una fontana e vasche adiacenti; un tempo usate per lavare i panni. Era già l’arrivo in quel posto, “ Contrada Salice”, a creare sensazioni mistiche, di aspettative di un ritorno al passato! La nonna sul fare della sera, dopo i lavori nei campi, dopo le cene tradizionali, i balli per allietare le serate, amava raccogliere i suoi ospiti, i nipotini,  attorno al focolare, mentre raccontava storielle che aveva a sua volta appreso da bambina. Era la sera del “folletto della fortuna”!

Solitamente appariva solo a chi era di animo puro, incapace di fare del male, ma non lo si incontrava semplicemente con la propria volontà, doveva essere lui a mostrarsi, in un particolare contesto e seguendo le sue indicazioni; si poteva ottenere fortuna e un viaggio nel suo magico mondo.

Ci raccontò di alcune persone che avrebbero potuto testimoniare della loro esistenza, per suggestionarci, entrò in dettagliati incontri,vissuti da persone del posto, fino a narrare che dal primo giorno di plenilunio primaverile, essi, nei pomeriggi di pioggia inaspettata, solevano venir fuori come funghi, da pozzanghere di acqua piovana.

E a quel punto, chi era puro, chi l’amina innocente possedeva, poteva incontrarne uno e senza indugio chiedere fortuna…

La serata volse al termine e tutti rientrammo a casa, io ero piccola e ancora con il racconto in testa, presa da una piccola paura, non riuscivo a dormire, chiesi alla mamma di dormire nel lettone, la grazia mi fu concessa!

Per un po’ dimenticai quella storia, passò l’inverno e arrivò primavera, le giornate incominciavano ad essere belle e i pomeriggi soleggiati, a parte qualche acquazzone improvviso di tanto in tanto.

Così, mi tornò alla mente il racconto della nonna e decisi di attendere che tornasse la pioggia, in un pomeriggio soleggiato. E così fu.

Un pomeriggio, sereno e tiepido, incominciò a trasformarsi rapidamente,  riempiendo il cielo di nuvole grigie, prima sparse, poi di colpo oscurarono il cielo, caddero le prime gocce e rapidamente venne giù un acquazzone inaspettato. Pensai: “questo è il giorno perfetto”!

Scesi in strada, senza allontanarmi tanto dal cancello di casa, poco distante da me, si era formata una pozzanghera, piena di foglie e sassolini, mi avvicinai e con l’ombrello sulla testa mi chinai per osservare bene, cosa potesse accadere. Passò qualche minuto, ma non vedevo altro che acqua, foglie e sassolini, ma quando mi ero quasi arresa, dall’acqua notai che si creavano bollicine di aria, come se dentro ci fossero dei pesciolini che nuotassero. Era il momento di evocare il folletto.

Come ricordavo dettagliatamente, presi a saltare nella pozzanghera per tre volte consecutive, senza preoccuparmi di chi potesse osservarmi e pensare  che fossi una bimba strana. Ad ogni salto doveva seguire la frase: “oh folletto della fortuna, se il mio cuore vedi puro, concedimi un’avventura e vieni fuori”…

Alcuni istanti, che sembravano eterni, ma non accadeva niente, guardai ancora al centro della pozzanghera e incominciai a notare che dalle bollicine si creavano cerchi infiniti, come se qualcosa si facesse spazio per balzar fuori!

In un istante, senza che me ne rendessi conto, spuntò qualcosa dall’acqua, che con una vocina flebile mi disse: “tendi il palmo della mano Serena”! feci così e mi ritrovai sulla mano un piccolissimo essere con la pelle di un rosa scuro, vestito di verde, con un cappello a punta, sei dita per ogni mano e delle scarpine fatte di foglie e corteccia di albero intrecciati tra loro.

Esclamò con chiarezza: “ chi per modestia o vanità, chiama e chiede favori di umiltà”?

Risposi timida: “sono Serena, di te mi è stato raccontato,che in questo giorno di pioggia ti avrei potuto incontrare, quindi eccomi qui che ti ho chiamato”!

