I.
Se fosse tutto sbagliato (e forse lo è)
nulla rifarei del mio passato:
cullerei quello spiritello malaticcio
lo nutrirei di versi
affinché possa comporne di suoi
e vivrei d’arte per sempre
con due soldi di passato
e uno d’avvenire.
Se fosse tutto sbagliato (e vorrei che lo fosse)
uscirei da questa vita
per entrare nella mia.
Mi scuserebbe mia madre
perché mi vedrebbe felice,
mi scuserei persino io
per tutto il tempo che ho perduto
a non far giocar parole e errori.
Voglio vivere d’inchiostro
di paure scritte e lette
su fogli caldi ed accoglienti
voglio dormire la mia vita.
II.
Saranno dieci,
forse meno
vecchi volti stanchi
giovani e stanchi
belli e stanchi
e brutti
Il tavolo all’aperto
di un bar di periferia.
La ragazza triste
triste e volgare
porca e triste
e spenta
e tanta e sfatta
che serve da bere e da
leccare.
Ti va di entrare
fragile bambina in cachemire e Monet?
III.
Quando fuggo da me
guardo:
quell’albero che abbraccia il cielo
quello che vi si scaglia contro
quello che vi entra dentro
quello che lo sorregge
quello che se ne protegge,
curvo.
Quell’altro che lo carezza
crepando il suo azzurro,
quello che vi si insinua,
ingordo.
Quando fuggo da me
mi accoglie sempre l’arte.
Mi prende la mano
mi riporta a casa.
IV.Comignoli
Inverno.
Il fumo bianco
nel cielo grigio.
E’ l’alito di vite
attente, operose
e stanche.
Le carte e il vino,
la poesia dei vecchi e i giochi dei bambini
soffiano vivi
scaldando il freddo.
Tutto tace e io vedo un abbraccio.
Del fumo bianco
al cielo grigio.
D’inverno.
V.Condanna borghese
La sua collana di banconote
da lustrare davanti a specchi
deformanti
non si romperà.
Non tintinneranno piccole biglie
rotolando sulla sabbia di spiagge
private.
Perché la musica assordante
dei suoi party annegherà
la melodia di ogni pensiero,
di ogni dolce nota,
di tutte le parole
vere.
E mentre muove il suo
finto
corpo perfetto, inchiodando la sua
non anima all’illusione di un eterno presente,
l’arte non lo salva.
L’arte non lo perdonerà.
VI.
La vita è tutta negli occhi di un vecchio
dall’altra parte della scala mobile
Mio nonno è quegli occhi
che incrociano i miei
Io sono la donna
che quel vecchio ha amato
e perduto
La vita è tutta negli occhi miei
dall’altra parte della scala mobile
VII.
Occhi neri d’ossidiana
accolgono l’invito.
Salgono.
Si chiudono lenti,
si aprono stanchi.
Paghi il tuo conto
ad una puttana sbiadita.
Il vecchio cane acciambellato
sulla poltrona sgualcita
non sente più rientrare.
Occhi piccole nocciole
declinano l’amore.
Solleva il muso e lo posa piano
sonnecchiando al calore
di una stufa.
VIII. Come Elstir
Una poesia è un pezzetto di
muro giallo
in un quadro di Vermeer.
Che non vedi
te ne penti
e ritorni.
Come Elstir.
IX.
Genova.
La marcia avanza,
ma la gente canta.
La marcia squarcia,
ma la gente canta.
- Hanno dimenticato tutto –
piange la vecchietta
e raggomitola il cuore.
La gente canta.
Canta.
Ancora.
La marcia non uccide,
perché la gente canta.
Che canti.
Ancora.
X.
e voli di tacchino
e inciampi in fango e polvere
di macerie di
castelli incantati.
Profumi di fantasmi:
l’altalena della vita
ancora la culla
mio nonno.