Notte d’estate
Luna sulle foglie di notte,
ombre trattenute nel cielo scuro.
Ora ferme, ora sospese,
in un ondeggiar lento.
Dove, in questa brezza,
ritrovo pensieri, parole, emozioni?
Eccoli, si agitano silenziosi,
come queste foglie d’olmo assopito.
Nella notturna solitudine,
le incognite del futuro,
celato in queste foglie,
ora ferme, ora sospese.
Oh Nicole
Ti trovo e piove
tu sul mio corpo,
io sul tuo,
in silenzio,
immersi.
Odo il fruscio
dei fragili capelli,
i leggeri sussulti,
di morbidi piaceri,
lo spasmo dei muscoli
stanchi, ancora tesi.
Odoro il profumo tuo,
selvaggio,
la pelle bagnata
di limpido sudore.
Tocco la salmastra cute
del tuo seno,
le cosce sode,
che vibrano ardenti.
Le carnose labbra,
appena umide.
Assaporo la pungente
sapidità delle areole,
la candida essenza
delle tue femminilità,
le rosee lingue che
silenziose s’intrecciano.
Infine ti ritrovo
ancora piove,
stanchi,
non più soli,
oh Nicole.
Il cielo
Luci di tramonto estivo
o di crepuscolo invernale,
raggi di aurore lievi
o nubi rosse di giorni sereni.
Cielo dipinto, cupo o colorato
cielo celeste, nero o stellato.
Posi sereno o muovi in tempesta
con piogge leggere
o dall’ira funesta.
Apri il giorno, chiudi la notte,
fissi le stelle da cui
ne ricavi infinite rotte.
Radici
Ricordi
di luoghi d’infanzia,
depositati nella memoria.
Ricordi
di momenti vissuti,
passati nel tempo.
Ancorati come radici,
radici d’anima o di pensiero
che nei pensieri restano saldi.
Anche tentando
di cancellarli, nasconderli
o semplicemente dimenticarli,
mostrano di essere
ancora come radici.
Sospiri
Lunghi sospiri si posano
su candide muse, navigano.
Approdi distanti, bui e scuri,
ospitano canti, suoni, sussurri.
Veleggiare su sospiri
di mare in tempesta,
veleggiare su sospiri
di acqua quieta.
Silenzio
Tace questo muto mondo
rotto da un eterno sospiro,
sordo nella mutevolezza
del suo divenire, piange,
perché non sa più soffrire.
Ed io dimenticato nell’oblio
fui in pace.
Sonetto d’amore
Spesso il mio pensier vorrei incontrare
tra anima e mente, indeciso e fugace
nel clamore che sorprende l’amore
quel pensier, presto, all’emozione tace.
Siede silente, punto liminare
a volte timoroso, a volte audace
senza chiedere, senza replicare
lasciando sussulti, indomito giace.
Spesso pensier a nuovo amor mi esponi
avvolgendomi sia con tempesta
o con il sereno, con te mi porti.
Solo a me stesso, m’abbandoni
ma la vita la speranza ridesta,
nuove e vecchie follie pensier, trasporti.
Tempo
Silenzioso traghetta sulle mortali rive,
la vita di re, nobili o poveri descrive.
Cambia il mondo in un istante
senza lasciare impronte, errante.
Tra realtà e finzione
tra sogno e immaginazione
porta nel grembo vita e morte
pace, guerra e desolazione.
Silenzioso attraversa le mortali rive
e come acqua di fiume
muta, scorre, vive.
Giubileo 1500
Capitolo 1
Città del Vaticano, appartamento Borgia
Era il 19 dicembre 1499. Quella mattina un domestico entrò di gran fretta nella stanza da letto del Papa. Aperte le finestre, una fredda luce invernale investì la stanza. Una donna, probabilmente fatta entrare di nascosto la sera prima, giaceva supina vicino al pontefice. Rivestitasi in fretta uscì dalla camera mentre la servitù provvedeva a vestire e lavare il pontefice. Dopo essersi agghindato Rodrigo chiese il motivo di tanto scompiglio.
- Sua Santità questa notte è stato assassinato il Camerlengo del Sacro Collegio- disse allarmato il servitore.
- È stato trovato- proseguì- stamattina con il cranio rotto, probabilmente colpito dal martelletto che aveva in custodia, anch’esso sparito.