Allora il folletto mi disse: “ il tuo cuore è puro, la tua anima innocente e coraggiosa mi ha evocato;

quindi un favore da me otterrai”…

Rimasi stupita, era tanto piccolo, da entrare nella mia piccola mano, aveva addosso l’odore di foglie bagnate e funghi appena raccolti, era curioso, ma non ne ero spaventata, così senza paura, rimasi ad osservarlo, senza chiedere niente.

Fu lui a parlarmi vedendo il mio indugio, e mi disse: “ per la tua bontà, per le stelle che brillano al posto dei tuoi occhi, perché del tuo nome è invaso anche il tuo spirito, piccola Serena, non titubare, chiedi, vedremo insieme cosa fare!

Mi divertiva il suo modo di parlare, tipico dei personaggi che vengono fuori dalle fiabe, così osai la mia richiesta: “ sono curiosa di questo tuo mondo incantato, vorrei vederlo e nel cuore custodirlo, così in fine potrai andare, da dove sei arrivato”!

“E così accadrà” disse il folletto!

Mi raccomandò di seguire le sue istruzioni, senza tralasciare alcun dettaglio e disse: “tre saltelli per tre versi, sempre gli stessi e nel mio mondo giungerai, per rientrare, disse poi, ti basterà esclamare che del mondo incantato hai goduto, di tanta fortuna godrai, adesso riportami dove ti incontrai”!

Non esitai un istante, per ogni saltello esclamai la frase “oh folletto della fortuna, concedimi questa avventura e nella vita tanta fortuna, nel tuo mondo mi porterai, finché da li non vorrò rientrare”!

Sembrava un sogno, ero in una fiaba, dove tutto profumava di caramelle gommose e dolci zuccherati, alberi maestosi, da cui crescevano frutti enormi e deliziosi, siepi curate e interminabili, circondavano quel posto incantato, con rose profumate e more saporite. Di tanto in tanto spuntava qualche cucciolo di animali, che giocava libero con altri cuccioli di ogni specie, si sentivano uccelli cinguettare e tutto sembrava così incantato!

Ero l’ospite d’onore, folletti e personaggi curiosi mi stavano intorno in questo viaggio fantastico, portandomi in dono fiori profumati e pietre che luccicavano…

Poi il folletto della fortuna mi raccomandò, che niente di ciò che avevo vissuto, dalla mia bocca sarebbe uscito, fin quando ad un cuore puro, tutto ciò, avrei potuto rivelare!

Pensai soddisfatta, con la mia curiosità appagata, che di tornare a casa l’ora era arrivata, senza esitazione, ad alta voce esclamai: “oh folletto della fortuna, del mondo incantato ho goduto, di tanta fortuna ancora godrò; adesso riportami dove mi hai incontrata”!

Il cielo era tornato sereno e un arcobaleno nel cielo si estendeva luminoso, varcai il cancello di casa, con un sorriso soddisfatto, chiusi il cancello dietro di me e rientrai in casa, custodendo nel cassetto dei miei ricordi segreti quel magico pomeriggio!


 

Thomas e lo scrigno delle sorprese

 

Arrivò la cicogna, nuovamente in famiglia, questa volta, portò a rallegrare la nostra casa, un bell’ometto,

gli misero il nome Thomas, cresceva bello e con un sorriso contagioso, tenero e affettuoso…

