Francesco Augello - Poesie

“Aisha”

 

Aisha è tornata, Aisha è libera…
diciotto mesi in prigionia,
tu Aisha, preda della follia,
di quella spicciola diceria,
profonde sciocchezze,
su una storia acre di tristezze.
Quante stranezze sul tuo conto,
becero, acido tornaconto,
nel raccontare le tue parole,
solo infide voci e quel piegare la religione,
Aisha è tornata, Aisha è azione…
corre veloce lo sguardo a l’islamica ragione,
ad una sospetta manipolazione,
ma è una semplice decisione,
nel tuo nome la vita,
quella salva, mai esaurita…
La preferita, Aisha, libera…
non più vittima di un avverso destino,
ma rifiorita come un ricco giardino,
non badare alle maldicenze,
urtano contro le libere coscienze,
le brade credenze,
come rami spezzati al vento,
insofferenti al cambiamento.
Aisha non ha colpa,
vittima solo di una terra corrotta,
adesso prospera sopra ogni cosa,
sorride Silvia, è libera…
bella come una rosa.


“Come un soffio”

 

In un soffio si perse quell’alito di vento, mi prese per mano

trascinandomi nell’annuncio di un mutamento,

un vuoto, un triste evento,

riempito per rispondere alle forze della natura,

perfetta nel suo moto, ma assai dura.

Non era la calda aria risalita dai monti,

ma il disceso vento gelido dei ricordi,

che soffiava sui visi slavati,

ma profumati come fiore d’osmanto,

adesso, sommessi asciugavano il loro pianto.

In un soffio lo sconvolgimento,

tutto si mosse, ma non scombinò il mio tempo,

inamovibile, come le fisse frasi delle pagine di un libro,

piegate solo dal fiato vibrato di chi cerca un ritorno all’equilibrio.

In quel soffio, se pur indispensabile alla vita,

alla mia presenza, tante le bocche rimaste come cucite,

accompagnate da tremore alle dita,

per quel “respiro a fatica”, poco dopo,

seguito da un toccato “che Dio ti benedica”.

In un soffio una vita che spira,

l’eterno abbandono alla legge divina,

a quel refolo, osservatore di lacrime amare di chi,

da tempo, non ricordava il significato d’amare.

Mi diressi verso il mare, verso nuove gocciole da colonizzare,

io, minaccioso parassita, causa e testimone di ferite, di vite recise,

in cerca di nuove colonie da abitare, un programmare il tempo per riposare,

velando con inganno, a quell’umano affanno,

un instillato trionfo e la minaccia di un mio ritorno.


 “E fu un attimo”

 

E fu un attimo, dalla natura all’uomo,

E fu un attimo, da uomo a uomo,

da continente a continente.

E fu un attimo, un paese, poi due,

poi…un solo colore: rosso, da nord a sud.

E in quell’attimo si dissolsero, uno dopo l’altro,

gli abbracci, le strette di mano;

ed apparvero, avvelenate dalla diffidenza e dalla paura,

le distanze, i silenzi e gli sguardi smarriti.

E fu un attimo, appelli insistenti:

#iorestoacasa,

#andràtuttobene

#Uniticelafaremo!

E fu un attimo, nel silenzio delle piazze vuote,

un muto inno di solidarietà,

dai balconi, in mano, luci accese,

per ridurre le distanze e ricordare il ruolo della paura.

E fu un attimo, e si spensero le luci,

per ridurre le distanze e ricordare il ruolo della natura.

E fu un attimo, e quell’attimo era adesso,

tra umani affanni di medici e infermieri

tra umani affanni di volontari, protetti da quel poco,

ma vestiti da quel tanto coraggio.

E fu ancora un attimo, l’ultimo,

prima di salutare, da eroi,

chi del suo letto aveva anelato il desiderio di cambiarlo:

Adesso vai….

#Andràtuttobene

#Uniticelafaremo!


 “La poesia del creato”

 

Ho osservato quel che ho creato,

ho lasciato ogni cosa ordinata,

nei tempi e nello spazio,

provo un brivido d’imbarazzo,

osservo i mutati equilibri,

un uomo sempre più pazzo salve solo le stelle,

le galassie, i lontani pianeti,

il sole, ma con la terra nessun paragone.

