Fiore - Poesie

Caldo

 

Caldo

Sudo

Il ventilatore al soffitto fa rumore

Clap, clap, clap

Non lo sopporto, spengo

Ti sento, sei arrivata

Ti aspettavo

Giri intorno

Sei nervosa, hai fame

Resto immobile per saziarti

Golosa

Ti guardo e mi sento Dio

Ho deciso

Una macchia rossa sulla mia coscia


Follia

 

Sono folle.

 

Sono folle perché il mio mondo è diverso dal vostro.

 

Sono folle perché sorrido sempre, non ho ricordi ma solo parole,

tante parole, domande e risposte.

 

Sono folle perché la mia casa è un angolo di marciapiede,

qui vivo senza regole, dormo di giorno e veglio di notte.

 

Sono folle perché disprezzo e solitudine non mi fanno paura,

non riconosco più il tempo e le stagioni.

 

Sono folle perché l’ho deciso io.

 

Sì!  Ho scelto la follia,

perché questa vita non è quella che sognavo,

quando ero dentro di te, madre.


L’Imbrunire

 

Eccoti! Benvenuto amico mio,

è tutto il giorno che ti attendo,

solitario,

su questo scoglio in riva al mare.

 

Eccoti! Benvenuto amico mio,

i profumi e i colori che porti con te,

accendono una tremula fiamma,

lentamente il mio cuore si riscalda.

 

Eccoti! Benvenuto amico mio,

il pensiero di un triste destino,

di un’ingiustizia che non trova ragione,

lascia il posto ai ricordi più cari.

 

Ora è tardi, stai andando via,

domani,

ti aspetterò ancora amico mio.

 

L’imbrunire si è spento, è arrivata la notte.


Poesia

 

Una goccia d’acqua con le sue sfumature,

una rosa privata della morte,

un libro abbandonato a terra.

 

Immobile, osservo.

 

La mente vola negli spazi infiniti dei ricordi,

inaspettata, una lacrima sfugge fulminea,

un foglio bianco si inonda di scrittura.

 

Poesia, ineffabile emozione.

Maria Luisa Giustetto

Pseudonimo: FIORE


Onde

Onda, il tuo immortale fragore è musica,

dolcezza, profumo.

Grida di gioia risuonano quando,

capricciosa, mi accarezzi.

 

Onda, il tuo immortale fragore è paura,

rancore, monito.

Urla di rabbia si levano quando,

gelida, mi ferisci.

 

Onda, ti osservo, assorta nei miei pensieri.

Immediata e ingorda mi riporti a te

e sussurri: «nulla è immobile,

tutto finisce per ricominciare.»


MOMENTO MAGICO

 

Nascere donna,

timida, insicura, normale

unica

 

Crescere donna,

forte, fiera, insolente

amante

 

Vivere donna,

sconfitta, vincente, sola

consapevole

 

Morire donna,

serena, libera, cara

rinata

Ecco! il momento magico


 

Chi Sei?

 

Sei buono,

unico sostegno quando tutto il mondo cade

 

Sei maledetto,

inutile e inconsolabile quando il dolore strappa il cuore

 

Sei la luce,

la strada illuminata per andare oltre le offese

 

Sei il buio,

empio e spietato alla fine di tutto

 

Sei il perdono, la condanna

 

Sei la preghiera, la bestemmia

 

Ora ti vedo, piccolo uomo in croce

Forse,

Sei Colui che dà un senso a ciò che senso non ha.

 

Maria Luisa Giustetto

pseudonimo: FIORE


 

HELP

 

Il tuo urlo nella notte è lancinante,

acuto, sinistro ma anche affascinante.

 

Quando passi, tutto si ferma per un momento,

dalle labbra di chi guarda sfugge un lamento.

 

Accesa, spenta, veloce o lenta incuti timore,

il pensiero corre trepidante al nostro amore.

 

Nel bisogno, ci affidiamo a te con speranza,

tante vite hai salvato: «chiama l’ambulanza!»