Di lui, ho tanti bei ricordi, momenti felici, che mi allietavano le giornate, che spesso erano piatte, per lui, da zia innamorata, ogni volta inventavo giochi e racconti, lo ammaliavo, destando la sua curiosità e le sue aspettative, con misteri che lui amava scoprire, con insistenti domande, fino a convincermi ogni volta a raccontargli e mostrargli ciò che lo incuriosiva, specie se si trattava di oggetti che custodivo nella mia camera. Un giorno, notò, su un ripiano di un mobile, una scatola di latta rotonda e mi chiese cosa io vi tenessi dentro. Era la mia scatola dei farmaci, ma volli destare in lui aspettative più fantasiose e presi a raccontargli, che dal giorno della sua nascita, di tanto in tanto, vi riponevo qualche oggetto a lui destinato, per  quando sarebbe stato in grado di apprezzarne il contenuto. Ogni volta, che arrivava in camera, si avvicinava alla scatola e mi chiedeva: “ zia oggi posso aprirla”? Ed io ripetevo: “non è ancora tempo Thomas”, poi per distrarlo gli raccontavo storie e giocavamo a farci il solletico… in tanto il tempo passava e la sua curiosità aumentava!

Un giorno, decisi che era il momento di soddisfare la sua vivace curiosità, per ciò che per lui era diventato “lo scrigno delle sorprese”, ovviamente la scatola di latta si era trasformata in un contenitore di giochi e sorprese, che lui avrebbe trovato, nella loro banalità, fantastico!

Quel giorno, alla sua solita domanda, esclamai, che era arrivato il momento che lo scrigno si sarebbe aperto, cosa che prima non riuscivamo mai a fare, perché lo avevo ben sigillato.

Glielo diedi in mano, lo feci sedere accanto a me sul letto, sorridendo curioso e felice, prese ad aprire la scatola; sgranò i suoi occhi dolci, illuminati dallo stupore nel riuscire a togliere il coperchio e mi disse: “zia Clara, si apre”!

“Bene”, gli dissi, “te lo avevo detto che oggi si sarebbe aperto”, lui alzò le spalle e sempre più sorridente ed entusiasta disse: “che bello, è tutto mio”? “Ovviamente Thomas”, risposi!

Incominciò a rovistare dentro la scatola e per ogni gioco che trovava, diceva che era bellissimo, per ogni caramella trovata, diceva che le avrebbe mangiate tutte lui, mettendole nelle piccole tasche dei suoi pantaloni.

Guardava le foto che avevo messo dentro, quelle del giorno in cui era nato, quelle che ci facevamo insieme, con le facce curiose e diceva sempre che era tutto bellissimo. Poi sul fondo dello scrigno, vide un foglio di pergamena piegato in due, e sopra vi era attaccata una chiave, di quelle che una volta si usavano per i mobili antichi, una chiave in ottone, con il manico a forma di cerchio ricamata all’interno, era la chiave di una vetrina, un mobile antico, dove avevo disposto tutti i miei libri, le mie collezioni di portachiavi, biglie, palline di ogni misura e colore, macchinine e moto, che avrei regalato al mio primo nipote, insomma ogni cosa che un bimbo come lui, avrebbe voluto prendere e portar via come trofei. Thomas sapeva cosa apriva quella chiave, perché ogni volta che andavamo in quella stanza, mi chiedeva quasi implorando, di aprire quelle ante, perché gli oggetti che si vedevano dai vetri, gli facevano gola. Gli dissi che prima di andare ad aprire quel mobile, avremmo dovuto leggere le istruzioni scritte su quel foglio, che lui teneva in mano come un atto di eredità. Mi ascoltò con attenzione e ogni volta che gli chiedevo se avesse compreso, mi rispondeva di si.

Le istruzioni erano chiare: “ aperta la vetrina, potrai scegliere tre oggetti, pensaci bene Thomas, perché dopo, la vetrina si chiuderà e tu null’atro potrai prendere”!

Allora mi prese la mano e impaziente, mi strattonò in quella camera, che da sempre per lui era fonte di curiosità; ora poteva aprire la vetrine e addirittura scegliere degli oggetti a suo piacere! Mi diceva: “zia davvero posso scegliere tre cose”? ed io lo rassicuravo che avrebbe potuto scegliere, consapevole, che mi avrebbe portato via, i miei oggetti preferiti, che custodivo da una vita!