Il Papa si alzò dal letto incredulo per quanto aveva sentito.
I domestici più fedeli vennero inviati nell’appartamento per ripulire ed eventualmente trovare qualche indizio. Alle guardie fu affidato il compito di informarsi presso le sentinelle delle mura se avessero notato movimenti strani quella notte. Un servitore, scesa la sera, era stato visto uscire dal Vaticano. Viste le nuove misure di sicurezza adottate per il giubileo, era stato fatto seguire fino alla bottega dell’artista Buonarroti. Rodrigo volendo far luce sulla faccenda ordinò alle guardie di arrestarlo e condurlo in Vaticano la mattina seguente.
Capitolo 2
Roma, Piazza in Agone (antica Piazza Navona)
Era una fredda mattina, il sole era sorto da poco e i giardini intorno a Piazza in Agone erano ricoperti da una leggera brina. Come ogni mercoledì lo spiazzo era affollato da bancarelle giunte per il mercato settimanale. In quell’anno numerose persone, provenienti da ogni regione d’Italia, si trovavano a Roma per l’imminente inizio del giubileo.
Un domestico del Vaticano era stato inviato dallo stesso Papa per compiere alcune commissioni urgenti. Lo stretto spazio tra le bancarelle non permetteva una veloce deambulazione: “sarà una lunga mattina” pensava mentre tentava di farsi largo tra la folla. Ovunque si fermasse qualcuno gli rivolgeva qualche domanda sulle varie novità. Voci di vario tipo si erano sparse per tutta Roma dando vita a ipotesi quasi assurde, nate probabilmente dai risaputi eccessi della corte papale del periodo.
Finiti gli acquisti il domestico si diresse in direzione della bottega del fabbro: bussò energicamente alla porta e una voce possente lo invitò ad entrare. L’ambiente era particolarmente caldo, perfetto per una giornata invernale. Il fabbro intuì subito il motivo della visita. Papa Alessandro VI gli aveva commissionato la realizzazione di un martelletto particolarmente elaborato che sarebbe servito per una nuova cerimonia. Dal bancone prese un panno al cui interno aveva riposto l’attrezzo e lo diede al domestico in cambio di due ducati d’oro.
Città del Vaticano, appartamento Borgia
La stessa mattina Papa Alessandro VI, nato come Rodrigo Borgia, si trovava ancora nella sua stanza profondamente addormentato. Alcuni servi entrarono per procedere ai riti mattutini. Per prima cosa il Papa si concesse un momento per vedere il martelletto che aveva fatto ordinare. Si fece accompagnare da due cardinali: Ascanio Maria Sforza Visconti e Giovanni Battista Orsini, entrambi uomini di fiducia. Mentre camminavano raccontò ai due che come nuova cerimonia di apertura dell’anno giubilare aveva programmato un cambiamento: la contemporanea apertura della Porta Santa in ogni Basilica Patriarcale. Ogni porta era stata fatta preventivamente murare e lui stesso con il martello avrebbe aperto la Porta di San Pietro. L’attrezzo era stato riposto in una stanza di Palazzo Apostolico presso l’appartamento del Camerlengo del Sacro Collegio Bartolomé Martì. Dopo aver bussato aprì la porta un uomo basso, robusto con un lieve accento spagnolo. Dopo i saluti formali il Papa si accorse di un incrocio di sguardi tra i cardinali Martì e Orsini. “Probabilmente non scorre buon sangue tra i due “pensò. Il lavoro era di gran pregio nonostante la semplicità dello strumento. Presentava leggere rifiniture in oro sul manico e lo stemma dei Borgia nella parte anteriore della mazza. Infine ritornato nel suo appartamento si dedicò alla stesura della bolla “Pastoris aeterni”.
Capitolo 3
Roma, Bottega di Michelangelo Buonarroti.
La sera era scesa da poco, Michelangelo era nel suo laboratorio intento a riordinare i vari utensili utilizzati in giornata. Ripensava al servitore del Papa gli aveva portato come dono un martello, di certo non era una cosa consueta. Lo avrebbe ringraziato personalmente appena possibile.
Improvvisamente sentì bussare alla porta: erano le guardie papali.
Spalancata la porta una guardia disse con voce sicura: – signor Michelangelo Buonarroti la dichiaro in arresto per il furto di un oggetto di proprietà del Pontefice stesso. Passerà la notte in cella e domani verrà scortato per un’udienza presso lo stesso Papa. – Michelangelo perplesso, annuì.
