Un padre
Vivi in uno sguardo mentre sciabordi
dolcemente nella mente, in quella culla
della memoria dove si assopiscono
in una nenia del tempo i docili
e paterni insegnamenti della vita.
Ti ammiro in una ruga descrivente
gli anni che scivolano ineluttabili,
mentre il tuo sorriso è un pennello
che tinteggia le mie sicurezze.
Ti adoro sia in quella voce ferma, decisa
quasi dottrinale e sia nella voce che si riversa
in una lacrima detersa nell’emozione,
in quell’empatia che accarezza il mio domani.
Alcune volte ti scruto sottecchi,
in quella libertà del silenzio in cui la tua mano
è un palmo che si posa sulle gote materne,
in quell’istante in cui l’aria
è intrisa di un inestimabile affetto.
Ti adoro soprattutto ora che i tuoi lineamenti
sono oramai un raffinato intarsio
nel cielo terso dell’amore.
Un libro
Quando il cielo tace in una mesta serata invernale
prendo un libro impilato sugli scaffali della conoscenza.
Lo apro delicatamente, come una leggiadra folata di vento che
blandisce un filo d’erba. Lo guardo, fiotto d’inchiostro
in cui scorre un rigagnolo di magma che percorre
deciso il pendio di un racconto, una stilla d’umanità
che scalda il sangue dell’universo.
Lo sguardo invade fogli intatti e qualche pagina quasi arruffata
che ci ricorda come l’uomo si disseta
in qualche orpello futile di un istante dimenticandosi
dei nitidi torrenti disseminati in ogni cantuccio del tempo.
Alcune pagine come semi che il vento sparge
nel suo ordine invisibile
rammentano che la vera ricchezza è cinta in una generosità
che stempera ogni livore e ci dona una fiducia.
Altre dove c’è un’iniziale verità che muta educata
da una nuova conoscenza, dal diletto ammaliante del sapere.
Una pagina si adagia su una carezza che conquista il cuore
di un bacio ormeggiato nell’incanto.
Un libro ci conduce nelle strade conosciute dall’esperienza,
ma anche in vicoli mai calpestati che si sporgono
in un’inattesa meraviglia.
Non è mai impudente, non è mai ingombrante,
è solo un opuscolo della vita, un libero vagabondo del pensiero.
Un libro è un ponte che unisce le sponde lontane della diversità
una naturalezza intima e palpitante dell’animo.
Un anno
Si sfila quest’anno, sgraziata goccia
concentrica dileguata nei flutti del fato.
Nato platano maestoso radicato nel tempo,
diventato guardiano barcollante
nell’oscurità informe della notte.
Il cuore si posa sulla riga degli accadimenti,
nel tomo corposo dei ricordi. Si scorgono
sorrisi che schiamazzano gentili
e festanti nella memoria e volti dispersi
nelle onde ingovernabili del destino.
Mentre l’ultimo lembo di dicembre
rallenta i suoi respiri disegno sul telo
impenetrabile del futuro una speranza.
Una nutrice che allatti una serenità,
un refolo di pace che plachi i furori dell’universo.
Seduto sulla riva di un ricordo
Mi siedo sulla riva di un tramonto,
perso in quel luccichio che zampilla
leggiadro sulla superficie del mare.
Un incanto si sparge loquace verso
quel cordolo lontano che cinge l’orizzonte.
La salsedine accompagnata da un delicato vento,
antica vestale della natura, accarezza silenziosa i contorni.
Un pesce guizza improvviso fuori dalla superficie levigata
dell’acqua, come a voler scrutare una stella velata
dall’ultimo spicchio di luce. L’immaginazione è una mano
che stringe sicura quel corrimano che si estende lontano,
fino a pizzicare le corde di un’emozione. Sono solo
e una lacrima deterge un indimenticabile ricordo.
Non fossilizziamoci
Non fossilizziamoci sull’insensatezza
della paura, non flettiamo
il germoglio del sorriso nel ramo
caduco dell’angoscia. La vita
è un’addizione di parentesi, ognuna
protesa nell’imperscrutabile scrittura del fato.
Noi abbiamo l’obbligo di vergarne
un’avvincente trama tra un singulto muto
della notte ed una lama di beatitudine
posata sulla pelle inattesa dell’estasi.