Si avvicinò alla vetrina, introdusse la chiave e girò lo scatto, aprì le ante e con le mani al viso si piegò sulle ginocchia stupefatto, non gli avevo mai concesso di aprire quel mobile, per prendere quello che vi vedeva. Sorrideva ed esclamava frasi che mi riempivano di gioia, era il bimbo più felice del mondo in quel momento, ed ero la zia più brava del mondo, mi diceva lui!

Non avevo dubbi sulla scelta, senza pensarci troppo, prese in mano una macchina da collezione, che io stessa avevo costruito, disse che quella era sua, poi prese un portachiavi a forma di scarponcino e in fine, le sue manine si diressero su una palla da tennis, che mi avevano regalato quando ero ragazzina; ma ormai avevo promesso e gli lasciai prendere quello che aveva scelto. Mi guardò e chiese ingordo, se poteva prendere altro, ma la risposta fu che i patti erano tre oggetti e niente altro. Si rassegnò facilmente, ormai aveva in mano quello che voleva e mi chiese cosa fossero tutte quelle cose che c’erano in quel mobile. Così ci sedemmo sul pavimento e gli raccontai che fin da bambina, mi piaceva collezionare penne, cartoline, francobolli, portachiavi e ogni altra cosa, che col tempo si era accumulata in quel mobile. Poi scorse sul ripiano in alto quattro contenitori e mi chiese se poteva vederli, glielo concessi e gli raccontai che per ognuno di loro, avevo comprato un salvadanaio, dove di tanto in tanto aggiungevo monete, che un giorno avrei dato ad ognuno, facendogli notare che su ogni scatola era scritto il loro nome proprio.

Così mi chiese: “ ma zia quando vieni a mettere i soldini”? Gli raccontai un’altra piccola storiella per incuriosirlo, dissi: “quando la chiave luccica ed emette suoni di campanellini, è il segnale che posso aprire per aggiungere soldini”! Sorrise ancora, dolce e tenero, mi abbraccio sussurrandomi infantile che ero la sua zia preferita, ed io gli risposi che lui come gli altri tre nipotini erano i miei soli preferiti!

Tornò felice e in trionfo alle sue cose da bambino, come se un evento, da tempo atteso, quel giorno si fosse compiuto!


 

Noemi e “la notte delle streghe”

 

“Noemi è il mio nome, di me dicono, che sono troppo curiosa, troppo invadente e tal vota anche prepotente. La mia mamma Selly, dice che potrei fare la giornalista, di fatti così lei è solita chiamarmi scherzosamente. A queste affermazioni, mio nonno invece esclama: “lasciatela stare la mia bella nipotina, è troppo intelligente ed è questo il risultato”! le mie zie, Clara e Nicla, in simbiosi affermano che sono la classica impicciona… Ma loro, tutti, mi amano, lo so, vogliono solo che io sia meno indomabile, ma che ci posso fare, questa è la mia natura”!

E proprio per il mio essere esagerata, che un giorno uno scherzo con i fiocchi mi hanno preparato!

Era la sera di halloween, le zie ci promisero di truccarci e travestirci da streghette e piccoli mostri, eravamo impazienti ed entusiasti, all’idea che dopo, la zia Clara ci avrebbe portati tutti ad una sfilata a tema, per divertirci con altri bambini e ricevere giochi e caramelle. Arrivata l’ora, la zia, ci accompagnò e rimase con noi, incitandoci a unirci alla mischia, scattandoci foto e divertendosi a vederci un po’ timidi e impacciati. Poi ci comprò dei panini con patatine fritte, ci fece giocare sulle giostre e dopo qualche ora di giovialità, ci disse che era ora di rientrare a casa. Così ci riaccompagnò a casa nostra e quella sera, la zia Nicla lasciò dormire da noi la cuginetta.

Halloween è chiamata anche “la notte delle streghe”, e come tale, non può terminare, se non vedendone una in carne ed ossa!