Città del Vaticano, appartamento Borgia, Sala dei Pontefici.
La mattina seguente le guardie lo scortarono fino in Vaticano. Michelangelo venne interrogato per tutta la mattina ma non si riuscì a sapere molto sull’accaduto. Il giorno prima un domestico si era recato alla bottega dicendo che il Papa si congratulava per la riuscita dell’opera “la Pietà” e lo omaggiava con questo martello finemente elaborato. Tuttavia non aveva nessuna prova che potesse confermare di non averlo rubato.
Rodrigo se ne stava seduto sul seggio pensieroso. Non era sicuro che Buonarroti potesse essere sospettato per l’omicidio del cardinale visto che non aveva nessun movente ma in mancanza di altri indiziati lo fece imprigionare. Perché il vero assassino avrebbe usato il martello per uccidere il Camerlengo e se ne sarebbe disfatto tendando di incolpare qualcun’altro? Perché Buonarroti? Forse pensava che a causa della sua presunta omosessualità sarebbe stato incolpato? O era lo stesso artista ad aver ucciso il cardinale per un delitto di passione o perché aveva scoperto qualcosa che non avrebbe dovuto sapere? Rimase fino a tarda serata a pensare a chi potesse essere il vero colpevole. A notte fonda qualcuno bussò alla porta…
Capitolo 4
Città del Vaticano, appartamento Borgia, Sala dei Pontefici
Il giorno dopo Papa Alessandro VI, una volta fatta colazione, convocò un’assemblea con tutti i cardinali per comunicare l’omicidio. Affianco a lui era seduto il cardinale Orsini, sembravano entrambi molto stanchi. Dopo aver annunciato la morte del Camerlengo del Sacro Collegio, Rodrigo Borgia annunciò con voce profonda: “Cardinali mi duole annunziarvi che il Cardinale Martì è stato assassinato e il colpevole si trova in questa stanza.” Le guardie serrarono le porte. A questo punto il cardinale Orsini fece entrare nella sala Michelangelo Buonarroti e un domestico incappucciato. Così Rodrigo riprese la parola: “signor Buonarroti può dirmi che aspetto avesse il domestico che le ha consegnato il martello?”. Michelangelo disse di non essere sicuro dal momento che era incappucciato, come il domestico che aveva di fronte.
“Saprebbe riconoscere la voce?” chiese il Pontefice.
“Probabilmente si, aveva un accento nordico, probabilmente lombardo.” disse Michelangelo.
Il domestico incappucciato venne fatto avanzare e parlare. Sicuramente l’artista si trovava davanti la stessa persona che aveva bussato alla sua bottega.
“Questa sera- proseguì il pontefice- è stata confiscata una lettera che un servitore tentava di far entrare di nascosto. Il mittente è Ludovico il Moro”.
A questo punto Rodrigo si alzò e un pesante silenzio piombò sull’assemblea. Vide molti volti sorpresi, alcuni impauriti. Si avvicinò lentamente a Michelangelo e dopo averlo fatto liberare lo congedò. C’era una forte tensione nell’aula.
Alessandro VI tornato sul suo trono iniziò a parlare: “In seguito alla cacciata di Ludovico il Moro da Milano per mano dei francesi e delle nostre truppe, gli Sforza hanno perso ogni potere e territorio. È molto probabile che lo stesso Ludovico stia preparando una congiura per eliminare i suoi maggiori oppositori e riacquistare i suoi terreni. Nella missiva si accenna ad una festa per il Papa in occasione dell’inizio del giubileo. Questo mi fa credere che qualcuno all’interno del Vaticano stia progettando il Nostro assassinio.”
A questo punto il cardinal Orsini prese la parola: “Questa notte ho trovato questo domestico- disse mentre indicava l’uomo incappucciato ancora in catene- con la lettera di Ludovico il Moro. Questo servitore è la stessa persona che è stata usata per occultare l’arma del delitto: il martello donato al signore Buonarroti. Dopo averlo interrogato abbiamo scoperto che è al suo servizio cardinal Sforza.” concluse solennemente.