 

Doveva essere un giorno come un altro…

 

E’ presto. Sono le sei del mattino ma sono già sveglio. Non ho più sonno e dal letto guardo affascinato il color tortora delle pareti, l’elegante boiserie in legno bianco e il lampadario di cristallo senza un granello di polvere. Mi sento soddisfatto.                                                                                                                                                              Soggiorno in un hotel a cinque stelle tra i più esclusivi della regione; è stato scelto dalla mia azienda per la Convention annuale dedicata ai manager. Anch’io sono un manager e mi sento orgoglioso. «Grazie boss! Sono al massimo», dico a me stesso alzando il pollice. Sorrido perché mi è venuta in mente l’espressione del collega di Milano quando ha saputo della mia promozione a dirigente. Rivedo ancora la scena: Lui pallido, occhi dilatati, mi porge la mano sudata e dice con un filo di voce: «Largo ai giovani.»  Io gli rispondo solo con un mezzo sorriso compiacente e penso : “Sei un over cinquanta e hai chiuso con la carriera”. Guardo l’ora, devo sbrigarmi. Questa mattina farò il mio primo discorso alla conferenza nazionale. Non ho paura, anzi, mi sento euforico ed eccitato. Alle 13 il meeting è finito. Tutti hanno applaudito il mio intervento e ora si accalcano per farmi i complimenti e abbracciarmi. Anche il capo, sorridendo mi ha detto: “Sei un giovane brillante e vincente”. Mi sento davvero bene.                                                                                                                Dopo il lunch decido di fermarmi in hotel e di prendermi tutto il pomeriggio per organizzare la gara di sci con gli amici del circolo di tennis. Il cameriere si avvicina per offrirmi da bere e quando alzo la testa per rispondergli, noto la mia immagine riflessa nello specchio: sono molto elegante. L’apparenza è importante nel mio mondo. E’ ormai sera e preferisco cenare prima di partire. È tutto perfetto ma rinuncio al dessert perché è molto tardi.                        Il ragazzo della reception mi consegna le chiavi della Mercedes e mi osserva con un po’ di invidia. Sento un brivido di piacere anche se sono abituato a farmi notare. Salgo in auto e solo ora penso a mia moglie, ma non chiamo per avvisarla che sto arrivando. Mi chiedo invece se il giardiniere ha potato le rose del viale che porta alla villa. Guardo l’ora, è un po’ che guido. Ho scelto di fare la strada statale che è tutta curve però più corta. Inaspettatamente, mi colpisce una fitta di malinconia. Accelero, ho voglia di arrivare a casa.                 Mi è caduto il telefono, lo cerco. Un attimo e tutto diventa buio. Sento un gusto acre in bocca. Sotto di me la terra è fredda e umida. Muovo i piedi ma non riesco ad alzarmi. E’ strano, non ho più le scarpe. Cerco di sollevare la testa, ma vedo solo il mio vestito sporco e strappato. Con le mani mi tocco la pancia, sento una fitta lancinante e un liquido spesso e appiccicoso. Le orecchie fischiano e mi fanno male, proprio come quando sono sull’aereo che atterra. Cerco di respirare profondamente per riprendermi, ma non riesco, non ce la faccio.                         Sono steso a terra. Ecco cosa è successo, un incidente. Un incidente grave. Mi stupisco, non pensavo che potesse succedere a me. E’ passato un po’ di tempo e forse mi sono addormentato. Non muovo più i piedi e le mani, ma sento il profumo forte e fresco della terra. Mi piace. Il verso degli uccelli notturni mi fa compagnia. Sono ancora lucido e penso. Penso alla Mercedes. Sarà più in là, completamente distrutta. Mi viene da ridere perché la devo ancora pagare. Penso alla mia casa. Sono in ritardo di sei mesi nel pagamento dell’affitto, ma ora non è più un problema e quasi mi sento sollevato.                                                                                                                                 Penso che non farò la gara di sci che ho organizzato e penso a lei, alla mia signora. Sì, si comporta proprio da signora lei, perché è figlia di un notaio. Noi sappiamo bene però che il signor notaio è un fallito, ubriacone e puttaniere. Penso al collega over cinquanta che non soffrirà per la mia morte. Ora sto male e respiro con difficoltà. Il mio sangue non è più rosso e capisco che mi resta poco da vivere. Chiudo gli occhi e vedo un bambino che corre nei prati con il suo cane, intorno a loro tante pecore. Il papà lo sgrida: «Non si fa così, cerca di imparare, sei un pastore». Lui si gira, lo guarda con odio e gli risponde: « No! Io voglio un’altra vita». Sento scorrere le lacrime e penso: Peccato.