A casa c’era la mamma che ci aspettava, ci chiese di raccontarle come era andata la serata, poi ci struccò e ci raccontò, in fine, che poteva capitare, in quella notte di fare qualche incontro suggestivo. Non disse altro, ci lasciò giocare tranquilli e tornò alle sue faccende. D’improvviso, mentre eravamo tutti insieme a giocare, andò via la luce, e impauriti, iniziammo a strillare e a chiamare la mamma, che era scomparsa nel nulla… Dalla camera da letto si udivano rumori e una voce che ci chiamava, eravamo paralizzati dalla paura, mentre la porta si apriva e si scorgeva la sagoma di una donna, con un mantello nero ed un cappello pieno di ragnatela, la penombra in casa, rendeva la situazione davvero insopportabile, mentre questo personaggio indesiderato, spuntato dal nulla, incominciava a terrorizzarci, dicendo che era la strega celtica, venuta dall’Irlanda, per mangiarci tutti, seguitando ad inseguirci, senza però afferrarci. Così scoppiò il caos in casa, incominciammo a correre e urlare tenendoci per mano, sperando che la strega non prendesse nessuno di noi, intanto mia madre non arrivava ancora e noi la chiamavamo, perché mandasse via la strega.

Presi dalla confusione che noi stessi creavamo, non ci accorgemmo che la strega era scomparsa e che la luce era ritornata. Dopo qualche minuto di spavento e indugio, ci calmammo e pian piano andammo a cercare mamma Selly, che non c’era in nessuna stanza, una misteriosa scomparsa, che ci rendeva ancora più tesi. Ad un certo punto, suonò il campanello di casa, nessuno aveva il coraggio di aprire la porta, suonò ancora e questa volta udimmo la voce di mia madre, che ci rassicurava dicendoci: “bambini aprite, sono la mamma”! così Serena, che era la più grande, facendosi spazio, nel groviglio che avevamo formato tenendoci stretti intorno a lei, riuscì ad aprire la porta, così che entrò mia madre e notando i nostri volti terrorizzati e segnati ancora dalle lacrime di spavento, ci disse: “scusate bambini, se vi ho lasciati soli, ma era andata via la luce e dovevo scendere per riattaccare il contatore, ma tranquilli, adesso ci sono io con voi… ma del resto si sa, che le streghe approfittano delle tenebre, perché della luce hanno paura”!

A quel punto capimmo, che di uno scherzo preparato con maestria si era trattato, che però il dubbio ci aveva lasciato…


 

“L’omino del temperino”

 

Christian è un bel bambino, vivace e birichino, ancora non sa parlare, ma nel mondo dei cartoni, la sua lingua ideale, sembra aver trovato…

E quando al suo gioco stai, parlandogli in quella lingua, lui fiero ti risponde, senza che tu lo intenda!

Dai cartoni impara tante cose, il nome degli oggetti, degli animali e tante fantasie che in testa iniziano a frullare. Un giorno, dall’astuccio della sorellina rubò un temperamatite, che lei mai più ritrovò, tanto ben custodito e nascosto, lo tenesse il piccolino.

L’avrà di sicuro appreso dai cartoni, se di tanti oggetti, proprio il temperino destò le sue attenzioni!

E di tanto in tanto, dal televisore distoglie lo sguardo, deciso e divertito con la sua aria birichina,

corre in camera a giocare…

Estrae il temperino da non so dove, ci infila dentro matite colorate, gira e tempera, tempera e gira e magicamente l’omino del temperino ecco che appare… Non ha paura il monellino, anzi lo attende,come un amico che ogni fantasia gli fa realizzare!

Di palloncini colorati la camera si fa riempire, aggrappandosi ad uno, fino al soffitto riesce ad arrivare, poi con capriole e ridacchiando, sul pavimento torna a giocare… le pareti colorate gli piace far diventare, di ogni personaggio dei cartoni, farsi circondare, per poterci giocare…

Nella testa un’altra fantasia incomincia a desiderare, corre dalla sorellina e una farfalla la fa diventare, rincorrendola per poterla intrappolare…

Chiama Thomas, il fratellino, che della famiglia è l’unico che lo intende e gli risponde, ridono e si divertono, combinando marachelle a più non posso, fino a quando soddisfatto, non ripone il temperino e fa sparire anche l’omino…

In fine stanco e della mamma bisognoso, tra le sue braccia corre desideroso, per un sorso di latte materno,in un abbraccio che riscalda si mette a fare ninna nanna!