I vari cardinali presenti erano rimasti in silenzio per tutto il discorso. Nessuno osava proferire parola. Qualcuno rivolgeva rapidi sguardi al Cardinale Ascanio Sforza Visconti. L’uomo se ne stava seduto impaurito con il volto pallido mentre aspettava che le guardie lo arrestassero. Al cenno del papa il Cardinale venne fatto avanzare.
Secondo Rodrigo il Cardinale Martì aveva iniziato a sospettare del complotto e probabilmente lo avrebbe scoperto se non fosse stato fatto uccidere preventivamente. L’assassino si sarebbe poi disfatto dell’arma del delitto inviandolo all’artista Buonarroti pensando che sarebbe stato sufficiente a chiudere le indagini.
Il cardinale rimase in silenzio e Papa Alessandro capendo che non ci sarebbe stata nessuna difesa sentenziò: “Noi Papa Alessandro VI, condanniamo per l’omicidio del cardinal Martì Bartolomé, voi Cardinale Ascanio Maria Sforza Visconti. La condanniamo inoltre per tentata cospirazione a danno della Nostra Persona e di aver tentato di far ricadere la colpevolezza sull’innocente signor Buonarroti.”
Città del Vaticano, Basilica di San Pietro
Il giorno di Natale del 1499 Papa Alessandro VI inaugurò l’Anno Santo a San Pietro. Il Cardinale Sforza era tenuto in custodia dalle guardie di Castel Sant’Angelo. Rodrigo ruppe il muro della Porta Sacra e recitò solennemente la preghiera di apertura:
“Aperite mihi portas iustitiae. Introibo in domum tuam, Domine.
Aperite mihi portas, quoniam vobiscum Deus”.
(Apritemi le porte della giustizia. Entrerò, Signore, nella tua casa. Apritemi le porte, perché Dio è con voi”).
Il Sacco
di Castel Clementino
Prologo.
Il sacco di Castel Clementino, antico nome della città di Servigliano, fu un tragico evento avvenuto nel maggio del 1799. Durante la campagna d’Italia, Napoleone occupò tutto il territorio fermano che divenne parte dell’impero francese fino alla sua disfatta. Il sacco fu provocato dal tentativo di insorgenza organizzato dal conte Clemente Navarra. La rivolta fu facilmente sedata dall’esercito francese di istanza nella vicina Fermo e per i Serviglianesi fu una totale disfatta. Gli archivi e le cronache del tempo danno una stima approssimativa dei morti di quel maledetto 28 maggio 1799. Nel campo di battaglia, presso la località Castelletta, morirono all’incirca venti insorgenti compreso il figlio del Conte Navarra, Luigi, appena sedicenne. Durante il sacco del Castello, compiuto come monito per quanti avessero osato sfidare nuovamente l’esercito francese, morirono altre sei persone: Benedetto Gualtieri, il capitano di Castel Clementino di 45 anni, Sebastiano Polverigiani, geometra di 64 anni, Vincenzo Cerretani, fabbricatore di selle di 44 anni, Nicola figlio di Antonio Marino, fornaio di 34 anni, Domenico Fausti, calzolaio di 27 anni e Nicola Mandolesi di 48 anni.
Capitolo 1. Luigi Navarra
Notte tra il 25 e 26 maggio 1799
Era scesa la notte. Le strade erano silenziose, gli abitanti dormivano tranquillamente e la brezza primaverile spirava leggera, quasi assente, nella piazza di Castel Clementino. Nel buio si scorgevano alcune fiaccole che silenziose procedevano verso palazzo Navarra. Una guardia alla porta, dopo aver riconosciuto i visitatori, li fece entrare.
Ero in piedi davanti al portone d’ingresso. Mio padre, il Conte Clemente Navarra, mi aveva mandato a ricevere questi ospiti importanti. Dopo averli salutati, li feci accomodare nel salone centrale intorno al grande tavolo in legno massiccio. Le candele e le lampade ad olio illuminavano i drappi e i blasoni appesi alle pareti e il soffitto affrescato con scene bucoliche e rappresentazioni mitologiche. Mentre osservavo quelle immagini arrivò mio padre.
“Miei cari i tempi sono maturi, domani ci sarà la chiamata alle armi. Io stesso ho scritto la Proclama per incitare tutti i popoli del Piceno ad armarsi contro questa anarchia che sì barbaramente ci opprime. Gli stessi sacerdoti, nella messa domenicale, inciteranno i fedeli alla ribellione. Raffaele, Nicola, Antonio, Domenico, Benedetto, Giuseppe e Annibale domani sera al suono delle campane a martello riuniremo le truppe e se Dio vorrà si uniranno a noi anche le milizie del generale Donato di Donatis”.