Ho donato ogni cosa,

come dote di una sposa,

ho ritrovato una veste spinosa,

non quella di una rosa,

ma di una terra che mal riposa,

rimane il calore dei venti,

dei mari, dei vulcani,

della natura il verde colore,

ma tanto è il dolore,

un calpestare il mio amore,

che appare così odiato,

un brivido per il creato,

distrutto è ciò che ho insegnato,

ma nel mio operato,

sempre giusto e mai sbagliato,

non ho mai odiato.


“L’ultimo respiro”

 

Traghettami lentamente,
mentre la mia mente si illude
tacere l’ultimo dei lamenti.
Ho l’affanno nella pelle, nell’animo,
fin sui capelli,
ho trascorso tempi bui,
alcuni belli, ma mai così ribelli,
parecchi molesti, tristi,
testimoni quelle voci
che sempre più lontano
avverto incitarmi: resisti!
Ho trattenuto l’ultimo respiro,
il più doloroso, prezioso,
per sentirmi ancora un istante vivo,
seppur di corpo ormai privo,
ripercorro la mia storia terrena,
vissuta mai troppo serena,
convincermi che dopo tutto
non ho conseguito nessuna vittoria,
ma alla fine del viaggio
conto d’incontrare
almeno la gloria.


“Oltre le ferite”

 

Vedo profonde ferite
in questo mondo di vite indecise,
tanta gente e tanta rabbia,
affanni e inutili traguardi,
non sognare l’avida terra,
non amare la guerra,
lascia alle tue spalle
le ferite della pelle.


Sogna ogni genere di bellezza,
realizzala, contro ogni riservatezza,
non è debolezza,

ma quell’umana dimensione,

lontana da ogni tentazione,
da ogni avida mercificazione,
non sotterrare l’amore.


Vedo profonde ferite nei campi dove
non più nascono margherite,
sono ferite mai dalla natura partorite,
donate da un’ingrata mano,
un costruire contesti inquinati,
come pioggia di campi minati.


Oltre le ferite, ricorda…
ricorda quel fiume di vite recise,
non è debolezza, ma l’umana tristezza,
per un mondo che si spezza,
un ricordare la natura,
il creato, ciò che è nato,
sono le ferite ad averlo condannato.


“Indietro non si torna”

 

Una leggera discesa, no un aumento,

forse una lieve flessione,

ma no, è solo una invocata impressione,

non è un’equazione,

lo sanno i cittadini di ogni regione,

lo sanno al Governo, al Quirinale,

perfino al palazzo municipale

è ancora un’altra conta,

quella del telegiornale.

Finita la lettura, c’è chi alza lo sguardo,

spera, ma d’un tratto, è di nuovo sera,

siamo in piena primavera.

Forse domani, ci saranno meno caduti,

ma c’è chi ammonisce:

è solo un altro giorno,

non è ancora il tempo del non ritorno.

Un giovane audace, non si dà pace,

non accetta alcuna imposizione,

esce fuori sbattendo il portone,

prima due passi, poi altri, molto lenti,

pensa come festeggiare la Pasqua del 2020,

in barba alla restrizione sugli eventi.

Da una terrazza adorna,

un anziano con una voce roca e profonda:

attento, indietro non si torna!

Ed esorta: un ospedale potrebbe far ben sperare,

ma i guariti sono meno del totale,

oggi sono 710 in più, ed è uno sconforto che sale su.

In paese, dietro le imposte smosse dal vento,

in molti osservano la sottostante via, pensano:

quel ragazzo ora è in corsia,

l’anziano rammenta le sue urlate parole: non sei forte!

Tu tenti la morte! forse questa la sua sorte?

Dei giorni passati,

il giovane rivede la sua disinvoltura,

contro ogni misura, ha febbre, tosse, ha paura!

In stanza, la voce di chi ha vinto la morte,

gli auspica pari sorte;

Imprevidente, folle, irriflessivo,

adesso agogna po’ di respiro.

È fortunato, in medicina di urgenza,

la morte gli ha concesso clemenza

ha imparato la lezione: cosa vuol dire sapere amare,

ma la morte, no, sa di non poterla spiegare.

Ha vissuto l’emergenza in ospedale,

mentre altri, salutando Pasqua,

sono in attesa di un funerale;

un gesto da incosciente,

che si giustifica nel non sano di mente, nel perdente,

per il quale la morte può essere la migliore opportunità della vita,

ma, va in discesa, non in salita….

È una lezione che hanno appreso gli amici, i parenti,

perfino i levantini, ed anche i vicini,

adesso osserva la luce da una fessura e come tanti giura:

la pandemia la ricorderà per anni,

meglio la quarantena e limitare i danni.