 

“Avvertenze per lo sposo”

 

Caro amore mio, finalmente il mio martirio sta per finire…e ovviamente sarà il tuo ad incominciare!

Ti scrivo queste righe oneste e liberatorie, per dirti che questo amore mai dovrà finire!

Se di amore si può parlare, ma io sono la sposa, ed oggi posso permettermi di osare…

Quando ti ho conosciuto, eri un bel ragazzo, ma sarò onesta, a me piaceva di più il tuo palazzo…

Lavorando accanto a te, e di questo ti ringrazio, ho anche messo un po’ di soldi da parte,

magari un giorno, mi serviranno per accopparti…

Chi lo sa, mio amatissimo sposo, quel che il futuro ci riserverà, ma ti amo e la mia sincerità oggi ti porto in dono, come tu fossi un re sul suo trono…

Ma ben presto, di li ti dovrai schiodare, perché sarò io a dovermi insediare, e si, qualcuno a casa dovrà pur comandare, e stai pur certo, che non sarai tu a poterlo fare!

Dicono che l’amore incateni le persone, bene, sappilo, tu da domani sarai nella mia prigione,

e se il meschino tu farai, a pane ed acqua resterai, sono certa più che mai, che così mai mi lascerai!

E se questo lato del mio amore, di queste mie sentite intenzioni, non avevi preso considerazione; oggi è il giorno delle rivelazioni!

E per concludere brevemente, questa mia lettera d’amore fervente, di un’altra realtà ti porto a conoscenza, che se non bastasse l’inganno con cui ti voglio incatenare, per tenerti a me vicino, un altro piano ho escogitato: “ da stanotte e fin quando avrai respiro, apriremo il nostro cantiere, affinché tra nove mesi, arrivi anche un bel bambino”!


 

“L’amico folle”

 

“Hai un amore amico caro”?

“forse si, forse no,

o forse non è proprio un amore”!

“Sei felice quando sorridi”?

“Spesso sorrido per non attendere di essere felice,

per ingannare chi gode del mio soffrire”.

Continuare a parlarti mi riesce difficile,

non ci sono domande alle quali risponderai sincero,

mi confondi e mi stranisci…

Per la gente sei solo un incompreso,

Ma io ti osservo e scruto segreti ben celati.

Tu pensi che soffrire sia un dazio,

da pagare senza esimersi;

ma è tutto nella tua mente, non è reale!

Prova a tirarla fuori questa insofferenza alla vita,

per capirti, caro amico, folle e geniale!

Quello sguardo, e intorno il silenzio,

l’assenza di risate isteriche,

mi fanno credere che tu sia normale.

Lo avverto dai nostri discorsi profondi,

sulla vita, l’amore, gli amici,

e si, ho ragione, vuoi solo confondere,

lanciare fumo negli occhi,

di chi ti guarda e di te ride,

pensando a te come ad un folle,

che prima o poi esploderà nella sua pazzia.

Vorrei, che come accade spesso con me,

tu fossi te stesso sempre,

anche con chi di te si fa beffe.

Vivresti meglio dolce amico,

se alla tua esistenza alla quale sfuggi,

aggiungessi amor proprio,

buon senso e intuito,

per capire con chi tacere,

per aprirti a chi può amarti.

Parli da insensato e ridi isterico,

rumorosamente,

agitandoti nevrotico,

dando di te letture errate.

Io lo comprendo molto bene,

questo tuo disagio,

capisco te meglio che me stessa,

nascondi forti e profonde emozioni,

paure e incertezze che temi invano.