Al discorso seguì un lungo silenzio. Notavo che aveva colto nel segno, i visi dei presenti erano risoluti anche se un po’ spaventati. Guardai per un attimo Domenico Vittori, il rappresentante municipale dei contadini. Lo conoscevo fin da fanciullo quando mi regalava la frutta di stagione, non mostrava paura: era pronto a combattere. Ad un certo punto mi accorsi che mio padre mi stava guardando. “Chissà che cosa starà pensando, forse se sono in grado di guidare la rivolta o semplicemente gli ricordo lui da giovane” ironizzai tra me e me. Dopo aver discusso ancora un po’ riguardo i preparativi e l’organizzazione della rivolta ognuno si congedò rapidamente e così anch’io mi andai a coricare.
La mattina seguente, poco dopo che il sole era sorto, sentii il banditore recitare pubblicamente la Proclama: “Ergete la fronte popoli generosi del Piceno! Eccovi il felice momento di ravvivare la vostra santa religione, di dimostrare il vostro attaccamento al Sovrano e di sottrarci a questa anarchia, che sì barbaramente ci opprime… Io vi chiamo a difendere la causa comune, affidati in Dio, ne’ grandi alleati, nel coraggio avito!… Gli abitanti tutti siano preparati a prendere le armi, al suono delle campane a martello…”
Capitolo 2. Generale Honoré Vial.
26 maggio1799
Iniziò a piovere mentre ero seduto nella mia tenda insieme ad alcuni ufficiali. Mi avevano spostato a Fermo, con un distaccamento della brigata di San Benedetto, per controllare questa zona costiera e tutto l’entroterra. La città mi piaceva: un borgo medievale con un grande porto vicino. La mia attenzione venne catturata da alcune grida: “Général, général!”. Una sentinella dall’aria stanca e con i vestiti bagnati entrò velocemente e disse: “Generale Honoré Vial è scoppiata una insurrezione nel vicino paese di Castel Clementino. Oggi hanno iniziato a suonare le campane a martello”, “maledetti italiani” pensai. Dopo averlo congedato chiamai uno dei capi di battaglione. Mentre aspettavo un capitano si avvicinò e disse che la rivolta andava sedata prima possibile e che la punizione doveva servire da esempio per altri che avessero in mente di sfidare l’esercito francese. “Ha ragione” pensai, “bisogna preparare un offensiva al più presto e punirli come meritano”.
27 maggio 1799
Le prime luci dell’alba irradiavano le colline circostanti e illuminavano il sentiero che lungo il fiume, per circa 25 chilometri, univa Fermo a Castel Clementino. La pioggia era cessata e il vento primaverile aveva spazzato via ogni nuvola: “giorno perfetto per mettersi in marcia” pensai. Dal momento che non sapevo con esattezza il numero degli insorgenti, decisi di mandare un distaccamento del battaglione di fanteria e un distaccamento della cavalleria in esplorazione ed eventualmente tenere pronta la fanteria pesante. Diedi l’ordine a circa cento uomini di marciare verso l’antico castello di Servigliano, seguendo il fiume Tenna, fino alla località di Querciabella, vicino all’osteria di Falerone. Lì avrebbero dovuto fissare una base per le operazioni militari e attendere nuovi ordini.
Capitolo 3. Lorenzo Fagiani
27 maggio 1799
Era quasi mezzogiorno, il caldo rendeva il lavoro nell’accampamento pesante e faticoso. Mi fermai un attimo a parlare con un mio parente, Annibale Marini, sergente della guardia civica. “A quanti siamo arrivati?” gli chiesi sovrappensiero. “Circa duecento, forse altri uomini arriveranno nel pomeriggio. Stiamo preparando le razioni di vino e cibo” mi rispose.
Nel frattempo si avvicinò anche Luigi Navarra, dovevo ancora abituarmi a vedere un generale così giovane, un sedicenne a capo della rivolta! Dopo i saluti formali mi disse: “Soldato Fagiani sono pronte le tuniche bianche e nere della ribellione, indossala come segno dell’insorgenza anti-francese”. Verso sera mi venne recapitato un messaggio: era mia moglie.