“Il dono del silenzio”

 

Hai mai pensato al perché ti ho reso il dono del linguaggio?

Disse il silenzio al poeta nel suo lungo e letterale viaggio,
affinché tu possa condurre nel tempo più profondo,

dimenticato dall’umano mondo,

l’esperienza mai narrata,

quella parola in me mai penetrata,

per consentire a l’umano genere

di esplorare quel dimenticato sentiero,

i sentimenti e il loro mistero,

di farne il pieno;

affinché la ricchezza di ogni parola

possa allontanarlo dalla mondana nefandezza,

dalla terrena tristezza.

Narra della vita, di ogni umana memoria

o avventura, lo so è dura! 

Fai del linguaggio un alleato del silenzio e della natura,

percorri ogni nobile sentiero,

ma non odiare quell’improvviso velo,

la mancanza di pensiero, la lacunosa attenzione,

il tuo pensare ad ogni situazione,

né di tradurre in parole ogni emozione,

è nel mio silenzio che troverai ogni spiegazione.

Usa il silenzio per ascoltare il faceto soffio del vento,

anche se dovesse sembrare forte,

come un lamento, cogline il mutamento, 

come il tono del ruscello, il canto di un uccello,

lasciati attraversare dalla sabbia verbale,

perché in ogni granello è nascosto un pensiero da narrare

o un grande castello letterario,

sii impavido e temerario.

Fingi di poter scrivere dei grandi misteri,

perché in fin dei conti son tutti veri,

conduci in me i tuoi i pensieri, ma lascia che

il suono della musica ti elevi alle passioni più serie,

liberandoti dalle miserie;

porta nel tuo linguaggio la nobile arte della pittura,

ti accompagnerà nella muta poesia della cultura, 

nel tuo viaggio, non dimenticare il significato,
perché è da esso, anche nel mio silenzio,

che tutto è nato.

A te poeta, il dono di rendermi il narrato.


 “Un minuto di silenzio”

 

Un minuto di silenzio

per riflettere, per contemplare, per vivere il presente.

Un minuto di silenzio per sventolare una bandiera a mezz’asta

un tempo comune, per ricordare le vittime con…

per ricordare le vittime da…

Un tempo comune, per ricordare,

al netto di ogni preposizione,

perché la morte ha un solo sapore

un solo colore, un solo momento, condiviso… silenzio!

Silenzio d’innanzi ai municipi,

ai monumenti dei caduti,

alle migliaia di deceduti

Un minuto di silenzio per onorare,

vestiti del tricolore,

chi ha urlato al dolore

per non cedere nello sconforto,

per chi ha pagato il prezzo più alto,

per chi lotta per non pagarlo.

Un minuto di silenzio per ogni camice bianco vinto nell’affanno,

per ogni scienziato tratto in inganno;

per sconfiggere la lontananza

per non smarrire la speranza.

Nel silenzio di profluvi riflessioni,

ai sindaci in prima linea,

tra affanni e apprensioni,

Ed ancora, Silenzio,

è il minuto di cogliere la lezione:

ricostruire la Nazione.


 “Speranza”

 

 

Speranza, un desiderio di non poco conto,

spesso un intimo resoconto,

nella malattia, speranza,

è non dire, mai, così sia!

E’ quel margine da rintracciare,

per farci sperare.

E’ un motore dell’evoluzione, speranza,

è non dispensare nessuna illusione.

E’ una forza propulsiva,

un motore importante, speranza,

è vivere bui giorni,

senza rinunciare ai sogni.

E’ una fiammella, ne basta un po’,

si accende in quel “non so”.

Speranza, è ricominciare ogni giorno,

è un forte bisogno;

un bisogno di pensare,

per il giovane, l’adulto, l’anziano,

è un tendere la mano…

Speranza è un non negare la visione del futuro,

a quel… tieni duro.

E’ speranza nelle istituzioni,

nella famiglia e nella scienza,

al di là di ogni credenza.

E’ speranza di chi ha coraggio,

ma non cessa il suo viaggio.

E’ speranza di chi è stato nel fango,

e dice: io non rimpiango!

Speranza, è il fronteggiare le avversità,

perché poco importano le ostilità,

è navigare con decisione,

imparando da ogni repulsione,

è un resoconto di ciò che stato ieri,

ed esserne fieri.

Nella morte, è un resoconto del presente

e sapere di non essere un perdente.

Speranza, è la fiducia nel giorno seguente,

per vincere, ingannando, la mente.