E’ tutto nella tua testa amico caro,

fidati di me non seguitare ad ascoltare,

quelle immaginarie voci che ti tormentano,

tirale fuori e allontanale via,

emergi forte e deciso come sei,

come solo io so che puoi essere.

Non sarò sempre qui,

accanto a te per darti la mano amica,

sarò altrove e inconsapevole,

di ciò che ti accadrà e mi sentirò colpevole,

del tuo voler sprofondare nella follia,

che non ti appartiene affatto!

Sei geniale, divertente e dolce,

fragile e incompreso…

Ma poi in silenzio ti osservo e mi sorridi,

e mi dico: “Dodò,magari fai bene,

ad alzare muri, proteggerci con la follia,

per non farti ferire dalla vita”!


 

“il sorriso”

 

Sorridi con gli occhi ed è il cuore che si accende,

lo doni ad un povero d’animo,

arricchendogli la vita.

Il tuo sorriso allieta un infermo

e le sue pene si dissolvono,

chi si dispera nella vita,

col tuo sorriso torna a gioire.

Un sorriso tenero e profondo,

che pochi posseggono,

non ti servono parole ricercate,

discorsi complicati,

ti basta un sorriso per arrivare nell’anima,

di chi non è frivolo e banale.

Allora, sorridi sempre anima profonda,

anche il sole ad esso si inchina,

illumina tutto intorno questo sorriso,

coinvolgente e penetrante,

anche al buio col tuo sorriso accanto,

si fa luce tutt’intorno.

Non te ne accorgi, che a volte,

mentre sorridi a me,

te ne rubo qualcuno per custodirlo,

e farlo mio negli attimi d’inferno?


 

“venuta al mondo”

 

il tuo corpo fin ora solo,

si prepara per far posto ad una vita,

ancora incartata…

Pian piano il suo respiro ti appartiene,

da te si nutre e cresce forte e sano,

il suo corpo a cui dai te stessa,

perché sia perfetto.

Ed è solo un incognita dentro te!

Poi si fa luce intorno a se,

e dei tuoi tratti il suo volto

ha le caratteristiche.

I suoi primi sorrisi infondono calma,

quella che perdesti scoprendoti in attesa,

ma ora la sua vita ti rende gioiosa,

sei raggiante come a vent’anni,

quando ti conobbi ed eri spensierata.

Ora di lei ti prenderai cura,

lo so, sei una madre premurosa,

lei è così fragile e incapace di gestirsi,

ma la tua mano ferma e rassicurante,

che la saprà guidare e coccolare,

la renderà una donna forte e sicura,

audace e divertente.

Avverto la tua ansia che cresce,

al pensiero che possa star male,

la stringi forte per dirle che ci sarai,

sempre e comunque nella vita,

lei attraverso te, si aggrappa alla vita,

e insieme tessete la corda dell’amore…

Me la fai stringere alle braccia la prima volta,

la osservo, sarà combattente come te, lo so,

poi ti guardo e leggo nei tuoi occhi,

l’orgoglio di concedermi la condivisione,

per curarla e seguirla,

seguito a osservarvi e mi riempio fiera,

della certezza che sarà anche un po’ mia!


 

“guarigioni”

 

Sentivo freddo

e mi hai riscaldata,

mi sentivo spesso sola;

senza chiederlo,

tu mi hai fatto compagnia.

Odiavo questo mondo,

questa vita della quale,

non facevo parte;

tu nel bene e nel male

mi insegnasti ad amarla!

Ora che mi hai guarita,

da profonde sofferenze;

t’amo e tu mi rimani fedele!


 

“l’amore che non t’aspetti”

 

Nei suoi occhi incontrai l’amore,

nei tuoi scuri e sinceri l’ho vissuto.

Sognavo i suoi baci come dolce veleno,

aprendo gli occhi baciavo te,

d’amore fui placata.

Mi sono scoperta innamorata,

del tuo essere completo,

mentre già ti eri votato all’amore,

per questo mio cuore confuso.

A quei tempi l’amore lo sognavo,

ma tu invece mi insegnasti a viverlo!