Francesco Gigante - Poesie

Un padre

 

Vivi in uno sguardo mentre sciabordi

dolcemente nella mente, in quella culla

della memoria dove si assopiscono

in una nenia del tempo i docili

e paterni insegnamenti della vita.

Ti ammiro in una ruga descrivente

gli anni che scivolano ineluttabili,

mentre il tuo sorriso è un pennello

che tinteggia le mie sicurezze.

Ti adoro sia in quella voce ferma, decisa

quasi dottrinale e sia nella voce che si riversa

in una lacrima detersa nell’emozione,

in quell’empatia che accarezza il mio domani.

Alcune volte ti scruto sottecchi,

in quella libertà del silenzio in cui la tua mano

è un palmo che si posa sulle gote materne,

in quell’istante in cui l’aria

è intrisa di un inestimabile affetto.

Ti adoro soprattutto ora che i tuoi lineamenti

sono oramai un raffinato intarsio

nel cielo terso dell’amore.


 

Un libro

 

Quando il cielo tace in una mesta serata invernale

prendo un libro impilato sugli scaffali della conoscenza.

Lo apro delicatamente, come una leggiadra folata di vento che

blandisce un filo d’erba. Lo guardo, fiotto d’inchiostro

in cui scorre un rigagnolo di magma che percorre

deciso il pendio di un racconto, una stilla d’umanità

che scalda il sangue dell’universo.

Lo sguardo invade fogli intatti e qualche pagina quasi arruffata

che ci ricorda come l’uomo si disseta

in qualche orpello futile di un istante dimenticandosi

dei nitidi torrenti disseminati in ogni cantuccio del tempo.

Alcune pagine come semi che il vento sparge

nel suo ordine invisibile

 rammentano che la vera ricchezza è cinta in una generosità

che stempera ogni livore e ci dona una fiducia.

Altre dove c’è un’iniziale verità che muta educata

da una nuova conoscenza, dal diletto ammaliante del sapere.

Una pagina si adagia su una carezza che conquista il cuore

di un bacio ormeggiato nell’incanto.

Un libro ci conduce nelle strade conosciute dall’esperienza,

ma anche in vicoli mai calpestati che si sporgono

in un’inattesa meraviglia.

Non è mai impudente, non è mai ingombrante,

è solo un opuscolo della vita, un libero vagabondo del pensiero.

Un libro è un ponte che unisce le sponde lontane della diversità

una naturalezza intima e palpitante dell’animo.


 

Un anno

 

Si sfila quest’anno,  sgraziata goccia 

concentrica dileguata nei flutti del fato.

Nato platano maestoso radicato nel tempo,

diventato guardiano barcollante 

nell’oscurità informe della notte.

Il cuore si posa sulla riga degli accadimenti,

nel tomo corposo dei ricordi. Si scorgono

sorrisi che schiamazzano gentili 

e festanti nella memoria e volti dispersi 

nelle onde ingovernabili del destino.

Mentre l’ultimo lembo di dicembre 

rallenta i suoi respiri disegno sul telo 

impenetrabile del futuro una speranza.

Una nutrice che allatti una serenità,

un refolo di pace che plachi i furori dell’universo.


 

Seduto sulla riva di un ricordo

 

Mi siedo sulla riva di un tramonto,

perso in quel luccichio che zampilla

leggiadro sulla superficie del mare.

Un incanto si sparge loquace verso

quel cordolo lontano che cinge l’orizzonte.

La salsedine accompagnata da un delicato vento,

antica vestale della natura, accarezza silenziosa i contorni.

Un pesce guizza improvviso fuori dalla superficie levigata

dell’acqua, come a voler scrutare una stella velata

dall’ultimo spicchio di luce. L’immaginazione è una mano

che stringe sicura quel corrimano che si estende lontano,

fino a pizzicare le corde di un’emozione. Sono solo

e una lacrima deterge un indimenticabile ricordo.


 

Non fossilizziamoci

 

Non fossilizziamoci sull’insensatezza

della paura, non flettiamo

il germoglio del sorriso nel ramo

caduco dell’angoscia. La vita

è un’addizione di parentesi, ognuna

protesa nell’imperscrutabile scrittura del fato.

Noi abbiamo l’obbligo di vergarne

un’avvincente trama tra un singulto muto

della notte ed una lama di beatitudine

posata sulla pelle inattesa dell’estasi.