“Caro Lorenzo, qui le cose non vanno bene. Molti si lamentano dell’iniziativa di Navarra. Questa guerra potrà portare solo morte e distruzione, una follia che ci costerà troppo. Ti prego, fai tutto ciò che è possibile per salvarti e salvare le persone a te care”.
Lessi il messaggio più volte tentando una soluzione. Ero stanco di sottostare alla volontà dei nobili, specie del generale Navarra, un giovane incapace e presuntuoso, insomma un buono a nulla. Tenevo a mia moglie, alla mia famiglia, al mio modo di vivere, avevo faticato tanto per permettermi una vita agiata. Inoltre avevo paura, eravamo pochi uomini, tutti artigiani o contadini, senza rinforzi i francesi ci avrebbero ucciso senza problemi specie se a guidarci era quel ragazzino. Questi pensieri mi terrorizzavo e così, senza riflettere ulteriormente, decisi di abbandonare l’accampamento e tradirli. Dopo circa un’ora di cammino nel buio, attento a non farmi scoprire, arrivai nei pressi dell’accampamento nemico.
28 maggio 1799
Alle prime luci del giorno chiesi alle guardie di entrare per parlare al comandante delle truppe. Mi portarono nella tenda del capo francese e chiamato un’interprete gli dissi: “Monsieur, sono Lorenzo Fagiani da Monteverde e vengo dall’accampamento del Generale Luigi Navarra. Signore sono venuto ad arrendermi e chiedere la salvezza per me e la mia famiglia in cambio di informazioni sugli insorti”.
Il capo del battaglione mi guardò con un misto di disprezzo e curiosità mentre esaminava il mio viso arcigno. Sentito il parere di alcuni sottoufficiali mi disse. “Monsieur Fagiani accepte l’échange”. (Signor Fagiani accetto l’accordo). Così iniziai a rivelare l’esatta ubicazione dell’accampamento, il numero dei soldati sotto il Generale Navarra e ogni informazione che potesse essere utile. Mi promise che avrebbe risparmiato, nell’eventualità che si fosse arrivati al saccheggio del castello, la mia dimora e quella dei miei parenti. Infine mi ricompensò per le varie informazioni che avevo fornito e mi permise di restare nelle sue truppe per tutto il tempo che avessi voluto.
Capitolo 4. Luigi Navarra
28 maggio 1799
L’accampamento era in subbuglio. I preparativi per la battaglia non erano ancora stati portati a termine, i volontari erano poco e male armati. Non avevano ancora ricevuto notizie di eventuali truppe di rinforzo. Mi adoperavo con gran zelo affinché tutto andasse a buon fine ma avevo bisogno di più tempo. La piana vicino al vecchio mulino per adesso mi sembrava l’unico posto sicuro. Appena dopo pranzo incontrai il soldato Domenico Marignani. “Sono pronte altre razioni di vino per stasera?” dissi. Rispose con un breve cenno di capo e se ne andò. Mentre controllavo il cavallo, verso le due del pomeriggio, udii degli spari provenire dal bosco circostante.