In qusto sentiero la speranza non è mai
un commiato del cuore, ma un’imperitura
fiammella che fomenta un’inclinazione,
che rianima i petali avvizziti della melanconia.
Non fossilizziamoci in un’ovattata solitudine,
ognuno ha la possibilità di prendere per mano
un sentimento, di forgiare un intarsio
tra le venature acerbe dell’incertezza.
Posiamo una profonda orma
che rimanga nella sabbia fine, ma volubile del tempo.
Nitida passione
… e ti prendo per mano mentre il pallore
di una tenera luna entra docile nell’oscurità
appena pronunciata della sera.
Una fioca luce si adagia sul tuo viso perso
in una stella che riverbera i pensieri dell’universo.
Gli occhi si incontrano in quell’agorà dove
passeggiano le empatie dell’uomo.
Gli sguardi recitano muti l’amore
da una finestra in cui affluiscono i respiri
di una città in cui si diradano i passi del giorno.
Una carezza si posa sulla pelle di un sentimento
sedimentato nel tempo, mentre una loquace brezza
avvolge il desiderio di una nitida passione.
M’incammino
… e mi smarrisco in ogni vicissitudine
del tempo, tra un ramo disadorno
ed uno ornato dalle stagioni.
Disorientato nella foschia delle fatalità,
da quelle note non accordate della ragione
cerco una musicalità del cuore
che si permei sul pentagramma
delle mie predilezioni. Incespico sbigottito
nella strada dissestata dell’apatia,
di quella freddezza che distoglie i sentimenti,
che dissipa i sorrisi del mondo.
Poi mi ricompongo, ritto sulle ragioni
delle mie inclinazioni, dove colgo le sfumature
in cui maturano quelle parole che escono fluenti,
quegli istanti che attizzano il fuoco della passione.
Mentre l’incedere del tempo è inarrestabile,
anarchicamente attraccato nelle sue accezioni
m’incammino ovunque fiorisca
una commozione, in ogni viale del turbamento.
L’Evento
Nulla preclude l’Evento, niente tacita
la Nascita. L’orda del fato si è riversata
vigliacca nelle viscere degli affetti.
Ha consunto le complessità e le leggerezze
della vita, ma non ha mai estinto un’idea,
un’aspettativa, un credo. Tutto è muto
in attesa che un rintocco ridesti la Festa,
s’impadronisca di quel fraterno abbraccio
che pacifichi il mondo. Tutto si immola
ammaliante in una tavola imbandita
di speranze, dove una ridesta sera prefigura
le ragioni dell’esistenza. Lo sguardo memore
di un copione impresso negli anni
si volge in un punto lontano, in quel luogo
dove s’incontrano abbracci e voci perdute
e mai dimenticate. Infine ogni gesto ritorna
autenticamente vero in quella stanza
dove ogni parola è già eternità.
Le parole
Si muovono le parole, crude
in quello spazio dove i pensieri
come i gesti non hanno contezza del domani.
Sono suoni in cui si ricama una speranza,
uno spiazzo dove l’uomo incontra attimi di felicità.
Le parole lottano tra ingombranti abitudini,
si tormentano nel buio dell’inquetudine
e si accasciano nella voluttà appagata del piacere.
Alcune volte vagano nell’incomprensione
dell’arroganza, indossano le vesti spoglie
della timidezza, eternamente fiduciose
di abbracciare teneramente una comprensione.
Le parole più profonde non sono mai ossequiose,
sono gocce di libertà che irrorano
copiose le affinità dell’universo.
La violenza
La violenza è un sibilo gelido che sferza
in ogni cantuccio del tempo. Cammina nell’ombra,
con la sua postura vigliacca, nella sua indolente debolezza.
Rovista ogni cassetto di serenità, fruga rabbioso
tra i rivoli della propria insicurezza. Non percepisce
la delicatezza, è un suono afono, disperso sulle rive
del disprezzo, perso tra i flutti dell’odio.
La violenza è una terra adusta, arsa
da mani che non sanno accarezzare,
da sguardi che non sanno comprendere.
La violenza è un essere umano che non ha mai
capito le note della convivenza, un uomo
che precipita nella forra dell’ignoranza,
nel burrone della solitudine.
La violenza è una pioggia torrenziale
che avvilisce il canto dell’universo.