In qusto sentiero la speranza non è mai

un commiato del cuore, ma un’imperitura

fiammella che fomenta un’inclinazione,

che rianima i petali avvizziti della melanconia.

Non fossilizziamoci in un’ovattata solitudine,

ognuno ha la possibilità di prendere per mano

un sentimento, di forgiare un intarsio

tra le venature acerbe dell’incertezza.

Posiamo una profonda orma

che rimanga nella sabbia fine, ma volubile del tempo.


 

Nitida passione

 

… e ti prendo per mano mentre il pallore

di una tenera luna entra docile nell’oscurità

appena pronunciata della sera.

Una fioca luce si adagia sul tuo viso perso

in una stella che riverbera i pensieri dell’universo.

Gli occhi si incontrano in quell’agorà dove

passeggiano le empatie dell’uomo.

Gli sguardi recitano muti l’amore

da una finestra in cui affluiscono i respiri

di una città in cui si diradano i passi del giorno.

Una carezza si posa sulla pelle di un sentimento

sedimentato nel tempo, mentre una loquace brezza

avvolge il desiderio di una nitida passione.


 

M’incammino

 

… e mi smarrisco in ogni vicissitudine

del tempo, tra un ramo disadorno

ed uno ornato dalle stagioni.

Disorientato nella foschia delle fatalità,

da quelle note non accordate della ragione

cerco una musicalità del cuore

che si permei sul pentagramma

delle mie predilezioni. Incespico sbigottito

nella strada dissestata dell’apatia,

di quella freddezza che distoglie i sentimenti,

che dissipa i sorrisi del mondo.

Poi mi ricompongo, ritto sulle ragioni

delle mie inclinazioni, dove colgo le sfumature

in cui maturano quelle parole che escono fluenti,

quegli istanti che attizzano il fuoco della passione.

Mentre l’incedere del tempo è inarrestabile,

anarchicamente attraccato nelle sue accezioni

m’incammino ovunque fiorisca

una commozione, in ogni viale del turbamento.


 

L’Evento

 

Nulla preclude l’Evento, niente tacita

la Nascita. L’orda del fato si è riversata

vigliacca nelle viscere degli affetti.

Ha consunto le complessità e le leggerezze

della vita, ma non ha mai estinto un’idea,

un’aspettativa, un credo. Tutto è muto

in attesa che un rintocco ridesti la Festa,

s’impadronisca di quel fraterno abbraccio

che pacifichi il mondo. Tutto si immola

ammaliante in una tavola imbandita

di speranze, dove una ridesta sera prefigura

le ragioni dell’esistenza. Lo sguardo memore

di un copione impresso negli anni

si volge in un punto lontano, in quel luogo

dove s’incontrano abbracci e voci perdute

e mai dimenticate. Infine ogni gesto ritorna

autenticamente vero in quella stanza

dove ogni parola è già eternità.


 

Le parole

 

Si muovono le parole, crude

in quello spazio dove i pensieri

come i gesti non hanno contezza del domani.

Sono suoni in cui si ricama una speranza,

uno spiazzo  dove l’uomo incontra attimi di felicità.

Le parole lottano tra ingombranti abitudini,

si tormentano nel buio dell’inquetudine

e si accasciano nella voluttà appagata del piacere.

Alcune volte vagano nell’incomprensione

dell’arroganza, indossano le vesti spoglie

della timidezza, eternamente fiduciose

di abbracciare teneramente una comprensione.

Le parole più profonde non sono mai ossequiose,

sono gocce di libertà che irrorano

copiose le affinità dell’universo.


 

La violenza

 

La violenza è un sibilo gelido che sferza

in ogni cantuccio del tempo. Cammina nell’ombra,

con la sua postura vigliacca, nella sua indolente debolezza.

Rovista ogni cassetto di serenità, fruga rabbioso

tra i rivoli della propria insicurezza. Non percepisce

la delicatezza, è un suono afono, disperso sulle rive

del disprezzo, perso tra i flutti dell’odio.

La violenza è una terra adusta, arsa

da mani che non sanno accarezzare,

da sguardi che non sanno comprendere.

La violenza è un essere umano che non ha mai

capito le note della convivenza, un uomo

che precipita nella forra dell’ignoranza,

nel burrone della solitudine.

La violenza è una pioggia torrenziale

che avvilisce il canto dell’universo.