 

Strada Statale 28 del Colle di Nava, Martedì 15 Agosto        

 

Sono già le sette di sera e lui non è ancora arrivato. Sto per avere una crisi di nervi. Adesso lo chiamo e gli dico che non voglio più partire.                                                                                                                    Ma no, ci ripenso, è meglio andare perché Loredana e Renzo ci tengono. Fanno tanta strada da Mentone fino da noi a Sanremo per vedere i fuochi d’artificio. È diventata un’abitudine, ma spero davvero che sia l’ultima volta.                                                                                                  La giornata è iniziata male. Un intoppo dietro l’altro: l’auto strisciata contro la porta del garage, la coda per andare in centro e il bonifico che non è arrivato sul conto. Quell’oca della cassiera ha anche urlato “importo non disponibile”. Cambierò banca. Anche Alice ha dato il suo contributo, è tutto il giorno che frigna. Nel pomeriggio si è tranquillizzata. Ho fatto bene a portarla dai nonni, starà con loro per due giorni.                                                    Guardo la mia valigia. È mezza vuota. Giusto il minimo per il week-end. In albergo ormai ci conoscono e poi…tanto… Eccolo, sono quasi le otto. «È tardissimo, ti vuoi sbrigare?», gli urlo dalla finestra. «Sì, scusa, salgo subito», mi risponde.                                                                                               Sale le scale trascinando i piedi, come al solito. «Come mai ci hai messo tanto? È un’ora che aspetto.» «Scusa.» «Lasciamo perdere, carica la valigia.» Partiamo. Siamo finalmente fuori dal traffico cittadino, lo guardo. Mi sorride.     Non posso fare a meno di notare la sua espressione affranta. Questa cosa mi innervosisce a tal punto che, in un attimo, sbotto: «Ho un mal di testa terribile, puoi abbassare il volume della radio per favore?» «Perché? Non ti piacciono queste canzoni?», mi risponde. «Ho mal di testa e poi no, non mi piacciono queste canzoni.» «Strano, ti sono sempre piaciute. Ti ricordi quando partivamo con Bobby? Cantavamo le canzoni di Venditti e lui abbaiava.»                                                                                                                        Ora vuole commuovermi con la storia del cane. Bobby è morto un anno fa. Sbotto di nuovo: «Non iniziare con i tuoi discorsi patetici, ne abbiamo già parlato…» «Certo, scusa. Cosa hai fatto oggi?» «Quello che faccio sempre, non ho voglia di parlarne.» «Una volta mi raccontavi tutto, parlavamo tanto e…» «Mi stai annoiando con questi discorsi banali.»

Lo sapevo che sarebbe finita così, adesso non gli rispondo più.                                                                  «Se hai fame possiamo fermarci a mangiare qualcosa per strada», riprende. «Ma sei matto? Hai visto che ore sono?»                                                                                              «Solo un panino veloce.» «No! Cerchiamo di arrivare in fretta.»                                  «Con la bambina come facciamo?» prosegue dopo qualche minuto. «Come fanno tutti, non è un problema, siamo d’accordo, no?» «Soffrirà.»                                                                                                          «Non soffrirà, gliel’ho già detto e …» anche telefono che mi squilla adesso, speriamo che… «Rispondi?», mi dice guardandomi dritto negli occhi. Ma sì, è meglio rispondere, tanto ormai ho chiarito tutto.                                        «Pronto, ciao. Sì, stiamo andando al mare»; «torno domenica sera e… ti chiamo»; «adesso non posso parlare, ti richiamo…» «Era lei?», mi chiede.

«Sì.»

Finalmente ha smesso di parlare così posso pensare. Sembrava un gioco tra colleghe, invece è diventata una cosa importante. Tanto importante da rendere insopportabile la vita con mio marito. Ho deciso di lasciarlo e lui lo sa. Lo farò presto.                                                                                                          È da più di un’ora che non parla. Meglio così, però è strano. Gli dico: «Perché non hai fatto l’autostrada? Lo sai che patisco da morire le curve di montagna e poi non c’è un cane in questo posto.»

Silenzio.

«Hai sentito cosa ho detto? Ho la nausea, fermiamoci un attimo.»

Silenzio.

Inizia ad accelerare. Non rallenta neanche nelle curve più pericolose. Accelera ancora.                              Sono preoccupata. L’ansia mi toglie il respiro. Gli parlo:               «cosa stai facendo? Mi vuoi spaventare? Rispondimi!»

Silenzio.

Adesso ho paura, la velocità è insostenibile. Inizio a dargli pugni sul braccio, urlo e piango.                  Lo osservo e resto inorridita dalla sua espressione: immobile con gli occhi fissi, non guarda più la strada. Sorride come un folle.

Ho capito.