Improvvisamente alcune linee della fanteria francese fuoriuscirono dal bosco e ingaggiarono battaglia. Il frastuono dei moschetti si propagò per tutta la valle. L’attacco ci aveva colti di sorpresa e molti dei nostri persero la vita nei primi minuti. Salii sul cavallo e tentai di raggruppare i soldati rimasti e tentare un’offensiva. Nessuno accorse, ognuno cercava dispersamente di salvarsi scappando verso le montagne. Ormai sopraffatto dal nemico, spronai il cavallo verso il fiume dove solo pochi uomini sbarravano la strada. Gli uccisi velocemente ma, mentre combattevo, i francesi riconobbero la divisa di generale e alcuni soldati della cavalleria si lanciarono all’inseguimento. Corsi più veloce che potevo ma nel giro di poche centinaia di metri mi furono troppo vicini. Dopo aver udito uno sparo sentii un forte dolore al petto, come se si fosse squarciato in un’istante. La ferita sanguinava e caddi da cavallo. Disteso per terra, sopra il manto erboso, un grande gelo mi inondò il corpo e sentii la vita lasciarmi in un ultimo respiro
Capitolo 5. Generale Honoré Vial
Sera 28 maggio 1799
Iniziava ad imbrunire quando ricevetti un dispaccio urgente dal campo di battaglia. Iniziai a leggere, ero preoccupato, “alla fine si tratta sempre dei miei uomini” pensai. Iniziava così:
“Al Generale Honoré Vial, comandante del reggimento francese a Fermo: abbiamo vinto. L’insorgenza, per il momento, è stata domata”. Mi tranquillizzai e continuai a leggere: “Abbiamo colto il nemico di sorpresa grazie a delle informazioni ottenute da un disertore dei rivoltosi. Quel “petit homme” adesso è sotto la nostra protezione. Li abbiamo presi alle spalle utilizzando la boscaglia circostante come nascondiglio. Lo scontro è durato pochi minuti, il generale delle truppe, un giovane ragazzo chiamato Luigi Navarra, figlio di Clemente Navarra, organizzatore della rivolta, è stato ucciso mentre tentava di scappare lungo il fiume. Gli uomini che non sono morti si sono rifugiati nei boschi circostanti. Noi non abbiamo subìto nessuna perdita. Dopo aver perlustrato la zona in cerca di superstiti, come da vostri ordini, siamo avanzati fino alla piana di San Gualtiero, guadato il fiume Tenna e razziato il Convento dei frati Minori osservanti. C’è stato un altro breve scontro alla porta nord del paese, chiamata Porta Clementina. Gli abitanti del castello l’avevano sbarrata per tentare un’ultima difesa. In breve tempo ci siamo aperti un varco e iniziato a razziare quanto più potevamo. Nel frattempo il Conte Clemente Navarra è fuggito.
Come monito per future insorgenze, abbiamo distrutto gran parte degli oggetti e della mobilia che non potevamo trasportare e ucciso chiunque non si sia arreso. Lo stesso Benedetto Gualtieri, altro capitano dell’insorgenza, è stato trucidato in casa sua. Non abbiamo risparmiato neanche la chiesa di San Marco dove, oltre a far bottino di ogni oggetto prezioso, il campanaro è stato tirato giù dalla torre da un soldato. Stiamo disfacendo il campo, al più presto ritorneremo trionfanti a Fermo con il bottino.
respectueusement, le chef du troisième bataillon
(con riverenza, il capo del terzo battaglione)
Finii di leggere il messaggio e mandai un soldato per informare gli altri ufficiali della buona riuscita dell’impresa.
Capitolo 6. Lorenzo Fagiani
Tornai a Castel Clementino dopo qualche mese per degli affari. Non mi sentivo in pericolo, poiché nessuno sapeva del mio accordo con i francesi. “I pochi che conoscevo crederanno che sia morto o che sia riuscito a scappare e nascondermi” pensai tra me e me. In realtà godetti della protezione francese e riuscii anche a far fruttare il compenso che mi diedero fino a quando le cose non iniziarono ad andare male e decisi di ritirarmi in campagna. Nel frattempo l’insorgenza nelle Marche stava continuando anche se con scarsi risultati.
Mi addentrai nelle vie borgo attraverso la porta nord; le strade e i palazzi non mostravano alcun segno del sacco francese… tutto era tornato come prima. Ritornai anche al vecchio mulino da dove era partita l’insorgenza; vidi che era stata eretta una lapide in memoria di Luigi Navarra.
“A poco serve il fiore della gioventù
se il tempo carpisce la vita che ne sboccia.
Reciso senza appello, muta la storia
piange il passaggio di queste anime.
Come il nostro generale, vinto da fiamme rosse e blu,
il sommo sonno lo colse nel giovanil furore.
Il coraggio nelle gesta, il desiderio di gloria,
il sogno di vittoria, volano come petali
lasciando un mondo di polvere e cenere.”
Dopo averla letta me ne andai ripensando a quel povero giovane, che appena sedicenne, perse la vita per causa mia. Mi ero chiesto più volte, negli ultimi mesi, se avessi fatto la scelta giusta. Mi domandavo se la morte di quegli uomini era realmente colpa mia, ma, alla fine, mi convincevo che le cose non sarebbero andate diversamente. “Probabilmente adesso ci sarei anch’ io sotterrato in quel campo lungo il fiume e trasformato in concime per i fiori” riflettei tra me e me.
Non ritornai mai più in quel luogo.
Fine